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Manifestazione di Piacenza contro la repressione 27 marzo 2021: video dell'intervento del compagno Grisolia

 


Intervento di Franco Grisolia alla manifestazione di Piacenza organizzata dal Si Cobas in risposta al gravissimo attacco subito dopo la lotta esemplare contro i padroni della FedEx.

Carlo e Arafat sono stati liberati, ma la lotta contro la repressione non si ferma: la battaglia è vinta, ma la guerra continua. Il capitalismo non ha più nulla da dare, ma solo da togliere. Distruggiamo il capitalismo, lottiamo per un'alternativa anticapitalista e socialista!


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Scuola, perché non bisogna rivendicare il Next Generation EU

 


Il presidio dei Cobas a Roma, in occasione dello sciopero della scuola del 26 marzo, presidio cui hanno aderito varie realtà associative, di settore e studentesche (tra cui anche la Rete degli Studenti medi) è stato caratterizzato nei suoi vari interventi – così come rivendicato anche dalla Rete – dall'apertura ai fondi del “Next Generation EU”.


Un’apertura critica, senz’altro, un'apertura dialettica, ma pur sempre possibilista riguardo ai fondi europei. Un'apertura che comunque non può avere altro significato se non quello di un finanziamento a debito della scuola, dunque verso un peggioramento, nella prospettiva di lungo periodo, del comparto dell'istruzione nella sua interezza. Evidentemente tale fattore di rischio non è stato compreso dai Cobas, dalle studentesse e studenti presenti, che rivendicavano di essere loro la "next generation", fin dalle scritte sui cartelli che tenevano in mano.


NEXT GENERATION EU

La misura invocata, ovvero il Next Generation EU, riguarda un piano di finanziamento pluriennale che prevede uno stanziamento di risorse, pari a 750 miliardi di euro, al quale spesso viene cambiato nome da stampa e politici, preferendo la dicitura “Recovery Fund”, la quale tuttavia si riferisce alla quota finanziaria del “dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza”. Si tratta di una mossa economica che vede gli Stati membri dell’Unione europea emettere debito comunemente. All’interno del quadro pluriennale per il periodo che va dal 2021 al 2027, “Next Generation EU” detiene la porzione più importante del finanziamento totale, attorno al 40% di 1.824,3 miliardi. Dunque, per farla breve, si tratta di un enorme finanziamento a debito, invocato dalla stessa classe politica che per almeno venticinque anni ha presentato qualsiasi tipo di politica economica a debito come il male assoluto da scongiurare a qualsiasi costo (per capirci: il 15 marzo di quest’anno il debito pubblico italiano ha sfondato quota 2.600 miliardi di euro, pari al 160% del PIL, nonostante decenni di politiche lacrime e sangue presuntamente finalizzate diminuirlo) [1].

C’è da segnalare che i fondi europei del NG EU sono vincolati dalla “condizionalità” riguardo al loro utilizzo, e non è una questione secondaria. O si seguono determinati dettami imposti per la spesa di tali fondi, che riguardano innanzitutto gli indirizzi e le condizioni di merito dei finanziamenti, oppure il “pilota automatico” caro all’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri quando era in carica alla BCE seguirà – indisturbato – su una strada sempre più stretta e impervia.

A partire dagli investimenti europei, i principi fondamentali su cui si basa l’investimento, per cui ogni paese europeo ha sviluppato un piano specifico, riguardano vari capitoli di spesa, come ad esempio “transizione verde”, le pari opportunità, la stabilità macroeconomica e la “transizione digitale”. Specie per quel che riguarda l’istruzione, dunque, l’impegno è di 28,5 miliardi. Tuttavia viene riproposto il modello di scuola che ha fatto seguito alla legge Renzi (cosiddetta “buona scuola”). In altre parole: ogni scuola e ogni aula potrà avere un computer di ultima generazione per la didattica, tavolette grafiche, lavagne multimediali, ma niente sarà dato per la messa in sicurezza del plesso scolastico, che molto spesso è ferma agli anni del Pentapartito. Molta forma e poca sostanza, quando invece i due tratti spesso coincidono.

Le politiche che accompagneranno questi investimenti a debito saranno quindi le solite, verrebbe da dire, trasversali nel segno dell’imprenditorialità, che già campeggia da anni negli obiettivi scolastici proposti a ragazze e ragazzi delle scuole secondarie di II grado. Non a caso un capitolo di spesa del piano italiano è intitolato significativamente “Dalla ricerca all’impresa”: l’idea alla base di questo processo organico del NG EU è quello di fornire un rapporto di subalternità dell’istruzione all’impresa. Perché di questo trattasi.


RIAPERTURE FANTASCIENTIFICHE E RIAPERTURE REALI

La “questione giovanilista”, vien da sé, non può essere assunta come principio cardine per la riapertura, in funzione della scuola in presenza. Il problema è a monte, o alla radice, a seconda del paragone che al lettore piace di più. Le scuole vanno senza dubbio riaperte ma devono essere messe in sicurezza attraverso un piano vaccinale reale, centralizzato, non demandato alle responsabilità delle regioni; docenti, ATA, studentesse/studenti, devono poter essere monitorati dai presidi sanitari in ogni scuola.

È evidente che il contagio avviene fuori dai plessi scolastici: c'è da evitare che venga portato all'interno delle aule. Per evitare questo cortocircuito serve un piano. Il piano che prevede 8 milioni settimanali di tamponi è totalmente privo di credibilità, e basta guardare quanti tamponi siano stati fatti finora, e come siano stati fatti, per rendersi conto dell'assenza di una qualsiasi base per rendere effettivo un tale provvedimento, peraltro così esteso e concentrato nel tempo. È evidente quindi che un piano non c'è. E riaprire senza un piano significa chiudere due settimane dopo aver riaperto, reiterando un binomio apertura-chiusura ancora più nefasto sul piano psicologico per migliaia di ragazze, ragazzi, docenti.

È impensabile, infine, che i soldi europei – peraltro una tantum – vadano davvero a risolvere i problemi strutturali che la scuola italiana possiede da vari decenni, a causa dei tagli apportati dai governi di centrodestra, centrosinistra e tecnici. È impensabile rivendicare l'utilizzo di quei fondi per la scuola, per la loro messa in sicurezza circa l'edilizia, per la stabilizzazione dei precari (da organico di fatto a di diritto), per le assunzioni vere e massive, perché l'unico provvedimento vero in grado di soddisfare queste esigenze e di rovesciare il piano inclinato sul quale sono state decise tutte le politiche scolastiche “a perdere” degli ultimi decenni è la patrimoniale. Ricorrere ai fondi europei per tale rivendicazione costituisce nei fatti la legittimazione di un ulteriore indebitamento delle casse pubbliche a spese dei lavoratori, senza peraltro che i fondi spesi vadano minimamente nella direzione dei bisogni della scuola e della classe lavoratrice. Anni e anni di tagli alla spesa pubblica, che hanno danneggiato soprattutto la scuola, la sanità e i trasporti, vanno colmati presentando il conto alle classi dominanti.

Torniamo a ripetere che solo una patrimoniale del 10% sul 10% più ricco dei patrimoni, unita ad un sistema di tassazione fortemente progressivo, può restituire realmente le decine di miliardi di euro tagliati, e consentire una reale messa in sicurezza della scuola, dei suoi studenti e dei suoi lavoratori. Solo una patrimoniale di questo tipo, cioè una patrimoniale anticapitalista, espressione di un altro governo della società e di un altro potere politico, può portare un cambio di rotta in questa società colpita dalla crisi del sistema di produzione capitalistico e da questa pandemia, uno dei suoi sintomi.
Cioè a dire: paghi chi non ha mai pagato, chi si è arricchito durante la pandemia mentre centinaia di migliaia di lavoratori si sono impoveriti e hanno perso l'impiego.



[1] https://www.repubblica.it/economia/2021/03/15/news/debito_pubblico-292301274/

Marco Piccinelli

Solidarietà ai lavoratori del CALP


 Care compagne e cari compagni,


Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime solidarietà incondizionata ai lavoratori portuali del CALP contro l'indecente stretta repressiva di cui sono oggetto.

L'imputazione loro rivolta di “violare la legalità” misura l'ipocrisia dell'accusa.
La legalità che lo Stato difende è quella che permette ad armatori e terminalisti di smerciare strumenti di morte destinandoli ai peggiori regimi: bombe e armi, quelle sì micidiali, prodotte e montate negli Stati capitalisti cosiddetti democratici e vendute a monarchie assolutiste che si appoggiano sulla schiavitù dei propri salariati, sulla negazione dei diritti delle donne, sulla oppressione di altri popoli.
Il contrasto del commercio delle armi, e tanto più dei regimi reazionari cui sono destinate, appartiene alla storia del movimento operaio internazionale e dei lavoratori portuali in particolare, e non solo in Italia. Di certo i portuali di Genova hanno sempre rappresentato in Italia l'avanguardia di queste lotte. L'unica responsabilità dei compagni del CALP è quella di richiamarsi apertamente a questa tradizione, non solo a parole ma coi fatti. È una responsabilità di cui giustamente possono andare fieri.

I bilanci militari si stanno gonfiando in tutto il mondo. Il 50% degli investimenti nell'intelligenza artificiale sull'intero pianeta riguardano gli armamenti. La corsa senza freno agli armamenti ha sempre preparato nella storia lugubri prospettive di guerra. La lotta internazionale contro la guerra, assieme a quella per la riduzione dell'orario di lavoro, ha accompagnato la nascita stessa del movimento operaio come movimento internazionale.
L'internazionalismo operaio è stato da tempo dismesso dal grosso delle organizzazioni sindacali e da tanti partiti della “sinistra”. È ora di recuperarlo e di rilanciarlo.
L'azione dei compagni del CALP in questi anni ha ricercato e ottenuto l'unità d'azione contro la guerra e il commercio delle armi con lavoratori e lavoratrici di altri paesi, contro ogni forma di nazionalismo sovranista comunque ammantato. Criminalizzare questa lotta ha un solo significato: sgomberare la via della guerra e delle guerre in cui sfruttati di diversi paesi e magari di diverso colore sono usati gli uni contro gli altri dai propri sfruttatori. È un'operazione che va respinta.

Le imputazioni rivolte contro i compagni del CALP mostrano la vera natura dell'attuale democrazia borghese: una democrazia per i ricchi, un inganno per i poveri e gli sfruttati. L'articolo 11 della Costituzione (“L'Italia ripudia la guerra...”) serve solo a nascondere una realtà esattamente opposta. L'Italia capitalista produce strumenti di guerra, vende strumenti di guerra, aumenta le spese in armamenti, finanzia missioni militari in decine di paesi, al servizio della NATO e/o per interessi propri. L'Arabia Saudita, come l'Egitto, come il Qatar, sono solo clientela per il capitalismo militar-industriale tricolore, e per i suoi Presidenti del Consiglio, vecchi (Renzi) e nuovi (Draghi). Per ripudiare la guerra occorre ripudiare il capitale, senza illusioni costituzionali sulla sua “democrazia” o su una sua possibile riforma.

Del resto in questi giorni, in altri contesti, altre lotte d'avanguardia che fuoriescono dalle regole del gioco sono prese di mira da magistratura e Digos. È il caso della lotta dei lavoratori di TNT a Piacenza, dove sono stati addirittura arrestati dirigenti operai del sindacato SICobas, dietro l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale, cioè di aver difeso un picchetto operaio che rivendicava diritti dalla carica a freddo della polizia. È il clima che si vuole creare attorno al governo di unità nazionale di Mario Draghi, un clima di ordine, disciplina, restaurazione, che rimetta in riga le avanguardie che osano alzare la testa, con l'unico scopo di bloccare preventivamente ogni possibile effetto di contagio.
C'è un solo modo di replicare: difendere incondizionatamente e unitariamente i diritti dei lavoratori colpiti, al di là delle diverse appartenenze sindacali e politiche; lavorare a unificare ed estendere le lotte di resistenza.

Per questo, e con queste motivazioni, siamo e saremo al fianco dei lavoratori del CALP, per la più ampia mobilitazione unitaria a sostegno delle loro ragioni.

Partito Comunista dei Lavoratori

Scuola: senza sicurezza nessuna riapertura!

 


Pubblichiamo il testo del volantino che stiamo distribuendo in occasione dello sciopero della scuola indetto dai Cobas di cui non condividiamo la piattaforma per la ragioni esposte nel volantino stesso

Cattedre senza docenti e docenti senza cattedre - La situazione della scuola pubblica in quest'anno scolastico sta raggiungendo picchi di drammaticità raramente visti sinora, basti pensare alle più di 21.0000 cattedre vuote. Il concorso straordinario, a dir poco umiliante, a cui hanno partecipato decine di migliaia di insegnanti da anni precari non è stato altro che un aumentare l’angoscia di decine di migliaia di insegnanti, che da anni lavorano a migliaia di chilometri da casa, percependo un salario inadeguato, senza alcuno scatto d’anzianità ed il minimo beneficio. Per non parlare del mancato accesso alla carta del docente. Un eterno dividere che ha trovato un’ennesima, ulteriore conferma nel divieto di partecipazione al concorso per le migliaia di insegnanti senza servizio sulla materia o per tutti quelli che nei giorni del concorso si trovavano in quarantena. Un concorso con numeri davvero irrisori tanto da considerarsi quasi inutile viste le 210000 cattedre vuote a settembre e gli oltre 30000 pensionamenti in arrivo.

Scuola: luogo sicuro o luogo di contagio? - Sin dalla ripresa dell’anno scolastico i contagi tra gli insegnanti e gli studenti sono stati numerosissimi. Vanno quindi rivendicati tracciamento capillare, tamponi a tappeto e, soprattutto, che si attivino realmente gli oramai tanto nominati presidi sanitari nelle scuole. Un reale piano vaccinale che coinvolga tutti i soggetti presenti nel mondo della scuola va approntato il prima possibile.

No al Recovery, sì alla patrimoniale - Una scuola con classi sovraffollate (media nazionale 22 alunni per classe) non può essere affatto definita un luogo sicuro. È fondamentale trasformare l’organico di fatto in organico di diritto. Dall’altro lato, ricorrere al Recovery Plan per stabilizzare i precari e mettere in sicurezza le scuole costituisce nei fatti la legittimazione di un ulteriore indebitamento delle casse pubbliche a spese dei lavoratori.
Anni e anni di tagli alla spesa pubblica, che hanno danneggiato soprattutto la scuola, la sanità ed i trasporti, vanno colmati presentando il conto alle classi dominanti.
Solo una patrimoniale del 10% sul 10% più ricco dei patrimoni, unita ad un sistema di tassazione fortemente progressivo, può colmare realmente le decine di miliardi di euro tagliati, e consentire una reale messa in sicurezza della scuola, dei suoi studenti e dei suoi lavoratori, ed un cambio di rotta in questa società colpita dalla crisi del sistema di produzione capitalistico e da questa pandemia, uno dei suoi sintomi.


LE RIVENDICAZIONI DEL PCL PER LA SCUOLA

Per risolvere il problema del precariato e contrastare l'ormai palese progetto di privatizzazione della scuola il Partito Comunista dei Lavoratori è presente nelle lotte della scuola con queste rivendicazioni:

- Stabilizzazione di tutti gli insegnanti della scuola.
- Un grande piano di lavori pubblici per la scuola.
- No al blocco quinquennale per i neoassunti.
- Internalizzare tutti gli educatori.
- No ad ogni proposta di autonomia differenziata.

Solo con la lotta questo ennesimo governo nemico dei lavoratori e dei precari potrà essere cacciato, contro ogni compromesso con i partiti nemici delle lavoratrici e dei lavoratori, per la sconfitta delle burocrazie sindacali complici di governo e padronato.

Contro ogni logica corporativistica e di intermediazione politica tramite deputati e senatori di maggioranza o di opposizione.

Solo l'unità delle lotte può realmente portare ad un governo dei lavoratori, l'unico che possa realmente difendere gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, della scuola e non solo.

Partito Comunista dei Lavoratori


Per uno sciopero generale prolungato e di massa!

 


Testo del volantino per lo sciopero  della logistica proclamato da SICobas a da ADL Cobas, e dello sciopero del trasporto pubblico proclamato da CGIL CISL e UIL, ADL Cobas e Cobas lavoro privato, e dello sciopero dei rider. Il volantino sarà distribuito anche lunedì 29 marzo, quando nella logistica a scioperare saranno CGIL CISL e UIL


In questi giorni si stanno susseguendo diversi momenti importanti di lotta. Lunedì 22 marzo hanno scioperato i lavoratori e le lavoratrici di Amazon. Venerdì 26 marzo è stato indetto da parte del Si Cobas e ADL Cobas lo sciopero della logistica; nella stessa giornata si ferma il trasporto pubblico e incrociano le braccia i riders, mentre nella scuola è proclamato lo sciopero dai Cobas; i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo hanno in programma due giorni di mobilitazione tra venerdì e sabato; sempre nel settore della logistica i sindacati di categoria di CGIL, CISL e UIL hanno proclamato lo sciopero per lunedì 29.

Nel paese centinaia sono le vertenze e le situazioni di lotta. Nel settore della logistica si stanno tenendo da tempo scioperi e picchetti prolungati e continuativi fortemente repressi, come è successo alla FED EX TNT di Piacenza, dove sono stati ignobilmente messi recentemente agli arresti due coordinatori del Si Cobas. Molte sono le situazioni di fabbriche in cassa integrazione, in crisi, che stanno chiudendo o che hanno già chiuso: Whirlpool, acciaierie di Piombino e Arcelor Mittal sono solo gli esempi più eclatanti. Tutte queste situazioni sono accomunate da un tragico filo conduttore: l’isolamento e la separatezza tra loro.

In un quadro politico nazionale in cui lo sblocco dei licenziamenti concesso da Draghi al padronato consentirà le ristrutturazioni aziendali, il cui costo si scaricherà su centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, anche nei settori che hanno fatto profitti durante la pandemia. Tutto questo nell’immobilismo della CGIL, più preoccupata di sedere al tavolo con il governo che delle condizioni della classe lavoratrice. D'altronde Landini ha pubblicamente esaltato fin da subito il governo Draghi senza riserve, in perfetta sintonia con la posizione padronale.

Ora di fronte alla nuova barbarie che si sta ponendo sulle teste di milioni di salariati, di sfruttati e di masse povere è evidente che bisogna abbandonare il vecchio schema che hanno sempre utilizzato le burocrazie sindacali maggioritarie: le lotte azienda per azienda contratto per contratto e gli scioperi una tantum. Al contempo va anche denunciato l’atteggiamento di buona parte del sindacalismo di base e di classe di perseguire la strada degli scioperi scadenzati, separati e autocentrati.


Si impone dunque la necessità del più ampio fronte delle lavoratrici e dei lavoratori, costruito su basi di classe al di là di qualsiasi steccato di appartenenza sindacale, che sia in grado di organizzare i lavoratori contro gli sfruttatori - che siano nazionali o internazionali - e contro i governi a loro asserviti, che elabori una piattaforma di fase adeguata, che metta insieme tutte le realtà di lotta per la costruzione di uno sciopero generale di tutte le categorie, che sia il trampolino di lancio per una vera dinamica di massa.

L’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, che con la sua piattaforma rivendicativa ha dato vita allo sciopero del 29 gennaio, è incanalata in questa giusta direzione.

• Unificare tutte le vertenze e le lotte frammentate!
• Sciopero generale ad oltranza, con la costituzione di casse di resistenza per sostenerlo!
• Pieno rispetto dei diritti sindacali. Via le leggi di precarizzazione del lavoro, a pari lavoro pari diritti!
• Blocco dei licenziamenti! Occupazione delle aziende che licenziano, e loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori!
• Riduzione generale dell’orario di lavoro a parità di paga: 30 ore pagate 40!
• Salario medio garantito a tutte le categorie di lavoratori!
• Massima tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, sotto il controllo delle lavoratrici e dei lavoratori!

Contro i capitalisti nazionali e internazionali e contro i loro governi va contrapposta l’unità di lotta della classe lavoratrice. Al fronte unico del capitale va contrapposto il fronte unico del lavoro!

Partito Comunista dei Lavoratori

Una Libia per l'ENI

 


Di Maio scorta Descalzi a Tripoli. L'imperialismo italiano alla riscossa

24 Marzo 2021

L'amministrazione delegato dell'ENI, appena assolto per un reato di tangenti, si è precipitato in Libia. Il Corriere della Sera, di proprietà Intesa Sanpaolo, titola festoso: «Il premier libico riceve Descalzi: «Riparte l'amicizia»».
In realtà l'amicizia tra ENI e Libia non era mai finita. Con buona pace dei sovranisti terzomondisti di casa nostra, ENI aveva ottime relazioni con Gheddafi, e Gheddafi con ENI. Il trattato di amicizia tra il governo Berlusconi e Gheddafi nel 2008, con tanto di amazzoni al seguito, era stato sponsorizzato innanzitutto da ENI. L'attuale premier libico di unità nazionale, Dadaiba, sostenuto dalle potenze imperialiste d'Occidente, è un vecchio imprenditore arricchitosi in epoca Gheddafi. È emerso dalla polvere della guerra civile proprio per le radici e le relazioni accumulate nella sua lunga esperienza nel mondo degli affari all'ombra di Mu'ammar. Di affari ha parlato oggi con ENI.

L'ENI non è solo la più grande azienda straniera in tutto il continente africano, ma anche la prima azienda in Libia. L'azienda che occupa il maggior numero di lavoratori libici. In altri termini, il primo padrone in Libia è italiano. Un padrone “a casa loro”.
L'azienda ha avuto, come tutte, le sue difficoltà in Libia dopo il 2010. Fosse stato per ENI, avrebbe continuato a far affari con Gheddafi, perché ordine e disciplina erano garantiti dal Colonnello, con la relativa regolarità dei profitti. Ma quando la rivoluzione araba si è rivolta contro Gheddafi, l'imperialismo francese per interessi propri trascinò l'intervento militare europeo, inclusa una Italia recalcitrante perché sentiva che non era il suo gioco. Si aprì una lunga stagione di instabilità interna e di disgregazione delle strutture statali della Libia. La Francia alla fine si è trovata a bocca asciutta, perché è salita sul cavallo sbagliato (Haftar). Russia e Turchia hanno trovato invece uno spazio insperato. L'Italia sembrava in ogni caso la grande sconfitta della vicenda libica.

Ma ora è il momento atteso della riscossa tricolore. Il nuovo premier libico sa di non avere chance negoziali con Russia e Turchia, in larga parte padrone della scena. Ha un'unica possibile sponda per restare in sella ed evitare la sorte toccata ad al-Serraj: la sponda italiana, cioè la sponda ENI.
L'ENI non ha mai cessato di operare in Libia, neppure nei momenti più difficili. Fornisce il gas, raffina il petrolio libico. La ripresa della produzione petrolifera – da mezzo milione a 1,3 milioni di barili quotidiani – è in buona parte di marchio ENI. L'azienda punta ora a «rilanciare i suoi programmi di ricerca di nuovi giacimenti di gas e petrolio nel deserto e offshore, oltre al rafforzamento di quelli esistenti a El Feel, 800 chilometri a sud di Tripoli, a Abu-Attifel, in Cirenaica, e a Mellita, presso il confine tunisino.» (Corriere della Sera, 22 marzo).

Ma l'ENI non si presenta certo a mani vuote. Porta con sé il ministro degli Esteri Di Maio, che – ci informa il Corriere – «si è fatto interprete politico di queste opportunità». Le opportunità dell'ENI, si intende. Ma non solo. Salini Impregilo è interessata alla costruzione dell'autostrada costiera e alla ricostruzione dell'aeroporto internazionale di Tripoli, su cui battono cassa le imprese turche. Lo scontro fra ambizioni ottomane e rivincita italiana passa anche da qui, dalla spartizione del business della ricostruzione, su cui si affacciano peraltro anche interessi francesi e tedeschi. Non a caso Di Maio tornerà a Tripoli giovedì insieme ai ministri degli esteri di Francia e Germania. L'Italia si candida a capotavola degli interessi occidentali in Libia per recuperarla alla propria area di influenza.

Il Corriere festeggia il tutto perché per anni ha perorato la causa dell'interesse italiano in Libia. Ha una sola preoccupazione: «Ma ci sarà la stabilità necessaria? Banditi, mercenari e milizie garantiranno il ritorno dei tecnici italiani?».
Di certo “banditi, mercenari, milizie” libiche continuano ad essere finanziati dallo Stato italiano per segregare i migranti, tra stupri, torture, sequestri, senza che il Corriere batta ciglio. Evidentemente l'unica “stabilità” che interessa a Banca Sanpaolo è la stessa che interessa a ENI. Quella che, in fondo, assicurava Gheddafi. Vecchia nostalgia canaglia.

Partito Comunista dei Lavoratori

Draghi, i padroni e gli operai

 


Il governo avanza, Landini parla. Dai lavoratori Amazon un buon segnale di lotta

23 Marzo 2021

Il governo Draghi si mette al passo delle richieste padronali.
Industria ed edilizia potranno licenziare a partire dal 30 giugno. In realtà non hanno mai smesso, grazie alle numerose eccezioni previste dal blocco e alla moltiplicazione dei licenziamenti disciplinari, che nell'anno trascorso hanno conosciuto un incremento superiore al 30%. Ma certo lo sblocco determinerà un salto dell'attacco alla occupazione. La logica dichiarata del provvedimento è consentire le ristrutturazioni aziendali. Saranno interessati centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici a tempo indeterminato, anche nei settori che hanno fatto profitti durante la pandemia: farmaceutica, buona parte dell'alimentare, ma anche industria pesante.
Parallelamente i padroni avranno la possibilità di prorogare i contratti a termine senza causale sino alla fine dell'anno. Naturalmente potranno continuare a cancellarli a loro piacimento, come hanno fatto per un anno intero con 700000 precari usa e getta. Ma se hanno intenzione e interesse a preservarli, potranno farlo per tutto il 2021 senza fornire motivazione. Il lavoro a termine senza diritti, a esclusiva tutela dei profitti, proprio come chiedeva Confindustria: occorreva il ministro del lavoro della “sinistra” interna al PD, Orlando, per confezionare il regalo.

Ora Maurizio Landini dichiara a Repubblica che i lavoratori vanno vaccinati, non licenziati. Ma non intraprende alcuna iniziativa di mobilitazione. Del resto la burocrazia sindacale è appena reduce da una cena di riconciliazione a casa Brunetta, che ha sfornato per la Pubblica Amministrazione un accordo quadro imperniato sui premi di produttività, con la miseria di pochi euro di aumento. La stessa cifra, occhio e croce, contro cui CGIL, CISL e UIL avevano scioperato definendola umiliante viene ora acclamata come risultato importante. Miracoli del governo Draghi, un governo che Landini ha pubblicamente esaltato sin dal suo sorgere allineandosi all'opinione padronale. L'unica vera preoccupazione dei dirigenti sindacali è che l'unità nazionale che sorregge il governo abbia un baricentro negoziale tutto interno alla maggioranza, tale da chiudere lo spazio di riconoscimento della burocrazia.

Un fatto nuovo oggi viene dal basso: molti lavoratori e lavoratrici hanno scioperato ieri negli stabilimenti Amazon. Tanti giovani, anche ai picchetti e ai presidi. Contro ritmi di lavoro massacranti per schiena e gambe, comandati da algoritmi, sorvegliati da capi e capetti sguinzagliati dal padrone in un clima di intimidazione e intolleranza. Nelle volontà dei vertici sindacali del settore si tratta di uno sciopero una tantum, che forse non sarebbe stato neppure indetto senza l'importante dinamica di conflittualità che ha attraversato un settore significativo della logistica per iniziativa del SICobas, e che per questo ha subito una repressione giudiziaria odiosa. Ma la valenza di uno sciopero non sta solo nella funzione che gli assegnano i burocrati, ma anche nel significato che gli attribuiscono gli scioperanti. Sicuramente un settore importante di lavoratori Amazon quest'oggi ha espresso attraverso lo sciopero la volontà di cambiare la propria condizione e di alzare la testa. In Amazon è la prima volta che accade, e non si tratta certo di un'azienda marginale. Il fatto che i lavoratori Amazon dell'Alabama, in USA, al piede di partenza della propria sindacalizzazione, abbiano solidarizzato con lo sciopero italiano è un buon segno. La lotta di classe è una vecchia talpa che può aprirsi un varco ovunque c'è sfruttamento.

Unire la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici, al di là delle appartenenze sindacali e dei confini nazionali, è funzione e responsabilità delle avanguardie. Tanto più se comuniste, internazionaliste, rivoluzionarie.

Partito Comunista dei Lavoratori

Sosteniamo la lotta dei lavoratori Amazon

 


Contro il capitale della schiavitù moderna: sciopero!

Pubblichiamo il testo del volantino che come PCL stiamo disribuendo ai presidi previsti per lo sciopero di Amazon

I lavoratori e le lavoratrici di Amazon, che nel nostro paese in tutta la filiera – tra personale diretto e in appalto - sono più di 40 mila, lunedì 22 marzo finalmente incrociano le braccia. La protesta è stata indetta, seppur tardivamente, dai sindacati confederali dei trasporti FILT CGIL, FIT CISL e UILT.


Nel settore della logistica i livelli di supersfruttamento non conoscono limiti e la repressione che si sta scaricando contro chi sta alzando la testa è da contrastare con la massima unità di tutto il movimento operaio. La vertenza di questi ultimi mesi della Fedex TNT di Piacenza, dove sono state colpite le lotte dei lavoratori con denunce, fogli di via, ritiro dei permessi di soggiorno e l’arresto dei due coordinatori territoriali del Si Cobas, è un esempio lampante di questo grave scenario.

In Amazon le lotte non sono mancate, dal 2017 a Piacenza al 2019, anche a livello internazionale, con gli scioperi in occasione del Black Friday. Nonostante il livello di sindacalizzazione in Amazon sia generalmente ancora basso, ci sono sviluppi positivi. Proprio in questi giorni si sta organizzando la sindacalizzazione di Amazon in Alabama, tenendo testa all’ostilità aziendale che non vuole riconoscerne il diritto perché teme evidentemente la forza dell’unità tra lavoratori e lavoratrici.

Mentre il fatturato di Amazon in Italia nel pieno della pandemia è aumentato del 30%, il livello di sfruttamento dei lavoratori e le condizioni generali di lavoro sono peggiorate. Le richieste sindacali di riduzione dei carichi e dell’orario di lavoro, dell’inserimento della clausola sociale per garantire continuità occupazionale, della stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali e del rispetto delle norme su salute e sicurezza sono completamente ignorate, mentre le associazioni padronali rincarano la dose ponendo sul tavolo del rinnovo del CCNL della logistica richieste irricevibili come l’aumento dell’orario di lavoro fino a 44 ore per 6 giorni settimana, 26 domeniche lavorative, festività lavorative obbligatorie, la cancellazione dei primi 3 giorni di malattia, il controllo dei lavoratori con GPS e telecamere, l’aumento dei contratti precari e la limitazione del diritto di sciopero.

È evidente che per affrontare questa situazione non basta una lotta a livello aziendale, ma si impone la necessità del più ampio fronte delle lavoratrici e dei lavoratori - a partire da uno sciopero di tutto il settore della logistica che unisca i lavoratori e le lavoratrici senza divisioni tra sigle sindacali - per uno sciopero generale di tutte le categorie di lavoratori contro gli sfruttatori nazionali e internazionali e contro i governi che li sostengono. Che non si fermi alle solo giuste richieste di carattere sindacale, ma che si ponga su un terreno di lotta e di scontro contro il sistema che genera queste barbarie, anche sul terreno dell’unità dei lavoratori sul piano internazionale, quanto più internazionale è il capitale dello sfruttamento!

• Unificare tutte le vertenze e le lotte frammentate, a livello nazionale e internazionale!

• Sciopero generale ad oltranza, con la costituzione di casse di resistenza per sostenerlo!

• Pieno rispetto dei diritti sindacali. Via le leggi di precarizzazione del lavoro, a pari lavoro pari diritti!

• Blocco dei licenziamenti! Occupazione delle aziende che licenziano, e loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori!

• Riduzione generale dell’orario di lavoro a parità di paga: 30 ore pagate 40!

• Massima tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, sotto il controllo delle lavoratrici e dei lavoratori!

Contro i capitalisti nazionali e internazionali e contro i loro governi va contrapposta l’unità di lotta della classe lavoratrice. Al fronte unico del capitale va contrapposto il fronte unico del lavoro!

Partito Comunista dei Lavoratori

19 marzo, climate strike!

 


Contro il capitalismo mascherato di verde, costruire l’alternativa anticapitalista!

A due anni dal primo sciopero globale per il clima, scendiamo di nuovo in piazza, con più coraggio e decisione! Nessuna svolta positiva per quanto riguarda le politiche ecologiche, anzi, con lo sviluppo della pandemia da SARS-CoV-2 abbiamo solo avuto la conferma che ai governi della borghesia interessa una sola cosa: il profitto.


IL NUOVO MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA

È difficile immaginare che l’equipe prescelta per la “transizione” ecologica del Paese si occupi della difesa dell’ambiente e dei territori, quando questi fini esperti e politici fino a ieri si sono occupati di armamenti, sfruttamenti energetici di territori neocolonizzati.

Le politiche ambientali di transizione ecologica di questo nuovo governo non esistono. L’Italia è l’anello debole dell’imperialismo europeo, e deve stare al passo negli scontri degli interessi tra blocchi nel Mediterraneo e in Africa. Le fonti di energia fossile sono al centro di queste mire. In particolare, il gas naturale e gli hub di approvvigionamento e stoccaggio. Un futuro programma imperialista, quindi falsamente “ecologico”, teso alla riconquista di spazi e domini in nome del profitto e con i costi a carico dei lavoratori. Altro che Recovery Fund per l’ambiente. Una cascata di soldi per la modernizzazione dell’apparato militare industriale sotto la guida dei gioielli di stato Leonardo SpA, ENI, Saipem, multinazionali dell’energia, e banche a dettarne le linee guida.


LO SCENARIO MONDIALE RICHIEDE IL RILANCIO DI UN PROGRAMMA AMBIENTALE ANTICAPITALISTA

Nello stesso bacino dell'avanguardia occorre prendere le misure del nuovo scenario. Tanto più oggi logiche di autocentratura ed autosufficienza sono prive di fondamento. Rilanciare il movimento degli studenti è necessario, ma solo la ripresa della lotta di classe contro questo governo, come contro tutti i governi della borghesia, potrà abbattere ogni mistificazione e illusione riportando al centro delle scelte la difesa del pianeta. L’esplosione del movimento Black Lives Matters negli Stati Uniti ha dimostrato come le proteste per l’ambiente dell’anno precedente, legandosi ad un movimento di classe in lotta, hanno trovato subito una nuova spinta propulsiva.

Solo con la lotta, milioni di giovani hanno potuto mettere al centro dell’attenzione il tema dell’ambiente, e solo con la lotta, la maggioranza della società potrà conquistare il suo futuro! Però occorre anche lavorare alla ricomposizione di tutte le esperienze di lotta per l’ambiente, estenderle ed intrecciarle organicamente in un unico fronte dell'avanguardia di classe, politica e sindacale, per agire insieme in una logica di massa. Perché è necessario saper mettere in campo la forza di un movimento al servizio della sua ragione, ma l’organizzazione è lo strumento necessario affinché i risultati di questo possano essere strappati! La somma di mille battaglie non fa un progetto anticapitalista, internazionalista, rivoluzionario. Ed è questo progetto quello di cui queste battaglie hanno bisogno.

La volontà e la speranza di abbattere questa società capitalista non deve essere fine a sé stessa, deve avere un obiettivo ben chiaro, ovvero l’edificazione di una nuova società socialista. A un governo espressione del capitale finanziario, non va contrapposta la semplice ricerca o richiesta di una politica verde ai governi, in modo astratto, ma va contrapposta la prospettiva concreta dell’unico governo che potrà realizzare le misure necessario per il pianeta, per la salute, per il lavoro: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro forza e organizzazione.

I militanti del PCL sono impegnati nella costruzione di un partito, in Italia e nel mondo, che lotti per elevare la coscienza politica delle masse alla comprensione della necessità dell’alternativa anticapitalistica e del socialismo. Una società in cui l’umanità possa finalmente prendersi cura della salute propria e del mondo intero.

Lotta con noi!

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione ambiente

Diretta Facebook. La comune di Parigi, memoria e futuro di un governo dei lavoratori

 


Il video dell'evento:

Iscriviti ala canale Youtube del PCL:



Domenica 21 marzo alle ore 10:30

«Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso da un salutare terrore sentendo l'espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa era la dittatura del proletariato.»

Friedrich Engels


Il 18 marzo 1871 il proletariato parigino prendeva il potere, dando vita alla prima esperienza di governo dei lavoratori della storia. A centocinquanta anni da quel grandioso avvenimento, che ha condizionato tutta la storia del movimento operaio e del marxismo rivoluzionario, ripercorriamo le vicende della Comune di Parigi in un'iniziativa online di bilancio storico, approfondimento teorico e riattualizzazione. Perché, oggi come allora, l'unica alternativa per chi non si arrende al capitalismo, alla società borghese e ai suoi governi è la lotta concreta per il potere e il governo dei lavoratori.

Domenica 21 marzo, alle ore 10:30, in diretta sulla pagina Facebook del Partito Comunista dei Lavoratori.

Intervengono:

Natale Azzaretto, commissione formazione del PCL

Franco Grisolia, direttore di Marxismo Rivoluzionario

Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL

Partito Comunista dei Lavoratori

Diretta Facebook. Riconquistiamo il diritto alla salute!

 


Venerdì 19 marzo alle ore 18:00

Prosegue la mobilitazione e il confronto sulla campagna di raccolta firme per la petizione "Riconquistiamo il diritto alla salute! Per una sanità pubblica, universale, laica, gratuita".

Appuntamento sulla pagina Facebook "Riconquistiamo il diritto alla salute" venerdì 19 marzo.

Clicca qui per firmare la petizione.

Partito Comunista dei Lavoratori

DOVEROSAMENTE PUBBLICHIAMO: L'Associazione Culturale Victor Serge ricorda Ermanno Lorenzoni a un anno dalla scomparsa

 CIAO ERMANNO

E' passato un anno. Abbiamo sentito gravemente la mancanza del nostro compagno Ermanno Lorenzoni. Tanto più in un frangente cosi drammatico,scandito dalla pandemia e dalla crisi economica, il suo contributo sarebbe stato prezioso. Sarebbe stato per noi fondamentale il suo contributo di direzione, elaborazione e proposta politica, sempre lucidi e fortemente agganciati all'attualità.

Non solo: il suo apporto sotto il profilo squisitamente umano, di intelligenza, gentilezza e ironia, solidarietà verso le compagne e i compagni, in poche parole la sua grande amicizia avrebbe costituito un corroborante essenziale all'impegno di tutte e tutti per la costruzione di una prospettiva alternativa, rivoluzionaria, indispensabile per la soddisfazione dei bisogni più elementari della classe lavoratrice in un momento così difficile in cui la crisi del capitalismo si abbatte sulle loro condizioni di vita.

Ringraziamo calorosamente le compagne e i compagni dell'Associazione Victor Serge che nelle giornata di martedì 16 marzo alle ore 21 manderanno in diretta streaming l'evento che potete vedere descritto nella locandina e che potete seguire al seguente indirizzo:

https://www.facebook.com/Associazione-Victor-Serge-111493473671848


Ciao Ermanno

le compagne e i compagni della Sezione di Bologna del PCL




VIDEO: 13 MARZO 2021 - GLI INTERVENTI DEI COMPAGNI DEL PCL E DELL'OPPOSIZIONE CGIL ALLA GRANDE MANIFESTAZIONE A PIACENZA IN SOSTEGNO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI FEDEX-TNT: ARAFT E CARLO LIBERI SUBITO!

 


Classe contro classe, forza contro forza! Intervento del compagno Luigi Sorge, operaio Stellantis di Cassino, alla manifestazione di Piacenza in solidarietà ai 25 operai della TNT che nella mattina del 10 marzo sono stati portati in Questura dopo perquisizioni e ai due coordinatori del Si Cobas che sono stati arrestati ai domiciliari con accuse di resistenza aggravata. L’imputazione è di aver guidato lo sciopero di tredici giorni contro i padroni della FedEx, che ha costretto l’azienda a un passo indietro. La resistenza allo sfruttamento non è un crimine ma un esempio. L’unica vera associazione a delinquere è la borghesia e il suo Stato! Libertà per i compagni arrestati! Arafat e Carlo liberi!


Unità di classe contro la repressione dei padroni e del loro Stato! Intervento del compagno Renato Pomari, militante dell'Opposizione CGIL e del PCL.


Partito Comunista dei Lavoratori


Fukushima. Dopo dieci anni continua il crimine del capitalismo


 Un mostro immaginario in Giappone rappresenta la resistenza a tutto l’orrore vissuto dalla sua gente dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un incubo nucleare provocato dal capitalismo e dall’imperialismo, scatenato dagli ordigni atomici di Hiroshima e Nagasaki, e negli ultimi dieci anni dalla tragedia provocata dalle radiazioni fuoriuscite dalla centrale nucleare di Fukushima.

Godzilla, il mostro nato dalle profondità dell’Oceano dopo la distruzione nucleare della fine del secondo conflitto mondiale, è esposto in sculture in tutto il Giappone, e rappresenta la rabbia e la forza della natura risvegliata contro il potere che ha portato la morte e la distruzione. La leggenda e la cultura popolare lo individua come la forza della ragione contro quella del potere, che non rispetta la natura e le sue leggi. In effetti il capitalismo e la sua logica irrazionale sono i soli responsabili della tragedia di Fukushima e di tutte le catastrofi che falsamente vengono addebitate alle forze indomabili della natura.

Il terremoto di Tohoku dell’11 marzo 2011 è stato così violento che ha spostato l'asse terrestre di quasi dieci centimetri e ha modificato quella costa del Giappone per oltre due metri. Il terremoto e il conseguente tsunami con maree alte più di 15 metri hanno ucciso circa 20.000 persone.
Come un incubo che risveglia le peggiori paure del popolo giapponese, e a dieci anni dal disastro nucleare di Fukushima, a metà dello scorso febbraio un sisma di grado 7,3 ha aggravato i danni della centrale nucleare della TEPCO, il gigante industriale dell’energia che gestisce l'impianto. Si sono aggravate le falle presenti nelle camere di contenimento primarie dei reattori 1 e 3, che hanno abbassato i livelli dell’acqua di raffreddamento del nocciolo. Nel 2011 il mondo ha assistito con apprensione nelle ore successive al sisma allo tsunami che ha colpito la costa e le centrali nucleari giapponesi, tra cui appunto Fukushima Daiichi. TEPCO e il governo giapponese sapevano che questo sarebbe potuto accadere. Solo quattro anni prima, la centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, gestita sempre dal colosso dell’energia, sulla costa nord-occidentale del Giappone aveva subito seri danni per un terremoto di magnitudo sette. 

Quelle centrali in Giappone non dovevano essere progettate, e tanto meno realizzate in quel tratto di costa e nella provincia di Fukushima, talmente erano evidenti sia l’alto rischio che le probabili conseguenze catastrofiche, ma si è preferito rincorrere il profitto. Dopo dieci anni i danni ambientali e i livelli di inquinamento causati dalla catastrofe della centrale nucleare, oltre alle più di 20.000 vittime, oltre alle decine di migliaia di sfollati che vivono ancora in condizioni ed abitazioni precarie, fanno di questo un crimine che continua ad avere conseguenze sulla vita quotidiana dei cittadini.
Tutto questo porterebbe alla messa in discussione del sistema economico attuale e a falsi indirizzi ecologici in chiave riformista, ma i progetti capitalistici internazionali sono ben altri, e passano sulla testa sia del popolo giapponese che sugli indirizzi globali minimi di difesa ambientale. Addirittura si invoca oggi da vari settori economici e politici l’energia nucleare come la bacchetta magica che potrebbe fermare i cambiamenti climatici.

La tragedia di Fukushima è un crimine che continua nel tempo. Dopo l’incidente il governo ha stabilito delle zone di evacuazione obbligatorie: la prima zona per chiunque si trovava entro un raggio di due chilometri, poi per altri 10 chilometri e poi oltre 30. Più di 160.000 persone sono state evacuate da queste zone. La disordinata migrazione tra le radiazioni ha provocato altre migliaia di morti, in particolare tra gli anziani e i più deboli senza alcuna cura medica. In quei giorni, in quei momenti, era tornato l’incubo nucleare degli ordigni esplosi a Hiroshima e Nagasaki. La forza delle onde gigantesche dello tsunami ha disabilitato i generatori che alimentano il sistema di raffreddamento della centrale. La temperatura al suo interno ha raggiunto i 2.300 gradi Celsius. Le barre di combustibile nucleare, che richiedono un intenso raffreddamento idrico, si sono sciolte rapidamente. Il fango di uranio, il corium, ha perforato le fondamenta e ha reso tre reattori un rottame impenetrabile di acciaio fuso, cemento cristallizzato e scorie nucleari.
Poi le deflagrazioni di idrogeno hanno annunciato il punto di non ritorno. Tutte le barriere di contenimento sono state frantumate e i fluidi radioattivi sono fluiti sottoterra e nel mare.
Ma la prima mossa del governo giapponese è stato l’uso della menzogna. Nel pieno dell’autodistruzione della centrale nucleare, i funzionari della TEPCO hanno rilasciato dichiarazioni alla stampa dove assicuravano al mondo che i reattori erano stabili e sotto controllo, che il combustibile veniva raffreddato e contenuto, e che non c'erano rischi per la popolazione. Per un anno hanno tenuto nascosto che la struttura della centrale fosse crollata. Solo nel 2016 il presidente della TEPCO Naomi Hirose ha ammesso che la verità era stata nascosta in accordo con il governo. Il governo disponeva di sistemi all'avanguardia per rilevare e prevedere la diffusione delle radiazioni in caso di incidente nucleare, ma quando enormi quantità di materiale radioattivo si sono diffuse nell'ambiente a seguito delle esplosioni, i dati reali sono stati tenuti nascosti all’opinione pubblica per più di un mese dopo il disastro. La Commissione per la sicurezza nucleare del governo in seguito ha ammesso l'inganno e ha apertamente confessato di aver nascosto la verità per il timore di disordini sociali.

Oggi città come Futaba, Tomioka e Okuma sono agglomerati fantasma. L’unità di misura della contaminazione radioattiva è specificata in sievert (Sv). La radiazione nel bacino di contenimento primario crollato è di circa 650 Sievert/ora. La dose mortale è di 10/50 Sievert/ora, che per 5-10 minuti di esposizione porta alla morte in una settimana. Ma bastano 5/10 sievert per morire in due settimane dopo un’esposizione di 20 minuti alle radiazioni.

Nelle zone limitrofe alla centrale, per un raggio da 20 a 40 km, stando alle ultime misurazioni, ancora oggi i livelli di radiazioni sia nelle zone chiuse che nelle aree aperte al passaggio sarebbero altissimi, da 5 a oltre 100 volte più alti del limite massimo raccomandato (circa 0,2 a 0,5 Sv). Non solo: questi livelli rimarranno in tutto il territorio per decine di anni.
Il governo e i capitalisti giapponesi hanno fretta di riportare le apparenze verso una falsa normalità, e continuano a mimetizzare il loro crimine. Molti rapporti ed indagini internazionali hanno dimostrato come il governo giapponese stia addirittura deliberatamente ingannando gli organismi e gli esperti delle Nazioni Unite che si occupano di violazioni dei diritti umani. Sono state documentate estese le violazioni del governo, in particolare per quanto concerne lavoratori impiegati per le bonifiche.
La tragedia dell’evacuazione di massa di tutta la l’area di Fukushima ha portato moltissime famiglie di lavoratori nella disperazione. Famiglie che ora vengono sfruttate per le pericolose operazioni di bonifiche senza diritti, con insufficienti protezioni e con paghe da fame, dentro un’emergenza schiacciata tra gli interessi di mafie locali, sindacati debolissimi e politici corrotti. È previsto che le bonifiche del territorio in queste condizioni dovranno continuare per almeno mezzo secolo. Tutto il mondo però si appresta a partecipare all’assurda vetrina delle Olimpiadi tra i crimini generalizzati e nascosti alla popolazione giapponese, in una dimostrazione di forza del capitalismo post-pandemia di Covid 19.

Solo la lotta di classe può riportare giustizia, contrapponendo alla forza della barbarie la forza di un possibile e necessario programma di un futuro governo dei lavoratori. Tutta l’area del Pacifico è un teatro di confronto tra i blocchi imperialisti. La corsa al riarmo nucleare, il confronto militare tra le varie potenze in campo si susseguono velocemente. Chi detiene il controllo dell’energia nucleare è anche in grado di padroneggiare la produzione di ordigni atomici.

Il nucleare è nato nel secondo conflitto mondiale come arma di distruzione di massa, e il Giappone è stato il primo teatro di morte per questa tecnologia militare. L’energia generata dalla manipolazione delle forze dell’universo sotto il controllo del capitalismo è un vero abominio. Nata per essere un’arma potentissima dell’imperialismo, viene utilizzata anche come risorsa di energia da un capitalismo predatorio. Una fonte di energia costosissima e non conveniente persino per un capitalismo sempre più in crisi, ma fonte di forza e potere politico per le borghesie al potere.
Fukushima e le tragedie che l’hanno preceduta ne sono la prova lampante. I marxisti rivoluzionari non possono dimenticare che le prime vittime dei crimini come quello in atto in Giappone sono i lavoratori, impiegati e sfruttati nei progetti industriali e nelle conseguenti catastrofi in nome del profitto. Solo la lotta di classe e un programma di rivoluzione globale sono in grado di difendere il pianeta da queste barbarie.

Ruggero Rognoni

Libertà per i compagni di Piacenza arrestati!

 


Giù le mani dagli operai e dalle loro lotte!

10 Marzo 2021

Questa mattina 25 operai della TNT di Piacenza sono stati portati in Questura dopo perquisizioni e due coordinatori del Si Cobas sono stati arrestati ai domiciliari con accuse di resistenza aggravata. L’imputazione è di aver guidato lo sciopero di tredici giorni contro i padroni della FedEx, che ha costretto l’azienda a un passo indietro.

Il fatto è gravissimo. Una vera e propria vendetta padronale sugli operai commissionata alla Questura. Non è un caso che le associazioni padronali del territorio, e non solo, avessero criminalizzato la lotta della FedEx lamentando un polso “troppo morbido” delle forze dell’ordine. Ora sono state accontentate. Il loro scopo non è solo punire le avanguardie della FedEx, prendendosi una vigliacca rivincita sulla sconfitta subita, ma intimidire preventivamente ogni possibile contagio di questa lotta esemplare.

Per questa stessa ragione è necessaria e urgente una grande mobilitazione unitaria a difesa dei compagni arrestati per la loro immediata liberazione. La resistenza allo sfruttamento non è un crimine ma un esempio. L’unica vera associazione a delinquere è la borghesia e il suo Stato.

Tutte le organizzazioni politiche e sindacali della classe operaia, a partire dal sindacalismo di classe, hanno ora il dovere di prendere posizione a favore degli operai arrestati, senza ambiguità e reticenze. Non è in discussione questo o quel sindacato, ma il diritto alla lotta dei lavoratori e delle lavoratrici. Per questo, nei limiti delle nostre forze, siamo e ci sentiamo impegnati in queste ore a favorire la più ampia iniziativa di solidarietà.

Giù le mani dagli operai! Libertà immediata per gli arrestati!

Partito Comunista dei Lavoratori

Riconquistiamo il diritto alla salute!

 


I dati che la cronaca sottolinea quotidianamente evidenziano l'enorme prezzo che il nostro paese sta pagando in termini di vite umane alla pandemia da coronavirus in atto, e con esso le pesanti ricadute sul piano economico e sociale. Ciò non è casuale, ma la diretta conseguenza della crisi del nostro Servizio Sanitario Nazionale, frutto delle politiche succedutesi negli ultimi decenni all'insegna del liberismo, dell'austerità, degli interessi del capitale finanziario. Politiche promosse peraltro in tutta Europa, da ogni governo.

Quanto emerso durante la prima fase ha reso palese tutto ciò ed evidenziato la necessità di intervenire con decisione sul terreno del contenimento della diffusione della pandemia, della cura. Ciò per tanta parte non è accaduto: le misure adottate si sono rivelate confuse, contrastanti, largamente inadeguate, e ciò che si temeva, ossia una seconda ondata di contagi, è divenuta realtà.

Un disastro annunciato, la cui responsabilità è da attribuire in egual misura al governo centrale ed ai vari governi regionali, accomunati dalla volontà di non rompere con la logica della regionalizzazione dell'organizzazione e gestione della sanità, della corsa alla privatizzazione del sistema, al punto che il vero soggetto vincente ad un anno dall'inizio della pandemia sembra essere paradossalmente la sanità privata.

Oggi, a fronte di quella che per molti è una terza ondata, l'attenzione si è giocoforza spostata sul terreno della somministrazione dei vaccini, finalmente disponibili, ed ancora una volta i limiti del sistema emergono con forza.

L'avere abbandonato la strada di un polo pubblico volto alla ricerca, alla produzione ed alla distribuzione degli stessi, come di altri farmaci e presidi medico sanitari, l'avere rispettato gli interessi delle multinazionali farmaceutiche ed il loro monopolio dei brevetti ha esposto il nostro paese, così come l'intera Unione Europea, alla quale ne è stato delegato l'acquisto e la distribuzione, ad un ricatto inaccettabile, dettato unicamente dalla volontà di profitto.

Ciò che ad oggi si evidenzia è una insufficiente trasparenza circa i termini degli accordi sottoscritti, una immotivata disparità di costi tra un vaccino e l'altro, ritardi consistenti sui tempi della consegna ai diversi stati, e quindi un allungamento dei tempi per il raggiungimento della “immunità di gregge” necessaria al superamento della pandemia, ed il rischio concreto è che a tanti paesi del mondo quei vaccini non arrivino affatto, e comunque con tempi assai diversi, evidenziando ancora una volta quanto il diritto alla salute continui ad essere subordinato alla ricchezza disponibile (ad oggi sono 130 i paesi che non hanno avviato la vaccinazione).

Ciò conferma che è il sistema a dovere essere ripensato alla radice. Noi riteniamo necessario che i vaccini siano considerati un bene comune globale, che si superi la logica imperante dei brevetti, che la sua somministrazione sia gratuita ed a disposizione dell'intera umanità, e ci sentiamo pertanto
impegnati a sostenere le iniziative che muovono in tal senso.

Per quanto concerne il nostro paese chiediamo che il governo e le regioni mettano in campo uno sforzo assai maggiore di quello in essere, affinché si stringano i tempi della vaccinazione di massa (ai ritmi odierni occorrerebbero almeno tre anni), garantendone sempre e comunque la gratuità, e per fare questo occorre utilizzare, nel rispetto delle procedure, ogni spazio e modalità disponibile, mettere a disposizione molto più personale di quello ad oggi utilizzato, garantire tutta la strumentazione necessaria.

Al di là della decisiva questione della vaccinazione, resta l'esigenza di una profonda riforma del Servizio Sanitario Nazionale nella direzione da noi indicata con la campagna “ Riconquistiamo il diritto alla salute”, a sostegno di proposte chiare, fattibili.

Oggi più che mai occorre rivendicare la ridefinizione dell'assetto dei servizi di prevenzione, cura, riabilitazione, ospedalieri e territoriali, anche attraverso la riapertura di ospedali soppressi, la definizione di strutture ad hoc, attuando processi di reinternalizzazione, etc.

Ciò che serve è un vero e proprio piano che muova in tale direzione, un piano pubblico, per strutture pubbliche, che rompa con la logica del ricorso al privato parassitario di questi anni, i cui risultati fallimentari sono sotto gli occhi di tutti.

La sanità deve essere interamente pubblica.
Ciò che occorre affermare è un piano straordinario di stabilizzazione di tutto il personale precario e di assunzioni di almeno 40000 unità di personale medico, di almeno 80000 unità di personale infermieristico, nonché di un congruo numero di personale ausiliario, con contratti a tempo indeterminato, che passa attraverso la definizione di idonei percorsi formativi, ed una politica davvero volta a riconoscere adeguatamente il lavoro dello stesso.

Tutto ciò deve e può essere finanziato: le risorse ci sono.
Qui si colloca la questione del recovery fund, che a fronte di una disponibilità complessiva di 209 miliardi di euro, ne prevede soltanto 19 per la sanità, nonostante lo stesso governo uscente abbia a più riprese parlato di un fabbisogno complessivo di almeno 40 miliardi, nonché dello stesso recovery plan, che allo stato si è soffermato soprattutto sul processo di digitalizzazione del sistema. Una scelta, quella del mettere in campo risorse attraverso il ricorso al recovery fund, che rappresenta nel suo complesso una operazione di indebitamento pubblico, che in prospettiva finirà con l'essere scaricato ancora una volta sulle masse popolari, sullo stesso sistema sanitario, che va ostacolata. Occorre che l'investimento nella sanità pubblica sia finanziato da una patrimoniale sulle grandi ricchezze.

Ciò che serve è mettere in campo un'azione di lotta, ampia ed articolata, in grado di imporre tale scelta, di sostenere le proposte formulate per il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale; ciò è parte della necessaria opposizione al governo Draghi, espressione delle élite economico-finanziarie che in Italia come in Europa portano la responsabilità del progressivo smantellamento del sistema di welfare, segnatamente del sistema sanitario.

È necessario riconquistare il diritto alla salute, affermare una sanità pubblica, universale, laica, gratuita.
La campagna continua, noi ci siamo!


Marzo 2021



Lettera aperta a tutte le realtà della sinistra di classe in occasione dell’8 marzo

 


Car* compagne e compagn*,

la fase che stiamo attraversando, determinata dalla pandemia da Covid-19, che sta scaricando i suoi effetti in modo pesante e particolare sulle donne, segna la necessità del più ampio fronte nel campo delle oppressioni di genere.

Il nuovo governo presieduto da Draghi riprenderà il cammino tracciato dai governi precedenti, ma forte del suo presunto “tecnicismo” e puntando tutto sulla immagine del capo super partes alla guida di una squadra di unità nazionale della borghesia e dei suoi partiti. Quale figura più adatta per imporre decisioni che peseranno sulla classe lavoratrice e le masse e popolari?

Il Recovery Fund, 209 miliardi di cui 130 in prestito con tasso “agevolato”, pone già una ipoteca su pensioni, scuola e sanità. A questo si aggiungono le pressioni di Confindustria per lo sblocco dei licenziamenti, per dirottare parte cospicua di quei finanziamenti alle ristrutturazioni industriali e per tentare la mossa di una riforma del fisco chiedendo la cancellazione dell’IRAP e la revisione degli scaglioni IRPEF.

Come giovani e donne stiamo già ora affrontando duramente la crisi pandemica che ha aggravato la situazione di crisi economica preesistente e la fase che ci aspetta, per quanto difficile da prevedere con precisione, non promette nulla di buono. 

I soggetti più colpiti dal Covid da un punto di vista economico siamo proprio noi: su un calo occupazionale di circa 550.000 posti di lavoro il 60% riguarda le donne. A ciò si aggiunge l’aumento della disoccupazione e al contempo le richieste di lavoro part-time per sostenere il doppio lavoro che da sempre contraddistingue la nostra condizione di vita. Molte di noi oggi devono prendersi cura non solo dei figli a casa da scuola, ma anche dei genitori o dei nonni.

Si affianca a tutto questo l’attacco alla salute sessuale e riproduttiva, che vede in campo la minaccia congiunta di forze reazionarie e mondo cattolico. Le regioni Umbria, Marche e ora anche Abruzzo, sotto la guida delle destre, si sono schierate contro l’uso ambulatoriale della RU486, considerata, a torto e senza evidenze scientifiche, una procedura pericolosa, preferendo a questa l’utilizzo della IVG chirurgica (!), in un periodo peraltro delicato e nel quale andrebbe garantita la deospedalizzazione di alcune procedure per evitare il rischio del contagio da coronavirus.

Infine, uno sguardo dovuto a quanto accade tra le mura domestiche, nelle case di tanti paesi del mondo. Durante la pandemia sono aumentati gli episodi di violenza di genere e i femminicidi. Il confinamento ha acuito il fenomeno, pur non essendone la causa, poiché la ricerca di aiuto e l’isolamento non hanno potuto ricevere adeguati e pronti interventi. I percorsi di denuncia e fuoriuscita dalla violenza sono già di per sé molto difficili e dolorosi da affrontare, a maggior motivo in una situazione come questa.

Violenza che purtroppo si abbatte anche su donne immigrate che subiscono le peggiori nefandezze nei luoghi di lavoro, per non parlare della violenza disumana agita sulle donne e le trans all’interno della tratta.

Quando pensiamo a come poter reagire a tutto questo, guardiamo alle esperienze che ci danno la forza per lottare, ammiriamo il coraggio delle donne argentine che hanno ottenuto con la loro lotta una importante vittoria sulla legalizzazione dell’aborto, nonostante il diritto all’interruzione di gravidanza sia comunque rimasto ostacolato dall’obiezione di coscienza e la legge non corrisponda agli elementi e alle rivendicazioni progressive avanzate dalla Campagna Nazionale per il Diritto all’Aborto Legale, Sicuro e Gratuito – la marea verde – e rischi di essere sottoposta a eventuali successive modifiche. Sappiamo bene che le conquiste non sono mai date per sempre (come dimostrano i riflussi reazionari che anche nel nostro paese minano l’applicazione delle Legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza) e che vanno mantenute con la forza e il presidio del conflitto. Le donne polacche non sono certo da meno, per quanto vivano in un contesto molto differente e siano riuscite a costruire tenacemente una lotta estesa contro il fronte antiabortista, cattolico e reazionario.

Ci sono nel mondo realtà di movimento, come in questi ultimi anni quello di Non Una di Meno, che sono state capaci di riportare migliaia di donne in piazza per denunciare il dilagare dei femminicidi, difendere l’autodeterminazione nella salute sessuale e riproduttiva, i propri diritti sociali e le proprie condizioni economiche, alla ricerca di una emancipazione necessaria per mettere la parola fine al patriarcato.

Di questo movimento, pur non potendone condividere da un punto di vista marxista, anticapitalista e rivoluzionario l’impostazione, che non indica la necessità di una rottura rivoluzionaria con questo sistema sociale, noi appoggiamo diverse importanti rivendicazioni di carattere progressivo. Soprattutto riteniamo che sia necessaria la convergenza delle lotte e la più ampia dimensione di massa delle mobilitazioni contro tutte le oppressioni di genere: il tenersi insieme in un fronte ampio, diversamente composto da un punto di vista politico e sindacale ma che si collochi nettamente contro l’alleanza criminale del capitalismo e del patriarcato, in una prospettiva internazionalista.

Un fronte d’azione unitario nelle piazze e soprattutto nei luoghi di sfruttamento. Un fronte che sappia mobilitare le donne e tutte le persone che subiscono oppressione di genere e che ponga all’interno delle strutture sindacali e politiche la necessità di fronteggiare con radicalità questo sistema criminale, oppressivo e violento.
Un fronte che deve nascere da tutt* noi, superando ciascun* steccati e settarismi, atteggiamenti autocentrati e isolazionismi: la gravità del momento storico e la portata degli attacchi che subiamo in quanto donne rende questo fronte non solo necessario, ma dolorosamente urgente.

Bisogna ripartire dal bagaglio della memoria collettiva e depurarla dalle distorsioni della cultura borghese attualmente egemone.

Durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, la grande rivoluzionaria Clara Zetkin aveva proposto di fissare nel mese di marzo la giornata internazionale della donna in omaggio alle operaie che avevano portato avanti le prime lotte radicali contro il capitalismo, nelle fabbriche tessili newyorkesi. Nel 1914 le socialiste tedesche, russe e svedesi scelsero proprio l’8 marzo per celebrare questa giornata. Proprio in quella data nel 1917 le operaie tessili di Krasnaja Nit’ a Pietrogrado furono la scintilla che innescò la Rivoluzione russa.

L’urgenza dell’azione unitaria che dobbiamo mettere in campo oggi, uccise nelle nostre case, ammalate sui posti di lavoro, gravate da compiti di assistenza disumani e da tutti i costi di una crisi sanitaria ed economica globale, richiama ciò che spinse alla ribellione le donne del ‘17.

Questa è la linea di intervento di noi compagne e compagn* del PCL, che oggi come sempre saremo impegnat* in ogni percorso che possa contribuire ad abbattere congiuntamente capitalismo e patriarcato nella prospettiva del rovesciamento di questa società fallita e necrotica.

Una giornata, dunque, di lotta e di mobilitazione, che non può essere taciuta e che deve necessariamente riprendere lo spirito con cui è nata. Oggi come ieri.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere
IL VIDEO DELL'INIZIATIVA "LE DONNE AL TEMPO DELLA PANDEMIA"  che si è tenuta domenica 7 marzo: