Post in evidenza

No alla condanna per antisionismo del nostro compagno Alejandro Bodart (segretario del Movimento Socialista dei Lavoratori e della Lega Internazionale Socialista)

  Raccolta firme internazionale Nella città di Buenos Aires, in Argentina, il 30 dicembre, la Corte di Cassazione e d'Appello Penale ha ...

Cerca nel blog per parole chiave

8 marzo giornata di lotta! Contro la reazione che avanza sui nostri corpi

 


Pubblichiamo il volantino di Femminist* Rivoluzionari*


CONTRO CAPITALE E OPPRESSIONE PATRIARCALE

Appena insediatosi alla presidenza degli Stati Uniti, Trump ha dato il via come promesso a violentissimi attacchi all’autodeterminazione delle donne e delle persone LGBT*QIAP+: non è che l’ennesimo atto di una vera e propria ondata internazionale reazionaria, fanatica e oscurantista che impatta sulla classe lavoratrice e in particolare sulle donne e sulle persone queer, dall’Argentina, agli USA passando per l’Italia, con la criminalizzazione dell’aborto e dell’autodeterminazione in materia sessuale e sanitaria. L’avanzata della destra va di pari passo all’arretramento del movimento operaio e dei movimenti per i diritti civili. La stretta reazionaria in Italia si esplicita anche con vere e proprie norme da stato di polizia, come il DDL 1660, finalizzato alla repressione delle proteste. Cosa c’è da festeggiare in un quadro del genere? Per noi, oggi come oltre cento anni fa, l’otto marzo è giornata di lotta militante.

Ripartire dal lavoro, unica vera strada di emancipazione

Davanti a una società borghese che ci espelle dal mondo del lavoro quando fa comodo, davanti al 34% delle donne che non lavora per svolgere compiti di cura (INAPP), rivendichiamo l’ingresso nel mondo del lavoro per donne e giovani a condizioni dignitose e la necessità imminente di recuperare tutti quei diritti che ci sono stati tolti dalle controriforme del lavoro e dello stato sociale. La soluzione è un reddito di cittadinanza/di esistenza o di autodeterminazione, per il lavoro riproduttivo? Assolutamente no. Il reddito o salario al lavoro domestico, lungi dall’emanciparci, ci lega ancor più strettamente al nucleo familiare e a eventuali partner violenti.

Abbattere capitalismo e patriarcato: non siamo lo stato sociale dei padroni!

Le donne e le persone queer lavoratrici e disoccupate stanno pagando il prezzo più alto delle politiche economiche degli ultimi 30 anni su più piani: mentre su quello del lavoro aumentano precarietà, disoccupazione e si erodono i salari, le riforme allo stato sociale confinano le donne dentro casa, riducendo i servizi, l’assistenza e le strutture pubbliche per la cura di bambin* e anzian*. Lo stato borghese scarica i costi del lavoro di cura sulle famiglie ed in particolare sulle donne meno abbienti, le quali non hanno i mezzi economici per pagare servizi o strutture private. Ricorrere all’aborto è sempre più difficile, questo diritto è ogni giorno svuotato del suo significato grazie all’atteggiamento complice e connivente di uno Stato che tollera un’obiezione di coscienza usata da fanatici religiosi e reazionari come un’arma contro le donne e di un governo postfascista che ha consentito e incoraggiato l’infiltrazione dei movimenti fondamentalisti cristiani in ospedali e consultori.


PER UNA LOTTA FEMMINISTA MARXISTA RIVOLUZIONARIA

L’arma più potente in mano alla classe lavoratrice è quella dello sciopero, perché colpisce il padronato e il capitale dove fa più male: il portafogli. Ma astenersi dal lavoro domestico per trovarne domani il doppio da fare non risolverà nulla: dobbiamo rovesciare una società che ci vuole doppiamente oppresse, sul lavoro e a casa, ribaltando un sistema economico basato sulla presenza di sfruttat* e sfruttatori, oppress* e oppressori, a favore di una società in cui la donna e le persone LGBTQIAP+ saranno liber* dall’uomo e tutt* saranno liber* dal capitale.

Rivendichiamo:

Un lavoro dignitoso!
• Abolizione di ogni forma di precarietà e flessibilità
: ripristino dei diritti sindacali conquistati e perduti dal movimento operaio, abolizione delle leggi antioperaie e repressive
• Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: lavorare meno, ridistribuire il lavoro tra chi non ce l’ha e avere più tempo libero
• Salario di disoccupazione dignitoso per chi il lavoro l’ha perso
• Salario minimo ben oltre la soglia del lavoro necessario, a favore delle/dei lavorator* e non dei padroni!
• Reintroduzione della scala mobile: adeguamento del salario all’aumento dell’inflazione.
• Vogliamo poter andare in pensione! Lottiamo per un sistema retributivo, per una pensione minima sopra i livelli della mera sussistenza, contro l’allungamento dell’età pensionabile.
• Riduzione dell’età pensionabile per i lavori usuranti
• Nazionalizzazione sotto il controllo operaio e senza indennizzo delle imprese che licenziano o delocalizzano.
• Sicurezza e tutela sul lavoro sotto il controllo operaio, per condizioni di lavoro più sicure e più salubri
• Abolizione di tutte le leggi che comprimono i diritti sindacali e di sciopero, abolizione del reato di blocco stradale, no alle precettazioni illegittime
• Istituzione del reato di omicidio sul lavoro
• Lotta alla schiavitù, al caporalato e alle molestie, ai ricatti e alla violenza sessuale nei luoghi di lavoro
• Socializzazione del lavoro di cura contro qualsiasi proposta di salario alle casalinghe o reddito di esistenza. Compiti di cura socializzati e non sulle nostre spalle!
• Congedi parentali prolungati e retribuiti al 100% estesi a tutti i genitori, la responsabilità genitoriale non è solo delle donne!
• Nazionalizzare sotto il controllo sociale i servizi privati legati alla cura, abolizione del welfare aziendale e dirottamento dei fondi verso i servizi pubblici
• Istituzione di una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco per finanziare scuola e sanità, e tutti i servizi legati alla cura della persona.
• Abolizione di tutte le leggi che patologizzano le soggettività LGBTQIAP+ e istituzione di percorsi di autodeterminazione tutelati, gratuiti e garantiti
• Lotta allo sfruttamento della prostituzione e alla tratta di esseri umani
• Creazione di un percorso garantito per le vittime della violenza eterocispatriarcale ma rifiuto della denuncia obbligatoria
• Aborto libero, sicuro, gratuito e garantito, promozione dell’aborto farmacologico, abolizione del colloquio preliminare
• Contraccezione gratuita, liberamente disponibile e garantita
• Sostegno effettivo alla maternità con la socializzazione dei compiti di cura e adeguate strutture a sostegno delle madri
• Lotta alla violenza ostetrica e misogina nelle cure alle donne
• Blocco a tempo indeterminato degli sfratti
• No alla criminalizzazione di chi occupa, abolizione di tutte le leggi repressive e securitarie contro i movimenti per la casa
• Libertà di migrare, abolizione dei CPR e dei centri di detenzione per migranti
• Accoglienza e tutela delle donne e delle soggettività LGBTQIAP+ migranti e ius soli, permessi di soggiorno, documenti e diritto alla residenza
• No alle guerre dell’imperialismo e alle spese per gli armamenti, cessate il fuoco immediato in Palestina e in Ucraina e in tutti i teatri della guerra del capitale
• No all’ondata reazionaria del postfascismo mondiale, per la ripresa delle lotte antifasciste, in saldatura diretta con l’anticapitalismo
• Per un mondo pulito in cui vivere: produrre e consumare ciò che serve, accesso a acqua, terra, aria puliti, esproprio e nazionalizzazione delle imprese che inquinano

Siamo consapevoli che nessun governo della borghesia, contro i propri interessi, metterà in atto queste misure. Il programma della classe proletaria può essere realizzato solo da un governo de* lavorator*! Solo la rivoluzione socialista su scala internazionale potrà liberarci dalle catene dello sfruttamento capitalistico e dell’oppressione patriarcale.

Costruiamo insieme questa prospettiva! Saldiamo la lotta contro l’oppressione di genere alla lotta di classe! Invertiamo la deriva reazionaria sul corpo delle donne! Per una lotta femminista marxista rivoluzionaria contro capitalismo e patriarcato!


Volantino allegato in basso

Femminist* Rivoluzionari*

La corsa alle armi dell'Unione Europea

 


Gli inganni dell'europeismo imperialista nel nuovo quadro mondiale. Per una Europa socialista, quale unica vera alternativa

La svolta in corso delle relazioni mondiali pone gli imperialismi europei di fronte a una nuova sfida. Se l'imperialismo USA apre all'imperialismo russo, rompendo l'asse tradizionale transatlantico, gli imperialismi europei devono provvedere in forme nuove alle proprie necessità militari. È il senso dell'appello al “riarmo” dell'Europa pronunciato con tono solenne dalla Presidente della Commissione UE.

L'espressione “riarmo”, in sé, è ridicola. Gli imperialismi europei sono tutt'altro che “disarmati”.
I tempi del disinvestimento nella spesa militare, successivi al crollo del Muro di Berlino, sono ormai lontani. I bilanci militari degli stati europei sono in espansione da almeno un decennio. La soglia del 2% del PIL per le spese della difesa è stato indicato da tempo dall'imperialismo USA come traguardo minimo per tutti i paesi della NATO. E tutti i paesi della NATO, sotto qualsivoglia governo, si sono mossi in questa direzione. La guerra russa in Ucraina a partire dal 2022 ha naturalmente costituito un fattore di accelerazione.


LA SVOLTA DI TRUMP, UN NUOVO BANCO DI PROVA PER GLI IMPERIALISMI EUROPEI

Tuttavia la svolta di Trump pone oggi l'esigenza di un salto qualitativo. Non si tratta più di rimpinguare gli arsenali militari per compensare gli “aiuti” forniti a Zelensky. Si tratta di rispondere all'annuncio di un disimpegno americano dal fronte europeo. È un annuncio ancora indeterminato nella sua portata quantitativa, nel suo riflesso strategico sulle relazioni interne alla NATO, nelle sue conseguenze di prospettiva sulla stessa tenuta dell'Alleanza Atlantica. E tuttavia è chiarissima la nuova direzione di marcia. Donald Trump ha dichiarato che l'imperialismo USA vuole ridimensionare la propria presenza in Europa per concentrarsi sul confronto strategico con la Cina. Per questo apre all'imperialismo russo. Per questo cerca di separare la Russia dalla Cina, offrendogli in cambio non solo l'Ucraina ma un ruolo globale nella spartizione del mondo. Esattamente il ruolo cui Putin aspira.

Gli imperialismi europei avevano messo nel conto il fatto che una nuova amministrazione Trump avrebbe creato problemi sul terreno delle relazioni con l'Europa. Ma non si attendevano una svolta tanto radicale e tanto rapida.
Da tempo il capitalismo europeo viveva una propria emarginazione di ruolo nella concorrenza politica e di mercato tra la vecchia potenza americana e la nuova potenza cinese. Ma la copertura militare americana appariva scontata. Per assicurarsi la continuità di tale copertura, gli imperialismi europei hanno osservato la disciplina della NATO e la sua direzione americana in tutte le scelte di fondo, a volte anche al di là dei propri specifici interessi, o obtorto collo: nelle guerre d'invasione cosiddette umanitarie (Afghanistan, Iraq), nell'indirizzo dei bilanci militari, nel posizionamento politico di fondo sui diversi scacchieri dello scenario mondiale. Incassando come contropartita il proprio coinvolgimento, fosse pure di seconda linea, nella politica imperialistica dell'Occidente. E soprattutto una rendita di posizione geostrategica nel rapporto di forza con le nuove potenze imperialiste (Cina, Russia).


LA REAZIONE PANICA DELLE CANCELLERIE EUROPEE

Ora tutto sembra precipitare, con una drammatica accelerazione. Da qui la reazione panica delle cancellerie europee e la loro affannosa corsa al “riarmo”. Non si tratta della scelta della terza guerra mondiale da parte dell'Unione Europea, come dicono gli sciocchi di diversa osservanza, di fatto alla coda di Putin e/o di Trump e delle rispettive propagande. Si tratta della ricostruzione di una deterrenza militare dell'imperialismo europeo nella nuova stagione del militarismo mondiale.

Le relazioni imperialiste si basano sui rapporti di forza. E i rapporti di forza non sono solo economici e finanziari, ma anche militari.
La forza militare degli imperialismi europei, su scala globale, è stata sinora garantita dalla NATO. Solamente dalla NATO? No. Ogni stato nazionale imperialista dispone di un proprio specifico peso, in rapporto alle proprie dotazioni militari, alla loro esperienza e tradizione, alla loro sperimentazione sul campo. La dotazione nucleare di Francia e Gran Bretagna, ad esempio, concorre a misurare il loro status nella politica internazionale, anche all'interno del vecchio continente. E non a caso tutti gli imperialismi europei, Italia in testa, si contendono le rispettive aree di influenza (Balcani, Nord Africa, Africa subsahariana e Medio Oriente) anche e innanzitutto irrobustendo le proprie tecnologie militari.
E tuttavia è stata l'appartenenza alla NATO, e con essa la protezione americana, la garanzia di ultima istanza degli imperialismi europei. E ora? Se gli USA vanno via, che ne sarà dei baltici? La spartizione annunciata dell'Ucraina tra USA e Russia innescherà l'effetto domino di una più ampia spartizione nell'Est Europeo? Queste, ed altre, sono le preoccupazioni dei piani alti della borghesia europea e dei loro stati maggiori.


“CARNIVORI E VEGETARIANI”. AMBIZIONI E LIMITI DELL'EUROPEISMO IMPERIALISTA

In un mondo di carnivori non possiamo fare i vegetariani” ha ripetutamente affermato Mario Draghi. Dal punto di vista imperialista è una considerazione fondata. Se le grandi potenze si candidano alla spartizione del mondo in ragione innanzitutto della propria forza militare, non vi è futuro per gli imperialismi europei senza la ricostruzione di una propria potenza in armi. E una potenza in armi si accompagna, a sua volta, alla suggestione di una unificazione dell'Europa.

L'unica vera risposta alla svolta di Trump passa per lo sviluppo dell'Unione Europea in direzione di uno stato federale, affermano in coro in queste ore le mille voci dell'europeismo borghese. C'è però uno spiacevole dettaglio: la soluzione federale è incompatibile con la natura nazionale dei diversi imperialismi europei, nelle loro diverse radici, tradizioni, aree di influenza, competizione di interessi. I loro stessi apparati militari si contendono furiosamente commesse e spazi di mercato, gli uni contro gli altri armati. La Francia è europeista solo se si tratta di una Europa a trazione francese (e nucleare). La Germania non vuole subordinarsi alla Francia, e punta sempre più apertamente a un grande rilancio militare in proprio. L'Italia lustra i gioielli della propria industria bellica (Leonardo, Fincantieri) spesso in cordata con la Gran Bretagna, compete con la Germania per l'egemonia sui Balcani, e vuole capitalizzare lo sfaldamento dell'influenza della Francia in Africa (piano Mattei). Come possono questi diversi interessi comporsi sotto un unico tetto?


800 MILIARDI IN ARMAMENTI. CHI PAGA E CHI INCASSA. LA CONTRADDIZIONE TRA I DIVERSI INTERESSI NAZIONALI

Il progetto di riarmo di Von Der Leyen riflette nel suo stesso impianto la divaricazione dei diversi interessi nazionali. La Germania si è opposta a un ulteriore ricorso all'indebitamento europeo per finanziare le nuove spese militari. Gli (scandalosi) 800 miliardi in armamenti che sono stati evocati sono in larga misura affidati ai diversi bilanci nazionali (per la cifra di 650 miliardi in quattro anni). È vero che le spese nazionali in armi vengono svincolate dal Patto di stabilità (a differenza delle spese in sanità o in istruzione!), e possono accrescersi dell' 1,5% del PIL. Ma... «c'è il rischio di accentuare le differenze tra i Paesi membri che hanno spazio di manovra e quelli che sono già molto indebitati» osserva il quotidiano della nostra Confindustria (5 marzo). Preoccupato che l'Italia resti indietro rispetto agli altri concorrenti europei, anche in fatto di armamenti. In compenso, Von Der Leyen garantisce ai governi della UE la possibilità di convertire in spese militari... i “fondi europei di coesione sociale” destinati alle aree svantaggiate e depresse del continente. Come dire che il Mezzogiorno italiano pagherà le nuove spese in armi del governo Meloni-Crosetto.

La verità è che dentro il quadro capitalista l'unificazione europea sarà o impossibile o reazionaria. Così scriveva Lenin nel 1915, durante la Grande Guerra. E aveva ragione. L'attuale scenario europeo è emblematico. Da un lato, i diversi imperialismi della UE non possono creare uno stato federale paneuropeo, avviluppati come sono nelle loro insuperabili contraddizioni nazionali, tanto più a fronte dell'ascesa al loro interno delle (peggiori) forze sovraniste. Dall'altro lato, tutti i progetti europeisti, sulla attuali basi capitaliste, comportano lo sviluppo del militarismo imperialista, a spese dei lavoratori, delle lavoratrici, di tutti gli sfruttati.


L'INGANNO DELL'EUROPEISMO LIBERALE. LA SUBALTERNITÀ DELLE SINISTRE RIFORMISTE

L'idea di una Europa “autonoma dagli USA”, e per questo “potenza di pace”, ricorre frequentemente nella retorica progressista delle sinistre riformiste. Ma si tratta di un capovolgimento ideologico della realtà. Una Europa capitalista autonoma dagli USA può essere solo una potenza in armi. Non meno armata, ma più armata. Una potenza “carnivora” tra potenze “carnivore”. Una potenza che lotta contro altre potenze per la spartizione del pianeta.

Il mondo multipolare quale garanzia di pace è una ingenua illusione o una consapevole mistificazione. È proprio la moltiplicazione dei poli imperialisti, in lotta tra loro per la spartizione del mondo, ad accrescere la spinta verso la guerra. Il riarmo dell'Europa, quale replica al disimpegno di Trump, è solo un ulteriore rafforzamento di questa linea di tendenza internazionale. La prenotazione di un altro posto a tavola nella suddivisione del pianeta.

I “progetti segreti” di riconversione militare dell'industria automobilistica italiana, rivelati dal Corriere della Sera (1 marzo), sono al riguardo eloquenti circa l'attuale tendenza europea. «La Germania sta riconvertendo in armamenti, preparandosi a spendere duecento miliardi, l'Italia deve adeguarsi per non perdere la filiera» dichiara testualmente il quotidiano di Banca Intesa (citando Giorgia Meloni). Produrre carri armati al posto di auto sicuramente risponde al trionfo in Borsa di tutte le azioni del comparto bellico. Ma non è esattamente una riconversione di “pace”. È la partecipazione alla corsa verso una prospettiva storica di guerra.

Tuttavia, fortunatamente, questi progetti di riarmo hanno un problema: l'aperta diffidenza o ostilità di larga parte delle opinioni pubbliche europee. In particolare tra quelle masse lavoratrici prima colpite da compressione dei salari e tagli sociali nel nome del “progresso”, ed oggi chiamate a pagare di tasca propria la corsa agli armamenti nel nome della difesa della Patria, sia essa nazionale o europea. Ieri come oggi, nell'esclusivo interesse dei capitalisti e dei loro profitti.


PER UNA EUROPA SOCIALISTA, QUALE UNICA ALTERNATIVA DI PACE

Per questo ci battiamo contro ogni riarmo imperialista, nazionale, europeo, mondiale. Contro ogni NATO, vecchia o nuova. Contro ogni economia di guerra. Contro ogni aumento delle spese militari, e anzi per il loro abbattimento, a vantaggio innanzitutto di sanità ed istruzione. Per la nazionalizzazione senza indennizzo di tutta l'industria bellica sotto il controllo dei lavoratori.

La lotta per la pace o è lotta contro ogni l'imperialismo, a partire dal proprio, o non è.
Il problema non è armare l'Europa, ma disarmare la borghesia europea. Ciò che solo una rivoluzione sociale potrà fare.

L'unica possibile Europa di pace è quella governata dai lavoratori e dalle lavoratrici. Una Europa socialista. L'unica che possa unificarsi su basi progressive. L'unica che possa schierarsi al fianco di tutti i popoli oppressi e del loro diritto di resistenza, senza scopi di rapina. L'unica che possa incoraggiare la ribellione delle masse lavoratrici dell' America, della Russia, della Cina, contro i propri imperialismi, le loro guerre, le loro politiche coloniali.

Partito Comunista dei Lavoratori

Stati Uniti: primi impatti del secondo mandato di Trump

 


Da quando ha assunto la carica per il suo secondo mandato, il 20 gennaio, Trump ha lanciato un'offensiva reazionaria, autoritaria e imperialista. Questa volta è accompagnato dall'establishment, con l'appoggio di un Partito Repubblicano schierato dietro di lui, il sostegno esplicito dei principali magnati capitalisti e l'atteggiamento permissivo dei democratici e della burocrazia sindacale.


Quest'ultimo fattore ha certamente contribuito al fatto che non siano emerse le grandi mobilitazioni di opposizione che lo accolsero nel 2016, ma la crescente polarizzazione sociale e politica alimenta anche la radicalizzazione di un settore disposto a lottare per fermarlo, e il suo programma reazionario non passerà senza provocare resistenza.

I rivoluzionari avranno un ruolo fondamentale nelle lotte che arriveranno e nell'organizzazione i combattenti che le guideranno.


UN PROCESSO GLOBALE

L'ascesa dell'estrema destra è un fenomeno globale. Varie espressioni di essa sono al governo in sette paesi dell'Unione Europea (Italia, Paesi Bassi, Ungheria, Repubblica Ceca, Croazia, Slovacchia e Finlandia), in Austria è prossima al governo ed è in aumento in Francia, Germania e Regno Unito.

Alcune delle sue espressioni più estreme e stravaganti, come il presidente argentino Milei e il presidente salvadoregno Bukele, sono promosse come esempi da seguire a livello internazionale. Il bolsonarismo rimane una forza importante in Brasile, nonostante non sia più al governo.

Il regime fondamentalista di Modi in India e il regime autoritario di Putin in Russia condividono caratteristiche centrali con l'estrema destra occidentale. Anche al di là di queste espressioni politiche, c'è una tendenza generale nel mondo verso regimi più autoritari e repressivi in tutto l'arco politico capitalista.

L'estrema destra globale non è omogenea, ci sono settori più radicali o più vicini alla destra classica, più nazionalisti o più neoliberisti. Ma al di là della diversità, essi costituiscono la punta di diamante di una decisiva svolta globale a destra della borghesia, che ha rafforzato un settore reazionario della società.


UN PRODOTTO DELLA CRISI SISTEMICA

La crisi sistemica che il capitalismo sta attraversando dal 2008 è paragonabile solo a quelle che hanno preceduto le due guerre mondiali del secolo scorso. La distruzione e la concentrazione del capitale causato da quelle guerre permisero alla borghesia di recuperare la redditività necessaria per superare quelle crisi. Oggi la borghesia, non vedendosi per il momento in grado di affrontare una nuova guerra mondiale, cerca di recuperare la redditività aumentando lo sfruttamento.

A causa della profondità della crisi, non è sufficiente aver messo fine allo stato sociale e alla maggior parte delle conquiste ottenute nel secondo dopoguerra, né è sufficiente la flessibilità del neoliberismo. La borghesia ha bisogno di porre fine ai diritti più elementari delle masse lavoratrici e di ridurci al lavoro fino al collasso fisico, in cambio del minimo necessario per sopravvivere e continuare a lavorare. Consapevoli che ciò danneggia la stragrande maggioranza della popolazione, genera opposizione e provoca resistenza, la borghesia deve ridurre al minimo i meccanismi democratici e rafforzare al massimo i dispositivi repressivi.

Il fatto che l'estrema destra esprima più chiaramente questo bisogno della borghesia imperialista nel suo insieme spiega in larga misura la sua rapida accettazione e assimilazione da parte dei regimi borghesi e dei partiti politici, e contribuisce in modo significativo alla sua ascesa globale.

A sua volta, il fenomeno dell'estrema destra fa parte di un processo globale di polarizzazione, che provoca anche mobilitazioni di massa, ribellioni e rivoluzioni, compresi grandi scioperi che hanno rianimato alcuni dei settori più potenti della classe lavoratrice nel mondo. Si tratta di un processo ineguale, perché nonostante le gigantesche lotte e la radicalizzazione a sinistra di settori importanti, in questo polo non è emersa un'espressione politica, come invece è emersa a destra.

Tuttavia, poiché la borhesia è riuscita a schiacciare la volontà di resistere, ciò che predomina è l'instabilità. E finché le masse continueranno a combattere, i rivoluzionari avranno il dovere di portare avanti queste lotte e di sfruttare l'opportunità di organizzare i combattenti più determinati, il che ci permette di costruire e rafforzare le nostre organizzazioni rivoluzionarie.


IL 2025 NON È IL 2016

Questo trionfo di Trump è parte del fenomeno globale dell'ascesa dell'estrema destra, si nutre di esso e, a sua volta, rafforza tutte le sue espressioni. Quest'azione di ritorno spiega, in larga misura, la sicurezza con cui Trump e i suoi partner abbiano lanciato, appena insediati, un'offensiva così completa e profonda.

Al momento del suo primo mandato nel 2016, Trump è stata una delle prime espressioni dell'estrema destra. In quel periodo non era il candidato preferito della borghesia, che vedeva più rischi che opportunità nel suo governo. Dovette affrontare grandi mobilitazioni contro di lui, così come l'opposizione o la mancanza di collaborazione di gran parte dell'establishment. Non è riuscito ad attuare molte delle sue iniziative, e ha perso la rielezione per il secondo mandato nel 2020. È stato anche processato e condannato per diversi crimini. Ma ha consolidato una base sociale radicalizzata, rappresentativa di una minoranza ma importante; mentre le aree politiche tradizionali continuavano a disintegrarsi.

L'amministrazione democratica di Biden, succeduta a Trump, ha mantenuto alcune delle politiche chiave di Trump (come la politica sull'immigrazione e i tagli alle tasse per le imprese e i ricchi), ha contrastato movimenti di scioperi, ha sostenuto zelantemente il genocidio sionista a Gaza, oltre a reprimere gli studenti che hanno mostrato solidarietà con la Palestina. A contribuire a questa delusione è stata la capitolazione di Bernie Sanders e dei Socialisti Democratici d'America (DSA), che avevano generato aspettative negli anni precedenti, i quali hanno continuato a sostenere senza tante remore la rielezione di "Genocide Joe", e poi di Harris. Come conseguenza, i democratici hanno perso circa sei milioni di voti.

Nel frattempo Trump si è rafforzato all'interno delle file repubblicane come il leader di opposizione più coerente, come una figura radicale perseguitata dall'establishment e, fondamentalmente, come espressione dell'estrema destra, che durante i quattro anni di Biden è avanzata a livello internazionale.

A differenza di quanto accaduto nel 2016, il Partito Repubblicano si è schierato dietro la sua candidatura e ha costruito una coalizione con più di cento organizzazioni della destra radicale e un ambizioso programma reazionario, dettagliato nel Progetto 2025 della Heritage Foundation. La grande borghesia, che era divisa durante il suo primo mandato, è ora apertamente coinvolta, come espresso chiaramente dal sostegno pubblico a Trump dei magnati della tecnologia e degli uomini più ricchi del mondo come Musk, Zuckerberg e Bezos, che fino ad ora avevano dato di sé un'immagine molto più progressista.

L'amministrazione Trump gode anche di una maggioranza conservatrice alla Corte Suprema, del controllo di entrambe le camere dei rappresentanti, e di una leadership democratica che è più collaborazionista che di opposizione.

Nel loro insieme, questi elementi mostrano che la classe dominante imperialista ha un maggiore livello di unità sulla necessità di adottare un orientamento più reazionario. Avendo valutato che il primo mandato di Trump è fallito perché non è andato a fondo in modo più deciso, la classe dominante sostiene ora l'attuale politica per cercare di imporre cambiamenti più profondi, e più rapidamente. Una dinamica simile ha portato anche la borghesia di altri paesi a dare il proprio sostegno all'estrema destra, ad esempio in Argentina.

Di conseguenza, Trump e i suoi collaboratori sono arrivati alla Casa Bianca traboccanti di fiducia. Ma il loro vero sostegno è costituito da una minoranza nell'insieme della società. Trump ha vinto le elezioni con un margine di appena l'1,5%, e l'astensione di un terzo dell'elettorato significa che solo un terzo lo ha eletto. Non possiamo perdere di vista questa debolezza strutturale del governo, dietro la sua attuale fiducia apparentemente illimitata.


LA DIMENSIONE DELL'OFFENSIVA

Da quando è entrato in carica, Trump ha lanciato una serie di attacchi su tutti i fronti, misure contro i lavoratori, gli oppressi, i diritti democratici, le normative ambientali, e dichiarazioni di aggressione imperialista.

In una delle sue prime mosse, Trump ha dato l'indulto ai manifestanti condannati per l'attacco del 6 gennaio 2021 al Congresso, molti dei quali fascisti dichiarati. Il suo gabinetto costituisce il governo più oligarchico e reazionario dal XIX secolo. La posizione del magnate Elon Musk, con poteri straordinari sul bilancio, è indicativa.

Indipendentemente da quanto sia realistico il suo obiettivo dichiarato di tagliare più di un quarto il bilancio nazionale, Musk ha già licenziato decine di migliaia di lavoratori statali e sta spingendo per il pensionamento "volontario" di altri due milioni. Ha cambiato la categorizzazione dei lavoratori statali per arrogarsi il potere di licenziare senza impedimenti milioni di lavoratori, precedentemente considerati di natura non-politica. Tra gli altri problemi causati, il governo Trump ha interrotto tutta l'assistenza sociale nazionale e gli aiuti internazionali, causando una crisi globale dell'accesso ai farmaci per l'HIV.

Ha scatenato un massiccio raid da parte dell'ICE, la polizia dell'immigrazione, arrestando migliaia di persone, e trasferendone decine nei campi di detenzione e tortura di Guantánamo. Ha firmato decreti che tolgono i diritti alle persone trans, criminalizzano gli attivisti pro Palestina ed eliminano i programmi contro la discriminazione razziale e di genere.

Ha annullato le tiepide normative ambientali che Biden aveva attuato, ha ritirato il Paese dagli Accordi di Parigi e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Alcune di queste misure sono state bloccate a livello giudiziario, ma le possibilità che molte di esse vengano ratificate, invece che annullate, sono maggiori oggi, dato l'attuale contesto politico e la natura del potere giudiziario.

Ci sono anche molti annunci di misure che non sono molto realizzabili, ma che rinvigoriscono la base sociale reazionaria. In questo senso, il saluto nazista di Elon Musk, anche se in seguito ha negato che lo fosse, è un messaggio potente al settore radicalizzato della destra, su cui questo governo cerca di fare affidamento per affrontare l'inevitabile resistenza all'attuazione del suo programma.

Questa azione cerca di "inondare il campo" con numerose misure estremamente reazionarie ma irrealizzabili, così che sia impossibile rispondere a tutta questa serie di attacchi. In questo modo, le misure che essi intenderanno davvero portare a termine sembreranno meno terribili o passeranno inosservate. Ma ciò è anche parte di una battaglia culturale per il "senso comune". In questo modo Trump cerca di espandere radicalmente gli atteggiamenti e le azioni razziste, sessiste, xenofobe, omofobe e generalmente reazionarie che sono considerate accettabili, e di stabilire quali diritti sono considerati "privilegi" o veri e propri crimini.

Questa battaglia non ha un'importanza minore. Il suo obiettivo è quello di rafforzare e motivare l'azione dei settori più estremisti, violenti e direttamente fascisti che costituiscono il nocciolo duro della base sociale dell'estrema destra; e indebolire e demoralizzare i lavoratori e le persone oppresse in generale, e gli attivisti disposti a fronteggiare tali attacchi.


LA DOTTRINA TRUMP

Uno degli aspetti centrali della crisi sistemica in corso del capitalismo è la crisi dell'egemonia imperialista. Gli Stati Uniti, che sono tuttora la prima potenza mondiale, sono in netto declino, mentre le potenze regionali si rafforzano e la Cina emerge come concorrente globale.

Nel 2016 gran parte della borghesia si è opposta alle tendenze protezionistiche e isolazioniste di Trump, e dal 2020 Biden sta cercando di recuperare l'orientamento precedente. Ora sembra prevalere la conclusione che la strategia multilaterale, con la quale l'imperialismo statunitense ha dominato il mondo per molti decenni, non funziona più, e che è necessario un cambiamento importante per riconquistare il potere globale con la forza.

Pertanto, la brusca svolta del nuovo governo in direzione di un forte protezionismo commerciale e un nazionalismo espansionista più aggressivo ha il sostegno dell'establishment.

Trump ha iniziato annunciando nuovi dazi commerciali contro Messico, Canada e Cina; e ha dichiarato la sua intenzione di riprendere il controllo del Canale di Panama, annettere la Groenlandia e colonizzare Gaza. Sebbene questi ultimi obiettivi siano generalmente considerati irrealizzabili, e le tariffe per il Canada e il Messico siano state successivamente negoziate, gli annunci sono serviti come dichiarazione di intenti.

Da allora, gli Stati Uniti hanno aumentato le tariffe commerciali praticamente verso tutti, scaricando parte della crisi sul resto del mondo, rafforzando i profitti aziendali statunitensi a spese di altri. Ciò aggrava la crisi economica di tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, compresi alleati storici come l'Europa e Taiwan, e i paesi in cui governano altri leader di estrema destra come l'Argentina. Pertanto, questa politica genererà un maggiore attrito diplomatico e politico USA e alleati, e acuirà il conflitto interimperialista con Cina e Russia.

Trump sta anche intensificando un intervento politico internazionale più aggressivo e unilaterale. Ha svolto un ruolo centrale e visibile nell'applicazione del cessate il fuoco a Gaza, e poi ha proposto l'espulsione più rapida possibile della popolazione palestinese. Ora ha aperto i negoziati con Putin per concordare la consegna del territorio ucraino alla Russia, alle spalle del popolo ucraino.

Tuttavia, il tentativo di consolidarsi con la forza contiene anche un elemento di disperazione, e comporta un rischio non trascurabile. Rafforzarsi economicamente e geopoliticamente a spese degli altri, compresi i suoi alleati storici, aggrava la crisi e l'instabilità economica e politica in tutto il mondo. Questo disordine e i conflitti, le guerre, le ribellioni e le rivoluzioni che esso provoca sono, a loro volta, il più grande pericolo per i piani dell'imperialismo.


COME AFFRONTARLI

L'offensiva della nuova amministrazione Trump apre una nuova situazione politica, segnata da un attacco capitalistico reazionario, qualitativamente superiore al precedente, e che cambierà in modo significativo le dinamiche della lotta di classe.

Sebbene Trump e il suo governo non intendano ancora uscire dalla cornice generale delle istituzioni democratico-borghesi ed eliminare completamente le organizzazioni sindacali e politiche non borghesi, il salto autoritario e repressivo che cercano di imporre è profondo. Implica tagli drastici ai diritti democratici e un approfondimento della repressione statale, della violenza parastatale contro gli oppressi contro l'attivismo sindacale e di sinistra.

I democratici, che alle elezioni hanno minacciato che se Trump avesse vinto sarebbe arrivato il fascismo, ora minimizzano i rischi che fino a poco tempo fa esageravano. Con l'avvicinarsi delle prossime elezioni, si ricorderanno di quanto sia pericoloso Trump per presentarsi come l'unica alternativa. Ma la necessità di affrontare Trump e lottare per fermare i suoi piani è immediata.

I democratici, al contrario, si sono sforzati di garantire una transizione senza intoppi e ora stanno cercando modi per collaborare con la nuova amministrazione. Vogliono impedire l'emergere di movimenti di lotta che alla fine richiederanno tempo e sforzi per smobilitarli e incanalarli in attività di lobbying ed elettorale a proprio vantaggio.

I rivoluzionari devono agire in modo diametralmente opposto. Non possiamo minimizzare il pericolo rappresentato dagli attacchi del nuovo governo, né dobbiamo esagerarli. Al di là della caratterizzazione che ne diamo, dobbiamo essere in prima linea nel denunciare le misure di questo governo, trasmettendo l'urgenza di organizzarci per affrontarle e facendo appello alla più ampia unità per combattere questa lotta, con la massima forza possibile.

Allo stesso tempo, dobbiamo smascherare i democratici, che parlano del pericolo di Trump per chiedere voti, ma non per affrontarlo quando è più importante farlo. Dobbiamo spiegare la loro responsabilità nell'aprirgli la porta, nel disarmare i movimenti che potevano affrontarlo con più forza, e spiegare la necessità di costruire un'alternativa politica indipendente dai capitalisti e dai loro interessi.

Dobbiamo continuare le lotte economiche e sociali che abbiamo finora condotto per il salario e per il diritto di organizzazione sindacale; contro il razzismo istituzionale e la violenza della polizia; in difesa degli immigrati, per il diritto all'aborto, per l'identità e tutti i diritti di genere, tra gli altri. Queste lotte si intensificheranno. Così come in passato abbiamo iniziato a lottare per stabilire che le vite dei neri contano ("black lives matter"), dovremo ora lottare per difendere le vite delle persone trans, dei migranti e delle donne.

Ma le lotte democratiche in particolare stanno per assumere un nuovo ruolo. Dobbiamo assumerci il compito di organizzare l'autodifesa contro i settori fascisti che ora agiranno con maggiore fiducia, affrontare la persecuzione e la repressione, difendere politicamente e fisicamente il diritto di manifestare e tutti i diritti democratici; e portare avanti queste lotte in una forma che non si riproponeva da molto tempo.


VOGLIA DI COMBATTERE

La demoralizzazione accumulata durante il mandato di Biden, la disattivazione dei movimenti degli ultimi anni ad opera del Partito Democratico e la loro decisione di non organizzare proteste nazionali per l'insediamento di Trump, spiegano in gran parte perché questa volta non ci sono state manifestazioni di massa come nel 2016.

Tuttavia, c'è un'avanguardia che vede la necessità e l'urgenza di organizzare la resistenza. Sono migliaia di giovani radicalizzati dal movimento di solidarietà con la Palestina, sono i lavoratori attivi negli scioperi di Amazon o dello United Auto Workers, donne, LGBT+, immigrati, attivisti neri che hanno visto i loro movimenti disattivati dai democratici e comprendono la necessità immediata di organizzare una lotta seria, contro un pericolo molto reale.

L'offensiva di Trump provocherà inevitabilmente resistenza all'interno degli USA e in tutto il mondo. La forza e le possibilità che questa resistenza avrà dipendono in larga misura dal livello di organizzazione e di orientamento politico di questa avanguardia radicalizzata. Questo pone un compito per i rivoluzionari di oggi, una di quelle sfide in cui è importante cosa facciamo o non facciamo, cosa otteniamo o non otteniamo.

Oggi è possibile e necessario organizzare migliaia di attivisti e lavoratori politicamente radicalizzati disposti a lottare per un progetto rivoluzionario, per influenzare il corso delle lotte a venire e per gettare le basi di un partito rivoluzionario che rappresenti la classe lavoratrice e combatta per il socialismo negli Stati Uniti e nel mondo. Ciò può essere fatto da un lavoro di raggruppamento dei rivoluzionari nel paese e a livello internazionale, una prospettiva che la Lega Internazionale Socialista sostiene fermamente.

Alejandro Bodart, Vince Gaynor

Giù le mani da Eddy Sorge!


 Il Tribunale di Napoli ha inflitto sei mesi di reclusione al compagno Eddy Sorge, coordinatore provinciale del SI Cobas. Il "reato" commesso risalirebbe a una manifestazione del "movimento disoccupati 7 novembre" del 2019, per sollecitare una risposta istituzionale alle loro rivendicazioni. Una manifestazione per di più aggredita dai vigili urbani. Che il fatto non sussista è provato dall'assoluzione di tre compagni disoccupati finiti sotto processo per la medesima manifestazione.

La verità è che si è voluto punire Eddy esclusivamente in quanto dirigente delle lotte dei disoccupati. È la logica del famigerato Decreto sicurezza del governo Meloni. Si vuole intimidire e punire a futura memoria chiunque incoraggi l'autorganizzazione degli oppressi, e si batta per le loro ragioni contro il potere dei capitalisti.
Questura e magistratura si pongono al servizio del governo Meloni. Alla faccia di chi, anche a sinistra, esalta la natura "democratica" della magistratura borghese.
Al compagno Eddy Sorge va la nostra incondizionata solidarietà e il nostro abbraccio.

Giù le mani da Eddy.
Avanti con le lotte.
Non ci faremo intimidire.

Partito Comunista dei Lavoratori

Congresso di Rifondazione Comunista, lo scontro tra due posizioni diversamente subalterne


 Il congresso di Rifondazione Comunista si è appena concluso. Il segno del congresso è dato dallo scontro frontale tra due schieramenti interni di pari consistenza. Il primo a sostegno del segretario Maurizio Acerbo, il secondo sospinto dall'ex ministro Paolo Ferrero. È lo scontro che ha investito gli ultimi tre anni di vita del PRC, a livello centrale e nelle federazioni, senza risparmio di colpi. Il sostanziale equilibrio nel rapporto di forza tra i due schieramenti contrapposti si è riflesso nel risultato congressuale: settanta voti di differenza tra la mozione Acerbo e la mozione alternativa di Ferrero, a vantaggio del primo. Il segretario nazionale Maurizio Acerbo è stato confermato con un solo voto di scarto dal Comitato Politico Nazionale eletto dal congresso. Tutto lascia pensare che lo scontro proseguirà nel tempo a venire. L'unico fatto certo è che la crisi del PRC è ben lungi dall'essere risolta.


Dopo tre anni di instancabile guerriglia interna, l'ex ministro Ferrero non è riuscito a detronizzare il segretario Acerbo. Il segretario è sopravvissuto alla guerra ma non ha recuperato il controllo reale del partito. Se la posta in gioco del congresso era il controllo di ciò che resta del PRC, nessuno dei due schieramenti può cantare vittoria.
Ma non è questo l'aspetto che a noi interessa. Ci interessa invece esaminare il contenuto politico delle due posizioni a confronto. Due posizioni diversamente subalterne, accomunate da una inossidabile logica riformista. E al tempo stesso due posizioni che faticano nel quadro politico attuale a ritagliarsi uno sbocco politico reale, al di là delle retoriche di accompagnamento.

Il documento congressuale di maggioranza (Acerbo) si fonda su una precisa opzione politica: la volontà di ricomporre la relazione con il centrosinistra, in funzione di una prospettiva di governo borghese. È il richiamo nostalgico della foresta. Il tentativo di uscire dall'isolamento ritornando nella “politica che conta”.
Il riferimento esplicito alle esperienze di governo, passate e presenti, di diversi partiti della sinistra europea, da Syriza a Podemos, non è casuale. Questo è il vero contenuto della posizione di maggioranza. Naturalmente questo contenuto è avviluppato dalle immancabili rassicurazioni formali: “non intendiamo entrare nel campo largo, che vuole essere un'alleanza senza principi e programma, costruita solo su una generica opposizione alla destra... noi proponiamo al contrario punti dirimenti di programma...», ecc. ecc. In realtà è il solito vecchio canovaccio retorico del condizionamento programmatico a sinistra di PDS, DS, PD, evocato per quasi quindici anni da Fausto Bertinotti (con la sola opposizione della sinistra rivoluzionaria interna da cui nascerà il PCL) per motivare la propria prospettiva governista.

Prospettiva governista che ha coinvolto ciclicamente il PRC nelle politiche antioperaie e autodistruttive dei due governi Prodi. Nel primo caso (1996-1998), in maggioranza di governo, votando l'introduzione del lavoro interinale, il record europeo delle privatizzazioni, i campi di detenzione amministrativa per i migranti (legge Turco-Napolitano). Nel secondo caso (2006-2008), questa volta all'interno del governo, votando l'abbattimento delle tasse sui profitti di imprese e banche (IRES, dal 34% al 27,5%!), l'aumento delle spese per la Difesa, il sostegno alle missioni militari.
Sono politiche che hanno colpito i lavoratori e le lavoratrici, spianando la strada all'influenza reazionaria nelle loro file. Sono le politiche che distrussero il PRC come riferimento di massa, precipitando la sua crisi rovinosa.
La vera differenza è che allora il PRC aveva una rendita di posizione negoziale per candidarsi a sinistra del centrosinistra. Oggi quello spazio è presidiato da Sinistra Italiana. Pertanto l'unica possibilità reale di questa opzione politica è sperare di aggregarsi a Fratoianni come ultima eventuale ruota del carro. A questo si riduce la Rifondazione Comunista?

Il documento di minoranza di Paolo Ferrero contesta formalmente la ricomposizione col centrosinistra, la denuncia come capitolazione, e nello slancio critico giunge persino a riconoscere che la crisi del PRC non inizia col congresso di Chianciano del 2008 ma con le scelte di governo precedenti. Salvo rimuovere lo spiacevole dettaglio che il ministro di Rifondazione nel governo Prodi era proprio... Paolo Ferrero. Cioè colui che più di ogni altro si spese per la scelta governista del partito in contrapposizione alla sinistra rivoluzionaria del PRC; colui che più di ogni altro difese tra il 2006 e il 2008 la propria permanenza nel governo, contro l'ipotesi di un passaggio al sostegno esterno, ventilata dall'allora segretario Franco Giordano.
È un caso che il documento di minoranza rimuova totalmente la materialità delle scelte antioperaie dei due governi Prodi? Il bilancio di quella stagione viene ridotto all'eufemismo della impermeabilità del centrosinistra alle proposte riformatrici del PRC. Che è il modo di assolvere la permeabilità del PRC di Ferrero alle politiche controriformatrici del centrosinistra borghese.

La proposta “alternativa” del documento di minoranza è indicativa. La sintesi è che bisognerebbe «fare come Mélenchon»: prima capovolgere i rapporti di forza con la socialdemocrazia, grazie ad una politica autonoma, e poi ricomporre l'alleanza sotto la propria egemonia e candidarsi a governare come sinistra-centro.
Al di là di ogni principio di realtà (e delle profonde differenze con lo scenario francese), il governo del capitalismo resta dunque la bussola strategica di Ferrero. L'alfa e l'omega. La stella cometa, insensibile ad ogni lezione dell'esperienza. «Fare come Mélenchon» è la versione attuale del «fare come Tsipras». Salvo ignorare che il governo Tsipras, idolatrato a suo tempo da tutta la sinistra “radicale”, ha gestito le politiche antioperaie della troika contro la propria base sociale, e contro la domanda di svolta che ne aveva sospinto l'ascesa. E che Melenchon, già ministro di Jospin, ha un programma riformista simile a quello originario di Tsipras, prima che la sua esperienza di governo ne rovesciasse brutalmente il segno.
La verità è che oggi, dentro la crisi capitalistica e la polarizzazione dello scontro interimperialista, non c'è più lo spazio storico del riformismo, nonostante le illusioni dell'ex ministro Ferrero.

Ma l'aspetto più sconcertante del documento alternativo è la esaltazione dei BRICS, sino alla rivendicazione della adesione dell'Italia ai BRICS. Invece della doverosa contrapposizione a tutti gli imperialismi, vecchi e nuovi, nel nome dell'interesse internazionale della classe lavoratrice e dei popoli oppressi, si rivendica il sostegno ad uno dei due poli imperialisti contro l'altro, nel nome del multipolarismo e della lotta contro la guerra. Ma le dinamiche di guerra non sono forse sospinte proprio dalla presenza di diversi poli imperialisti, gli uni contro gli altri armati, che si disputano la spartizione del pianeta? Il multipolarismo imperialista è esattamente l'attuale geografia del mondo. La lotta contro la guerra o è la lotta contro tutti gli imperialismi, e a difesa di tutti i popoli da questi oppressi, o non è. Dire che l'imperialismo cinese e russo sono fattore progressivo e di pace significa capitolare alla loro propaganda imperialista, speculare alla propaganda dell'imperialismo NATO di casa nostra.

La verità è che il documento alternativo strizza l'occhio a Potere al Popolo, e anche per questo si sintonizza sull'impostazione campista del suo gruppo dirigente (Rete dei Comunisti). Salvo tacere, in un documento tutto imperniato sulla lotta alla guerra, che Mélenchon vota l'invio di armi all'Ucraina (ben al di là del giusto sostegno all'Ucraina contro l'imperialismo russo, e dunque del suo diritto ad usarle). E che Unione Popolare, con Potere al Popolo, è sepolta da anni. Non sarà Ferrero a resuscitarla. Tanto più avendo perso il congresso.

In conclusione. Siamo stati ripetutamente accusati di muovere una critica al PRC basata sul passato. Ma senza un bilancio onesto del passato come è possibile tracciare una nuova via? Peraltro è stato proprio il passato a dominare, in forma diretta o indiretta, il confronto interno al congresso del PRC. Il nodo del rapporto col centrosinistra, la questione strategica del governo, l'esperienza della sinistra europea richiamano inevitabilmente il tema del bilancio. Semplicemente, il congresso ci ha detto una volta di più che chi non impara dalla storia è destinata a ripeterla. Magari in formato ridotto e residuale, come speranza del proprio immaginario.

La verità è che Rifondazione Comunista è da tempo una sopravvivenza postuma. La Rifondazione Comunista quale riferimento largo e riconoscibile da ampi settori di classe e di avanguardia morì diciannove anni fa tra le braccia di Prodi. I gruppi dirigenti di ciò che è rimasto di quel partito appaiono prigionieri del suo passato, incapaci sia di elaborare il lutto che di rimontare la china del loro disastro.
Ai militanti coerentemente comunisti del PRC che non vogliono restare sotto le macerie del proprio partito, e che al tempo stesso non si rassegnano alla passivizzazione e alla resa, proponiamo di costruire insieme, controcorrente, il Partito Comunista dei Lavoratori, sulle basi di principio del marxismo rivoluzionario. Le uniche basi che non si piegano come canne al vento. Le uniche basi che possono armare un reale progetto anticapitalista, sul terreno nazionale e internazionale.

Partito Comunista dei Lavoratori

MARELLI: ALLA SEMISERRATA DEL PADRONE È NECESSARIA LA RISPOSTA OPERAIA

 


Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime tutta propria solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori della Marelli in lotta, presso i cui stabilimenti spesso ha distribuito i propri volantini

La decisione aziendale di ridurre le ore di lavoro tramite la cassa integrazione settimanale senza integrazione economica significa il taglio dei loro già magri salari. La direzione aziendale, con questa specie di serrata, riversa sulle spalle delle operaie e degli operai la sua cattiva gestione e le esigenze di risanamento dei conti aziendali.

Si conferma la regola costante del capitalismo: quando gli affari vanno bene gli operai possono r vedersi riconosciuti in minima parte gli aumenti salariali solo con una strenua lotta oppure vederli inesorabilmente fermi come è successo negli ultimi decenni, mentre quando vanno male è su di loro che si scaricano le difficolta vere o presunte dei capitalisti.

La negoziazione di Fiom, Fim e Uilm sulla quantità e ripartizione delle giornate di cassaintegrazione si muove tutta sul piano inclinato a favore del padronato. Occorre rigettare radicalmente l’organizzazione del lavoro proposta dall’azienda, rivendicando la ripartizione egualitaria delle ore di lavoro e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

La politica padronale oggi si fa forte del clima politico e sociale instaurato del governo Meloni, il governo più reazionario del dopoguerra. La classe lavoratrice deve comprendere bene che con questo governo i salari continueranno a rimanere fermi, continueranno i tagli allo stato sociale e l’arroganza padronale sarà sempre più illimitata.

Altrettanto non si può accontentare dell’azione dei sindacati a partire dalla CGIL che ha evocato la rivolta sociale prima dello sciopero generale del 29 novembre ma non ha disposto nessun programma di mobilitazione generale per fermare l’incedere antisociale di governo e padronato. Purtroppo, la storia recente della CGIL non depone a suo favore. L’avvallo dato al l governo Draghi, quello dello sblocco dei licenziamenti per intendersi, con la garanzia offerta della pace sociale ha aperto la strada alla destra che oggi governa con i voti popolari.

Occorre costringere la CGIL e gli altri sindacati di rifermento a dispiegare una vera e propria agenda di mobilitazioni in grado di convogliare centinaia di miglia di lavoratrici e lavoratori sul terreno dello scontro frontale contro governo e padronato. Ciò tanto più dal momento che la mobilitazione generale avrebbe non solo una valenza sociale, con il recupero salariale e l’aumento della spesa sociale, ma anche una valenza democratica perché in grado di fronteggiare la stretta repressiva vel governo (DDL 1660) che colpisce in particolare le manifestazioni operaie.

Tanto meno è accettabile la solidarietà pelosa del PD, architrave di molti degli ultimi governi che hanno aumentato le spese militari, tagliato i servizi sociali, aumentato l’età pensionabile, incrementato la precarietà lavorativa senza per altro frenare di un centesimo la caduta dei salari.

Insomma, la Marelli come innumerevoli altri casi, è un esempio del feroce attacco sferrato dal padronato contro la classe lavoratrice in nome di quell’”interesse nazionale” dietro cui si cela la rapina capitalista e imperialista.

All’attacco così dispiegato occorre dare una risposta di pari grado. Per questo è necessario costruire il fronte unico di massa della classe lavoratrice con tutte le organizzazioni che vi fanno riferimento basato su una piattaforma di rivendicazioni unificante. Una forza in grado di dispiegare una mobilitazione generale caratterizzata da forme di lotta radicali necessarie a piegare la volontà padronale e delle forze repressive del governo.

In questo modo, strada facendo, la classe lavoratrice tornerà prendere coscienza della propria forza potenzialmente immensa. Allora si renderà conto che tutti i governi siano essi di destra o di “sinistra” sono suoi nemici perché irrimediabilmente governi borghesi, comitati d’affari dei capitalisti. Invece sulla base di questa forza dispiegata potrà poggiare l’unico governo amico delle operaie e degli operai, ii governo delle lavoratrici e dei lavoratori

Il caso Almasri e la natura dello stato

 


Le «cose sporchissime» dei governi capitalisti

2 Febbraio 2025

«In ogni stato si fanno cose sporchissime per la sicurezza nazionale, anche trattando coi torturatori. Avviene con tutti i governi, tutti», ha dichiarato il famigerato Bruno Vespa a difesa di Giorgia Meloni.
È la candida confessione pubblica della verità più evidente attorno al caso del generale Almasri, torturatore libico, prima arrestato e poi rilasciato con tanto di accompagnamento in Libia.
Non c'era bisogno di Bruno Vespa, naturalmente, per capire la vera “ragione di Stato” dell'atto compiuto. La stessa evocazione dell'interesse nazionale, non meglio precisato, da parte della Presidenza del Consiglio già alludeva in forma cifrata alla verità. Il fatto nuovo è che la verità è stata cinicamente rivelata dal più autorevole ciambellano dell'attuale governo e della sua direzione postfascista.

È interessante notare che la rivelazione della verità è presentata come sua assoluzione. Se “così fan tutti”, perché prendersela con Giorgia Meloni? Semmai dovrebbe essere lodata quale baluardo del superiore interesse nazionale, al pari dei precedenti Presidenti del Consiglio. Non a caso la stessa stampa borghese della cosiddetta opposizione liberale si guarda bene dall'entrare davvero nel merito della vicenda. Anche perché dovrebbe spiegare il proprio immancabile sostegno alle «cose sporchissime» del famigerato patto con la Libia di Mario Minniti e Paolo Gentiloni (2017). Il primo oggi comodamente seduto ai vertici di Leonardo, azienda di guerra rifornitrice di Israele, il secondo commissario uscente dell'Unione Europea, e possibile candidato in pectore in veste di premier di un futuro governo di centrosinistra. Meglio dunque tutelare gli scheletri nei propri armadi, e occuparsi della difesa della magistratura. Giorgia Meloni peraltro non chiede di meglio: si intesta la difesa della Patria e della sua sicurezza, a beneficio dei sondaggi elettorali del proprio partito.

Ma allora questa difesa della patria va chiamata col suo proprio nome: diretta complicità dei governi italiani («tutti») con i peggiori torturatori libici, a garanzia del blocco delle partenze. Ciò che significa finanziamento ed equipaggiamento militare di milizie tagliagola, impegnate nel segregare i migranti, nel riacciuffare quelli che riescono a partire, nell'usare le immagini di corpi torturati come arma di ricatto per estorcere altro denaro alle loro famiglie, nell'usare i migranti come schiavi per lavori infrastrutturali e prestazioni private nelle ville dei loro aguzzini, nello stuprare donne e bambini...

Queste sono le ordinarie cose sporchissime che da quasi un decennio coinvolgono l'Italia in Libia. E non solo l'Italia. Tutti i governi “democratici” della Unione Europea coprono le segregazioni e torture libiche. Non a caso il generale Almasri ha fatto un ampio giro nei paesi europei prima di approdare in Italia, battendo ovunque cassa per i servizi prestati. Peraltro il Patto europeo su Immigrazione e asilo affida di fatto all'Italia il presidio del confine meridionale della UE. L'accordo tra Meloni e Von der Leyen poggia esattamente su queste basi. Il silenzio europeo sulle deportazioni in Albania sono un risvolto di questo accordo.

La verità confessata è uno squarcio di luce sulla natura dello Stato dei governi capitalisti e della loro unione. Se la ragione di stato si appoggia sul crimine e sulla protezione dei criminali significa che il crimine è la ragione d'essere dello stato, quali che siano le mutevoli maggioranze politiche che lo amministrano.
In Italia l'attuale governo a guida postfascista è sicuramente il peggio, ma non a caso si appoggia sulle eredità di chi l'ha preceduto. Le destre reazionarie avanzano in Europa (e non solo), ma grazie ai sentieri tracciati e concimati dalle “democrazie” liberali.
Ovunque il capitalismo genera mostri. Oggi più che mai la verità è rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

Meloni d'Arabia

 


L'imperialismo italiano in manovra

L'imperialismo italiano è in manovra. Il recente viaggio a Riad di Giorgia Meloni può essere visto da angolazioni diverse, ma complementari.
Un aspetto riguarda le relazioni italiane con l'imperialismo USA, e in particolare con la sua nuova amministrazione. Dopo il crollo del regime di Assad, la sostanziale sconfitta di Hezbollah in Libano, il netto ridimensionamento del peso dell'Iran in Medio Oriente, Donald Trump punta a rilanciare gli accordi di Abramo tra lo stato sionista e le potenze del Golfo. Lo fa nel suo proprio interesse. Per concentrare le forze contro l'imperialismo cinese sui mari del Pacifico, Trump ha bisogno di lasciarsi alle spalle un equilibrio stabile in Medio Oriente, naturalmente sulla pelle dei palestinesi. Il coinvolgimento dell'Arabia Saudita è fondamentale per l'operazione. L'Italia si candida al ruolo di mediatrice attiva del progetto, anche al fine di lustrare la propria credibilità presso gli USA.

Ma chi vede solamente questo aspetto rimuove l'altra faccia della medaglia. L'Italia non è a Riad “per conto degli USA”, ma innanzitutto per il proprio interesse imperialista. I paesi del Consiglio del Golfo (Arabia Saudita, Barhein, Emirati, Kuwait, Qatar e Oman) hanno sviluppato una forte proiezione in Africa: tra il 2012 e il 2022 una massa di investimenti pari a 100 miliardi di dollari, prevalentemente nel settore minerario e in infrastrutture (porti, scali aereo portuali, ferrovie): la sola Arabia Saudita annuncia programmi di investimento di 41 miliardi nel prossimo decennio. L'Italia vede nell'Africa la propria proiezione naturale, secondo la dottrina del “Mediterraneo allargato” (...molto allargato), a scapito dell'area di influenza francese, ormai in declino. Da qui l'idea di una “partnership strategica” tra Roma e Riad. Una convergenza di interessi.

Due degli accordi siglati da Meloni in Arabia Saudita riguardano l'intesa tra l'italiana SACE, il gruppo energetico saudita ACWA Power, e la Banca Araba per lo Sviluppo Economico in Africa. La SACE (grande gruppo assicurativo, partecipato dal Tesoro) offre copertura agli investimenti congiunti, e ottiene in cambio laute contropartite per le imprese italiane. Non solo in Africa ma anche nella regione araba. Leonardo offre ai sauditi nuovi sistemi di combattimento aereo e l'ingresso nel progetto di caccia militare d'avanguardia condiviso con Gran Bretagna e Giappone. Fincantieri, già impegnata a costruire la flotta militare del Qatar, entra nel business dei servizi logistici per navi militari saudite. Snam incassa l'accordo per trasportare in Europa idrogeno verde, di cui Riad è il principale produttore mondiale. Pirelli – già partecipata dal Fondo sovrano saudita – ottiene l'apertura di nuovi stabilimenti nel paese..

Il volume d'affari si estende all'esportazione italiana in fatto di macchinari, apparecchiature elettriche, prodotti alimentari, articoli di moda, coinvolgendo più di venti grandi imprese tricolori, mentre calano del 31% le importazioni italiane da Riad.
Un accordo vantaggioso per Roma, stimato in più di 10 miliardi di euro. La IV edizione dell'Arab Italian Business Forum organizzato a Roma dalla Camera di Commercio Italo-Araba plaude entusiasta all'intesa. Con un risvolto importante nella UE: il governo Meloni vuole presentarsi a Bruxelles come avamposto obbligato delle relazioni europee con i paesi arabi e col continente africano. Anche qui scavalcando la Francia.

Il cosiddetto Piano Mattei non è solo propaganda. Nella nuova giungla delle contese imperialiste, l'imperialismo italiano ricerca il proprio posto al sole. Con grandi difficoltà, ma anche una determinazione nuova. In ogni caso, col pieno appoggio del grande capitale di casa nostra.

Certo la disinvoltura non manca alla Presidente del Consiglio: per anni aveva denunciato, dall'opposizione (non senza retorica islamofoba) quel Bin Salman con cui oggi negozia. Ma la contestazione di incoerenza rivolta a Meloni da parte del centrosinistra fa sorridere gli uomini d'affari. Tutti i governi italiani, tutti i partiti borghesi, hanno trafficato negli anni col Regno sanguinario e misogino di Riad .Tutti hanno votato a favore della spedizione navale in Golfo Persico, al fianco di Israele e contro gli houthi. Tutti hanno armato lo stato sionista e coperto la sua barbarie in Palestina. Meloni si muove nel solco tracciato, con una marcia in più. “Io porto risultati”, ha replicato. I capitalisti italiani ringraziano.

Partito Comunista dei Lavoratori

In ricordo del compagno Pablo Vasco, dirigente del MST e della LIS

 


Abbiamo appreso con enorme costernazione e grande dolore l'improvvisa scomparsa del compagno Pablo “Vasco” Sartore.

Quei pochi di noi che lo avevano conosciuto lo scorso anno in Francia e in Argentina avevano potuto valutare la sua grande umanità e la sua grande preparazione politica, e anche la sua profonda capacità di scrittore nei suoi brillanti testi sulla questione di genere e sulle "dissidenze" sessuali LGBT+, alcune parti dei quali sono state molto utili anche per il nostro dibattito interno.
Non lo dimenticheremo lottando insieme per costruire quella internazionale marxista e rivoluzionaria per cui lui ha sempre combattuto, per creare un mondo finalmente privo di ogni sfruttamento e ogni oppressione.


Pablo ha avuto una lunga carriera nella sinistra rivoluzionaria. Ha militato ininterrottamente dal 1975 nel PST, nel vecchio MAS e poi nel MST, come membro della Direzione Nazionale. È stato impiegato di banca, metalmeccanico e studente universitario. È entrato a far parte della direzione del giornale, della commissione propaganda e responsabile del lavoro internazionale. Pablo ha dedicato uno sforzo particolare alla costruzione della Lega Socialista Internazionale. È stato uno dei pilastri nello sviluppo di questa corrente internazionale sotto vari aspetti, attivo in Francia e nei rapporti politici con diverse organizzazioni. Pablo ha proiettato il suo entusiasmo e le sue capacità in due ambiti in cui ha lasciato un indubbio segno. La lotta per i diritti di genere, dove ha espresso le sue elaborazioni che si sono riflesse in diverse pubblicazioni, ma soprattutto la sua militanza fin dagli anni '70 fino alla fondazione di Libre Diversidad e come leader della Federazione LGBT. E in secondo luogo, attraverso la CADHU (Commmissione Argentina per i Diritti Umani), ha abbracciato con forza la causa della lotta per i diritti umani, contro l'impunità di ieri e di oggi, diventando senza dubbio uno degli artefici dell'Incontro Memoria Verità e Giustizia, e lavorando fianco a fianco con i referenti e con tutte le organizzazioni, impegnandosi per sviluppare la lotta, per l’unità nella diversità, consapevole della necessità di portara avanti la mobilitazione soprattutto nei tempi che stiamo attraversando di repressione e negazionismo.

(dal sito del MST)

Partito Comunista dei Lavoratori

AGGIORNAMENTI DALLA PALESTINA

 


Serata a cura del Partito Comunista dei Lavoratori,
sez. Romagna

24 gennaio ore 21.00
presso il circolo Karl Marx, via Via G. Matteotti, 23 – Forlì




Nessuno stato sionista in Palestina. Stop all’invasione del Libano. Fuori gli Stati Uniti dal Medio Oriente! Per una Palestina unica, democratica, laica e socialista!

Il 7 ottobre segna un anno da quando Hamas ha invaso le difese di confine nel sud di Israele, attaccato obiettivi militari, preso ostaggi – per lo più civili – ed è tornato alle sue basi. L’operazione ha colto Israele di sorpresa, ha distrutto il mito della sua invulnerabilità e ha paralizzato il processo di “normalizzazione” delle sue relazioni con gli Stati arabi complici sponsorizzati dall’imperialismo statunitense. Il dolore per la morte e il maltrattamento di civili inermi non può nascondere il fatto che la parte essenziale responsabile della violenza è lo Stato sionista e colonialista, che ha commesso pulizia etnica e genocidio contro il popolo palestinese dalla fine della prima guerra mondiale, nel 1918, sotto la protezione dell’imperialismo britannico, con un salto drammatico quando lo Stato israeliano è stato fondato nel 1948, 76 anni fa.

 Durante l’ultimo anno, gli attacchi e le operazioni armate di Israele hanno raggiunto anche la Siria, lo Yemen e l’Iran, sempre con il sostegno economico, politico e militare degli Stati Uniti, dell’imperialismo occidentale e dei loro governi. Israele ha anche la complicità esplicita o implicita dei nuovi imperialismi di Russia e Cina, e della maggior parte dei governi capitalisti dei paesi arabi. Al di là della sua retorica anti-israeliana, il regime reazionario e teocratico iraniano non ha sostenuto la resistenza palestinese nella pratica, in conformità con le sue aspettative. Allo stesso tempo, la più grande minaccia alla possibilità di una vera pace nella regione è l’oppressione sionista-imperialista.

Nonostante l’enorme disparità di forze e i massacri, Israele non è ancora riuscito a superare la resistenza palestinese, a smantellare Hamas o a recuperare gli ostaggi. Allo stesso tempo, nei principali paesi imperialisti, nel mondo arabo e a livello globale, con i giovani all’avanguardia, ci sono manifestazioni di massa, accampamenti e altre azioni in solidarietà con la Palestina, e il boicottaggio degli interessi sionisti che espongono il ruolo criminale di Israele. Gli attivisti sfidano la repressione e la persecuzione dei governi complici. Questo crescente rifiuto ha spinto la Corte Penale Internazionale e le agenzie delle Nazioni Unite a emettere risoluzioni di condanna di Israele, chiedendo un cessate il fuoco, l’arrivo di aiuti umanitari e la fine dell’occupazione di nuovi territori. Ma si limitano a dichiarazioni formali, senza sanzioni effettive. L’unico strumento decisivo per la vittoria rimane la resistenza palestinese e la solidarietà attiva dei popoli arabi e del mondo intero.

Il governo di estrema destra di Netanyahu, del Likud e dei partiti religiosi sta approfondendo la sua offensiva antipalestinese di natura chiaramente pogromista. Le proteste in Israele criticano il governo e chiedono che negozi lo scambio di prigionieri con Hamas, ma sostengono la dominazione sionista. I settori progressisti contro l’occupazione sono molto in minoranza. D’altra parte, l’Autorità Palestinese di Abu Mazen e l’OLP in Cisgiordania svolgono un ruolo di collaborazione più o meno aperta con Israele. Per quanto riguarda Hamas, Hezbollah e altre leadership nazionaliste borghesi e jihadiste, il loro progetto politico è uno Stato palestinese capitalista e fondamentalista islamico nello stile dell’Iran, che consideriamo reazionario e autoritario. Siamo separati da questa strategia da differenze inconciliabili, motivo per cui incoraggiamo la costruzione di una nuova leadership palestinese rivoluzionaria, socialista e internazionalista.

Nonostante queste differenze fondamentali, sosteniamo incondizionatamente la causa del popolo palestinese per la sua liberazione e autodeterminazione, il suo diritto a difendersi con tutti i mezzi a sua disposizione e a tornare e recuperare le sue case e terre usurpate. Facciamo appello ai giovani, ai lavoratori e ai popoli; alle organizzazioni popolari e a quelle per i diritti umani, agli attivisti arabi ed ebrei antisionisti negli Stati Uniti, in Europa, in Medio Oriente, nel Maghreb e nel mondo intero per raddoppiare la loro mobilitazione nel ripudio dello Stato di Israele e a sostegno della Palestina. Il primo compito dei socialisti rivoluzionari è quello di promuovere la massima unità d’azione possibile contro il genocidio sionista e in solidarietà con il popolo palestinese. Estendiamo questo sostegno al popolo libanese, oggi sotto attacco impunito da parte di Israele.

Non c’è stata, non c’è e non ci sarà alcuna pace giusta e duratura in Medio Oriente fino a quando persisterà l’oppressione dello Stato sionista, teocratico e terrorista di Israele, artificialmente posizionato come gendarme filoimperialista dei popoli arabi. Né con la fallimentare politica dei due stati, che l’imperialismo e i suoi alleati stanno cercando di ricreare, né con uno stato palestinese capitalista e islamista. Per svolgere un ruolo progressista, la classe operaia e i giovani israeliani devono rompere con il sionismo, rifiutare la sua guerra e sostenere la causa palestinese. La pace sarà possibile solo con la sconfitta definitiva dell’oppressivo Stato israeliano e la sua sostituzione con una Palestina unica, laica, democratica e socialista nel quadro di una rivoluzione socialista regionale.

L'ANP contro la resistenza palestinese

 


L'operazione di polizia in Cisgiordania e il suo significato politico

“Proteggere la patria”: è il nome dato all'operazione di polizia dell'ANP in Cisgiordania contro le organizzazioni della resistenza palestinese.

Mentre il governo Netanyahu dà mano libera ai coloni sionisti della Cisgiordania, liberando dalla detenzione amministrativa i (pochissimi) militanti sionisti incarcerati, Mahmoud Abbas scatena la propria polizia contro i combattenti palestinesi a Jenin e Ramallah. Duemila poliziotti dell'unità d'élite 101, il cuore della cosiddetta forza di sicurezza palestinese in Cisgiordania, sono stati sguinzagliati armi alla mano, per smantellare le cellule della resistenza. Le stesse che da oltre un anno hanno dovuto fronteggiare, nelle peggiori condizioni, l'attacco congiunto delle forze militari di occupazione e dello squadrismo dei coloni, al prezzo di più di ottocento palestinesi assassinati.

Secondo l'OCHA, struttura dell'ONU preposta agli aiuti umanitari in Cisgiordania, si tratta della più grande operazione nella storia delle forze della sicurezza palestinese. Una pugnalata alla schiena della resistenza. L'esatto opposto della “protezione della patria”. Ciò per mano di una ANP corrotta, che ha collaborato sistematicamente con le forze di occupazione, sorveglia le reti social e ogni spazio pubblico, impedisce ai giornalisti di Al-Jazeera di operare in Cisgiordania (esattamente come fanno i sionisti), rifiuta di indire elezioni (che avrebbero dovuto tenersi nel 2021 ma sono state rinviate sine die) per evitare una clamorosa sconfessione da parte della popolazione.

C'è una sola ragione che oggi spiega l'operazione poliziesca dell'ANP in Cisgiordania: la sua candidatura a governare Gaza quando finirà la guerra. Mahmoud Abbas vuole mostrare alle potenze imperialiste le proprie credenziali poliziesche nel controllo del popolo palestinese. Colpire la resistenza, disarmare le sue strutture, vuol essere una prova di affidabilità ai loro occhi.

Le prospettive di questo progetto sono incerte. Il governo Netanyahu, sotto la pressione dell'estrema destra, ha sinora dichiarato la contrarietà israeliana a tale “soluzione” per Gaza. Ma Donald Trump sembra puntare a riesumare gli accordi di Abramo tra Israele e l'Arabia Saudita, e il regno saudita ha difficoltà ad un accordo con lo stato sionista senza la copertura di qualche “soluzione” farlocca per la Palestina.
Dal canto loro, gli imperialismi europei sostengono apertamente le mire di Abbas su Gaza. Il ministro degli esteri Italiano ha già dichiarato che non solo non vede altra soluzione possibile, ma che l'Italia si candida a fornire il proprio sostegno ad una amministrazione dell'ANP a Gaza, inviando se necessario i carabinieri tricolore, già impiegati peraltro a suo tempo nell'addestramento della polizia dell'ANP.

I fatti dimostrano che la (fragile) “tregua” nella guerra di Gaza, dopo un anno di sanguinosa barbarie, non dischiude di per sé alcuna prospettiva di liberazione per i palestinesi, che restano ostaggio dello stato sionista, degli imperialismi che lo armano, delle direzioni palestinesi che con questi collaborano.
Solo il rovesciamento rivoluzionario dello stato sionista, solo la liberazione della nazione araba dalla dominazione imperialista, potranno consentire l'autodeterminazione palestinese. Inseparabile come non mai dalla prospettiva di una rivoluzione araba.

Partito Comunista dei Lavoratori