22 Settembre 2022
“Fuori la casa brucia, e nessuno riesce a spegnere l'incendio” (Il Sole 24 Ore). È una descrizione esatta dell'impasse borghese sul fronte bollette
LA RISSA IN EUROPA TRA I DIVERSI INTERESSI NAZIONALI
I governi capitalistici dell'Unione Europea si azzuffano a difesa dei rispettivi interessi nazionali. L'esatto opposto della rappresentazione sovranista di una UE onnipotente e compatta. Il famoso prezzo massimo del gas, imprudentemente annunciato con squilli di tromba, si arena sulla paura tedesca di una completa cessazione del rifornimento russo, sull'interesse della Norvegia a massimizzare l'incasso delle proprie forniture sempre più determinanti, sulla volontà dell'Olanda di preservare la centralità del mercato finanziario e della libertà di speculazione. Né si capisce a chi verrebbe applicato il tetto, se solo al gas russo o all'insieme dei fornitori. Nel primo caso, una nuova sanzione che può bloccare totalmente l'importazione dalla Russia, con grande scorno di Bonn. Nel secondo, l'incognita delle reazioni sul mercato globale dell'energia, col rischio di compromissione di tanti accordi nazionali di rifornimento sostitutivo, in Nord Africa e in Medio Oriente.
La risultante europea del braccio di ferro che si va profilando è al tempo stesso fumosa e indicativa. Sembra che i produttori di elettricità con altre fonti rispetto al gas avranno la possibilità di incassare sino alla quota di 200 euro a megawatt, devolvendo il resto a un fondo comune di “solidarietà”, non si capisce ancora da chi controllato e amministrato e con quale meccanismo di funzionamento. Fermo restando che i consumatori continueranno a pagare il prezzo pieno. I produttori gas oil (gas, carbone, petrolio, raffinerie) dovranno pagare solamente il 33% della quota dei loro profitti che eccede del 20% il tasso di profitto medio dell'ultimo triennio, quale “contributo temporaneo”.
In altri termini, i sovraprofitti giganteschi delle compagnie resteranno intatti almeno per due terzi, nel momento in cui precipita la crisi sociale e s'alza il vento di una recessione annunciata (senza contare il fatto che persino questa minimisura potrebbe saltare per via del principio dell'unanimità decisionale al posto della cosiddetta maggioranza qualificata).
In compenso gli stessi governi che non riescono a imporre un tetto ai prezzi prospettano misure concordate di razionamento. I lavoratori e le lavoratrici del continente pagheranno dunque due volte: con la perdita secca e ulteriore del proprio salario, e con la nuova austerità dei consumi. Nei fatti vengono chiamati a pagare l'intreccio inestricabile della dipendenza capitalistica dalle energie fossili; degli effetti della guerra economica tra imperialismi NATO e imperialismo russo, con l'inevitabile trascinamento delle controsanzioni; della speculazione del capitale finanziario sulle fonti energetiche liberalizzata dalle nuove regole del 2013 (che allineano al prezzo più alto le altre fonti). È il cappio che l'Unione dei capitalismi europei stringe al collo dei proletari del continente.
IL FRONTE INTERNO DELLE BOLLETTE. CHI PAGA?
L'impasse della “soluzione europea” si riverbera sul fronte interno italiano, con le complicazioni aggiuntive della crisi politica e della campagna elettorale.
Tutti gli attori politici evocano oggi un blocco nazionale delle bollette, ma si guardano dal dire a chi presentano il conto dell'operazione.
La tassa del 25% sugli extraprofitti è stata semplicemente respinta dalle grandi compagnie. Persino sul terreno legale. I dieci miliardi contabilizzati per finanziare la miseria della riduzione di 30 centesimi sulla benzina e l'elemosina dei 200 euro una tantum si sono ridotti a un miliardo. Nel migliore dei casi potranno raddoppiare o forse triplicare. Ma almeno due terzi del gettito verranno mancati.
Un alto funzionario dello Stato, naturalmente anonimo, confida a La Stampa (14 settembre) che le imprese in questione «hanno pagato un prezzo in Borsa» per questa vicenda e che dunque non si può torchiarle ulteriormente, se si vuole tutelare la libertà del mercato e della concorrenza. Un dolore davvero commovente per chi ha intascato 40 miliardi di extraprofitti in sei mesi.
Quanto all'indagine della Procura di Roma a seguito dell'esposto (elettorale) di Sinistra Italiana, l'unica cosa certa è... la richiesta di informativa rivolta alla Guardia di Finanza. «Non ci sono indagati e il procedimento non prevede un reato», precisa La Stampa. L'evasione fiscale dichiarata dei grandi gruppi capitalistici resterà dunque impunita, a differenza di quella dei poveracci. Oltre al fatto che l'accordo di Sinistra Italiana col PD (che Bonelli chiarisce “è di governo”) condanna al binario morto l'operazione pubblicitaria.
Dunque? Se bisogna bloccare le bollette, e gli extraprofitti sono di fatto risparmiati, la coperta davvero si fa corta. E investe la natura stessa dell'operazione.
Le organizzazioni padronali chiedono al governo di provvedere a coprire i propri costi energetici: se le risorse sono poche siano destinate alle imprese, in particolare del settore energivoro. Alle famiglie si penserà in futuro. Confindustria si è coperta su quel fronte con la proposta dell'abbattimento del cuneo fiscale, subito recepita da tutti i partiti borghesi (e non solo). Una mensilità in più in busta paga attraverso il taglio dei contributi previdenziali... scaricata sulla fiscalità generale o sul taglio delle spese sociali. In entrambi i casi sui lavoratori. È il modo con cui i padroni vogliono scongiurare le rivendicazioni salariali trascinate dal caro bollette. Il fatto che tutti a sinistra convergano sul “taglio del cuneo”, rimuovendo la battaglia salariale, misura la loro subalternità non solo al sistema capitalista ma all'operazione truffaldina del padronato. Oltre che alla burocrazia sindacale.
Detto questo, i partiti borghesi non sanno come conciliare la propria fedeltà al padronato con la logica delle promesse elettorali, e le proprie promesse elettorali con lo scenario drammatico d'autunno. Tutti propongono un'ulteriore detassazione dei redditi da capitale. Le destre annunciano la flat tax (al 15%, al 23%, sul reddito incrementale...), il M5S l'abolizione totale dell'Irap (che finanzia la sanità pubblica), il PD la continuità delle decontribuzioni per i nuovi assunti... Con quali risorse allora finanziare il blocco bollette?
LA TRUFFA DELLO SCOSTAMENTO DI BILANCIO O DELL'EXTRAGETTITO IVA
La Lega e il M5S propongono uno scostamento di bilancio, cioè un nuovo indebitamento pubblico col capitale finanziario da ripagare alle banche con tanto di interessi (oggi assai maggiorati). Si tratta non di una misura sociale, come provano a rappresentarla, ma di un nuovo carico sul lavoro salariato, su pensioni, sanità, istruzione, lavoro. Il fatto che Sinistra Italiana e persino Unione Popolare aprano allo scostamento di bilancio dimostra la loro incapacità di uscire da una logica di governo borghese dell'economia capitalista.
Ma fare oggi nuovo debito pubblico è un problema paradossalmente per lo stesso Stato borghese. Nel momento del rialzo dei tassi, di un arresto dell'acquisto titoli da parte della BCE, del negoziato sul nuovo Patto di stabilità, del minacciato tetto massimo di titoli di Stato nel portafoglio delle banche, dell'annunciato rientro dall'enorme indebitamento aggiuntivo accumulato a partire dalla pandemia, fare nuovo debito rappresenta obiettivamente un'incognita per il capitalismo italiano. Se i creditori, non sentendosi garantiti, cominciassero a disfarsi dei titoli italiani o semplicemente cessassero di acquistarli, lo Stato dovrebbe offrire alle banche interessi sempre più alti alimentando una spirale rischiosa. Da qui la ritrosia di Draghi e, a rimorchio, della stessa Meloni, a imboccare questa strada. Chi governa oggi, chi probabilmente domani, non vuole avventurarsi in un mare ignoto.
Peraltro Meloni sa bene che fare uno scostamento di bilancio al piede di partenza della legislatura significherebbe bruciare ogni spazio residuale di manovra per finanziare le promesse elettorali. Meglio non sparare tutte le cartucce al primo colpo. Il nuovo debito resta dunque l'ultima ratio in caso di necessità. La conclusione cui pervengono non a caso PD, Calenda e... De Magistris.
Ma allora chi paga? Due sono le voci reclamizzate.
La prima è il cosiddetto extragettito fiscale, cioè i maggiori incassi dell'IVA grazie all'inflazione. Che è come dire che l'inflazione ammazzasalari diventa la fonte di finanziamento del blocco tariffe. Una sorta di partita di giro. E siccome il blocco riguarderà soprattutto i costi energetici delle imprese, si tratterà di un nuovo trasferimento di ricchezza a vantaggio dei profitti e a spese dei salariati, mentre le imposte indirette, per loro natura regressive (paga di più chi ha di meno) resteranno intatte e semmai verranno accresciute.
La seconda è inevitabilmente la spesa sociale. Lo è ovunque. In Francia Macron finanzia le misure anti-inflazione col rilancio dell'attacco alle pensioni. In Gran Bretagna il grande investimento sul fronte bollette (per un valore di 180 miliardi di euro) è finanziato sia col nuovo indebitamento pubblico sia col taglio verticale delle protezioni ambientali. In Italia? Entrano nel mirino il misero reddito di cittadinanza, la spesa sanitaria (che cala da qui al 2026 in relazione al PIL), il sistema pensionistico (dove nessun partito borghese mette in discussione il ritorno secco alla legge Fornero, salvo forse definire una finestra di uscita anticipata con la pensione tagliata). Mentre si riapre la stagione della spending review a caccia di detrazioni e deduzioni da eliminare, non a caso falcidiate da tutte le ipotesi di flat tax.
PER UN PROGRAMMA D'EMERGENZA DELLA CLASSE OPERAIA
È necessario allora contrapporre alle “soluzioni” borghesi una soluzione proletaria del problema. Inevitabilmente anticapitalista e basata sulla mobilitazione.
Il blocco delle tariffe di gas luce benzina dev'essere immediato, ed esteso ai beni alimentari.
Va finanziato con la requisizione forzosa, immediata, integrale, dei 40 miliardi degli extraprofitti delle compagnie energetiche, che vanno nazionalizzate senza indennizzo e poste sotto controllo sociale; con la requisizione degli extraprofitti non meno sostanziosi accumulati dalle banche, dalle assicurazioni, dall'industria farmaceutica, dall'industria militare, dalla stessa industria alimentare; con una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco (quattromila grandi patrimoni finanziari sopra il milione di euro) che procurerebbe 400 miliardi, il doppio di quanto offerto a debito dal Recovery plan.
Va aperta una grande battaglia per l'aumento dei salari, che si metta sulla scia delle lotte salariali emergenti in Gran Bretagna, in Francia, negli Stati Uniti, con la richiesta di un aumento netto di 300 euro, e la riconquista della scala mobile dei salari. Oggi siamo in presenza della rincorsa tra prezzi e profitti: va spezzata col recupero dei salari.
Va sviluppato un grande piano di investimento nelle energie rinnovabili, non affidato al libero gioco degli incentivi di mercato ai privati ma programmato dallo Stato. L'investimento pubblico concentrato nell'enorme potenziale dell'eolico e del solare garantirebbe oltretutto tempi più brevi e certi di qualsiasi alternativa fossile, e contrasterebbe la logica suicida del puro rimpiazzo del fossile col fossile, lungo una china distruttiva. La cancellazione del debito pubblico verso le banche, con la loro relativa nazionalizzazione, assieme all'abbattimento delle spese militari, darebbe alla svolta ecologica il necessario sostegno finanziario. Altro che scostamento di bilancio.
Queste misure non sono compatibili con l'attuale ordine borghese. Ma sono al tempo stesso necessarie se si vuole realizzare una svolta vera. Per questo vanno incorporate alla battaglia d'autunno che si prepara. All'emergenza invocata dal padronato va contrapposto un programma di emergenza della classe operaia.
La lotta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici è l'unica vera risposta alla crisi delle bollette. Oltretutto l'unica via per strappare, cammin facendo, risultati parziali. Rinunciare a questa prospettiva anticapitalista significa rassegnarsi alla logica dei rattoppi, che serve solo a preservare il vecchio mondo proprio nel momento della sua rovina.