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La guerra della Turchia contro i curdi: una questione di sopravvivenza personale per Recep Tayyip Erdogan

Pubblichiamo questo articolo dal compagno Sungur Savran, segretario del DIP, Partito Rivoluzionario dei Lavoratori di Turchia, a ridosso della terribile strage di Ankara. Di fronte alla prospettiva di svolta reazionaria contro i kurdi e il movimento operaio turco, si afferma con assoluta attualità la necessità di una prospettiva rivoluzionaria per continuare la lotta contro Erdogan e instaurare un governo dei lavoratori in Turchia e in tutto il Medio Oriente. Solo l'abbattimento della dittatura di banchieri, industriali, petrolieri può garantire la pace e la fine delle stragi in Medio Oriente.


La città curda di Cizre, un insediamento con una popolazione di circa 150.000 anime nella Turchia sud-orientale, si trova per la seconda volta sotto assedio delle forze armate turche e delle cosiddette "forze operative speciali" della polizia, dopo che il precedente assedio era stato revocato per una tregua di due giorni. Oltre al coprifuoco ci sono tagli all'erogazione di elettricità, e vige l'interruzione di tutti i mezzi di comunicazione, compresi i cellulari ed internet. Dopo il primo assedio è venuta fuori tutta l'evidenza del terribile dramma umano. Uccisi oltre 30 civili, di età compresa fra i 35 giorni di vita di un bambino ed i 75 anni di un anziano. Prima che l'assedio fosse tolto, fonti governative dichiaravano che le forze di sicurezza avevano ucciso più di una dozzina di combattenti del PKK, negando vittime civili. Come un neonato ed un vecchio possano aver contribuito alla lotta del PKK, secondo i portavoce governativi, rimane un mistero irrisolto, di fronte all'evidenza del fatti.

La situazione critica di Cizre non è che l'ultimo e più drammatico episodio in una guerra che lo Stato turco ha scatenato contro i suoi cittadini nelle regioni curde a partire dallo scorso luglio. Col pretesto del massacro di Suruç del 20 luglio, in cui rimasero uccisi - da un attentato suicida con tutta probabilità opera dell'ISIS - 32 giovani attivisti di sinistra turchi che stavano partecipando ad una conferenza di solidarietà con il popolo della città curda di Kobane, il governo turco guidato dall'AKP, il partito di Recep Tayyip Erdogan, ha dato inizio ad una guerra... non contro l'ISIS ma contro il PKK ed il popolo curdo! È vero che il governo dell'AKP aveva concesso agli Stati Uniti l'uso della base aerea di Incirlik per bombardare l'ISIS ed aveva accettato di partecipare ai raid aerei. Ma questa era solo una manovra dissimulatoria mentre in realtà la Turchia si stava imbarcando in un attacco su ampia scala al movimento curdo, evitando tensioni con gli Stati Uniti alle prese con una difficile operazione militare.

La guerra della Turchia non è solo contro il PKK, ma contro il popolo curdo intero. Ed ha almeno tre diversi aspetti. Il primo è il conflitto militare tra le forze armate turche ed il PKK, che finora ha assunto la forma dei bombardamenti aerei turchi sui campi del PKK nell'Iraq settentrionale, nel territorio del Governo Regionale Curdo, presieduto da Barzani, stretto alleato degli americani e della Turchia. Il PKK per ritorsione ha iniziato ad uccidere soldati e poliziotti turchi, compiendo ai primi di settembre nel giro di 48 ore due spettacolari incursioni in cui sono caduti 16 soldati turchi nel sud-est del paese e 13 poliziotti turchi nel nord-ovest. La grande distanza geografica tra le due località, così come le pesanti perdite subite dalle forze turche, dimostrano come il PKK disponga di una forza formidabile.

Il secondo aspetto della guerra è quello del tentativo da parte dello Stato di pacificare i focolai nei centri del Kurdistan turco. I negoziati tra il governo turco ed il PKK per un "processo risolutivo" sono in corso dal 2013. Tuttavia, non a tutti nel Kurdistan è andato a genio questo processo. Abdullah Ocalan, lo storico dirigente del PKK, chiuso in prigione dal 1999, è l'architetto di questo processo. Ma ci sono altri attori in scena. Quelli ufficiali sono il PKK con base nell'Iraq del nord, e l'HDP, il Partito Democratico del Popolo, una sorta di avatar del movimento parlamentare curdo che ha unito le sue forze ad una coalizione di partiti e movimenti socialisti turchi. Tra questi tre attori, Ocalan è il più possibilista, mentre il PKK iracheno proietta un'immagine più intransigente. Ma c'è un quarto attore sulla scena: sono i giovani del YDG-H, ala radicale del PKK, che ultimamente si sono mossi come una forza quasi indipendente. Si collocano all'estrema sinistra del movimento curdo e nonostante il giuramento di fedeltà incrollabile verso Ocalan, sono apertamente critici rispetto al "processo risolutivo". Sono loro che organizzano i quartieri in molte centri curdi rendendoli inattaccabili dalle forze di sicurezza turche, scavando fossati e trincee e prendendo le armi laddove necessario. La popolazione può non essere d'accordo con i loro metodi, ma sta con loro e contro le forze governative durante i periodi di conflitto, quando arrivano i momenti critici.

Ecco il perché degli attacchi ad una serie di città curde, a centri come Silopi, Varto, Yuksekova, Silvan, ed ora, con maggiore drammaticità, a Cizre, la più importante roccaforte del YDG-H (questi ed altri insediamenti nel Kurdistan turco hanno nomi originari curdi che sono stati sostituiti con questi nomi turchi imposti agli inizi del periodo repubblicano). In contraddizione col primo aspetto della guerra, che vede due forze armate scontrarsi, quest'altro assume le forme di una guerra condotta contro la popolazione civile. Dal momento che quasi tutta la popolazione sta con i suoi giovani, quello che può sembrare un attacco ad una milizia viene necessariamente trasformato in un attacco a tutta la popolazione. Chi scrive è stato di recente, in una missione di solidarietà, a Silvan, vicino Diyarbakir, immediatamente dopo un assalto delle forze di sicurezza, ed è possibile prendere cognizione diretta della devastazione operata sull'intera città.

Il terzo aspetto è la potenziale minaccia di una vera e propria guerra civile che coinvolga entrambe le parti. Questa minaccia alberga nel continuo richiamare quei sentimenti nazionalisti e persino sciovinisti che esistono all'interno di ampi settori della popolazione turca, di forze non solo vicine a Erdogan ed all'AKP, ma anche alcune note in Occidente come i "Lupi Grigi" del Partito d'Azione Nazionale, il movimento più tradizionalmente fascista del paese, nonché il terzo maggiore partito della borghesia turca (dopo il Partito Popolare Repubblicano, CHP, di origine kemalista, che ora passa per socialdemocratico). Sono stati i "Lupi Grigi" a scendere in strada nella notte dell'8 settembre per rispondere alle due spettacolari azioni del PKK di cui sopra. Più di 140 sedi dell'HDP attaccate, molte date alle fiamme, aggressioni a civili curdi nelle strade dei centri controllati da turchi nella parte occidentale del paese, pullman intercity fermati e presi a sassate, lavoratori stagionali curdi aggrediti collettivamente, bruciate le loro case e lo loro auto ed allontanati in massa. Ora, anche se i curdi sono minoritari nelle città dell'ovest, sono pur sempre una minoranza di una certa dimensione, ed inoltre si tratta di comunità molto politicizzate con notevoli capacità di lotta. Se non hanno reagito, non è stato che per autocontrollo. Il che vuol dire che in futuro la situazione può sfuggire di mano e degenerare in una guerra civile etnica che può assumere forme molto sanguinarie.



LE DINAMICHE DIETRO LA GUERRA

Per fermare questa guerra, occorre individuare le dinamiche che ne sottendono lo scoppio. Purtroppo, il movimento curdo, a lungo influenzato da una intellighenzia liberale, continua a ripetere che è necessario tornare allo status quo ante, vale a dire al punto in cui si erano fermati i negoziati del "processo risolutivo". Questa posizione ignora il fatto che ci sono forze molto ben definite in gioco che hanno portato a questa guerra e che dovrebbero essere contrastate e sconfitte prima di poter ristabilire la pace o almeno un cessate-il-fuoco. Queste forze sono molto diverse tra loro: alcune relative alla congiuntura politica, altre sono più strutturali.

La ragione predominante, che fa scomparire per importanza tutte le altre, è quella che ha che fare con gli interessi politici di Tayyip Erdogan. In un altro articolo (“Una sconfitta strategica per Erdogan” - pubblicato in questo sito il 17 giugno, ndt) in occasione delle elezioni turche del 7 giugno, avevamo messo in evidenza che il penoso risultato elettorale del partito di Erdogan, l'AKP, che aveva perso ben 10 punti del voto popolare insieme alla maggioranza parlamentare che deteneva dal 2002, era la semplice ratifica di una precedente sconfitta strategica già inflitta ad Erdogan dalle masse turche, prima con la rivolta popolare innescata dagli incidenti di Gezi Park nel giugno 2013 e successivamente dalla serhildan (intifada) dell'ottobre 2014 scatenata dal popolo curdo in reazione all'atteggiamento di indifferenza dimostrato da Erdogan di fronte alla tragedia di Kobane quando era stata attaccata dall'ISIS. Il risultato elettorale è stato una doppia catastrofe per Erdogan. Da un lato, ha bisogno dei 2/3 della maggioranza parlamentare se vuole emendare la Costituzione al fine di trasformare il sistema politico turco in un sistema presidenziale, dando a se stesso il potere di controllare l'intero processo politico, quel potere che ora egli non ha, stante l'attuale sistema che dà alla sua carica di Presidente della Repubblica una veste cerimoniale. Dall'altro lato, il fatto che l'AKP non ha più la maggioranza parlamentare può aprire le porte ad inchieste sui gravissimi e provati casi di corruzione in cui sono coinvolti Erdogan stesso ed i suoi ministri. Molti analisti si dilungano sulle ambizioni di Erdogan riguardo alla carica di presidente esecutivo. Ma forse la sua necessità più urgente è quella di evitare che si aprano le inchieste sui casi di corruzione che riguardano l'AKP, il quale si trova ora in minoranza all'interno del parlamento. Se gli altri partiti trovassero l'unità per aprire queste inchieste, Erdogan potrebbe trovarsi sull'orlo del precipizio, col rischio di essere condannato.

Dopo il successo elettorale dell'HDP, che avendo superato l'altissima soglia di sbarramento del 10% ha così fatto perdere all'AKP la maggioranza parlamentare, Erdogan ed i suoi accoliti puntano ora tutte le loro speranze nell'opera di sobillamento dello sciovinismo turco e nel presentare l'HDP non come messaggero di pace, bensì come forza che appoggia il "terrorismo" del PKK, allo scopo di far scendere l'HDP al di sotto della soglia critica del 10% nelle elezioni dell'1 novembre. Ecco perché questa guerra è per prima cosa e soprattutto una guerra di sopravvivenza per Erdogan. Nella storia ci sono state guerre imperialiste e guerre anticolonali. Questo è il primo caso di guerra egoista!

Dopo le elezioni del 7 giugno scrivevamo:

“Gli errori politici della sinistra hanno finito per dare respiro ad Erdogan, permettendogli di salire alla presidenza della repubblica. Ora l'AKP non è in grado di formare un suo governo autonomo, ma Erdogan ha ancora le redini del potere. Utilizzerà ogni centimetro di spazio per mantenersi al potere, e a questo scopo potrebbe perfino ricorrere alla guerra contro i curdi o in Medio Oriente. In politica, ogni errore ha un prezzo.”


Non c'è bisogno di rilevare che la previsione di cui sopra si è purtroppo rivelata fondata. Per quanto riguarda gli errori della sinistra, ci si riferisce al fatto che non ha cercato di far cadere Erdogan quando era possibile farlo. E qui le responsabilità maggiori le ha il movimento curdo. Se si fosse mosso in tandem con la rivolta popolare di Gezi Park nel 2013, Erdogan sarebbe certamente caduto, tanto è forte la capacità del movimento curdo di organizzare le masse specialmente a Diyarbakir. È triste notare come le sofferenze del popolo curdo sotto gli attacchi atroci delle forze di sicurezza turche sono dovute, almeno parzialmente, agli errori dello stesso movimento curdo.

Ci sono, naturalmente, fattori strutturali di fondo che spingono la Turchia alla guerra contro il movimento curdo. Abbiamo già visto come l'ala radicale del movimento curdo, rappresentata dai giovani, si sia espressa contro il "processo risolutivo" senza la liberazione di Ocalan (un impressionante striscione dei giovani durante una gigantesca manifestazione nel 2013 diceva: "Una pace col serok (titolo di Ocalan nel movimento) ancora in prigione è una pace sconclusionata”). I giovani possono contare su molti sostenitori, anche se meno focosi, e quasi tutta la popolazione tende verso quelle stesse loro posizioni intransigenti quando il gioco si fa duro. La serhildan dell'ottobre 2014 aveva spaventato immensamente i circoli dominanti del governo e messo in agenda la liquidazione di queste sacche di resistenza urbana (armata) che, diversamente dalla guerriglia rurale, costituisce una minaccia immediata nel caso dello scoppio di una nuova serhildan. Per cui la guerra in corso può essere considerata come il tentativo da parte dello Stato turco di farla finita con queste sacche di resistenza.

L'altro importante fattore che produce frizioni tra lo Stato turco ed il PKK è, a causa della semplice sua esistenza, il Rojava, l'entità autonoma curda a sud del confine turco-siriano. L'autonomia curda o, a fortiori, l'indipendenza in altre parti del Kurdistan, come in Iraq o in Siria, è sempre stata vista come una minaccia dalle classi dominanti turche, anche solo per il fatto che potevano essere d'esempio per i curdi in Turchia. Nei primi quindici anni del XXI secolo, prima i curdi dell'Iraq, poi i curdi in Siria hanno raggiunto l'autonomia. Inizialmente contrariata per la creazione del Kurdistan iracheno di Barzani come regione autonoma, la Turchia ha poi raggiunto degli accordi con Barzani diventando la forza dominante sia a livello economico che politico sul Governo Regionale Curdo. La borghesia turca ripone molte attese nei vantaggi derivanti dal petrolio della regione di Kirkuk. Ma il Rojava è ben altra questione. Se Barzani è un fedele alleato, persino un protetto, degli Stati Uniti e poi della stessa Turchia, il Rojava invece è stato istituito con una leadership organicamente collegata al PKK! Il governo dell'AKP ha sempre detto chiaramente che non avrebbe mai fatto accordi con un'entità controllata politicamente dal PKK a sud dei suoi confini. Ecco perché il Rojava è stato, in questi tre anni della sua esistenza, una spina nel fianco del "processo risolutivo".



TURCHIA E QUESTIONE CURDA INSEPARABILI?


Quest'ultimo aspetto relativo al Rojava suggerisce che il futuro della questione curda in Turchia e, di fatto, della stessa Turchia sono strettamente collegati alle prospettive in Siria. Come molti ben sanno, Erdogan ed il suo AKP sono attori importanti nel calvario che la Siria sta vivendo dal 2011. Erdogan, insieme all'Arabia Saudita ed al Qatar, ha alimentato le fiamme dell'odio e della guerra in Siria tra i sunniti e gli alawiti (minoranza più vicina agli Sciiti che ai Sunniti). Ciò fa parte di un disegno più ampio, in cui Erdogan punta ad assumere la guida delle masse sunnite del Medio Oriente per tornare ai fasti dell'Impero ottomano che fu. Questa è una delle ragioni per cui il governo dell'AKP ha appoggiato l'ISIS fino a poco tempo fa e continua ad appoggiare altri gruppi islamisti che combattono contro il regime di Assad.

La situazione nata dall'accordo tra gli USA e la Turchia alla fine di luglio, per cui la Turchia ha concesso la base di Incirlik per gli attacchi aerei degli USA sull'ISIS in cambio del via libera degli USA agli attacchi al PKK, porta con sé una contraddizione dialettica che può nel tempo risucchiare la Turchia nella guerra in Siria. Nell'intervento militare contro l'ISIS, gli USA contano, fra le altre, sulle forze armate del Rojava quali truppe di terra. I tentativi della Turchia, dall'altro lato, puntano a tenere queste truppe del Rojava fuori da certe regioni a sud del confine turco-siriano, che la Turchia vuole trasformare in "zone di sicurezza". Ma gli Stati Uniti hanno bisogno delle forze di terra del Rojava per combattere l'ISIS. Sembra che l'unico modo con cui la Turchia possa indurre gli USA a non chiedere più la collaborazione militare del Rojava sia quello di inviare essa stessa le sue truppe di terra per istituire quelle zone di sicurezza a cui mira.

Questa prospettiva, che deriva dalle contraddizioni dell'alleanza militare tra USA e Turchia, è complementare alla logica infernale della questione di sopravvivenza di Erdogan: dovesse l'AKP mancare l'obiettivo di conquistare la maggioranza parlamentare con le prossime elezioni, Erdogan potrebbe aver bisogno di sospendere il normale funzionamento del sistema, cosa che potrebbe riuscirgli portando il paese in guerra in Siria o persino nello scenario più ampio del Medio Oriente. Avevamo previsto che Erdogan avrebbe attaccato i curdi, non dovrebbe sorprendere se si verificasse anche la seconda previsione.

Ci sono, naturalmente, certe controtendenze che possono produrre degli effetti. C'è la possibilità che uno degli attori più importanti, Ocalan, rimasto in silenzio dalle elezioni fino allo scoppio dell'attuale guerra, parli di una sorta di disgelo. L'imminente Eid al-Adha, la grande festività religiosa del mondo islamico, può essere un'occasione opportuna per lui per aprire un nuovo capitolo nel "processo risolutivo". Non va dimenticato che nonostante la ferocia della guerra, né da parte dell'AKP né da parte di Erdogan e nemmeno da parte curda è stata totalmente esclusa la possibilità di un nuovo inizio. Erdogan stesso ha esplicitamente dichiarato che il "processo risolutivo" è congelato (e non morto, come la guerra in corso potrebbe far pensare). È ovvio che appena si sentirà più sicuro possa tornare volentieri allo status quo ante. Ma questo sarebbe un esito reazionario dell'attuale situazione di impasse. Erdogan è una maledizione per la Turchia e per il Medio Oriente, e più rimane al potere nel suo paese, maggiori saranno i danni che porterà ai popoli della regione.

Un esito progressivo richiederebbe ovviamente la sconfitta di Erdogan, con la sua fuoriuscita dalla politica e la sua condanna per i crimini commessi. Le condizioni perché questo accada si stanno verificando. Già il recente succedersi di lotte di massa nel paese, dalla rivolta popolare di Gezi Park (2013), alla serhildan di Kobane (2014), allo sciopero dei metalmeccanici (2015), nel giro di soli due anni, dimostra che c'è una società piena di gruppi sociali pronti a dichiarare la loro rabbia. È su questo che Erdogan ha perso credibilità sia agli occhi dei suoi alleati del passato (USA ed UE) sia agli occhi dei liberali turchi, della confraternita Gulen e di molti settori della classe capitalista. Ed ora sta perdendo sempre più l'appoggio di ampi settori del suo partito. L'ex presidente della repubblica, Abdullah Gul, un altro fondatore e leader dell'AKP, attende dietro le quinte di riprendersi il partito al momento giusto. Il congresso del partito che si terrà nei prossimi giorni non farà emergere le profonde fratture interne, ma le contraddizioni stanno maturando.

Se Erdogan cadrà, sarà ben diverso se cadrà per mano di una opposizione borghese guidata da Gul e dai due partiti della borghesia, i "socialdemocratici" ed i fascisti, o persino per mano dell'esercito, o se invece saranno le masse a farlo cadere, guidate si spera dalla classe operaia, che sembra essere tornata attiva dopo un lungo sonno.


C'è stato un confronto incessante fra due linee, nella sinistra, fin dagli eventi di Gezi Park. Una linea è quella della minor resistenza, che spera in un rimescolamento dei partiti borghesi, scommettendo per il successo, all'interno del campo borghese, di forze ostili ad Erdogan. Forze che verrebbero guidate da Abdullah Gul e dai suoi seguaci all'interno dell'AKP, e dal CHP, il principale partito dell'opposizione, sedicente socialdemocratico. La confraternita islamica di Gulen, ex partner di Erdogan ma ora suo principale bersaglio, sarebbe organicamente collegata a queste forze. Se queste forze comprenderanno anche i fascisti è da verificare, ma vi sarebbero comunque coinvolte altre minori formazioni borghesi. Questa coalizione di forze fu inizialmente definita alla fine del 2013 dall'allora ambasciatore degli USA in Turchia, Frank Ricciardone. Sebbene possa sembrare un'esagerazione, è esattamente il modo in cui le cose si svilupparono nella concreta realtà: subito dopo la ribellione di Gezi Park, Ricciardone ebbe un incontro segreto con il leader del CHP, il quale successivamente si recò negli Stati Uniti per incontrare uomini di Gulen, per poi tornare a casa e seguire una linea di alleanza con con ogni tipo di organizzazione della destra borghese. Resta da vedere se questa politica sarà in grado di registrare successi contro Erdogan. Dipende tutto dall'equilibrio delle forze all'interno dell'AKP, difficile da discernere.

L'HDP sta ultimamente aprendo a questa coalizione. L'atteggiamento di completa passività che ha adottato dopo le elezioni del 7 giugno è stato nei fatti una conseguenza di ciò. Dalla fine di luglio, quando il governo AKP ha rilanciato la guerra ai curdi, ha combattuto con sacrificio quest'odiosa azione. Al polo opposto, anche il cosiddetto "Blocco di Giugno", variegato gruppo che mantiene le distanze dal movimento curdo, comprendente diversi partiti socialisti ma dominato da associazioni alevite, fornisce un sostegno indiretto a questa linea attraverso il suo malcelato appoggio al CHP. Fra loro, queste due aree formano la stragrande maggioranza della sinistra socialista in Turchia, vale a dire della sinistra che non confina la sua azione sottoterra.

Il nostro partito, il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (DIP), si trova quasi da solo nel proporre un'altra linea: in solidarietà attiva con il popolo e il movimento curdo, mette tuttavia in guardia contro i pericoli che derivano dall'alleanza che il movimento curdo sembra aperto a stabilire con l'imperialismo, e dall'orientamento sia dell'HDP che del "Blocco di Giugno" verso il CHP. Lottiamo per costruire il partito all'interno della classe operaia - durante lo sciopero selvaggio di decine di migliaia di metalmeccanici nei mesi di maggio e giugno di quest'anno abbiamo guadagnando un visibile successo - con l'obiettivo del potere del proletariato. L'alleanza che la sinistra ha bisogno di costruire è quella della classe operaia con il popolo curdo in lotta e con le ampie masse popolari politicizzate dalla ribellione di Gezi Park, di cui quella degli aleviti è la componente più importante. Quest'alleanza rappresenterebbe una forza formidabile, e il suo peso scuoterebbe non solo le strutture del potere turco e del Kurdistan turco, ma dell'intero Medioriente e del Nord Africa. È questo l'obiettivo per cui lottiamo.

Sungur Savran