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Articolo pubblicato il 27 settembre su il Manifesto - La soddisfazione per la
caduta agostana di Matteo Salvini, il ministro più reazionario del
dopoguerra, è comprensibile. Chiunque abbia lottato per i diritti degli
sfruttati non può che condividerla. Meno comprensibile a sinistra è
l'apertura di credito al nuovo governo Conte. Il PD è stato negli anni
un partito contrapposto al lavoro. Il voto determinante alla Legge
Fornero, che ha spianato la strada a Salvini, lo diede il PD di Bersani.
Renzi ha aggiunto al carnet la distruzione dell'articolo 18, ciò che
neppure Berlusconi era riuscito a fare. Peraltro proprio Renzi è stato
l'attore decisivo della formazione del nuovo governo, e la
formalizzazione oggi di Italia Viva ne accresce ulteriormente il peso.
Ora, un governo “di svolta” che si regge su Renzi non è già in sé una
contraddizione in termini?
Il punto non è la legittimità parlamentare del nuovo governo, ma la sua natura di classe. Il primo voto di fiducia al Conte due non l'ha dato il Parlamento, ma il capitale finanziario, la Borsa, il Vaticano, le cancellerie dell'Unione Europea, il Presidente più reazionario della storia americana. Significa che i poteri forti, nazionali e internazionali, si sentono rassicurati dal ritorno al governo del PD quale partito organico di sistema. Di più: sperano che il PD possa “normalizzare” definitivamente il M5S, ripulirlo delle residue scorie, assimilarlo a un polo liberale stabile. Il voto del M5S a favore di Ursula von der Leyen in sede europea è un passo in questa direzione, come lo sono i negoziati in corso tra M5S e PD nelle regioni.
Peraltro il programma del nuovo governo, al netto di ogni retorica, riflette la sua natura: riduzione del cuneo fiscale con costo zero per i padroni; infrastrutture a tutto spiano; centralità del sostegno, fiscale e finanziario, al made in Italy. Mentre resta il Jobs Act, resta la Buona Scuola, resta la legge Fornero, restano nella loro “ratio” gli stessi decreti sicurezza, già peraltro sulla scia di Minniti. Resta insomma il lavoro sporco condotto dai precedenti governi. L'austerità non è rilanciata solo perché è ereditata. Le direzioni sindacali guadagnano il tavolo di concertazione, ma le ragioni del lavoro stanno dall'altra parte della barricata.
Il sostegno da sinistra al governo Conte, oltre che socialmente immotivato, è disastroso politicamente. Lasciare a Salvini e Meloni il monopolio dell'opposizione significa concimare la loro rivincita. È già avvenuto negli anni '90 e 2000, quando governi di centrosinistra nati “contro la destra”, e sostenuti dalla sinistra “radicale” (da Bertinotti a Rizzo), spianarono la strada due volte al ritorno di Berlusconi, oltre che al suicidio di Rifondazione. Sinistra Italiana pare ripetere, in peggio, la stessa esperienza, per di più con forze assai più marginali.
Credo che l'opposizione al nuovo governo sia l'unica scelta coerente di una sinistra classista. Una opposizione senza ambiguità: non basta dire che il Conte due “non è il nostro governo”, va detto che è un governo del capitale. Su questo terreno credo necessaria la più ampia unità d'azione di tutte le sinistre di opposizione, politiche e sindacali, in funzione della ripresa delle lotte sociali. Non c'è bisogno di (legittime) manifestazioni di partito camuffate da manifestazioni unitarie. C'è bisogno di costruire un'unità d'azione vera, che nel rispetto dell'autonomia di ogni soggetto – politico, sindacale, di movimento – muova dalla chiarezza di una scelta di campo: quello del lavoro, non del capitale.
Il punto non è la legittimità parlamentare del nuovo governo, ma la sua natura di classe. Il primo voto di fiducia al Conte due non l'ha dato il Parlamento, ma il capitale finanziario, la Borsa, il Vaticano, le cancellerie dell'Unione Europea, il Presidente più reazionario della storia americana. Significa che i poteri forti, nazionali e internazionali, si sentono rassicurati dal ritorno al governo del PD quale partito organico di sistema. Di più: sperano che il PD possa “normalizzare” definitivamente il M5S, ripulirlo delle residue scorie, assimilarlo a un polo liberale stabile. Il voto del M5S a favore di Ursula von der Leyen in sede europea è un passo in questa direzione, come lo sono i negoziati in corso tra M5S e PD nelle regioni.
Peraltro il programma del nuovo governo, al netto di ogni retorica, riflette la sua natura: riduzione del cuneo fiscale con costo zero per i padroni; infrastrutture a tutto spiano; centralità del sostegno, fiscale e finanziario, al made in Italy. Mentre resta il Jobs Act, resta la Buona Scuola, resta la legge Fornero, restano nella loro “ratio” gli stessi decreti sicurezza, già peraltro sulla scia di Minniti. Resta insomma il lavoro sporco condotto dai precedenti governi. L'austerità non è rilanciata solo perché è ereditata. Le direzioni sindacali guadagnano il tavolo di concertazione, ma le ragioni del lavoro stanno dall'altra parte della barricata.
Il sostegno da sinistra al governo Conte, oltre che socialmente immotivato, è disastroso politicamente. Lasciare a Salvini e Meloni il monopolio dell'opposizione significa concimare la loro rivincita. È già avvenuto negli anni '90 e 2000, quando governi di centrosinistra nati “contro la destra”, e sostenuti dalla sinistra “radicale” (da Bertinotti a Rizzo), spianarono la strada due volte al ritorno di Berlusconi, oltre che al suicidio di Rifondazione. Sinistra Italiana pare ripetere, in peggio, la stessa esperienza, per di più con forze assai più marginali.
Credo che l'opposizione al nuovo governo sia l'unica scelta coerente di una sinistra classista. Una opposizione senza ambiguità: non basta dire che il Conte due “non è il nostro governo”, va detto che è un governo del capitale. Su questo terreno credo necessaria la più ampia unità d'azione di tutte le sinistre di opposizione, politiche e sindacali, in funzione della ripresa delle lotte sociali. Non c'è bisogno di (legittime) manifestazioni di partito camuffate da manifestazioni unitarie. C'è bisogno di costruire un'unità d'azione vera, che nel rispetto dell'autonomia di ogni soggetto – politico, sindacale, di movimento – muova dalla chiarezza di una scelta di campo: quello del lavoro, non del capitale.