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Perché non possiamo indicare il voto per Unione Popolare

 


Lettera aperta alle compagne e ai compagni del PRC e di PaP

Care compagne e compagni,

questa lettera è per voi, non per altri. Perché a voi ci legano tante battaglie comuni.

Come sapete il PCL cerca sempre di essere presente alle elezioni per presentare il proprio programma rivoluzionario, ciò che non contraddice la ricerca della massima unità d’azione a sinistra sul terreno della lotta di classe. Tuttavia, in questo caso una normativa particolarmente reazionaria ci ha impedito di essere presenti come in altre occasioni, con l’eccezione della Liguria al Senato. In passato, nei casi di assenza obbligata dalla competizione elettorale, abbiamo spesso espresso un appoggio, sia pure critico, a liste della sinistra riformista. Ma in questo caso non riteniamo vi siano le condizioni per tale scelta.

Naturalmente respingiamo ogni ipotesi di sostegno alle liste di sinistra che oggi si presentano in coalizione col PD liberal-borghese (Sinistra Italiana) o in blocco rossobruno con destre sovraniste (come il partito di Rizzo). Pensiamo anzi che la denuncia di questa scelte debba rappresentare una occasione di chiarificazione.

Ma non per questo possiamo fornire un appoggio critico ad Unione Popolare. Unione Popolare si presenta come l’ennesima riedizione di una lista civica progressista in cui la sinistra classista (PRC e PaP) finisce col nascondersi. In passato fu Ingroia. Oggi è De Magistris. La logica ci pare immutata: la ricerca di un “rispettabile” esponente istituzionale o ex istituzionale di natura piccolo-borghese cui affidare la propria speranza di tornare in Parlamento. Nel caso di De Magistris la scelta ci pare ancor più subalterna che in passato. Perché l’unico scopo di De Magistris è costruire un proprio partito personale usando PRC e PaP come manovalanza elettorale. La disponibilità dei gruppi dirigenti di PRC e PaP ad assecondare questo disegno ci pare profondamente negativa. Ed oltretutto senza alcuna credibile aspettativa di superare il 3%.

La ricerca da parte di PRC e De Magistris di un accordo col M5S sino all’ultimo minuto non è stata un incidente, ma l’espressione di un’impostazione “cittadinista” di tipo democratico, estranea alla centralità del lavoro. Un’impostazione che di fatto si è resa disponibile a mascherare la natura stessa del grillismo nel momento del suo tracollo, sino ad accordarsi col partito più governativo di tutta la legislatura: firmatario dei decreti infami di Salvini, dell’aumento delle spese militari, del travaso di miliardi nel portafoglio delle imprese. È vero che Potere al Popolo non ha condiviso la proposta di accordo col M5S. Ma purtroppo non ha messo in discussione l’impostazione politico-culturale da cui quella proposta nasceva. Né il tentativo di recuperare la polemica contro il M5S negli ultimi giorni annulla il disastro della proposta iniziale di alleanza. Semmai cerca di rimontarne gli effetti.

Certo, il programma su cui Unione Popolare si presenta elenca diverse rivendicazioni progressiste, come fa ogni programma riformista. Ma appunto le subordina all’ennesima illusione di un possibile governo progressista del capitalismo. I riferimenti a Podemos, che con quattro ministri siede nel governo spagnolo, sono in continuità coi passati riferimenti al governo Tsipras. In entrambi i casi l’illusione riformista è stata schiaffeggiata dalla realtà. Nel caso di Tsipras dalla continuità delle politiche della troika. Nel caso di Podemos dalla permanenza delle politiche di respingimento dei migranti e dell’aumento delle spese militari. Quanto al mito di Mélenchon – ex ministro del governo Jospin e in quanto tale bombardatore di Belgrado – va osservato che pur di accordarsi col Partito Socialista ha rinunciato a rivendicare la rottura con la NATO. E che il suo sovranismo di sinistra, ostile alle bandiere rosse, non promette nulla di buono, al di là delle affabulazioni retoriche.

Il punto è che se la prospettiva rivoluzionaria è ritenuta impossibile l’unico orizzonte resta il governo del capitalismo. E questa prospettiva non riguarda il futuro, ma il presente. Un solo esempio. Cercando in tutte le sedi di mostrarsi uomo di governo nell’ambito delle istituzioni di questo Stato, De Magistris imprime alla campagna elettorale un taglio governista che scavalca a destra il programma di UP. Su il manifesto (20 agosto) dichiara che una volta in Parlamento UP potrebbe rendersi utile per la formazione di un futuro governo “se ci saranno condizioni per essere determinanti”.

Con chi se non col PD e il M5S? Inoltre, l’ex sindaco curva in chiave compatibilista le stesse proposte sociali. Sul caro bollette (3 settembre) rivendica “lo scostamento di bilancio”, alla coda del M5S. Ciò che significherebbe far nuovo debito pubblico a carico dei salariati. Un governismo esibito come prova di “concretezza” rivela in realtà l’equivoco di fondo di una impostazione.

L’equivoco peraltro è figlio del passato. Negli ultimi 30 anni il PRC è stato nell’area di governo per quattro anni complessivamente (coi due governi Prodi), Rizzo per ben sei anni (aggiungendo i governi D’Alema e Amato). Il solo PRC ha votato il lavoro interinale, il record di privatizzazioni in Europa, le leggi antimmigrazione Turco-Napolitano (con il blocco navale verso l’Albania, sino all’affondamento in mare di una nave di profughi con oltre 100 morti), la massima detassazione dei profitti di banche e imprese (IRES passata dal 34% al 27,5% nella finanziaria del 2007) e diversi rifinanziamenti delle missioni di guerra. “Errori” di cui si è fatto ammenda? No, sostegno all’avversario di classe contro la propria classe di riferimento. Il crollo della sinistra politica tra i salariati, e lo sfondamento populista che ne è seguito, hanno questa precisa radice. E hanno finito col colpire tutti. Anche chi quelle politiche le contrastò con forza, come nel caso del PCL.

Non pensiamo al passato, guardiamo al futuro” si obietta spesso. Ma se non si fa un bilancio della storia si è condannati a ripeterla. Del resto, tutti noi giustamente elenchiamo le responsabilità passate del PD e dei partiti borghesi (pensiamo agli ex dalemiani) contro ogni loro tentativo di camuffarle. Perché non applicare lo stesso metodo anche al bilancio della sinistra classista? Non è da comunisti usare due pesi e due misure.

La nostra scelta elettorale per tutte queste ragioni è l’astensione. Ciò non significa per parte nostra ignorare il fatto che molti di voi, magari condividendo in parte la nostra critica, intendano votare UP in contrapposizione ai partiti borghesi, cercando in UP uno strumento di replica all’avversario nel contesto dato. Non condividiamo questa illusione, ma la comprendiamo.

Tuttavia, vi chiediamo quantomeno di non votare le liste di UP laddove siano capeggiate, come capilista, o dall’ex sindaco De Magistris (e dai suoi sodali di DemA) o dall’ex ministro Paolo Ferrero. Nel primo caso perché De Magistris e la sua area impersonificano la scelta aclassista di Unione Popolare al suo massimo livello. Nel secondo caso perché Paolo Ferrero ha condiviso e gestito al massimo livello di responsabilità le misure antioperaie del governo Prodi in quanto ministro di quel governo, ed è espressione particolarmente negativa di ipocrisia riformista tra quanto si afferma e quanto si fa. Pensiamo che, in ogni caso, il voto di un comunista non possa e non debba rivolgersi a loro.

Come sapete, la nostra critica non significa in alcun modo rifiuto del confronto e dell’unità d’azione su obiettivi comuni sul terreno dell’azione. Al contrario, nei limiti delle nostre forze l’abbiamo sempre ricercata e praticata contro ogni forma di settarismo. Ma l’unità d’azione non esclude la chiarezza, che è anche una forma di rispetto.

Nella chiarezza vi diciamo che oggi manca una rappresentanza politica del lavoro salariato che il lavoro salariato possa riconoscere come tale. Questo è l’enorme vuoto dello scenario politico, allargato dal suicidio del PRC tra il 2006 e il 2008, che le diverse sinistre non solo non affrontano ma concorrono a preservare. Sia quelle che si subordinano a forze borghesi, sia quelle che si nascondono dietro panni civici.

Non è certo il PCL oggi con le sue forze che può colmare questo vuoto. E neppure l’alleanza elettorale che avevamo proposto in questa occasione straordinaria a diverse sinistre classiste, anticapitaliste, internazionaliste, purtroppo da queste declinata.

Ma oggi solo il PCL pone con forza l’esigenza di un partito della classe lavoratrice e di un programma d’azione anticapitalista, fuori e contro ogni illusione riformista. È questa l’esigenza che solleveremo in ogni mobilitazione, a partire dalle battaglie di autunno. Assieme alla proposta del più ampio fronte unico di lotta di tutte le sinistre politiche e sindacali.

Partito Comunista dei Lavoratori