♠ in Confindustria,Conte,Coronavirus,Draghi,FCA,FIOM,Machiavelli,Mattioli,polveriera,recessione,scioperi,Viminale at 01:58
Le inquietudini della borghesia italiana
La borghesia è inquieta, e non si può darle torto.
Si avvicina una nuova grande recessione mondiale con una valanga di nuovi disoccupati e uno sconvolgimento profondo dei rapporti di lavoro e delle forme di vita sociale. Si allestiscono piani straordinari di sostegno pubblico al profitto privato attraverso la leva di un nuovo indebitamento degli Stati con le proprie banche e coi fondi creditizi internazionali. Chi sarà chiamato a pagare il conto del tutto? La classe dei salariati, naturalmente. Sarà disposta a pagarlo come dopo il 2008? Questa è la domanda che turba il sonno dei capitalisti.
Questa domanda si affaccia in particolare in Italia, esposta più di ogni altro paese europeo all'incrocio di crisi sanitaria, crisi sociale, crisi debitoria. Gli scioperi operai di marzo hanno suonato come campanello d'allarme. Confindustria rivendica la riapertura della produzione e ovunque può la forza attraverso la pressione sulle prefetture. Ma al tempo stesso teme un contraccolpo sociale e cerca lo scudo protettivo della burocrazia sindacale. Se persino FCA ha cercato la FIOM dopo una lunga stagione di rottura, vuol dire che siamo davvero in tempi straordinari.
Il governo gode di buoni sondaggi. Il Presidente del Consiglio gigioneggia in TV e ostenta alti livelli di gradimento. Ma la sua base d'appoggio è sottile, e il sentimento che la sostiene è effimero. La stessa massa che oggi si affida al “salvatore” sotto la pressione dell'emergenza impreca in realtà dentro di sé e può voltargli rapidamente la schiena. A modo loro, persino gli ambienti del Viminale temono una scollatura sociale e denunciano, per non sbagliare, imprecisati “gruppi estremisti”, amalgamandoli alla malavita. È la visione questurina della realtà e al tempo stesso la misura di un'allerta. Ma la migliore documentazione delle preoccupazioni borghesi la offre l'intervista di ieri al Corriere della Sera della vicepresidente di Confindustria Licia Mattioli.
Il giornalista chiede: «Il sistema Italia, imprenditori compresi, deve rimproverarsi qualcosa per quanto accaduto nella gestione dell’emergenza?». Con oltre ventimila morti e il rifiuto confindustriale della zona rossa nel bergamasco, la domanda è in qualche modo obbligata. «Non credo siano stati fatti particolari errori» risponde sfacciatamente l'industriale, ma ora il governo deve... «scongiurare uno scollamento nella tenuta del patto sociale». Perché, chiede il giornalista, «nelle imprese ci sono sentori di un malessere sociale montante?». «Non per il momento», risponde Mattioli, «per fortuna prevale l'idea che la barca è una sola». Per fortuna e per il momento. L'interlocutore a questo punto va al sodo: «L'Italia sconta un debito pubblico più elevato degli altri paesi... usciremo dalla crisi ancor più indebitati e con più interessi da pagare, che sottrarranno risorse a scuola, sanità e tutte le misure per rilanciare il paese». «Credo nella linea indicata da Draghi. Il problema principale è garantire liquidità al sistema» risponde inflessibile la vicepresidente.
Ecco, nello spaccato di questa intervista sta la psicologia della borghesia italiana. Un misto di arroganza e di paura. Una ostentazione di impunità e al tempo stesso il timore che questa impunità possa essere un domani violata. La sensazione, insomma, di essere seduta su una polveriera. Certo, «per fortuna prevale l'idea che la barca è una sola». Ma se “prevale” vuol dire che è già contrastata. E la “fortuna”, come il Machiavelli insegna, può cambiare in fretta il proprio segno.
I padroni di casa nostra temono sgradite sorprese.
Si avvicina una nuova grande recessione mondiale con una valanga di nuovi disoccupati e uno sconvolgimento profondo dei rapporti di lavoro e delle forme di vita sociale. Si allestiscono piani straordinari di sostegno pubblico al profitto privato attraverso la leva di un nuovo indebitamento degli Stati con le proprie banche e coi fondi creditizi internazionali. Chi sarà chiamato a pagare il conto del tutto? La classe dei salariati, naturalmente. Sarà disposta a pagarlo come dopo il 2008? Questa è la domanda che turba il sonno dei capitalisti.
Questa domanda si affaccia in particolare in Italia, esposta più di ogni altro paese europeo all'incrocio di crisi sanitaria, crisi sociale, crisi debitoria. Gli scioperi operai di marzo hanno suonato come campanello d'allarme. Confindustria rivendica la riapertura della produzione e ovunque può la forza attraverso la pressione sulle prefetture. Ma al tempo stesso teme un contraccolpo sociale e cerca lo scudo protettivo della burocrazia sindacale. Se persino FCA ha cercato la FIOM dopo una lunga stagione di rottura, vuol dire che siamo davvero in tempi straordinari.
Il governo gode di buoni sondaggi. Il Presidente del Consiglio gigioneggia in TV e ostenta alti livelli di gradimento. Ma la sua base d'appoggio è sottile, e il sentimento che la sostiene è effimero. La stessa massa che oggi si affida al “salvatore” sotto la pressione dell'emergenza impreca in realtà dentro di sé e può voltargli rapidamente la schiena. A modo loro, persino gli ambienti del Viminale temono una scollatura sociale e denunciano, per non sbagliare, imprecisati “gruppi estremisti”, amalgamandoli alla malavita. È la visione questurina della realtà e al tempo stesso la misura di un'allerta. Ma la migliore documentazione delle preoccupazioni borghesi la offre l'intervista di ieri al Corriere della Sera della vicepresidente di Confindustria Licia Mattioli.
Il giornalista chiede: «Il sistema Italia, imprenditori compresi, deve rimproverarsi qualcosa per quanto accaduto nella gestione dell’emergenza?». Con oltre ventimila morti e il rifiuto confindustriale della zona rossa nel bergamasco, la domanda è in qualche modo obbligata. «Non credo siano stati fatti particolari errori» risponde sfacciatamente l'industriale, ma ora il governo deve... «scongiurare uno scollamento nella tenuta del patto sociale». Perché, chiede il giornalista, «nelle imprese ci sono sentori di un malessere sociale montante?». «Non per il momento», risponde Mattioli, «per fortuna prevale l'idea che la barca è una sola». Per fortuna e per il momento. L'interlocutore a questo punto va al sodo: «L'Italia sconta un debito pubblico più elevato degli altri paesi... usciremo dalla crisi ancor più indebitati e con più interessi da pagare, che sottrarranno risorse a scuola, sanità e tutte le misure per rilanciare il paese». «Credo nella linea indicata da Draghi. Il problema principale è garantire liquidità al sistema» risponde inflessibile la vicepresidente.
Ecco, nello spaccato di questa intervista sta la psicologia della borghesia italiana. Un misto di arroganza e di paura. Una ostentazione di impunità e al tempo stesso il timore che questa impunità possa essere un domani violata. La sensazione, insomma, di essere seduta su una polveriera. Certo, «per fortuna prevale l'idea che la barca è una sola». Ma se “prevale” vuol dire che è già contrastata. E la “fortuna”, come il Machiavelli insegna, può cambiare in fretta il proprio segno.
I padroni di casa nostra temono sgradite sorprese.