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26 Marzo 2020
“Perché avete un pregiudizio ideologico verso la sanità privata?”. È un interrogativo retorico in cui tante volte ci siamo imbattuti. Un interrogativo che vola sulle labbra dei liberal borghesi benpensanti, dei reazionari cattolici, ma anche di tanti dirigenti della sinistra riformista in Italia, sia essa politica che sindacale. La risposta è nei fatti. Nulla come la tragedia del coronavirus illustra la verità delle cose con la dovuta semplicità.
La sanità privata in Italia ha raggiunto un volume di affari pari a 35,2 miliardi annui (dato aggiornato al 2015). Il suo baricentro è l'attività ospedaliera. La spesa pro capite annua per le cure private è passato da 484 euro del 2012 ai 580 attuali, grosso modo 2000 euro a famiglia. Complessivamente si tratta del 40% della spesa sanitaria su scala nazionale. Bene: quante sono le postazioni di terapia intensiva nelle strutture private? L'1% (uno). La famosa grande collaborazione della sanità privata nella cura dell'epidemia in corso ammonta all'1% del totale. Poi, certo, la drammatica emergenza ha costretto i governi locali e nazionale a premere sulle strutture private perché concedessero qualche spazio (con indennizzo al 100%). Ma il dato strutturale di partenza è questo: l'1% delle prestazioni.
Questo dato non è uno dei tanti. È la chiave di lettura della sanità privata. I privati si sono accaparrati gli affari più lucrosi: diagnostica, visite specialistiche, riabilitazioni, analisi di laboratorio, interventi di alta specializzazione. Al pubblico hanno lasciato le cure meno remunerative. La terapia intensiva è tra queste.
L'ASSISTENZA PUBBLICA AL CAPITALISMO SANITARIO
“Però la sanità privata offre indiscutibili eccellenze”, si obietta frequentemente. Certo, coi soldi pubblici, e a scapito della sanità pubblica, quindi della salute di tutti.
In primo luogo, il privato si espande dove il pubblico si ritira, e il pubblico si ritira per dare spazio al privato. I tagli alla sanità pubblica nel corso degli ultimi trent'anni, ma con un particolare accanimento dopo il 2008, si sono combinati ovunque con l'aumento dei costi per i pazienti e il peggioramento del servizio. Il risultato è che il servizio sanitario pubblico ha di fatto espulso dalle cure circa 12 milioni di persone, il 20% della popolazione italiana. È avvenuto anche in altri paesi (in Francia il 6,3%, in Germania il 5,4%), ma in Italia con particolare crudeltà. Dodici milioni di persone devono rinunciare a curarsi presso le strutture pubbliche o perché non possono affrontare i costi (l’intramoenia ha spesso costi superiori a privato), o per le liste infinite di attesa prodotta dal taglio del personale sanitario, o perché il presidio sanitario territoriale limitrofo è stato soppresso, o perché un certo tipo di cura non è più fornita. Il 43% dei migranti della sanità, che si spostano dal Sud al Nord, sono malati oncologici che non hanno sul proprio territorio un servizio pubblico di riferimento. Gli imprenditori privati della salute pubblica si sono allargati in questo spazio.
E si sono allargati in questo spazio grazie alle enormi sovvenzioni pubbliche pagate da tutti, e principalmente, attraverso il fisco, dai lavoratori salariati. Questo è il secondo aspetto, tutt'altro che secondario. Il grosso della sanità privata è convenzionato con lo Stato. I privati incassano non solo i soldi dell'assistito, ma la copertura finanziaria dello Stato, che paga una parte rilevante delle prestazioni fornite. Spesso peraltro gonfiate a dismisura con sovra fatturazioni e truffe. Ma anche tralasciando questo ultimo aspetto, di cui si occupa (spesso) la cronaca giudiziaria, la questione di fondo è quella di un capitalismo sanitario assistito con risorse pubbliche sottratte al servizio pubblico. In altri termini, non abbiamo privati che investono soldi propri ma uomini d'affari che investono i soldi di tutti, sottratti alla sanità di tutti. È il segreto dell'altissimo tasso di profitto nel campo della sanità privata, e delle sue fortune in Borsa.
COTTARELLI E IL GIOCO DELLE TRE CARTE
Il famoso Carlo Cottarelli, già funzionario del Fondo Monetario, massimo fiduciario del governo Monti e massimo teorico della spending review, ha cercato in questi giorni di raccontare a suon di dati che non è vero che la sanità pubblica è stata tagliata, perché anzi sarebbe cresciuta. Purtroppo, i dati sono falsi.
In primo luogo, perché la spesa sanitaria è sempre in rapporto ai bisogni. E i bisogni di assistenza crescono con la crisi demografica e l'invecchiamento della popolazione. Se la spesa assoluta rimane la stessa o anche si accresce ma in misura inferiore alle necessità di assistenza questo è a tutti gli effetti un taglio della spesa sanitaria. È il vecchio trucco con cui Renzi vantava l'incremento del fondo sanitario nazionale mentre in realtà lo tagliava.
Ma soprattutto il calcolo di Cottarelli nasconde ciò che è essenziale: dentro una spesa sanitaria complessiva in relativa decrescita abbiamo una crescita delle risorse sanitarie regalate ai privati. Il peso percentuale della spesa pubblica per i privati si è accresciuto persino negli anni dei massimi tagli alla sanità. E calcolare come spesa pubblica il soccorso al profitto privato è un giochetto da prestigiatore del circo di periferia, obiettivamente indecoroso. Tanto più in tempo di coronavirus.
Al fondo di tutto emerge tutta l'irrazionalità inumana del capitalismo. Mai come oggi la scienza medica consentirebbe di estendere la cura delle patologie della specie umana e di supportare un sistema sanitario universale. Mai come oggi si tagliano le cure del servizio pubblico per offrire un mercato al profitto privato. Nella società borghese anche la salute è merce. Sempre più cara e sempre più rara. Ricordiamoci anche di questo quando “tutto sarà finito”. Quando dovremo presentare il conto.
La sanità privata in Italia ha raggiunto un volume di affari pari a 35,2 miliardi annui (dato aggiornato al 2015). Il suo baricentro è l'attività ospedaliera. La spesa pro capite annua per le cure private è passato da 484 euro del 2012 ai 580 attuali, grosso modo 2000 euro a famiglia. Complessivamente si tratta del 40% della spesa sanitaria su scala nazionale. Bene: quante sono le postazioni di terapia intensiva nelle strutture private? L'1% (uno). La famosa grande collaborazione della sanità privata nella cura dell'epidemia in corso ammonta all'1% del totale. Poi, certo, la drammatica emergenza ha costretto i governi locali e nazionale a premere sulle strutture private perché concedessero qualche spazio (con indennizzo al 100%). Ma il dato strutturale di partenza è questo: l'1% delle prestazioni.
Questo dato non è uno dei tanti. È la chiave di lettura della sanità privata. I privati si sono accaparrati gli affari più lucrosi: diagnostica, visite specialistiche, riabilitazioni, analisi di laboratorio, interventi di alta specializzazione. Al pubblico hanno lasciato le cure meno remunerative. La terapia intensiva è tra queste.
L'ASSISTENZA PUBBLICA AL CAPITALISMO SANITARIO
“Però la sanità privata offre indiscutibili eccellenze”, si obietta frequentemente. Certo, coi soldi pubblici, e a scapito della sanità pubblica, quindi della salute di tutti.
In primo luogo, il privato si espande dove il pubblico si ritira, e il pubblico si ritira per dare spazio al privato. I tagli alla sanità pubblica nel corso degli ultimi trent'anni, ma con un particolare accanimento dopo il 2008, si sono combinati ovunque con l'aumento dei costi per i pazienti e il peggioramento del servizio. Il risultato è che il servizio sanitario pubblico ha di fatto espulso dalle cure circa 12 milioni di persone, il 20% della popolazione italiana. È avvenuto anche in altri paesi (in Francia il 6,3%, in Germania il 5,4%), ma in Italia con particolare crudeltà. Dodici milioni di persone devono rinunciare a curarsi presso le strutture pubbliche o perché non possono affrontare i costi (l’intramoenia ha spesso costi superiori a privato), o per le liste infinite di attesa prodotta dal taglio del personale sanitario, o perché il presidio sanitario territoriale limitrofo è stato soppresso, o perché un certo tipo di cura non è più fornita. Il 43% dei migranti della sanità, che si spostano dal Sud al Nord, sono malati oncologici che non hanno sul proprio territorio un servizio pubblico di riferimento. Gli imprenditori privati della salute pubblica si sono allargati in questo spazio.
E si sono allargati in questo spazio grazie alle enormi sovvenzioni pubbliche pagate da tutti, e principalmente, attraverso il fisco, dai lavoratori salariati. Questo è il secondo aspetto, tutt'altro che secondario. Il grosso della sanità privata è convenzionato con lo Stato. I privati incassano non solo i soldi dell'assistito, ma la copertura finanziaria dello Stato, che paga una parte rilevante delle prestazioni fornite. Spesso peraltro gonfiate a dismisura con sovra fatturazioni e truffe. Ma anche tralasciando questo ultimo aspetto, di cui si occupa (spesso) la cronaca giudiziaria, la questione di fondo è quella di un capitalismo sanitario assistito con risorse pubbliche sottratte al servizio pubblico. In altri termini, non abbiamo privati che investono soldi propri ma uomini d'affari che investono i soldi di tutti, sottratti alla sanità di tutti. È il segreto dell'altissimo tasso di profitto nel campo della sanità privata, e delle sue fortune in Borsa.
COTTARELLI E IL GIOCO DELLE TRE CARTE
Il famoso Carlo Cottarelli, già funzionario del Fondo Monetario, massimo fiduciario del governo Monti e massimo teorico della spending review, ha cercato in questi giorni di raccontare a suon di dati che non è vero che la sanità pubblica è stata tagliata, perché anzi sarebbe cresciuta. Purtroppo, i dati sono falsi.
In primo luogo, perché la spesa sanitaria è sempre in rapporto ai bisogni. E i bisogni di assistenza crescono con la crisi demografica e l'invecchiamento della popolazione. Se la spesa assoluta rimane la stessa o anche si accresce ma in misura inferiore alle necessità di assistenza questo è a tutti gli effetti un taglio della spesa sanitaria. È il vecchio trucco con cui Renzi vantava l'incremento del fondo sanitario nazionale mentre in realtà lo tagliava.
Ma soprattutto il calcolo di Cottarelli nasconde ciò che è essenziale: dentro una spesa sanitaria complessiva in relativa decrescita abbiamo una crescita delle risorse sanitarie regalate ai privati. Il peso percentuale della spesa pubblica per i privati si è accresciuto persino negli anni dei massimi tagli alla sanità. E calcolare come spesa pubblica il soccorso al profitto privato è un giochetto da prestigiatore del circo di periferia, obiettivamente indecoroso. Tanto più in tempo di coronavirus.
Al fondo di tutto emerge tutta l'irrazionalità inumana del capitalismo. Mai come oggi la scienza medica consentirebbe di estendere la cura delle patologie della specie umana e di supportare un sistema sanitario universale. Mai come oggi si tagliano le cure del servizio pubblico per offrire un mercato al profitto privato. Nella società borghese anche la salute è merce. Sempre più cara e sempre più rara. Ricordiamoci anche di questo quando “tutto sarà finito”. Quando dovremo presentare il conto.