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22 Marzo 2020
Le pressioni dei sindaci dei territori massimamente infetti, il pronunciamento corale dei medici coinvolti, le iniziative autonome dei governatori regionali di Lombardia, Piemonte, Emilia e Veneto, con la minaccia di divaricazioni istituzionali, infine le pressioni delle direzioni sindacali, hanno spinto il governo ad estendere il blocco delle attività produttive, anche al di là di quanto deciso localmente dai governatori del Nord.
Le burocrazie sindacali hanno sintetizzato le ragioni della propria richiesta con le parole significative di Landini: «Bisogna evitare che la paura dei lavoratori si trasformi in rabbia». La continuità degli scioperi spontanei in centinaia di aziende, nonostante il protocollo di accordo tra sindacati e padroni, ha sicuramente lasciato il segno. I burocrati sindacali hanno avvisato governo e padronato del rischio di un’ulteriore propagazione del conflitto e della paura di non riuscire a controllarlo. Hanno dunque consigliato, nell'“interesse comune”, di disinnescare la miccia.
Il consiglio di Landini è stato evidentemente persuasivo, se ha indotto alla fine Confindustria a patteggiare la soluzione concordata, in cambio di nuovi miliardi di risorse pubbliche che il governo ha prontamente promesso ai padroni, e che saranno messe sul conto dei lavoratori.
Di certo questa chiusura di “unità nazionale” delle attività produttive non ha risolto alcun problema, né sanitario, né sociale.
1) A Bergamo, a Brescia, in Lombardia, e in situazioni similari di focolaio eccezionale del contagio in altre parti d'Italia, va attuata la “soluzione Codogno”. Un blocco totale di tutte le attività, ad eccezione ovviamente della sanità: l'unica via per contrastare il contagio e proteggere la popolazione. È una misura che andava presa congiuntamente a Codogno e che invece si è voluto evitare solo per compiacere Confindustria e Federmeccanica lombarde e i loro interessi, come ha denunciato persino il sindaco PD di Brescia. Tanto più oggi va applicata senza esitazioni. E va ben al di là dei provvedimenti assunti dal governo nazionale e lombardo.
2) Nei luoghi di produzione e lavoro tenuti aperti, che vanno ben oltre il recinto della produzione alimentare e farmaceutica, vanno rivendicate condizioni di reale sicurezza, perché il protocollo di accordo tra sindacati e imprese non ha garantito un bel nulla. Senza condizioni di sicurezza non si lavora. Gli scioperi devono continuare sino alla conquista di queste condizioni. Le RSU e le RLS verificheranno in piena autonomia le condizioni del lavoro. Il controllo operaio indipendente sulla sicurezza resta un terreno centrale di conflitto.
3) Va impedito che dietro la copertura del blocco delle attività e della sospensione della produzione vi siano padroni che preparano la chiusura delle fabbriche e il trasferimento di soppiatto di macchinari e impianti. I discorsi di marca padronale secondo cui “purtroppo molte aziende non riapriranno più” servono a preparare il terreno per queste pratiche. Nelle forme possibili va esercitata una vigilanza sindacale tesa a bloccare sul nascere queste operazioni, già attuate in tempi normali e oggi coperte dallo stato di eccezione.
4) I lavoratori e le lavoratrici dispensati dalla produzione e dal lavoro in ragione del blocco delle attività debbono avere una copertura salariale piena, ossia il 100% del salario. Milioni di lavoratori e lavoratrici non possono subire la decurtazione di un salario già modestissimo, impoverito negli anni e spesso colpito dal mancato rinnovo contrattuale, tanto più a fronte della mole di miliardi che in varie forme vengono dati a imprese e banche. La rivendicazione del 100% del salario, a carico del padronato, ha valore unificante per tutto il mondo del lavoro.
In conclusione: non c'è nessuna unità nazionale da celebrare. La lotta deve continuare in tutte le forme possibili per unire il fronte dei lavoratori attorno alle proprie rivendicazioni indipendenti.
Le burocrazie sindacali hanno sintetizzato le ragioni della propria richiesta con le parole significative di Landini: «Bisogna evitare che la paura dei lavoratori si trasformi in rabbia». La continuità degli scioperi spontanei in centinaia di aziende, nonostante il protocollo di accordo tra sindacati e padroni, ha sicuramente lasciato il segno. I burocrati sindacali hanno avvisato governo e padronato del rischio di un’ulteriore propagazione del conflitto e della paura di non riuscire a controllarlo. Hanno dunque consigliato, nell'“interesse comune”, di disinnescare la miccia.
Il consiglio di Landini è stato evidentemente persuasivo, se ha indotto alla fine Confindustria a patteggiare la soluzione concordata, in cambio di nuovi miliardi di risorse pubbliche che il governo ha prontamente promesso ai padroni, e che saranno messe sul conto dei lavoratori.
Di certo questa chiusura di “unità nazionale” delle attività produttive non ha risolto alcun problema, né sanitario, né sociale.
1) A Bergamo, a Brescia, in Lombardia, e in situazioni similari di focolaio eccezionale del contagio in altre parti d'Italia, va attuata la “soluzione Codogno”. Un blocco totale di tutte le attività, ad eccezione ovviamente della sanità: l'unica via per contrastare il contagio e proteggere la popolazione. È una misura che andava presa congiuntamente a Codogno e che invece si è voluto evitare solo per compiacere Confindustria e Federmeccanica lombarde e i loro interessi, come ha denunciato persino il sindaco PD di Brescia. Tanto più oggi va applicata senza esitazioni. E va ben al di là dei provvedimenti assunti dal governo nazionale e lombardo.
2) Nei luoghi di produzione e lavoro tenuti aperti, che vanno ben oltre il recinto della produzione alimentare e farmaceutica, vanno rivendicate condizioni di reale sicurezza, perché il protocollo di accordo tra sindacati e imprese non ha garantito un bel nulla. Senza condizioni di sicurezza non si lavora. Gli scioperi devono continuare sino alla conquista di queste condizioni. Le RSU e le RLS verificheranno in piena autonomia le condizioni del lavoro. Il controllo operaio indipendente sulla sicurezza resta un terreno centrale di conflitto.
3) Va impedito che dietro la copertura del blocco delle attività e della sospensione della produzione vi siano padroni che preparano la chiusura delle fabbriche e il trasferimento di soppiatto di macchinari e impianti. I discorsi di marca padronale secondo cui “purtroppo molte aziende non riapriranno più” servono a preparare il terreno per queste pratiche. Nelle forme possibili va esercitata una vigilanza sindacale tesa a bloccare sul nascere queste operazioni, già attuate in tempi normali e oggi coperte dallo stato di eccezione.
4) I lavoratori e le lavoratrici dispensati dalla produzione e dal lavoro in ragione del blocco delle attività debbono avere una copertura salariale piena, ossia il 100% del salario. Milioni di lavoratori e lavoratrici non possono subire la decurtazione di un salario già modestissimo, impoverito negli anni e spesso colpito dal mancato rinnovo contrattuale, tanto più a fronte della mole di miliardi che in varie forme vengono dati a imprese e banche. La rivendicazione del 100% del salario, a carico del padronato, ha valore unificante per tutto il mondo del lavoro.
In conclusione: non c'è nessuna unità nazionale da celebrare. La lotta deve continuare in tutte le forme possibili per unire il fronte dei lavoratori attorno alle proprie rivendicazioni indipendenti.