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Il PCL aderisce all'appello per il diritto alla residenza


 Il Partito Comunista dei Lavoratori risponde all'appello per il diritto alla residenza e l’abrogazione dell’articolo 5 del decreto Renzi-Lupi (1), che prevede che «chiunque occupi abusivamente un immobile senza titolo non possa chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi» e vieta per cinque anni agli occupanti di immobili pubblici la partecipazione all’assegnazione di alloggi. L’articolo 5, come viene correttamente evidenziato nel documento dell’appello, colpisce decine di migliaia di persone ed esclude dall’anagrafe chi è costretto dalle sue condizioni materiali a occupare immobili o ad accettare affitti in nero, non potendo ottenere la residenza.


L’articolo 5 nega i diritti fondamentali della persona, tra cui rientra ovviamente il diritto alla casa. Sembra paradossale che una legge di uno stato di diritto impedisca alle persone di garantirsi l’igiene, il caldo d’inverno e il fresco d’estate, la cucina, il riposo, il luogo di crescita per i propri figli. Sembra, ma non è paradossale: tutto ciò si inserisce nelle logiche di tutela dei grandi patrimoni immobiliari, dei ricatti perpetuati dalle banche e dai loro mutui, dalla logica tutta liberale per cui per poter garantirsi un tetto si è costretti ad accettare le condizioni di lavoro più meschine.
In poche parole, è coerente con gli interessi della borghesia e del suo comitato d'affari: lo stato borghese.

Il Partito Comunista dei Lavoratori sottoscrive l’appello inserendolo entro il suo programma più ampio per il diritto alla casa, e rivendica:

- il blocco a tempo indeterminato degli sfratti: nessuno deve essere più gettato per strada dalla violenza borghese;
- l'esproprio senza indennizzo dei grandi patrimoni immobiliari di banche e clero. Le case per tutti ci sono, vanno espropriate a chi le tiene vuote per non fare abbassare il prezzo degli affitti.
- l'introduzione di una legge per calmierare il mercato dei fitti. Il guadagno sui fitti si aggirava, nel 2019, intorno al 4% medio annuo (al netto di tasse e spese). Senza nulla fare, solo per essere proprietari. Spesso un affitto supera il 40% dei guadagni di una persona.
- un programma di edilizia popolare. Lo Stato deve mettere in campo un vasto piano di edilizia popolare, in modo da dare un tetto alle famiglie che da anni attendono in graduatoria.

Siamo convinti che questa vertenza debba unirsi a quella più ampia dei salariati nella prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, l'unico che può rispondere ai bisogni degli sfruttati.



(1) "Diritti, libertà, uguaglianza: appello per la cancellazione dell’articolo 5", https://www.cnca.it/wp-content/uploads/2024/06/Appello-art-5_19-giugno-2024_con-firme.pdf

Partito Comunista dei Lavoratori

L'assassinio di Satnam Singh, uno squarcio sulla società borghese

 


Un invito alla mobilitazione generale

24 Giugno 2024

L'assassinio di Satnam Singh – spappolato dallo sfruttamento e gettato sanguinante davanti a casa con un braccio amputato in una cassetta di frutta – ha richiamato l'ennesimo pianto ipocrita di tutta la stampa borghese sulle condizioni del lavoro degli immigrati e delle immigrate, e l'immancabile giostra di promesse a futura memoria. Sino al prossimo crimine, naturalmente, dopo il quale il giro ricomincia ogni volta.

La situazione è semplice nella sua brutalità. Larga parte dell'agricoltura tricolore si fonda sul supersfruttamento di manodopera immigrata, prevalentemente asiatica e africana, ma anche est-europea. Quasi 300000 braccianti sono costretti a lavorare con salari da fame, sino a meno di un euro all'ora, per 12-14 ore giornaliere (e a volte più), senza le minime garanzie di sicurezza, condannati a pagare l'affitto in baracche di lamiera senza bagno, umiliati giorno dopo giorno da padroni e padroncini che li trattano alla stregua degli schiavi. Nel migliore dei casi si tratta di salariati con contratti stagionali, che non possono spesso essere trasformati in rapporti di lavoro a tempo determinato o indeterminato per via dell'esistenza di tetti massimi legali invalicabili. Contratti stagionali scritti peraltro sulla carta e per lo più ignorati nei fatti. Ma molte volte la realtà è anche peggiore.

Il metodo usato dall'azienda agricola del padron Lovato, assassino di Satnam, è esemplare. Il lavoratore viene assunto, lo si fa lavorare in condizioni invivibili per il numero di giorni necessari a fargli maturare il sussidio di disoccupazione, poi viene licenziato per finta, e lo si tiene a lavorare alle condizioni di prima o ancora più infami: in nero, ma con metà paga, dato che l'altra parte la paga l'INPS. In caso di accertamento giudiziario, l'accusa di truffa viene scaricata sul lavoratore.
Questo metodo dello sfruttamento in nero con truffa padronale non è affatto un caso limite, ma una regola diffusa. La ricattabilità del lavoratore è ovunque la leva del suo sfruttamento brutale. Il caporalato il braccio armato del padrone.

Non solo. I padroni sfruttatori, che truffano l'INPS attraverso il lavoro nero, sono gli stessi che la fanno franca. Sia perché le ispezioni sono rare, sia perché, anche quando incorrono in un accertamento imprevisto, risolvono la cosa col pagamento di qualche multa (già contabilizzata a bilancio) e con la promessa di riparare in futuro. Dopo di che tutto torna come prima. Ed anzi le stesse aziende che non dichiarano dipendenti grazie alla truffa del lavoro nero incassano spesso i fondi europei. Salvo poi portare in piazza i trattori per rivendicare sussidi maggiori. Questa è l'agricoltura tricolore che il ministro Lollobrigida invita a non criminalizzare. Ciò che significa letteralmente coprire i criminali. A partire dalla roccaforte elettorale di Fratelli d'Italia nell'agro pontino.

La disparità di trattamento è scandalosa. Un immigrato senza permesso di soggiorno, perché magari licenziato, finisce nel lager di un centro per il rimpatrio. Ma il padrone Lovato che ha scaricato davanti a casa un uomo morente e il suo braccio amputato in una cassa di frutta, che ha lavato le tracce di sangue dal furgone, che ha sequestrato i telefoni dei suoi compagni di lavoro per impedire loro di chiamare i soccorsi, resta tranquillamente a piede libero. Ed anzi accusa Satnam di leggerezza, cioè di essersela cercata e di avergli così procurato dei guai. La natura della democrazia borghese è riassunta alla perfezione da questa immonda vicenda.

Questa vicenda chiama in causa precise responsabilità politiche. Governi borghesi di ogni colore hanno vantato per decenni la “lotta al caporalato”. Il governo Renzi nel 2014 varò la trovata della Rete del lavoro agricolo di qualità come strumento di normalizzazione legale dei rapporti di lavoro nei campi. Tutti i governi successivi, inclusi i governi Conte e Draghi, si sono appoggiati sulla stessa retorica legalitaria. Sarebbe bastato “premiare” le aziende che non ricorrono al caporalato per risolvere il problema.
Ebbene, parlano i numeri. Dopo dieci anni dal suo varo, su una platea di 175000 aziende solo 6000 sono iscritte alla rete. Cosa significa? Significa che il mercato capitalista e l'assenza di controlli (anche per il taglio verticale degli ispettori) rende assai più conveniente il supersfruttamento illegale rispetto all'osservanza delle norme. Tanto più in assenza di punizioni reali per chi le viola. Quanto ai “premi” previsti per le aziende regolari (bollini di qualità per i loro prodotti o nuove decontribuzioni), sono ben poca cosa rispetto ai profitti assicurati dal lavoro schiavile. Per non parlare del fatto che i premi sono incassati assai spesso anche da aziende che “regolari” non lo sono affatto e non hanno alcuna intenzione di diventarlo.

Che fare, allora? È necessario che il movimento operaio e sindacale vada oltre la denuncia del malaffare nelle campagne, e apra una vertenza vera attorno a precise rivendicazioni di classe.
Certo, la Bossi-Fini, ben conservata da tutti i governi per oltre vent'anni, va cancellata perché funzionale allo sfruttamento. Ma non basta. Occorre rivendicare l'introduzione del reato penale per i padroni che ricorrono al lavoro nero; la regolarizzazione legale e contrattuale di tutti i salariati impiegati nei campi, a partire dall'immediato permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri che denunciano irregolarità; un controllo sindacale capillare sull'intero territorio nazionale, anche col ricorso strutture di autodifesa contro violenze e minacce dei caporali.
Solo la forza del movimento operaio può imporre una svolta nelle campagne.

E non solo. Il tema del lavoro precario, supersfruttato, sottopagato, si estende a tutti i settori dell'economia: nella produzione, nei servizi, nella logistica, nell'edilizia, nei trasporti, nella ristorazione, nel turismo. Sei milioni di salariati guadagnano meno di 850 euro al mese, altri due milioni ricevono meno di 1200 euro. Il precariato, la pratica degli appalti e dei subappalti con la corsa al massimo ribasso, il dilagare del part time involontario, in particolare nel lavoro femminile, la vergogna degli stage non pagati per milioni di giovani, sono tutti strumenti fra loro combinati che schiacciano verso il basso salari e diritti. È necessaria allora una vertenza generale che metta insieme la rivendicazione di un forte aumento salariale per tutti con la cancellazione di tutte le forme di lavoro precario. Per i lavoratori e le lavoratrici del Nord e del Sud, per italiani/e e migranti. A pari lavoro, pari diritti per tutte e per tutti.

Ben vengano i referendum contro il Jobs Act promosso dalla CGIL. È una battaglia che deve impegnare tutti. Ma non basta. Occorre ricondurre l'impegno referendario ad una piattaforma generale che unisca in un unico fronte reale di lotta 18 milioni di salariati. Una forza enorme. Una forza che può ribaltare dal basso l'intero scenario politico. Una forza che se organizzata e cosciente può ambire a imporre un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, che rompa col capitalismo e riorganizzi tutta la società su basi nuove. L'unica vera alternativa per gli sfruttati e gli oppressi.

Partito Comunista dei Lavoratori

Primi elementi di analisi del voto per le europee in Europa e in Italia

 


Per una iniziativa di classe, per una svolta di fondo

12 Giugno 2024

English translation

Il voto in Europa per il rinnovo del Parlamento UE è la risultante d'insieme dell'esito elettorale di ciascun paese, ove a prevalere nelle motivazioni di voto è il quadro politico nazionale.

Tuttavia è possibile segnalare alcune linee di tendenza sul piano continentale.

Il PPE (Partito Popolare Europeo) conferma e consolida la propria centralità nella UE, quale architrave dei suoi equilibri politici. Si è affermato come primo partito in Germania, Spagna, Polonia, Grecia, Slovenia, Irlanda. Complessivamente incrementa i propri seggi nel Parlamento Europeo, passando da 179 a 186 seggi.
Il campo liberale (ALDE, Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa) conosce un netto indebolimento, trascinato dalla pesante sconfitta in Francia, in Belgio, in Spagna. Passa da 106 a 79 seggi.
L'area dei Verdi subisce un forte arretramento, per via delle sconfitte registrate in Germania e Francia. Passa da 74 a 52 seggi.
Il PSE (Partito Socialista Europeo) registra complessivamente un arretramento a livello europeo (passando da 153 a 137 seggi), con risultati differenziati da paese a paese. Crolla al suo minimo storico in Germania, dove guida il governo; conosce una ripresa in Francia dopo il tracollo successivo al governo di Hollande; consegue il primato in altri paesi, come i Paesi Bassi, la Svezia e il Portogallo, mentre in Italia si rafforza col risultato del PD.

Il campo del Partito della Sinistra Europea, i cui soggetti sono stati attraversati negli anni da processi di crisi o disarticolazione più o meno profonda, mantiene complessivamente inalterata la propria presenza nel Parlamento Europeo (con 36 seggi, perdendo un seggio), ma con risultati e dinamiche molto differenziati nei diversi contesti. In Spagna registra la pesante sconfitta di Sumar, non compensata da Podemos; in Francia, nonostante la crisi di NUPES, preserva una forza relativamente consistente (tra la France Insoumise di Mélenchon al 10% e il PCF al 2,3%); in Germania ha subito la scissione di Die Linke (attestata tra il 2 e il 3%) con la nascita alla sua destra di una formazione rossobruna che supera il 5%.

Le destre sovraniste si rafforzano sia nella composita componente ECR (Conservatori e Riformisti Europei), presieduta da Giorgia Meloni (che passa da 64 a 73 seggi), che nella altrettanto composita componente ID (Identità e Democrazia), dominata da Marine Le Pen (che passa da 49 a 58 seggi). A ciò si aggiunge il risultato riportato dall'estrema destra di AfD in Germania, recentemente allontanata da ID (che ha conseguito il 16%).
Complessivamente le forze della destra incrementano dunque i propri seggi nel Parlamento Europeo. Ma non si tratta di un'avanzata né travolgente né uniforme. Il risultato delle destre è infatti marcatamente differenziato da paese a paese. Calano ad esempio elettoralmente in Polonia (con un netto arretramento del PiS), in Ungheria (dove il partito di Orban perde otto punti percentuali), in Svezia, in Slovacchia.
Da un punto di vista politico, l'espressione principale del rafforzamento delle destre è la forte affermazione registrata in paesi imperialistici chiave della UE come la Francia (con il Rassemblement National oltre il 32%), l'Italia (con Fratelli d'Italia al 28,8%), la Germania (con la forte crescita di Alternative für Deutschland), ciò che ha naturalmente una rilevanza politica continentale.
In Francia l'affermazione di Le Pen ha innescato una crisi degli equilibri politico-istituzionali, con lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale e la convocazione elle elezioni politiche, un passaggio cruciale su cui torneremo in una prossima nota.

Negli anni cruciali della pandemia, della guerra, della crescita delle disuguaglianze sociali, l'assenza di una iniziativa di lotta del movimento operaio, per responsabilità delle sue direzioni sindacali e politiche, ha consentito un rafforzamento complessivo del campo politico borghese, e al suo interno del sovranismo reazionario.
Le destre sovraniste, al netto delle loro diverse dinamiche e contraddizioni, capitalizzano la crisi congiunta del liberalismo borghese e del movimento operaio, puntando ad una egemonia piccolo-borghese reazionaria su ampie fasce di popolazione povera urbana e rurale, e su settori rilevanti della stessa classe operaia industriale.


LA POLARIZZAZIONE ELETTORALE IN ITALIA

I risultati elettorali in Italia stanno dentro questa cornice europea, con particolarità nazionali proprie.

L'affluenza al voto in Italia è calata nettamente rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2022, passando dal 64% al 49%, in contrasto con la tendenza opposta di altri paesi (Germania).

La polarizzazione elettorale è il profilo più evidente del voto italiano.

Il governo a guida postfascista esce consolidato dalla prova elettorale. Fratelli d'Italia rafforza la propria percentuale di voto rispetto al dato già straordinario delle elezioni politiche del 25 settembre 2022 (26%) raggiungendo il 28,8%. Forza Italia sopravvive alla morte di Berlusconi consolidando i propri risultati (dal 8,1% delle politiche al 9,6%), a fronte anche della frantumazione e dispersione del polo di centro, Calenda da un lato, Renzi e Bonino dall'altro. La Lega di Salvini preserva sostanzialmente la forza registrata alle elezioni politiche (passando dal 8,8% al 9,07%) con l'aiuto della candidatura Vannacci, seppur con un indebolimento in regioni del Nord. Complessivamente la maggioranza di governo passa dal 44% delle elezioni politiche al 48% delle europee (pur arretrando in voti assoluti, in misura maggiore o minore, in tutte le sue componenti). Dopo due anni di governo, è un dato di indubbia valenza politica. A differenza di Francia e Germania, l'Italia registra in questa fase una relativa stabilità di governo.

Il PD borghese liberale capitalizza a proprio vantaggio la polarizzazione dello scontro con il governo, e con Giorgia Meloni in particolare, e anche l'effetto immagine del nuovo corso di Elly Schlein, più marcato sul terreno del richiamo ai diritti civili e ai temi sociali. Da qui un netto rafforzamento elettorale del PD, che passa dal 19% delle elezioni politiche del 2022 al 24,1%, con l'incremento di un milione di voti assoluti e il conseguimento del primato nel Mezzogiorno. È un risultato che rafforza la nuova segreteria del partito sul versante interno, e la sua posizione negoziale verso le altre componenti di un virtuale centrosinistra. Tanto più a fronte della pesante sconfitta elettorale del M5S, che passa dal 15,6% delle politiche al 10%, perdendo due milioni di voti, prevalentemente in direzione dell'astensione ma anche dello stesso PD e di AVS (Alleanza Verdi e Sinistra).

Un risultato notevole, sia elettorale che politico, è quello riportato dalla Alleanza Verdi e Sinistra, che non solo supera lo sbarramento del 4% ma raggiunge il 6,7%, con più di un milione e mezzo di voti. Un risultato tanto più rilevante perché conseguito in presenza di una forte ripresa del PD. Sicuramente la candidatura di Ilaria Salis – che abbiamo sostenuto nel Nord-Ovest e che vogliamo immediatamente libera – ha contribuito in modo importante al risultato per il suo forte richiamo democratico, anche al di là delle circoscrizioni del Nord-Ovest, in cui era capolista, e delle Isole, in cui era candidata. Ma al di là del richiamo di Salis, il raddoppio delle percentuali delle elezioni politiche e l'incremento di oltre 500000 voti assoluti rispetto al 2022 indica che AVS sembra raccogliere una domanda di rappresentanza a sinistra del PD di un settore più ampio di popolo della sinistra: una domanda non priva di contraddizioni con la politica organica e irreversibile di coalizione col PD liberale che i gruppi dirigenti di AVS perseguono. Una contraddizione oggi parzialmente occultata dal corso politico “di sinistra” di Elly Schlein.

Di certo l'affermazione di AVS sottolinea la sconfitta politica della lista Santoro, comprensiva di Rifondazione Comunista. Santoro puntava a ottenere almeno una soglia del 3%, che gli consentisse di partecipare alla negoziazione successiva con i partiti del centrosinistra in vista delle elezioni politiche. Il risultato ottenuto, per quanto superiore alle quotazioni elettorali di Unione Popolare, è stato molto al di sotto di quella soglia. Mentre il successo di AVS quale sinistra del centrosinistra occupa lo spazio ambito da Santoro.

Complessivamente, dallo scenario del voto sembra emergere un bipolarismo d'immagine tra il campo della destra e quello di centrosinistra. Il governo si consolida attorno a “Giorgia”, e al tempo stesso si accredita nella percezione pubblica l'”alternativa Schlein”. Con la differenza che la coalizione di governo è un polo definito e strutturato, mentre il centrosinistra liberalprogressista resta disarticolato e virtuale. Ciò che spinge la borghesia italiana, a partire dai nuovi vertici di Confindustria, a confermare il proprio sostegno al governo Meloni.


PERCHÉ IL GOVERNO A GUIDA POSTFASCISTA SI RAFFORZA

Il rafforzamento del campo reazionario a guida postfascista dopo due anni di governo misura la crisi del movimento operaio italiano e le responsabilità delle sue direzioni.

Due anni di sostanziale pace sociale hanno regalato al governo Meloni uno spazio di tenuta e di manovra altrimenti impensabile. Il governo ha potuto sopprimere il reddito di cittadinanza, allargare la precarietà del lavoro, liberalizzare gli appalti, tagliare le prestazioni sociali in sanità ed istruzione, programmare l'aumento delle spese militari, concordare in sede europea un “nuovo” patto di stabilità fondato su un altra mole di sacrifici sociali annunciati, promuovere missioni militari, senza incontrare alcuna vera e seria mobilitazione sociale di massa della classe lavoratrice.
La burocrazia CGIL si è limitata ad una critica mediatica, incapace persino di reagire alla propria emarginazione di ruolo. Ed ora concepisce la sua stessa campagna referendaria sui temi del lavoro – in sé positiva – come alternativa all'iniziativa di lotta, col rischio oltretutto di depotenziare e mettere a rischio i risultati della campagna stessa.
Il PD, per la sua stessa natura borghese liberale, combina un'opposizione “democratica”, non priva di richiami sociali, con la continuità della politica borghese e i suoi risvolti internazionali: avalla il patto di stabilità europeo cucinato (anche) da Gentiloni, partecipa in sede UE attraverso il gruppo PSE all'alleanza col Partito Popolare Europeo, vota col governo Meloni (e il M5S) le missioni di guerra nel Mar Rosso, preserva le relazioni materiali sul territorio con le organizzazioni padronali e i poteri forti, ignora persino ogni richiesta di patrimoniale, fosse pure a supporto delle proprie timide richieste sulla sanità, rivendica l'appartenenza alla NATO e tutte le sue implicazioni, incluso l'incremento del militarismo.
Parallelamente AVS custodisce la collaborazione col PD a livello nazionale e locale. e copre la passività della burocrazia sindacale. Il fatto che in tutta la campagna elettorale non abbia neppure evocato il proprio sostegno ai referendum sociali della CGIL, non sottoscritti in quanto tali dal PD, dà la misura di come la non belligeranza col PD sia la pietra angolare della politica di AVS.

Tutto ciò non impedisce né al PD né ad AVS alla sua sinistra di raccogliere elettoralmente una domanda di opposizione al governo della propria base elettorale. Una domanda importante. Ma si tratta ad oggi di una capitalizzazione passiva che non sposta i rapporti di forza, perché non incide sul blocco sociale reazionario. Un blocco sociale che infatti non solo è rimasto intatto ma si è addirittura consolidato.


DARE PROSPETTIVA ALLA DOMANDA DI OPPOSIZIONE.
LA NECESSITÀ DI UNA SVOLTA DI FONDO


Rompere la pace sociale, promuovere una piattaforma di lotta unificante, aprire una vertenza generale contro governo e padronato è allora tanto più oggi una necessità politica.
L'importante domanda di opposizione al governo Meloni che si è raccolta attorno ad AVS e al nuovo corso di Schlein va travasata e tradotta sul terreno della mobilitazione reale. È l'unica via per aprire le contraddizioni del blocco sociale avversario, liberando milioni di lavoratori e lavoratrici dall'egemonia reazionaria delle destre. L'unica via per affrontare nel migliore dei modi le grandi battaglie democratiche contro i progetti di premierato e autonomia differenziata. L'unica via per riaprire dal basso lo scenario politico italiano.

La campagna dei referendum promossi dalla CGIL per il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la cancellazione delle peggiori forme di precariato, l'abolizione della libertà di subappalto – campagna che il PCL sostiene – non può limitarsi a un'iniziativa istituzionale ma deve trasformarsi nell'apertura di un fronte di lotta sul terreno della lotta di classe. Un'assemblea nazionale di delegati eletti può e deve definire la sua piattaforma e le sue forme d'azione. È necessario che su questa battaglia di svolta si costruisca il più vasto fronte unico di azione di tutte le organizzazioni del movimento operaio, e di tutte le sinistre politiche e sindacali, fuori da ogni logica isolazionista e minoritaria.

Questa battaglia per una svolta reale di lotta generale attorno ad una piattaforma sociale deve congiungersi ad una coerente battaglia democratica per il ripristino di una legge elettorale proporzionale. Se oggi la destra a guida postfascista col 44% dei voti del 2022 governa col 59% dei seggi parlamentari ciò accade grazie alla legge elettorale varata dal PD (il rosatellum). È significativo che né il PD né AVS vogliano rompere con questa logica maggioritaria che ha premiato Meloni.
Il PD non lo fa perché spera in futuro di usarla per ritornare al governo secondo il pendolo dell'alternanza bipolare. AVS non lo fa perché subalterna al PD, e interessata ad aggregarsi al suo futuro carro ministeriale. Occorre invece capovolgere l'implicazione antidemocratica del bipolarismo attraverso una battaglia di svolta che stabilisca l'uguaglianza di ogni voto, cancelli sbarramenti e premi di maggioranza, affermi la stretta corrispondenza tra rappresentanza e consenso. Una legge pienamente proporzionale minerebbe alla radice il governo delle destre, che non sono maggioranza nel paese, e soprattutto affermerebbe un principio elementare della democrazia: una testa, un voto. È una battaglia storica del movimento operaio.

La battaglia di classe e democratica è inseparabile dall'aperta rottura con l'imperialismo e con il sionismo. Ciò che oggi significa prima di tutto un aperto sostegno al popolo palestinese, alla sua resistenza contro l'oppressione sionista, al principio elementare della sua autodeterminazione, fuori e contro ogni logica di conciliazione con uno Stato coloniale.
Attualmente il governo Meloni si appoggia sulla politica bipartisan in politica estera garantita dal PD (e dal PSE), rivelata dal voto scandaloso di unità nazionale (destre, PD, M5S) a sostegno della missione militare nel Mar Rosso contro gli houthi e la resistenza palestinese, e confermata dalla dissociazione del PD dalle lotte del movimento di solidarietà col popolo palestinese nelle università italiane come in tante università del mondo.
AVS, che pur ha votato contro la missione in Mar Rosso e formalmente sostiene gli studenti, copre il PD col proprio silenzio o con la propria postura pacifista, non senza appoggiare la richiesta di una “difesa comune” europea, cioè degli imperialismi europei, a rimorchio della socialdemocrazia continentale.
L'esigenza del movimento operaio è esattamente opposta: contro ogni forma di militarismo imperialista, contro la NATO, contro il sionismo, a difesa di ogni popolo oppresso. Da qui, oggi, la richiesta di un'azione di sciopero generale e di massa, che coinvolga tutti i sindacati di classe, a sostegno del popolo di Palestina e della lotta degli studenti filopalestinesi, fuori da ogni logica di equidistanza pacifista e di fatto di subordinazione al sionismo.

Ma questa svolta generale di azione implica la piena autonomia del movimento operaio dal PD e dalla logica di subordinazione all'ennesima alternanza di centrosinistra. Implica la costruzione di una rappresentanza politica indipendente del mondo del lavoro sulla base di un programma anticapitalista, che si batta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. L'unica vera alternativa allo stato di cose presenti. In Italia e in Europa.

Il PCL è impegnato nella costruzione di questo partito, combinando come sempre unità di lotta, contro ogni forma di settarismo, e radicalità di proposta, contro ogni illusione nel riformismo.
Fuori da ogni subordinazione al PD o da ogni Santoro che passa.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Per un movimento queer rivoluzionario, antifascista e anticlericale

 


Pubblichiamo il volantino dell3 compagn3 della tendenza Femminist3 Rivoluzionari3 in occasione del Pride Month. Il volantino è allegato in fondo a questa pagina.



Quest’anno il Pride Month si apre in piena campagna elettorale e in un clima di forte tensione e paura per le persone LGBT*QIAP+ strette tra l’incudine della marea reazionaria montante, intenta a cancellare l’eredità delle lotte sociali e civili degli ultimi cinque decenni (esibendo il più bieco sciovinismo) e il martello delle forze del progressismo borghese, che cercano di incassare il sostegno della comunità attraverso promesse dal linguaggio vago e prive di effettive sbocchi (come ci hanno insegnato tutte le ultime tornate elettorali).
Nel frattempo, la forbice dell’astensionismo si allarga sempre più all’interno della classe operaia e nella comunità LGBT*QIAP+, chiaro sintomo dell’ormai diffusa disillusione rispetto alla democrazia borghese e purtroppo della contraddittoria deriva qualunquista in cui questa disillusione è stata incanalata.


LA DIFFICILE SITUAZIONE DELLA COMUNITÀ LGBT*QIAP+ IN ITALIA

La comunità LGBT*QIAP+ è oggi uno dei principali bersagli della propaganda reazionaria e bigotta sostenuta, in primo luogo, dalla Chiesa cattolica e dal governo postfascista di Giorgia Meloni. Sono notizie di questi ultimi giorni quelle che ci riportano le parole vergognose del “papa progressista” Francesco durante un incontro riservato della CEI oppure il sostegno dato da numerosi candidati di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Libertà al manifesto di impegno elettorale proposto dall’associazione fondamentalista e antiabortista Pro Vita e Famiglia – manifesto in cui si parla senza ritegno di contrasto alle presunte “ideologia gender” e “agenda LGBTQIA+”, si nega apertamente il diritto all’aborto, si sostiene l’implementazione delle politiche a favore della famiglia intesa soltanto come “unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio e custode della vita nascente” e si richiede ovviamente la promozione della natalità. Mentre gli attacchi istituzionali alle famiglie LGBT*QIAP+ e al diritto di autodeterminazione delle persone T* proseguono e negli ultimi due anni risultano essere più intensi, violenti, efficaci e frequenti rispetto al passato prossimo.

Questo contesto costituisce inoltre un ricco brodo di coltura per la diffusione di idee e comportamenti omolesbobitransafobici tra la popolazione. Aggressioni, microagressioni, bullismo e altre azioni discriminatorie costituiscono un fenomeno ascendente e molto preoccupante che interessa la maggior parte della popolazione LGBT*QIAP+ in Italia (sono state denunciare 157 aggressioni nell’ultimo anno). Inoltre è peraltro peggiorata la condizione del proletariato e delle soggettività LGBT*QIAP+ razzializzate e migranti.

Oltre al progressivo peggioramento delle condizioni di vita generali della classe dovuto alla debolezza del movimento operaio in questa fase e all’instabile situazione sociale e geopolitica, l3 lavorator3 sono spesso costrett3 a nascondere il loro orientamento sessuale e/o la loro identità di genere sia ai padroni sia all3 collegh3 per evitare ripercussioni sul posto di lavoro, e una buona parte dell3 lavorator3 che fanno coming out durante la ricerca di lavoro o dopo l’assunzione ha difficoltà a trovare o mantenere un lavoro stabile e subisce trattamenti discriminatori (outing, minacce, microagressioni, forme di mobbing e talvolta veri e propri attacchi fisici o verbali) sul luogo di lavoro. Questo favorisce anche il persistere di uno stato di incertezza, timore e marginalità costanti che rendono l3 proletari3 LGBT*QIAP+ facilmente ricattabili. Questo fatto colpisce in modo ancora più forte le persone T* (ancora oggi escluse direttamente dal mondo del lavoro in molti casi) e le lavoratrici lesbiche e bisessuali (già discriminate in quanto donne). L’arretratezza generale e il disinteresse rispetto a questa questione da parte del mondo sindacale (confederale e di base) rende ancora più difficile per l3 proletari3 LGBT*QIAP+ trovare vie di fuga o reti solidali contro situazioni di violenza e ipersfruttamento e permette a queste situazioni di restare nella maggior parte dei casi nell’ombra.

La situazione delle persone migranti e razzializzate in Italia è peggiorata radicalmente dopo l’introduzione dei cosiddetti Decreto Cutro (DL 20/2023) e Decreto Sicurezza (DL 1/2023). Essa peggiorerà ulteriormente se verrà approvato il disegno di legge sulla sicurezza, ora in discussione in sede parlamentare, che prevede una revisione del reato di rivolta carceraria (applicabile anche alle rivolte nei CPR) che equipara azioni violente e non violente oltre a riconfermare in ogni sua parte l’offensiva securitaria, repressiva e concentrazionaria attualmente in corso. Le soggettività queer migranti e razzializzate sono vittime di un duplice stigma che spesso le isola anche all’interno della loro comunità di provenienza e le rende ancora più indifese anche a fronte di leggi internazionali e nazionali sulla tutela dell3 migrant3 che non considerano esplicitamente la loro condizione. Inoltre non dobbiamo sottovalutare il rischio dei tentativi di revisione del sistema di protezione speciale – come quello avanzato dal leghista Lezzi all’inizio del 2023 – che puntano a rimuovere l’orientamento sessuale e l’identità di genere dalla lista dei motivi di persecuzione per i quali vengono sospesi i provvedimenti di espulsione e respingimento. La vittoria di posizioni simili significherebbe la perdita di una delle poche tutele legalmente riconosciute in questo paese all3 rifugiat3 LGBT*QIAP+ che fuggono da paesi in cui la comunità è criminalizzata o perseguitata.

Inoltre, la stessa comunità non è immune da sintomi più o meno evidenti di razzismo e xenofobia e sembra essere, almeno in parte, impreparata per affrontarli e risolverli.


DARE UNA RISPOSTA ALLA REAZIONE E CONTRASTARE L’ASSIMILAZIONISMO

La situazione descritta richiede una risposta radicale da parte del movimento LGBT*QIAP+ e delle forze ad esso solidali.

Questa risposta non può consistere nel votare, alle prossime elezioni europee o nei seggi per il rinnovo delle amministrazioni locali, questa o quella lista di centrosinistra nella speranza di un cambiamento di fatto impossibile. I governi e le giunte di centrosinistra non hanno mai fatto l’interesse della classe operaia e delle soggettività oppresse. Inoltre bisogna notare che la maggior parte dei partiti e delle liste di centrosinistra oggi in lizza per le europee in Italia si è ben guardata dall’inserire punti programmatici precisi e chiari rispetto alla comunità LGBT*QIAP+. E anche se fosse, una composizione maggiormente progressista o “queer-friendly” del parlamento europeo non avrebbe in ogni caso delle ripercussioni sensibili sull’esistenza delle persone LGBT*QIAP+ visto anche il rapporto esistente tra gli atti legislativi europei e la loro ricezione e applicazione nei paesi membri.

È necessario invece che il movimento rafforzi le proprie posizioni e si ponga senza tentennamenti in una prospettiva di contrapposizione e rottura rispetto al blocco borghese reazionario oggi predominante. Una prospettiva che parta dalla difesa dei diritti civili e sociali esistenti, dalla pratica militante dell’autodifesa del movimento e dalle reti mutualistiche della comunità, dalla lotta contro il fascismo e il bigottismo, dal mantenimento e dalla costruzione di spazi sicuri e solidali per tutte le soggettività oppresse. Per quanto radicale e difficile possa sembrare, fare anche solo questo in un momento e in un luogo come quelli in cui ci muoviamo, la prospettiva di cui parliamo non può limitarsi ad una visione semplicemente difensiva e di conservazione dello status quo, ma deve puntare invece proprio allo stravolgimento delle condizioni attuali e alla costruzione di una società completamente diversa e totalmente libera.

Per questo motivo dobbiamo sgomberare il campo da tutte le illusioni riformiste e interclassiste che, a partire dalla fine degli anni Settanta, hanno preso il sopravvento in una grossa fetta del movimento LGBT*QIAP+.

Le politiche assimilazioniste che caratterizzano molte delle attuali organizzazioni “mainstream” del movimento partono dal presupposto che la struttura sociale borghese (fondata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla divisione della società in classi) non sia un problema rilevante per le persone LGBT*QIAP+ e che l’uguaglianza e il progresso sociale possano essere raggiunti semplicemente attraverso una serie di riforme democratiche (delegate alla volontà e all’opportunismo dei partiti borghesi liberali o progressisti) e, in seconda battuta, con l’adattamento mimetico delle soggettività oppresse alle convenzioni e ai pregiudizi della società borghese e ciseteropatriarcale.

Oggi però il capitalismo non ha né la possibilità né la volontà di concedere vere riforme progressive e ogni tentativo in questo senso è destinato senza appello a naufragare disastrosamente.


COSTRUIAMO INSIEME IL MOVIMENTO QUEER RIVOLUZIONARIO, ANTICAPITALISTA, ANTIFASCISTA E ANTICLERICALE!

L’unica risposta valida per la liberazione di tutt3 l3 oppress3 e l3 sfruttat3 continua a passare attraverso la distruzione rivoluzionaria del sistema di produzione capitalistico, l’abbattimento della cultura ciseteropatriarcale, l’instaurazione del governo delle lavoratrici e dei lavoratori che includa tutte le soggettività oppresse e di un sistema di produzione socialista.

Anche per questa ragione come Femminist3 Rivoluzionari3 abbiamo deciso di rivendicarci il termine queer per indicare la nostra prospettiva. Un termine che – nelle nostre intenzioni – non rappresenta una categoria spesso abusata del pensiero accademico postmoderno (es. Butler) né è una “non-etichetta” buona per tutte le stagioni o un sinonimo alla moda dell’acronimo LGBT*QIAP+. Noi intendiamo rivendicarci il significato che alla parola queer venne dato quando, nei primi anni Ottanta, fu recuperata e trasformata da un insulto in una rivendicazione: queer sono il proletariato LGBT*QIAP+ e le soggettività di estrazione subproletaria escluse o discriminate dal discorso assimilazionista e riformista; queer sono tutte le teorie e le pratiche che non puntano all’integrazione dell3 oppress3 nel sistema capitalista, ma progettano il sovvertimento dello stesso; queer è la costruzione autonoma e l’autogestione del movimento, degli spazi e delle lotte in un’ottica democratica, pluralistica e non autocentrata; queer è la lotta a fianco del movimento operaio per la comune prospettiva anticapitalista (come accadde durante lo sciopero dei minatori inglesi del 1984); queer è anche la battaglia contro la cisnormatività, l’omonormatività, la mononormatività, il sessismo e il razzismo ancora presenti tra la popolazione LGBT*QIAP+; queer è il contrasto di ogni condizionamento religioso e di ogni forma di bigottismo e oscurantismo (come dimostrarono l3 attivist3 di Act Up con “Stop the Church” nel 1989); queer è anche la condanna dell’imperialismo e del militarismo e la solidarietà alla resistenza dei popoli oppressi come quello palestinese.

In rottura con la depoliticizzazione e con il recupero in chiave riformista del termine queer, ci rivendichiamo dunque un movimento queer che riprenda la propria connotazione di classe e rivoluzionaria e che abbia quali suoi punti saldi l’anticapitalismo, l’antifascismo militante e l’anticlericalismo.

Per questo è necessario raggrupparsi intorno ad un programma coerente che prevede:

• la difesa del lavoro, unico effettivo strumento di autodeterminazione, con l’abolizione di tutte le leggi che hanno precarizzato il lavoro e ne hanno eliminato le tutele; introduzione del collocamento pubblico a chiamata numerica; ripartizione del lavoro con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga; parità salariale per tutt3.
• Il salario garantito per chi è in cerca di occupazione, contro ogni forma di reddito di autodeterminazione slegato dalla condizione lavorativa, che non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori possibilità di rinchiudere le donne nell’ambiente domestico.
• Un welfare statale che non ci renda schiav3 all’interno della famiglia, con l’istituzione di un ampio programma di servizi sociali che si prenda in carico l’enorme quantità di lavoro di cura che oggi pesa maggiormente sulle spalle delle donne, nella prospettiva della socializzazione del lavoro di cura.
• Requisizione di tutte le case sfitte da assegnare in primo luogo a tutte le persone con difficoltà di inserimento lavorativo e alle persone disabili e neurodivergenti, a garanzia dello sviluppo della propria autonomia personale.
• Abolizione dell’obiezione di coscienza nelle strutture sanitarie pubbliche, nonché la fine delle erogazioni statali alle strutture private, con il loro esproprio senza indennizzo e la determinazione dell’unicità del Servizio Sanitario Nazionale pubblico. Fuori i religiosi e i capitalisti dalla nostra vita e dalla nostra salute!
• Libero e gratuito accesso all’interruzione di gravidanza e alla contraccezione.
• Consultori pubblici per le donne e per le persone LGBT*QIAP+, sotto il controllo dell3 utent3 e con accesso a tutte le tecniche e alle informazioni mediche per autodeterminare le decisioni sul proprio corpo.
• Auto-organizzazione e autodifesa della comunità LGBT*QIAP+ per rispondere colpo su colpo e al di fuori delle logiche riformiste ed opportuniste all'offensiva reazionaria e clerico-fascista in corso.
• Superamento della Legge 164/82 e di tutte le leggi che patologizzano e discriminano l'esistenza e i percorsi di autodeterminazione delle soggettività T* e, più in generale, di tutte le persone LGBT*QIAP+.
• Apertura dei confini e l’eliminazione di tutte le leggi securitarie che opprimono le donne e soggettività LGBT*QIAP+ migrant3 e legittimano le violenze nei loro confronti.
• Educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole, rigorosamente laica che chiami medic3 ed educator3, escludendo associazioni collegate alla Chiesa. Questo per garantire la promozione di una contraccezione consapevole e di un libero sviluppo della propria sessualità.
• Lotta senza quartiere alla concezione abilista e neurotipica dell'esistente, figlia delle necessità del sistema di produzione capitalistico, e di ogni altra forma di abilismo. Perché il mondo che vogliamo deve essere invece adatto ai bisogni e ai desideri di tutt3, incluse le persone disabili e neurodivergenti.


Questa è la prospettiva per cui lottiamo!
Unisciti alla nostra tendenza!

Femminist3 Rivoluzionari3

Piena solidarietà al Partido Obrero e alle organizzazioni piquetere contro la repressione

 


La perquisizione poliziesca della sede nazionale del Partito Obrero a Buenos Aires nella mattina del 3 giugno non è solo un'aperta provocazione ma un salto dell'iniziativa repressiva.


Il governo Milei ha scatenato una campagna reazionaria mirata alla messa fuori legge delle organizzazioni piquetere e all'incriminazione dei loro dirigenti. Nel mirino c'è prima di tutto il Polo Obrero e il suo principale dirigente, Eduardo Belliboni, accusato addirittura di corruzione. La campagna di criminalizzazione si fonda sull'accusa di estorsione ai danni dei disoccupati da parte delle loro organizzazioni di lotta. Le misure più elementari di autofinanziamento della lotta per ottenere sussidi alimentari ed altri benefici sono denunciati come frode e appropriazione abusiva. Una menzogna tanto più rivoltante se si pensa che siamo in presenza di un governo che sin dal suo insediamento ha minacciato di levare ogni sussidio a chi avesse partecipato ad azioni di lotta. L'unica vera estorsione è esattamente la pratica istituzionale di Milei, e dei ministri Patricia Bullrich e Sandra Pettovello, nei confronti dei proletari argentini.

Cancellazione dei diritti dei lavoratori di aziende con cinque impiegati o meno, liberalizzazione dei licenziamenti, abolizione della liquidazione per i licenziati, estensione massiccia del precariato, divieto di riassunzione dei lavoratori licenziati per ragioni sindacali, abbattimento della copertura pensionistica, taglio drastico ai servizi sociali, privatizzazione e licenziamenti nelle aziende pubbliche: la Ley Bases del governo Milei mira a distruggere le conquiste strappate dal movimento operaio argentino e dalla organizzazioni piquetere in anni e decenni di lotte. Da qui l'attacco frontale alle organizzazioni piquetere, a partire dal Polo Obrero, che per primo il 20 dicembre scorso promosse la mobilitazione di piazza contro il governo e i suoi progetti liberticidi.

Al Partito Obrero, al Polo Obrero, alle organizzazioni piquetere, alle organizzazioni rivoluzionarie del Frente de Izquierda - Unidad va tutta la nostra solidarietà incondizionata e il nostro impegno a sostenere la loro azione di resistenza. Chiamiamo tutte le organizzazioni italiane della sinistra politica, sindacale, di movimento a mobilitarsi al fianco dei proletari argentini contro il governo Milei.

Giù le mani dal Polo Obrero, dal proletariato argentino, dalle organizzazioni piquetere!

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI