♠ in Bellanova,Berlusconi,braccianti,Coldiretti,Coronavirus,Gioaia Tauro,immigrati,Meloni,permesso di soggiorno,Rosarno,Salvini,voucher at 07:10
A pari lavoro, pari diritti. Tanto più in tempo di coronavirus
“C'è stato un tempo” in cui le destre reazionarie, con l'avallo di tanti liberal, promuovevano la campagna contro gli immigrati nel nome della “sicurezza” degli italiani. Ora il maledetto coronavirus ha sradicato l'albero della cuccagna elettorale dei Salvini e della Meloni rimettendo al centro della scena la condizione della sanità pubblica e lo scandalo dei 37 miliardi di tagli. Quelli che Salvini e Meloni hanno votato, se è vero com'è vero che il deputato Salvini ha votato prima i tagli drastici di Berlusconi (2008/2010) e poi il pareggio di bilancio in Costituzione, e che la deputata Meloni non solo ha votato quelle schifezze assieme a Salvini, ma vi ha aggiunto il voto favorevole alla legge Fornero, giusto per non farsi mancare nulla. Entrambi in omaggio a quelle raccomandazioni di Bruxelles che oggi denunciano come pestilenziali. È la giostra dell'ipocrisia più spudorata.
Anche per questo, ora che si diffonde, seppur timidamente, un nuovo angolo di sguardo sulla vicenda umana, è bene che quello sguardo si posi anche sulla condizione degli immigrati. Perché una condizione di vita e di lavoro già discriminatoria in tempi ordinari può diventare omicida in tempi di coronavirus. Non ci riferiamo ai migranti reclusi nei lager libici, lì sigillati con doppio lucchetto da reazionari e liberali di tutte le risme, e oggi dimenticati persino da quei progressisti che si erano interessati a quella condizione. No, ci riferiamo agli immigrati che stanno qui, e che qui lavorano per 10 o 12 ore al giorno nei campi di raccolta dei pomodori del foggiano, di Gioia Tauro o di Rosarno. Quelli che reggono sulla propria schiena, con paghe da fame, larga parte della filiera alimentare. A decine di migliaia sono privi di permesso di soggiorno o hanno un permesso di soggiorno scaduto senza la possibilità di rinnovarlo, perché trovano gli uffici chiusi o perché nell'“emergenza” viene respinto il rinnovo. Ombre che spesso si aggirano in cerca di cibo, e che vengono multati dalla polizia per trasgressione del divieto di circolazione. Persone costrette ad ammassarsi nella notte in ghetti fatiscenti e baracche di amianto, senza possibilità di distanziamento e di disinfettanti, non di rado senza acqua e senza bagni. Uomini e donne che senza permesso di soggiorno non hanno diritto neppure al triage e al pre-triage dei Pronto Soccorso.
Su di loro si è acceso in questi giorni un fascio di luce delle pubbliche autorità, inclusa la ministra Bellanova. Ritrovato senso di umanità, improbabile pentimento di una ex sindacalista oggi renziana? No, la ragione è meno nobile. Il blocco delle frontiere della Romania e della Bulgaria verso l'Italia ha tolto molti lavoratori all'orticoltura del Nord. La Coldiretti lamenta addirittura una mancanza di 200.000 lavoratori agricoli che “minaccia la raccolta primaverile ed estiva”. La regolarizzazione degli immigrati al Sud consentirebbe loro di spostarsi al Nord e rimpiazzare le braccia mancanti. Questa l'idea della ministra. Se non che la stessa Coldiretti fa presentare a “propri” parlamentari di Forza Italia e Italia Viva la proposta di un voucher semplificato per l'agricoltura che consentirebbe ai padroni una precarizzazione estrema del lavoro agricolo, senza controlli, senza tracciature, largamente in nero. La regolarizzazione al Sud si riduce dunque a un passaporto per lo sfruttamento al Nord?
Naturalmente la regolarizzazione di tutte le lavoratrici e i lavoratori immigrati è una priorità in ogni caso. Occorre una regolarizzazione immediata e incondizionata che consenta agli immigrati di godere dei sussidi previsti per tutti i lavoratori dipendenti. Lo han fatto in Portogallo, va fatto anche in Italia. La rivendicazione avanzata dalla Flai-Cgil è da questo punto di vista giustissima. E tuttavia è necessario combinarla con la battaglia per condizioni di vita e di lavoro realmente degne di ogni essere umano: via i voucher e via ogni forma di precarizzazione del lavoro! A parità di lavoro, parità di diritti e di salario. Il principio dell'uguaglianza sociale e della solidarietà di classe è nato col movimento operaio. In tempi di coronavirus è ancora più importante di ieri. E la lotta per l'abolizione del precariato in ogni sua forma è un tutt'uno con la battaglia contro i decreti sicurezza di Salvini (e di Minniti/Orlando).
La frontiera non passa per il colore della pelle, ma tra chi sfrutta e chi è sfruttato. E i padroni sono ovunque gli stessi, anche quando sono tricolori.
Anche per questo, ora che si diffonde, seppur timidamente, un nuovo angolo di sguardo sulla vicenda umana, è bene che quello sguardo si posi anche sulla condizione degli immigrati. Perché una condizione di vita e di lavoro già discriminatoria in tempi ordinari può diventare omicida in tempi di coronavirus. Non ci riferiamo ai migranti reclusi nei lager libici, lì sigillati con doppio lucchetto da reazionari e liberali di tutte le risme, e oggi dimenticati persino da quei progressisti che si erano interessati a quella condizione. No, ci riferiamo agli immigrati che stanno qui, e che qui lavorano per 10 o 12 ore al giorno nei campi di raccolta dei pomodori del foggiano, di Gioia Tauro o di Rosarno. Quelli che reggono sulla propria schiena, con paghe da fame, larga parte della filiera alimentare. A decine di migliaia sono privi di permesso di soggiorno o hanno un permesso di soggiorno scaduto senza la possibilità di rinnovarlo, perché trovano gli uffici chiusi o perché nell'“emergenza” viene respinto il rinnovo. Ombre che spesso si aggirano in cerca di cibo, e che vengono multati dalla polizia per trasgressione del divieto di circolazione. Persone costrette ad ammassarsi nella notte in ghetti fatiscenti e baracche di amianto, senza possibilità di distanziamento e di disinfettanti, non di rado senza acqua e senza bagni. Uomini e donne che senza permesso di soggiorno non hanno diritto neppure al triage e al pre-triage dei Pronto Soccorso.
Su di loro si è acceso in questi giorni un fascio di luce delle pubbliche autorità, inclusa la ministra Bellanova. Ritrovato senso di umanità, improbabile pentimento di una ex sindacalista oggi renziana? No, la ragione è meno nobile. Il blocco delle frontiere della Romania e della Bulgaria verso l'Italia ha tolto molti lavoratori all'orticoltura del Nord. La Coldiretti lamenta addirittura una mancanza di 200.000 lavoratori agricoli che “minaccia la raccolta primaverile ed estiva”. La regolarizzazione degli immigrati al Sud consentirebbe loro di spostarsi al Nord e rimpiazzare le braccia mancanti. Questa l'idea della ministra. Se non che la stessa Coldiretti fa presentare a “propri” parlamentari di Forza Italia e Italia Viva la proposta di un voucher semplificato per l'agricoltura che consentirebbe ai padroni una precarizzazione estrema del lavoro agricolo, senza controlli, senza tracciature, largamente in nero. La regolarizzazione al Sud si riduce dunque a un passaporto per lo sfruttamento al Nord?
Naturalmente la regolarizzazione di tutte le lavoratrici e i lavoratori immigrati è una priorità in ogni caso. Occorre una regolarizzazione immediata e incondizionata che consenta agli immigrati di godere dei sussidi previsti per tutti i lavoratori dipendenti. Lo han fatto in Portogallo, va fatto anche in Italia. La rivendicazione avanzata dalla Flai-Cgil è da questo punto di vista giustissima. E tuttavia è necessario combinarla con la battaglia per condizioni di vita e di lavoro realmente degne di ogni essere umano: via i voucher e via ogni forma di precarizzazione del lavoro! A parità di lavoro, parità di diritti e di salario. Il principio dell'uguaglianza sociale e della solidarietà di classe è nato col movimento operaio. In tempi di coronavirus è ancora più importante di ieri. E la lotta per l'abolizione del precariato in ogni sua forma è un tutt'uno con la battaglia contro i decreti sicurezza di Salvini (e di Minniti/Orlando).
La frontiera non passa per il colore della pelle, ma tra chi sfrutta e chi è sfruttato. E i padroni sono ovunque gli stessi, anche quando sono tricolori.