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La Sant'Elena di Gorbaciov

 


La morte ha riportato la figura di Michail Gorbaciov fuori dai gorghi dell’oblio ai quali era condannata da molti anni.

Anche così, però, la palude delle banalizzazioni di ogni tipo non si è prosciugata, proponendo stereotipi del tutto improduttivi: o eroe della Perestrojka e della democrazia o il Bruto che ha pugnalato la “patria socialista”. Occorre, invece, usare categorie interpretative meno puerili e fragili.

Certo la figura di Gorbaciov è quella di un personaggio non insignificante, ma essa non poteva venire alla luce senza la presenza di forze e di processi collettivi, come del resto avviene in generale nella storia.
Lo scenario è quello del collasso del sistema burocratico, non solo russo, ripudiato non da un killer truculento, incarnazione dell’ala dell’apparato più spudoratamente restaurazionista (la fazione Butenko) ma da un burocrate illuminato sostenitore di un sistema politico (socialista?) dal volto umano.
In realtà Gorbaciov e le vicende del suo tempo sono l’epifenomeno della contraddittorietà e della fragilità del sistema politico burocratico, con il rovinoso tramonto del sogno, folle e antistorico, del socialismo realizzato “in un solo paese”.
Anche lo straordinario acume di Trotsky non aveva prodotto una brillante profezia storica ma aveva colto materialisticamente le radici di quella mostruosa degenerazione prodotta da una crisi profondissima del movimento operaio internazionale.

In Russia gli equivoci di un’economia statalizzata ma governata non da un reale potere proletario ma da una casta parassitaria di burocrati, sfociarono, nel quadro più generale del collasso del movimento operaio internazionale, in un dramma collettivo.
I burocrati con il passare del tempo non si rassegnavano a essere più gli amministratori delegati dell’economia ma si apprestavano a volerne diventare i titolari a pieno titolo, con la restaurazione di rapporti produttivi capitalistici.
La crisi storica della burocrazia era a quel punto irreversibile, e i suoi sbocchi erano di segno chiaramente repressivo. Essa era favorita non solo dall’estrema debolezza del proletariato russo ma anche da un contesto internazionale di segno conservatore e talvolta reazionario. Nei paesi imperialisti quegli anni videro l’ascesa dell’eurocomunismo, con il quale le burocrazie dell’Europa occidentale cercavano di sdoganarsi e di candidarsi a forza di governo pienamente integrate con il quadro borghese. Negli Stati Uniti si manifestavano allo stato embrionale i segni di una chiara parabola reazionaria che, partendo dalla candidatura populista di Ross Perot, sarebbe sfociata dopo un percorso di decenni nel trumpismo. Nei paesi dipendenti il quadro internazionale registrava non solo la nascita di repubbliche islamiche ferocemente reazionarie, ma anche le prime significative manifestazioni del fondamentalismo islamico che toccavano la crisi afghana per riflettersi poi nel Caucaso sotto il controllo russo.

Il tentativo di Gorbaciov si sviluppava dentro questo perimetro internazionale. La sua debolezza consisteva, fondamentalmente, nel non potere contare sul sostegno di nessuna delle due classi fondamentali presenti nella società.
L’esperienza di Gorbaciov era destinata ad una rapida liquidazione. La crisi della burocrazia ne aveva favorito la nascita, la sua indeterminatezza sulle questioni di fondo ne provocò il rapido declino. E con questo declino, il rapido tramonto della figura di Gorbaciov sostituito alla guida della morente URSS prima da quella dell’avventuriero Boris Eltsin, poi dagli embrioni di un nuovo soggetto dominante composto da grandi burocrati rapidamente (inaspettatamente) trasformatisi in grandi capitalisti supportati da un apparato militare e poliziesco di cui Vladimir Putin avrebbe poi assunto il pieno controllo.

Quella di Gorbaciov fu dunque la fugace parabola di una meteora che aveva brillato di una luce intensissima quanto effimera per poi avere in destino il pennacchio del premio Nobel per la pace mentre essa si inabissava nella polvere dell’oblio politico.
Il dio della storia, per come Hegel ne aveva parlato nella Fenomenologia dello spirito, si serve spesso di figure simbolo che utilizza per realizzare i suoi progetti, e che poi rimuove ed emargina condannandoli ad un feroce oblio. Napoleone Bonaparte finì i suoi giorni a Sant’Elena, Gorbaciov ebbe una sorte molto simile. I suoi paladini ne presero subito le distanze per integrarsi rapidamente nell’apparato borghese, come avvenne anche in Italia con i vari Occhetto e D’Alema, autori di una politica di pesanti attacchi ai lavoratori e capace di produrre i bombardamenti della guerra in Jugoslavia. Ciò ci dà l’occasione di riflettere sulla meschinità di Marco Rizzo, che in occasione della morte di Gorbaciov ha impunemente confessato di avere stappato una bottiglia di champagne messa in frigo nel 1991. Ma lo stesso Rizzo in quel periodo era anch’esso intruppato nella schiera dei guidatori della rivoluzione, imboscato nelle poderose armate a servizio dei vari governi italiani di centrosinistra.

Cosa dire, dunque, ricordando la figura di Gorbaciov fuori e contro la marea di un interessato senso comune, e anche questo brilla per le sue caratteristiche genetiche di segno conservatore? Contro questo interessato senso comune appare chiaro che il disegno di Gorbaciov si è rivelato del tutto inadeguato a realizzare l’ardita riforma della Perestroika. La minaccia innescata dall’addio di questa politica ha provocato uno scoppio nelle mani di un apprendista stregone. I fatti hanno così confermato quello che Trotsky aveva visto così chiaramente nei tragici anni che portarono il nazismo al potere: l’irriformabilità della burocrazia. Ciò non sulla base di un astratto presupposto ideologico ma su quella della considerazione dell’ampiezza e della profondità degli interessi materiali propri del sistema di potere burocratico, sempre arroccato tenacemente nella difesa dei suoi luridi privilegi.

La storia non ha visto solamente il fallimento clamoroso di Gorbaciov: la crisi ungherese e il fallimento della politica di Imre Nagy e la sconfitta in Cecoslovacchia della primavera di Dubcek hanno, in certo qual modo, precorso la catastrofe della Perestroika.
In realtà solo una rivoluzione politica socialista può battere i regimi burocratici in senso progressivo e impedire che sulle loro macerie venga restaurato, come puntualmente avvenuto, il capitalismo.

L’ambiguità della politica di Gorbaciov e la sua tragica impotenza si sono ancor più rivelate in occasione della morte dello stesso alfiere della Perestroika. Putin, che pure è il principale beneficiario degli sviluppi della politica innescata da Gorbaciov, si è ben guardato dal concedere gli onori connessi ai funerali di stato allo stesso Gorbaciov, che anche da morto si trova in mezzo al guado che separa la riconoscenza e l’oblio.
In realtà con il fallimento della Perestroika, la restaurazione del capitalismo e la nascita di un neoimperialismo russo, le contraddizioni di quella società non si sono attenuate, anzi sono ancora più laceranti al di là della consapevolezza che ne hanno le masse lavoratrici.
Sta ai marxisti rivoluzionari russi, una piccola ma coraggiosa avanguardia, il compito di mettere in moto una dinamica diversa. Ciò può avvenire solo se nel resto dell’Europa e del mondo la costruzione di una internazionale marxista trarrà tutte le conseguenze dal fallimento della Perestroika e saprà costruire la necessaria risposta rivoluzionaria.

Pino Siclari