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Dichiarazione della Lega internazionale Socialista (LIS) sulla Giornata della Terra Palestinese

 


29 Marzo 2025

Mentre la macchina bellica sionista continua a bombardare Gaza nella Giornata della Terra Palestinese, affermiamo che non sostenere la resistenza palestinese in ogni sua forma (politica, umanitaria, diplomatica e militare) porterà anche al nostro annientamento.

Il 49° anniversario della commemorazione della Giornata della Terra Palestinese si svolge nel teatro dei più odiosi atti di genocidio contro il nostro popolo palestinese nella Gaza assediata e della continua occupazione attraverso la pratica della pulizia etnica in Cisgiordania.

Il Libano meridionale non è altro che un'estensione della Palestina e della sua causa, poiché le nostre città sono ancora sotto occupazione e la regione porta avanti una resistenza contro la macchina il sionismo sostenuto dagli USA e dai suoi alleati.

La Giornata della Terra Palestinese coincide anche con la situazione nelle alture del Golan siriano occupate, che in questa delicata fase sta subendo un'incursione del nemico sionista.

La fermezza dei nostri popoli, nonostante il sangue e il sacrificio, offre al mondo un esempio di dignità e volontà di lottare contro le politiche imperialiste che cercano di espropriarci della nostra terra e di soffocare qualsiasi prospettiva di liberazione che porti all'emancipazione del nostro popolo da ogni sottomissione, superando anche i conflitti etnici o settari che servono agli occupanti coloniali.

Il 30 marzo, in occasione della Giornata della Terra, assistiamo con orgoglio alla resistenza di intere regioni della Siria, come Daraa, contro l'incursione dei veicoli corazzati sionisti, affrontandoli con armi precarie e combattimenti corpo a corpo.

Siamo testimoni con orgoglio della forza d'animo del nostro popolo nel libano meridionale, che difende la sua terra con le unghie e con i denti contro le false promesse di pace e normalizzazione volte ad ingannarlo.

Tutti questi esempi sono la prova che la resistenza, nella coscienza di massa e nella realtà concreta, è la forza motrice che ci guida finché c'è occupazione, con la Palestina come bussola.

Lottiamo instancabilmente contro tutte le forme di dipendenza e colonialismo. La storia non lascia spazio a compromessi o indifferenza di fronte al genocidio a Gaza o all'occupazione sionista in Siria e Libano.

Pertanto, quest'anno commemoriamo la Giornata della Terra con una resistenza popolare, con i lavoratori e gli agricoltori del sud del Libano, con i nostri giovani impegnati in tutte le forme di resistenza nel nostro paese e in esilio.

Gloria ai nostri martiri, libertà ai nostri prigionieri e guarigione ai nostri feriti.

Beirut, 25 marzo 2025

Lega Internazionale Socialista
Free Palestine Front
General Union of Student (Libano)

Appello. No alla deportazione del popolo palestinese! No al genocidio!


 NO ALLA DEPORTAZIONE DEL POPOLO! PALESTINESE

NO AL GENOCIDIO!
PER UN CESSATE IL FUOCO IMMEDIATO E DURATURO!
PER LA RICOSTRUZIONE DI GAZA E L’INVIO DI AIUTI UMANITARI!
CONTRO IL GOVERNO ITALIANO E LE SUE POLITICHE DI SOSTEGNO A ISRAELE
FERMIAMO LA CORSA AL RIARMO E ALLE POLITICHE SICURITARIE!
A FIANCO DEL POPOLO PALESTINESE E DELLA SUA RESISTENZA



Il genocidio del popolo Palestinese e l’attacco ai diritti dei lavoratori in Italia sono due facce della stessa medaglia: un sistema economico che affama i popoli e saccheggia il pianeta per finanziare guerre e armamenti. Mentre il governo italiano taglia salari, sanità e istruzione, investe invece miliardi nell’industria bellica, e alimenta il genocidio in Palestina. La lotta del popolo Palestinese è la lotta di tutte e tutti noi contro lo sfruttamento, contro la guerra, per un mondo di giustizia e libertà.
Le associazioni palestinesi, le realtà sindacali di base, i centri sociali, le realtà dell’associazionismo, movimenti, i partiti e le migliaia di donne, uomini, ragazze e ragazzi solidali che hanno attraversato le strade di Milano per oltre 70 sabati consecutivi senza mai fermarsi, lanciano un appello per una grande mobilitazione nazionale. Invitiamo lavoratrici e lavoratori, precarie e precari, migranti, studentesse e studenti e tutte le persone solidali a partecipare numerose. La partecipazione di tutte e tutti è essenziale per dimostrare la più ampia solidarietà al popolo palestinese e opporci alle politiche di guerra e oppressione.

CORTEO NAZIONALE A MILANO 12 aprile 2025 – Piazza Duca D’Aosta ore 14:30

PERCHÉ SCENDIAMO IN PIAZZA

• NO ALLA DEPORTAZIONE E AL GENOCIDIO: Esprimiamo la nostra ferma opposizione alle politiche che minacciano l’esistenza e la sicurezza del popolo palestinese.

• CESSATE IL FUOCO IMMEDIATO E DURATURO: Chiediamo la fine immediata delle ostilità e la protezione dei civili.

• AIUTI UMANITARI E RICOSTRUZIONE DI GAZA: Sosteniamo l’accesso senza ostacoli agli aiuti umanitari e la ricostruzione delle infrastrutture distrutte.

• DIRITTO AL RITORNO DEI PROFUGHI: Ribadiamo il diritto inalienabile dei profughi palestinesi a tornare alle loro terre d’origine.

• CONTRO IL SOSTEGNO DEL GOVERNO ITALIANO A ISRAELE E ALLE POLITICHE BELLICISTE: Ci opponiamo alle scelte del governo italiano che supportano attivamente le azioni militari israeliane e alimentano la militarizzazione.

• FERMIAMO LA CORSA AL RIARMO: Mentre l’Europa si prepara, con il piano “Rearm Europe”, a investire miliardi nell’industria bellica, il governo italiano taglia fondi alla sanità, alla scuola e al welfare, riducendo il potere d’acquisto dei salari. Rifiutiamo questa logica di guerra che ci impoverisce per arricchire le industrie delle armi e alimentare conflitti globali.

• CONTRO LA REPRESSIONE E IL DDL “SICUREZZA”: Denunciamo il clima repressivo che vuole criminalizzare il dissenso e colpire chi lotta per la giustizia e la libertà. L’ex DDL 1660 è un attacco diretto alle mobilitazioni sociali, ai movimenti sindacali e alle manifestazioni di solidarietà con la Palestina e rappresenta un ulteriore segnale di involuzione in senso autoritario della società. Difendiamo il diritto a protestare e a esprimere la nostra opposizione alle politiche di guerra e sfruttamento.

• LIBERTÀ PER ANAN, ALI E MANSOUR: Chiediamo l’immediata liberazione di Anan, Ali e Mansour, così come di tutti i prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri sioniste e in Europa. L’Italia non solo finanzia il genocidio in Palestina, ma perseguita anche i palestinesi sul proprio territorio, criminalizzandoli per la loro resistenza all’occupazione coloniale.

• Pretendiamo la fine della repressione e della criminalizzazione nei confronti dei palestinesi e delle organizzazioni umanitarie che operano in Italia per sostenere il popolo palestinese. La libertà di espressione, di movimento e di solidarietà sono diritti fondamentali che devono essere garantiti a tutti.

• È urgente che l’Italia, così come la comunità internazionale, smetta di sostenere l’occupazione israeliana e inizi a promuovere una politica di pace, giustizia e diritti umani per il popolo palestinese.


Dettagli logistici.

Ritrovo: 12 aprile 2025, ore 14:30, Piazza Duca D’Aosta (Stazione Centrale) Milano.
Trasporti: Per chi arriva da fuori Milano, sono previsti pullman organizzati.
Contattateci per prenotare il vostro posto.
Materiale informativo: Presso il nostro stand in Piazza Duca D’Aosta (dalle 13:30)
saranno disponibili volantini e bandiere palestinesi.

UNISCITI A NOI!
Questa è una lotta per la giustizia, la pace e i diritti umani. Una partecipazione di massa è fondamentale per amplificare il nostro messaggio e contribuire a un cambiamento reale.
Il 29 marzo è prevista un’assemblea a Milano a partire dalle 10 fino alle 15. Luogo da definire.

Contatti per informazioni: manifestazionepalestina@gmail.com


PRIME ADESIONI:

Associazione dei Palestinesi in Italia (API)
Associazione Donne Palestinesi in Italia
Comunità Palestinesi d’Italia
Giovani Palestinesi d’Italia (GPI)
Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP)
ADL Cobas
CUB
Confederazione Cobas Lombardia
SGB
SIAL Cobas
SI Cobas
ADL Varese
Usi Cit Milano
CSOA Vittoria
Spazio Micene
San Siro Città Pubblica
No ddl Milano liberi/e di lottare
Partito Comunista dei Lavoratori
Opposizione classista della minoranza CGIL

Barbarie sionista, complicità americana

 


Il patto fra Trump e Netanyahu rilancia il massacro di Gaza

La tregua è finita. Lo stato sionista ha rilanciato la propria guerra sterminatrice contro il popolo di Gaza.
L'attacco notturno a sorpresa ha fatto strage di centinaia di palestinesi, uomini, donne, bambini. Un nuovo grande lago di sangue in un paese già martoriato e distrutto. Donald Trump, preventivamente informato dell'attacco, ha dato la piena copertura e sostegno: i bombardamenti americani contro gli houthi erano in preparazione dei bombardamenti israeliani sulla Striscia.

Netanyahu ha attribuito ad Hamas la responsabilità della ripresa della guerra. Ma è, come sempre, una spudorata menzogna. La verità è che il governo israeliano si regge sullo stato di guerra e sulla complicità americana. Il piano di deportazione di due milioni di palestinesi di Gaza, annunciato da Trump a fine febbraio, ha fornito a Netanyahu l'ennesima riprova dell'affidabilità USA. Il famigerato video (fake) del brindisi fra Trump e Netanyahu a bordo piscina, sulle rovine di Gaza, non è stato solamente coreografia d'immagine rivoltante, ma anche la registrazione fedele della loro cinica intesa. Un'intesa che va al di là del Medio Oriente. Il voto congiunto all'ONU tra USA e Israele contro la denuncia dell'invasione russa in Ucraina (e contro la richiesta del ritiro delle truppe russe di occupazione) misura il patto di ferro tra il governo sionista e il nuovo corso dell'amministrazione americana sul terreno della politica mondiale. La vendetta repressiva di Trump nelle università USA contro gli attivisti pro Palestina è anche un riflesso di questo patto.

Netanyahu fa leva sull'appoggio di Trump per perseguire il disegno della “grande Israele”. La guerra genocida a Gaza, la colonizzazione sionista della Cisgiordania (sempre più estesa e violenta), l'espansione israeliana in Siria a partire dalla alture del Golan, sono tasselli di questo disegno. L'obiettivo è una nuova espulsione dei palestinesi dalla loro terra, una seconda Nakba.
Trump vorrebbe nuovi Accordi di Abramo, estesi all'Arabia Saudita, a garanzia dello stato sionista. Ma la paura di una ribellione di massa, nel nome della Palestina, frena sinora i governi arabi, e intralcia i piani dell'imperialismo. Di certo lo spettro della rivoluzione araba resta un fattore di primo piano dello scenario mediorientale.

I fatti si incaricano di dimostrare una volta di più che non può esservi pace tra colonizzati e colonizzatori, tra il popolo palestinese e lo stato d'Israele. Persino le tregue, inevitabilmente, si rivelano di cartapesta.
Solo l'incontro fra l'eroica resistenza palestinese e una grande rivoluzione araba potrà liberare la Palestina dall'oppressione congiunta del sionismo e dell'imperialismo, e consentire la piena autodeterminazione del popolo palestinese.

Partito Comunista dei Lavoratori

Perché non aderiamo né partecipiamo a questa manifestazione

 


Gli inganni dell'europeismo imperialista nel nuovo quadro mondiale. Per un'Europa socialista, quale unica vera alternativa

13 Marzo 2025

Testo del volantino che distribuiremo alla manifestazione del 15 marzo "Una piazza per l'Europa"

Pubblichiamo qui il testo dei due diversi volantini che distribuiremo a Roma il 15 Marzo in occasione delle due manifestazioni previste: quella convocata a Piazza del Popolo che vede l'adesione e/o partecipazione di uno schieramento trasversale di centrosinistra a egemonia borghese liberale e atlantista; e quella convocata a Piazza Barberini da Rifondazione Comunista e Potere al Popolo nel nome della pace.

Il primo volantino (in questa pagina) segna la nostra contrapposizione frontale ai processi di riarmo degli imperialismi europei, e dunque la nostra denuncia della grave scelta della burocrazia CGIL e di Sinistra Italiana di accodarsi (“criticamente”) al patriottismo europeista in armi. Una vergogna.

Il secondo volantino marca la nostra distanza da un'impostazione che nel nome della pace rimuove la denuncia dell'imperialismo russo e della sua guerra d'invasione, finendo con l'abbellire lo stesso negoziato apertosi tra imperialismo USA e imperialismo russo per la spartizione coloniale dell'Ucraina. Cioè per una pace imperialista.

Siamo, come sempre, per il più ampio fronte unitario di mobilitazione contro l'imperialismo di casa nostra, ma non al prezzo di tacere sull'imperialismo di casa d'altri.




PERCHÉ NON ADERIAMO NÉ PARTECIPIAMO A QUESTA MANIFESTAZIONE

Non è tempo di equivoci ma di chiarezza.

Consideriamo grave la scelta della maggioranza CGIL e di Sinistra Italiana di accodarsi alla manifestazione di un indeterminato patriottismo europeo nel momento in cui i governi di tutta Europa avviano una nuova grande corsa agli armamenti.

Guardiamo in faccia la realtà. L'imperialismo USA di Trump apre all'imperialismo russo per cercare di separarlo dall'imperialismo cinese, immaginando una nuova spartizione del mondo fra tre grandi potenze (USA, Cina, Russia). Gli imperialismi europei reagiscono alla propria emarginazione perché vogliono partecipare alla spartizione. Ma sanno che possono sperare di partecipare alla sola condizione di sviluppare la propria potenza militare. Per questo promuovono la nuova grande corsa agli armamenti, al pari peraltro di tutti gli altri imperialismi.

Il problema non è se il cosiddetto riarmo procede paese per paese (come oggi prevalentemente è) oppure nel nome di una difesa europea (come chiedono Landini e Fratoianni alla coda di Schlein). Non è se il sovranismo in armi è nazionale o continentale. Il punto vero e di fondo è: chi è “il sovrano”? Qual è la classe sociale che si arma?

La classe che comanda in ogni paese è la classe dei capitalisti. La stessa classe che schiaccia i salari e precarizza il lavoro per competere sul mercato mondiale. La stessa che taglia sanità e istruzione per pagare il debito alle banche e alle compagnie di assicurazione. È un caso se il cosiddetto riarmo è fatto a debito? Non fa differenza se l'indebitamento è nazionale o europeo. In entrambi i casi sono chiamati a pagare i salariati. In entrambi i casi a vantaggio dei capitalisti e del loro portafoglio.

Ma noi siamo qui per chiedere un'Europa sociale, democratica, e di pace” obiettano Landini e Fratoianni. Ma è la solita retorica del nulla, che serve a coprire la propria capitolazione. La verità è che tutte le serie rivendicazioni “sociali, democratiche, di pace” sono incompatibili con la classe dei capitalisti, con i suoi governi e con le sue istituzioni, siano esse nazionali o europee.

È un caso se tutti i governi in Europa negli ultimi decenni hanno tagliato salari, salute, istruzione? I governi di “sinistra” o di centrosinistra non hanno fatto meglio delle destre. Spesso hanno spianato loro la strada. Il vento reazionario che oggi spira in Europa e in America non è forse figlio di tutto questo? Se Trump governa gli USA non è forse grazie alle politiche di Biden? Se Meloni oggi governa l'Italia non è forse grazie al suicidio della sinistra? La subalternità delle burocrazie sindacali ai governi capitalisti è stata ovunque complice di questa deriva.

La questione sociale non è separabile dal tema della NATO. È significativo che le forze promotrici di questa manifestazione siano apertamente atlantiste.
La NATO ha difeso la nostra democrazia” gridano in coro i liberalprogressisti, Calenda in testa, in compagnia di Meloni e delle destre, con le sinistre in coda o silenti. No, la NATO ha difeso per ottant'anni la democrazia dei capitalisti, contro le ragioni dei lavoratori. Ha ordito più volte operazioni reazionarie contro la stessa “democrazia”, come ai tempi di Gladio, dei generali greci o di Pinochet. Ha diretto le guerre imperialiste nei Balcani, in Iraq, in Afghanistan. Ha coperto militarmente con la propria espansione nell'Est europeo la restaurazione capitalista dopo il crollo del Muro di Berlino. Da sempre ha sostenuto e armato lo stato sionista, incluso il suo governo più reazionario (Netanyahu) e i suoi orrendi massacri contro il popolo palestinese.

Per più di settant'anni gli imperialismi europei hanno utilizzato la copertura militare della NATO a difesa dei propri interessi contro altre potenze o rivali imperialisti. Ora che l'imperialismo alleato minaccia di defilarsi, in combutta coi rivali, lo supplicano di preservare l'alleanza. E anche per cercare di preservare l'alleanza corrono ovunque al proprio riarmo: esattamente quanto Trump ha chiesto loro per tenere in piedi la NATO (forse). Il patriottismo europeista non serve forse a mascherare tutto questo?

Di più. In ragione della propria natura, gli stati capitalistici europei sono incapaci di unificare l'Europa. Lo sgomitamento tra i diversi imperialismi nazionali europei per contendersi aree di influenza, spazi di mercato, commesse militari, conferma una volta di più che su basi capitalistiche uno stato federale paneuropeo è un'utopia. E se mai dovesse prodursi in futuro in direzione di un'Europa autonoma dagli USA, non nascerebbe affatto per questo una “Europa di pace”. Ma semmai una Europa ancora più armata, quale potenza tra le potenze. Come diceva Lenin: sulle basi del capitalismo, una unione europea o è impossibile o è reazionaria.
La moltiplicazione di poli imperialisti, vecchi e nuovi, è una spinta verso la guerra, non verso la pace. Non è questa forse la lezione mondiale degli ultimi quindici anni?

Ma l'Unione Europea a differenza di Trump sostiene l'Ucraina” urlano i liberal-atlantisti. In realtà la sostengono come la corda sostiene l'impiccato. Sia chiaro: gli ucraini hanno diritto a usare ogni arma disponibile per difendersi dall'imperialismo russo. Ma le armi che gli imperialismi inviano a Kiev sono per lo più caricate sul debito ucraino. In cambio (anche) di privatizzazioni, taglio di spese sociali, liberalizzazioni di mercato. Inclusa la liberalizzazione dei licenziamenti.

La rivendicazione USA delle risorse minerarie ucraine è parte di questa rapina più generale. Il governo borghese di Zelensky ha gestito e gestisce queste politiche antioperaie per ingraziarsi gli imperialisti. Ma si è posto di fatto sotto il loro ricatto. Non solo il ricatto umiliante di Trump in mondovisione. Ma anche quello più “democratico” e meno gridato degli imperialismi europei.
Del resto, possono ergersi a paladini dell'Ucraina gli stessi imperialismi europei che, al pari degli USA, sostengono e armano i crimini sionisti contro i diritti della Palestina? Anche una coerente difesa del popolo ucraino, come di tutti i popoli oppressi, implica la piena indipendenza del movimento operaio da ogni imperialismo, inclusi gli imperialismi europei, e da ogni governo loro asservito (Zelensky).

Per tutte queste ragioni ci battiamo contro ogni riarmo imperialista, nazionale, europeo, mondiale.
Contro ogni NATO, vecchia o nuova. Contro ogni economia di guerra. Contro ogni aumento delle spese militari, ed anzi per il loro abbattimento, a vantaggio innanzitutto di sanità e istruzione. Per la nazionalizzazione senza indennizzo di tutta l'industria bellica sotto il controllo dei lavoratori.

La lotta per la pace o è lotta contro ogni imperialismo, a partire dal proprio, o non è.
Il problema non è armare l'Europa, ma disarmare la borghesia europea. Ciò che solo una rivoluzione sociale potrà fare.

L'unica possibile Europa di pace è quella governata dai lavoratori e dalle lavoratrici. Una Europa socialista. L'unica che possa unificarsi su basi progressive. L'unica che possa schierarsi al fianco di tutti i popoli oppressi e del loro diritto di resistenza, senza scopi di rapina. L'unica che possa incoraggiare la ribellione delle masse lavoratrici dell'America, della Russia, della Cina, contro i propri imperialismi, le loro guerre, le loro politiche coloniali.

Partito Comunista dei Lavoratori

No al riamo europeo. No all’Europa imperialista del capitale. Per un'Europa socialista

 


Contro tutti gli imperialismi. Contro il sionismo genocida. Per l’autodeterminazione di tutti i popoli, dal Medio Oriente all'Ucraina

13 Marzo 2025

Testo del volantino che distribuiremo alla contromanifestazione di Piazza Barberini a Roma il 15 marzo

Se questa guerra fosse isolata, cioè non collegata con la guerra europea […], tutti i socialisti avrebbero l’obbligo di desiderare il successo della borghesia serba. Questa è l’unica deduzione giusta e assolutamente indispensabile, derivante dal carattere nazionale della guerra attuale. (Lenin, Il fallimento della Seconda Internazionale, giugno 1915)

... si intende forse dire.. che siamo contro una guerra di liberazione dalle annessioni, che siamo contro gli annessi che si ribellano per liberarsi da coloro che li hanno annessi! Non è una dichiarazione annessionista? (Lenin, Risposta ai compagni polacchi, 1916)

L’Ucraina moderna è un'invenzione di Lenin e dei comunisti bolscevichi, che strapparono le terre alla Russia e crearono tre stati [Russia, Ucraina e Bielorussia ndr] al posto della nostra Patria russa unita (Vladimir Putin, 22 febbraio 2022, discorso televisivo che spiegava l'“Operazione militare speciale”)


Come Partito Comunista dei Lavoratori non non abbiamo ovviamente aderito alla manifestazione che si svolge oggi a Roma su appello di Michele Serra, ed anzi la boicottiamo. Perché, al di là della precisazione “a sinistra” dello stesso Serra, è una manifestazione in difesa dell'Europa capitalista ed imperialista ed del suo sviluppo conflittuale, nella nuova configurazione geopolitica del mondo promossa dalla presidenza Trump.

Consideriamo vergognosa la decisione di Landini e del gruppo dirigente della CGIL, nonché dell’ANPI, di aderirvi. Come diceva Lenin: socialisti a parole, sciovinisti e imperialisti nei fatti.

Abbiamo sempre considerato il nostro imperialismo come nemico principale in Italia, anche quando qualcuno a sinistra vedeva l'Italia solamente come una semicolonia degli USA o addirittura della Germania; un nemico che difende gli interessi dei capitalisti italiani in tutto il mondo, come si vede oggi in Libia o ieri in Iraq, sempre al fianco del peggior paese reazionario, lo stato sionista di Israele.

Ma se per noi la condanna della manifestazione di Serra e di chi vi ha aderito è netta e pubblica, non possiamo che dichiarare il nostro dissenso nei confronti della piattaforma della vostra manifestazione. Che tace sull'imperialismo russo e sulla sua guerra d'invasione in Ucraina.

Se la richiesta del cessate il fuoco non si combina con la rivendicazione del ritiro delle truppe d'occupazione dai territori ucraini ingiustamente annessi (non certo la Crimea, che era russa anche ai tempi di Lenin); se insieme non si rivendica un referendum democratico perché il popolo del Donbass possa decidere con l’autodeterminazione con quale stato voglia stare, si finisce di fatto col coprire la Russia e la sua guerra.

Emblematico il caso di Rifondazione Comunista. Già partito di governo del capitalismo (1996-1998 e 2006-2008), oggi rimuove la natura ormai imperialista di Russia e Cina. La sua anima più di centrosinistra (Acerbo) lo fa con qualche imbarazzo, mentre la sua anima sedicentemente più a sinistra (l'ex ministro Ferrero) con l'aperta esaltazione di un presunto ruolo progressivo di Russia e Cina nel mondo.
Questo da parte di chi, con ruolo di governo, sostenne il finanziamento delle guerre imperialiste in Iraq e Afghanistan, dopo aver escluso il nostro compagno Marco Ferrando reo di aver denunciato la natura coloniale dello stato sionista di Israele e di aver sostenuto il diritto di resistenza armata del popolo iracheno contro le truppe imperialiste di occupazione, anche italiane.

Il PCL continua oggi coerentemente quella battaglia, in contrapposizione a ogni imperialismo, per il diritto di autodeterminazione dei popoli. In solidarietà con i nostri compagni della Lega Socialista dell’Ucraina, che dirigono i sindacati indipendenti, in lotta contro la politica e le leggi antisindacali di Zelensky, e insieme per la difesa del proprio paese (“invenzione di Lenin”) dall’aggressione imperialista del neozar Putin.

Così come siamo in solidarietà con i nostri compagni del Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario) russo, oggi repressi dalla dittatura bonapartista, che al momento dell’aggressione russa all'Ucraina la denunciarono coraggiosamente.

Partito Comunista dei Lavoratori

La fine dell'Occidente?


Il ciclone del trumpismo e la crisi verticale dell'asse transatlantico

11 Marzo 2025

English version

Due grandi potenze imperialiste, USA e Russia, hanno aperto un negoziato per la spartizione dell'Ucraina. Gli imperialismi europei, scaricati da Trump e ignorati da Putin, cercano la via per ritornare in scena e partecipare al banchetto, ma subiscono una pesante marginalizzazione di ruolo. Zelensky è disposto a donare agli USA le risorse minerarie del proprio paese in cambio di protezione militare, salvo venir umiliato in mondovisione da quell'imperialismo americano che ha sempre presentato al popolo ucraino come “amico”. Putin, dal canto suo, plaude entusiasta alla svolta di Trump nel mentre prosegue il bombardamento quotidiano dell'Ucraina e l'annessione delle regioni conquistate con l'invasione.

Questi fatti di assoluta evidenza agli occhi del mondo – e su cui torneremo nei prossimi giorni – sono solo la punta emergente di un profondo sommovimento delle relazioni mondiali. Un processo in pieno svolgimento, con passo accelerato. Un processo che va analizzato, con metodo marxista, per approssimazioni successive.


LA SVOLTA DEL SECONDO TRUMP

La seconda amministrazione Trump non è la continuità della prima (2016-2020). Il Trump che entrò nel 2016 alla Casa Bianca – quale outsider sorpreso dal suo stesso successo – si trovò a contrastare la resistenza di un Partito Repubblicano non ancora espugnato, l'ostilità della grande borghesia di Wall Street e della Silicon Valley, e la grande mobilitazione di massa di Black Lives Matter e delle donne. La drammatica esperienza Covid e la grande recessione capitalistica che l'accompagnò diedero il colpo di grazia al primo governo Trump, immortalato dal celebre assalto finale al Campidoglio e dai successivi trascinamenti giudiziari.

Oggi tutto è diverso. Donald Trump è ritornato a Washington da vincitore. Dispone di un consenso elettorale consolidato. Di un Partito Repubblicano ormai plasmato a propria immagine e somiglianza. Di una maggioranza, seppur risicata, in entrambe le camere del Congresso. Ma soprattutto del sostegno del grande capitale americano, a partire dai giganteschi monopoli tecnologici: monopoli direttamente coinvolti, nel caso di Musk, all'interno del governo federale, con poteri straordinari di intervento, privi di base legale, sull'intero corpo della pubblica amministrazione.

Trump sta di fatto costruendo attorno a sé un proprio sistema di potere, al tempo stesso interno e parallelo alle istituzioni tradizionali dello stato borghese americano. È il potenziale di un cambio di regime, non solo di governo. Un cambio che alza da subito il livello di attacco ai diritti dei lavoratori, delle donne, dei migranti latino-americani, di tutti i settori oppressi della società. L'avanzata reazionaria internazionale, anche in Europa, offre a Trump un vento più favorevole, mentre a sua volta riceve dal trumpismo nuovo impulso. Intanto l'opposizione sociale e democratica negli USA fatica a riprendersi dall'enorme delusione dell'esperienza Biden, ed è ancora molto lontana, al momento, dai livelli di mobilitazione del 2016-2018.


LA GRANDE SVOLTA DELLA POLITICA ESTERA USA

La discontinuità del secondo Trump si manifesta anche e soprattutto nella politica estera. Sfrondata da elementi pragmatici, buffoneschi o di pura improvvisazione, sicuramente presenti nel personaggio Trump, la linea internazionale del presidente USA segue una nuova bussola strategica. Una risposta nuova alla crisi profonda dell'imperialismo USA nel mondo. Non una risposta isolazionista (obiettivamente impraticabile per una potenza planetaria come gli USA), ma una diversa razionalizzazione del proprio indirizzo globale.

In primo luogo, l'amministrazione Trump punta a ridurre drasticamente il volume di spesa della politica estera USA, a fronte dell'arretramento del peso specifico dell'economia americana nel mondo. L'imperialismo USA vive da molto tempo al di sopra delle proprie possibilità materiali. La quota USA del capitale manifatturiero mondiale è passato nell'ultimo mezzo secolo dal 50% del secondo dopoguerra al 15% attuale. Il debito pubblico USA è raddoppiato nell'ultimo decennio, e il solo pagamento degli interessi sul debito vale ormai il 16% della spesa federale americana. Pertanto il nuovo imperativo della politica trumpiana è tagliare i costi di finanziamento di attività e funzioni giudicate superflue.

Sul piano interno, un colpo di scure alla spesa sociale, in funzione dell'ulteriore riduzione delle tasse sui profitti aziendali (dal 23% al 15%). Sul piano della politica estera, uno sfoltimento drastico dei costi di mantenimento dell'area di influenza americana su scala globale. La rottura con la OMS, l'uscita da decine di strutture multilaterali diplomatiche o assistenziali, il progetto di legge repubblicano di recesso USA dall'ONU, il taglio annunciato del contributo USA alle spese NATO a carico degli imperialismi europei, persino il progettato taglio di una parte delle basi militari USA (sono quasi 800 su scala planetaria) sono parte di questo nuovo indirizzo. Lo stesso vale per l'uscita da teatri di guerra considerati non strategici, o non più tali. Fu il primo Trump a programmare il ritiro dall'Afghanistan, poi realizzato da Biden. È Trump che oggi vuole la fine del sostegno all'Ucraina, denunciando i precedenti aiuti.

In secondo luogo, e parallelamente, Trump sceglie di concentrare il grosso delle risorse disponibili sul versante del contrasto dell'imperialismo cinese, il vero concorrente strategico dell'imperialismo USA su scala internazionale. È questo il criterio ispiratore della nuova politica estera USA. Naturalmente la centralità strategica del confronto con la Cina non è un'improvvisazione di Trump. La inaugurò Obama nel 2008 (il “pivot to Asia”), a fronte della grande crisi capitalistica mondiale e della potente ascesa dell'imperialismo cinese. Ma è nuova la modalità di perseguimento di questa rotta.

Non più la linea tradizionale di egemonia americana sul campo largo degli imperialismi alleati, a partire dagli imperialismi europei (linea rivelatasi fallimentare proprio nel contrasto dell'imperialismo cinese, come mostra il consolidamento del blocco tra Mosca e Pechino, e il progressivo allargamento dei BRICS). Ma una politica di potenza autocentrata dettata dall'interesse indipendente dell'imperialismo USA, anche a scapito degli alleati e persino in rottura con vecchi alleati. Il clamoroso avvio da parte di Trump di un negoziato diretto con Putin sulla guerra d'Ucraina, scavalcando sia Zelensky che gli imperialismi europei, ha esattamente questo segno.


IL TENTATIVO DI SEPARARE LA RUSSIA DALLA CINA

Ma non solo questo. Con il negoziato diretto con Putin, Trump prova a separare l'imperialismo russo dall'imperialismo cinese. È il tentativo di riorganizzazione su basi nuove delle relazioni mondiali, attorno ad un equilibrio tripolare fra le grandi potenze: gli USA, la Russia, la Cina. Una sorta di “seconda Yalta”: la negoziazione di una nuova spartizione del mondo.

Il momento dell'offerta americana a Putin non è casuale. Da un lato intende subito segnare il battesimo d'esordio del nuovo governo USA sullo scenario mondiale, a misura della radicalità della svolta. Dall'altro coglie il momento in cui la Russia ha subìto uno scacco pesante in Medio Oriente, con la caduta di Assad, l'arretramento di Hezbollah, il ridimensionamento complessivo dell'Iran, alleato di Mosca; e nel quale la Russia inizia a temere il rischio di un proprio inglobamento subalterno nell'area di influenza cinese, anche a partire dalla progressiva espansione della Cina nelle repubbliche centroasiatiche postsovietiche. In questo contesto gli USA offrono alla Russia una possibile opzione alternativa. Un'altra possibile sponda.

L'offerta negoziale di Trump riguarda innanzitutto l'Ucraina. L'imperialismo americano sta offrendo all'imperialismo russo il ritiro del proprio sostegno all'Ucraina, la revoca progressiva delle sanzioni, il riconoscimento alla Russia di quanto ha già conquistato sul campo di battaglia. In altri termini, Trump offre a Putin la capitolazione del paese che ha invaso. Di più: Trump offre a Mosca l'umiliazione pubblica di Zelensky, sino alla richiesta della sua uscita di scena, in perfetta corrispondenza con la richiesta russa. Cui aggiunge il diritto di saccheggio delle riserve minerarie ucraine quale forma di indennizzo del precedente aiuto militare a Kiev.

Una postura tipicamente neocoloniale. Peraltro, le riserve minerarie ucraine, soprattutto in fatto di terre rare, sono preziose per gli USA proprio in funzione della competizione con la Cina. L'interesse USA per la Groenlandia e le riserve dell'Artico conferma la loro valenza strategica.

Ma l'offerta negoziale di Trump non riguarda solo l'Ucraina. Trump offre all'imperialismo russo un ruolo negoziale globale da potenza a potenza. L'annunciato disimpegno militare USA dall'Europa, ancora incerto nella sua portata, ma già formalmente tracciato; la conseguente richiesta agli imperialismi europei di provvedere alle proprie necessità militari con un massiccio incremento dei propri investimenti nella difesa (con la consapevolezza delle difficoltà materiali degli imperialismi europei a farvi fronte); l'archiviazione definitiva di ogni futuro ingresso dell'Ucraina nella NATO (ipotesi peraltro mai concretamente esistita, se non nella propaganda di Mosca o in qualche futuribile evocazione retorica); la propria disponibilità ad allentare i vincoli NATO circa l'applicazione del famigerato articolo 5, escluso in ogni caso per eventuali missioni future di peacekeeping; persino il riferimento incidentale di Trump a un ipotetico futuro nel quale “l'Ucraina potrebbe essere russa”... sono tutti segnali neppure troppo cifrati alla Russia di Putin della disponibilità americana a negoziare con Putin gli equilibri interni al Vecchio continente, e il riconoscimento del diritto della Russia a ricostruire la propria area di influenza in Europa. Non a caso Putin ha dichiarato: «Il nuovo indirizzo della presidenza Trump è convergente con la nostra impostazione ed è per noi ragione di speranza».


PRECIPITA LA CRISI DELL'UNIONE EUROPEA

In questo quadro generale si pone la nuova linea di Trump verso l'Unione Europea. Non si tratta semplicemente della marginalizzazione negoziale della UE, fosse pur clamorosa. Si tratta di una linea di intervento mirata alla disarticolazione dell'UE. Il sostegno pubblico americano all'estrema destra tedesca rappresenta un intervento inedito degli USA nella politica borghese europea, proprio nel momento della massima crisi dei suoi assetti (Germania e Francia in primis). L'offensiva americana sui dazi di importazione delle merci europee completa il quadro.

Combinata con la riduzione delle tasse sui capitalisti che producono negli USA, la politica dei dazi mira a riportare in America produzioni e investimenti che ne sono usciti. Vale per l'Europa come per il Canada o per il Messico. Naturalmente, esistono sempre in questo campo margini negoziali. Ma la direzione di marcia è chiara. L'imperialismo americano vuole “tornare grande” anche attraendo capitali dall'Europa, dunque rafforzando le sue dinamiche di deindustrializzazione. Acciaio e alluminio, siderurgia e automobile – il cuore della produzione industriale europea – sono oggi colpiti non solo dalla concorrenza cinese ma anche da quella americana.

L'attuale precipitazione della crisi UE di fronte alla svolta trumpiana è indicativa. Mario Draghi ha evocato solennemente nel Parlamento UE la necessità di uno stato federale paneuropeo quale unica reale risposta strategica al trumpismo. Ma ha confessato lui stesso di non avere idea di come arrivarvi. Non è un caso. Gli imperialismi nazionali del Vecchio continente sono strutturalmente incapaci di unificare l'Europa. La svolta trumpiana approfondisce infatti tutte le loro contraddizioni.

La Francia punta ad intestarsi la guida di una risposta europea al disimpegno americano, forte del proprio primato militare. L'Italia rifiuta ogni possibile egemonia della Francia, cui contende spazi e ruolo, a partire da Mediterraneo e Nord Africa. La Gran Bretagna cerca un proprio reinserimento nel gioco europeo, ma si trova stretta nel contenzioso franco-italiano. Gran Bretagna, Italia, Polonia concorrono tra loro al ruolo di pontieri tra l'Europa e Trump, ma proprio la radicalità della svolta di Trump riduce pesantemente il loro spazio di manovra.
La Germania è concentrata sulla soluzione interna della propria crisi politica e recessione economica, ma ha difficoltà a trovare i numeri parlamentari necessari per aggirare i vincoli costituzionali di bilancio. Ungheria e Slovacchia, a loro volta, rafforzano nel nuovo scenario il proprio gioco di sponda tra imperialismo USA e imperialismo russo in funzione anti-UE.

Non si può escludere che in questo quadro convulso possano prodursi in futuro cooperazioni rafforzate tra alcuni paesi imperialisti europei cosiddetti “volonterosi”. Ma solo entro spazi limitati, senza rilevanza istituzionale, nella impossibilità di modificare i trattati.
L'unica vera certezza europea è oggi la corsa generale agli armamenti con lo scorporo delle spese militari dal nuovo Patto di stabilità e con nuove forme di indebitamento; ma nella lotta spietata tra le industrie militari nazionali per accaparrarsi mercato e commesse. Tutte le aziende del complesso militare-industriale trionfano in Borsa, mentre i grandi produttori d'armi americani si candidano a principali beneficiari della corsa agli armamenti in Europa.

La crisi europea amplia a sua volta gli spazi di inserimento dell'imperialismo russo e dell'imperialismo americano nel Vecchio continente. All'interno delle destre europee, dove dispongono entrambi di agganci e relazioni, talora combinate (AfD, Lega salviniana). O all'interno della penisola balcanica, dove l'imperialismo russo cerca di capitalizzare l'arresto del processo di integrazione in UE di diversi paesi. Non a caso il peso specifico di formazioni filorusse si consolida in aree significative dell'Est europeo.

La verità è che L'Unione Europea a ventisette membri, già paralizzata dalla regola dell'unanimità, a garanzia dei capitalismi nazionali, ha ormai concluso da tempo la propria dinamica di espansione. L'attuale ondata sovranista ha messo al riguardo il sigillo finale. Non a caso, la stessa integrazione dell'Ucraina nella UE è bloccata dai veti dei paesi concorrenti nel campo dell'agricoltura e dei sussidi. La celebrata solidarietà con l'Ucraina si ferma alle soglie del portafoglio dei capitalisti.


LE NUOVE RELAZIONI IMPERIALISTE SUL BANCO DI PROVA DEL MEDIO ORIENTE

L'offerta di un ruolo negoziale alla Russia si estende alla crisi Medio Orientale. È lo scenario più complicato e ad oggi irrisolto della nuova relazione russo-americana. Il disegno trumpiano mira a capitalizzare la profonda sconfitta dell'Iran dopo i subiti bombardamenti sionisti e il crollo di Assad, per provare a rilanciare e allargare i famosi accordi di Abramo tra i regimi arabi e Israele (sino a provare a coinvolgervi non solo l'Arabia Saudita ma persino il Libano e la nuova Siria). È l'operazione promossa a suo tempo dal primo governo Trump, con l'obiettivo di un nuovo equilibrio stabile del Medio Oriente, che consenta agli USA di concentrarsi contro la Cina in Asia.

Il secondo governo Trump agisce oggi su due direttrici combinate. Da un lato propone alla Russia di scaricare l'Iran – primo esportatore di petrolio in Cina – in cambio di rassicurazioni compensative per gli interessi russi in Siria (salvaguardia delle basi militari di Tartus, Latakia e Khmeimim): operazione appoggiata apertamente da Netanyahu per riequilibrare e contenere l'influenza turca. Dall'altro lato massimizza la pressione su Egitto e Giordania affinché aprano le proprie frontiere all'annunciata deportazione dei palestinesi di Gaza, e accettino di fatto l'annessione sionista della Cisgiordania.

Ma la quadra del cerchio, a dispetto di Trump, è ancora in alto mare. Lo stato sionista, forte dei propri successi militari, non ha ancora spento i motori della propria guerra sterminatrice, a beneficio della tenuta politica di Netanyahu. E l'odio di cui è circondato in tutta la regione blocca lo spazio di manovra dei regimi arabi. Non perché questi siano minimamente interessati alle sorti dei palestinesi, ma perché un loro accordo oggi con Israele li esporrebbe al rischio di una rivoluzione in casa sotto la bandiera della Palestina. La memoria delle sollevazioni di massa del 2010-2011 in Tunisia, in Egitto, e inizialmente nella stessa Siria, è ben presente nelle borghesie arabe.
Il rivoltante video cartolina del resort di Gaza, tra gli sghignazzi di Trump, Musk, Netanyahu, ha rafforzato le loro preoccupazioni. Tanto più a fronte del tracollo di ogni residua finzione diplomatica attorno alla “soluzione due popoli per due Stati” che possa fornire ai governi arabi lo straccio di una copertura cui aggrapparsi. Lo spettro della rivoluzione araba resta ad oggi una pietra d'inciampo per la strategia di Donald Trump in Medio Oriente.


“L'AMERICA AGLI AMERICANI”

Il nuovo corso di Trump procede al tempo stesso con passo sicuro nel grande continente americano. “Via la Cina” dal canale di Panama. Intimidazione annessionista verso il Canada, quale possibile cinquantunesimo stato americano. Minaccia sfrontata contro il Messico, col diritto a intervenire militarmente in terra messicana contro i cartelli della droga. Respingimento di ogni nuova migrazione negli Stati Uniti e deportazione in catene di migliaia di immigrati. Ridenominazione provocatoria del Golfo del Messico in Golfo d'America. Partneriato strategico col regime argentino di Milei, nella prospettiva di una (difficile) riconquista dell'egemonia USA in America Latina

È una sorta di riformulazione, due secoli dopo, della storica dottrina Monroe che rivendicava “l'America agli americani”. Allora si presentava come rivendicazione della libertà del continente americano dal vecchio colonialismo europeo, in realtà una ipocrita giustificazione preventiva del proprio futuro progetto imperialista. Oggi quell'antica petizione in bocca a Trump può fare a meno di ogni finzione. Gli USA intendono “liberare” l'America Latina dalla massiccia penetrazione di capitali e merci dell'imperialismo cinese. Via la Cina dall'America Latina in cambio di una futura apertura alla Cina su Taiwan? È troppo presto per simili congetture. Tuttavia Trump ha dichiarato che Taiwan ha derubato gli USA in fatto di microprocessori, e che dovrebbe provvedere alla propria difesa portando le spese militari al 10% del PIL. L'imperialismo giapponese e la Corea del Sud sono significativamente inquieti.


IN CONCLUSIONE

Non è possibile avanzare previsioni certe sullo sviluppo del nuovo scenario mondiale. Tutto appare in movimento, con passo accelerato, lungo nuove linee di faglia. Può essere che l'intera operazione di Trump si concluda alla fine con un fallimento, con la tenuta del blocco imperialista russo-cinese e la conseguente ricomposizione dell'asse transatlantico tra USA ed Europa; come può essere invece che si sviluppi in direzione sua propria, con effetti domino dirompenti su ogni scacchiere.
Di certo è in atto un tentativo serio della nuova amministrazione americana di riorganizzare su basi nuove le relazioni imperialiste, quale risposta alla propria crisi di egemonia. Il vecchio assetto degli equilibri globali, già in crisi profonda dopo il 2008, sembra precipitare, mentre nuovi assetti sono ancora lontani dal prendere forma. Una stagione di grande instabilità attende il mondo.

Marco Ferrando

 

8 marzo giornata di lotta! Contro la reazione che avanza sui nostri corpi

 


Pubblichiamo il volantino di Femminist* Rivoluzionari*


CONTRO CAPITALE E OPPRESSIONE PATRIARCALE

Appena insediatosi alla presidenza degli Stati Uniti, Trump ha dato il via come promesso a violentissimi attacchi all’autodeterminazione delle donne e delle persone LGBT*QIAP+: non è che l’ennesimo atto di una vera e propria ondata internazionale reazionaria, fanatica e oscurantista che impatta sulla classe lavoratrice e in particolare sulle donne e sulle persone queer, dall’Argentina, agli USA passando per l’Italia, con la criminalizzazione dell’aborto e dell’autodeterminazione in materia sessuale e sanitaria. L’avanzata della destra va di pari passo all’arretramento del movimento operaio e dei movimenti per i diritti civili. La stretta reazionaria in Italia si esplicita anche con vere e proprie norme da stato di polizia, come il DDL 1660, finalizzato alla repressione delle proteste. Cosa c’è da festeggiare in un quadro del genere? Per noi, oggi come oltre cento anni fa, l’otto marzo è giornata di lotta militante.

Ripartire dal lavoro, unica vera strada di emancipazione

Davanti a una società borghese che ci espelle dal mondo del lavoro quando fa comodo, davanti al 34% delle donne che non lavora per svolgere compiti di cura (INAPP), rivendichiamo l’ingresso nel mondo del lavoro per donne e giovani a condizioni dignitose e la necessità imminente di recuperare tutti quei diritti che ci sono stati tolti dalle controriforme del lavoro e dello stato sociale. La soluzione è un reddito di cittadinanza/di esistenza o di autodeterminazione, per il lavoro riproduttivo? Assolutamente no. Il reddito o salario al lavoro domestico, lungi dall’emanciparci, ci lega ancor più strettamente al nucleo familiare e a eventuali partner violenti.

Abbattere capitalismo e patriarcato: non siamo lo stato sociale dei padroni!

Le donne e le persone queer lavoratrici e disoccupate stanno pagando il prezzo più alto delle politiche economiche degli ultimi 30 anni su più piani: mentre su quello del lavoro aumentano precarietà, disoccupazione e si erodono i salari, le riforme allo stato sociale confinano le donne dentro casa, riducendo i servizi, l’assistenza e le strutture pubbliche per la cura di bambin* e anzian*. Lo stato borghese scarica i costi del lavoro di cura sulle famiglie ed in particolare sulle donne meno abbienti, le quali non hanno i mezzi economici per pagare servizi o strutture private. Ricorrere all’aborto è sempre più difficile, questo diritto è ogni giorno svuotato del suo significato grazie all’atteggiamento complice e connivente di uno Stato che tollera un’obiezione di coscienza usata da fanatici religiosi e reazionari come un’arma contro le donne e di un governo postfascista che ha consentito e incoraggiato l’infiltrazione dei movimenti fondamentalisti cristiani in ospedali e consultori.


PER UNA LOTTA FEMMINISTA MARXISTA RIVOLUZIONARIA

L’arma più potente in mano alla classe lavoratrice è quella dello sciopero, perché colpisce il padronato e il capitale dove fa più male: il portafogli. Ma astenersi dal lavoro domestico per trovarne domani il doppio da fare non risolverà nulla: dobbiamo rovesciare una società che ci vuole doppiamente oppresse, sul lavoro e a casa, ribaltando un sistema economico basato sulla presenza di sfruttat* e sfruttatori, oppress* e oppressori, a favore di una società in cui la donna e le persone LGBTQIAP+ saranno liber* dall’uomo e tutt* saranno liber* dal capitale.

Rivendichiamo:

Un lavoro dignitoso!
• Abolizione di ogni forma di precarietà e flessibilità
: ripristino dei diritti sindacali conquistati e perduti dal movimento operaio, abolizione delle leggi antioperaie e repressive
• Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: lavorare meno, ridistribuire il lavoro tra chi non ce l’ha e avere più tempo libero
• Salario di disoccupazione dignitoso per chi il lavoro l’ha perso
• Salario minimo ben oltre la soglia del lavoro necessario, a favore delle/dei lavorator* e non dei padroni!
• Reintroduzione della scala mobile: adeguamento del salario all’aumento dell’inflazione.
• Vogliamo poter andare in pensione! Lottiamo per un sistema retributivo, per una pensione minima sopra i livelli della mera sussistenza, contro l’allungamento dell’età pensionabile.
• Riduzione dell’età pensionabile per i lavori usuranti
• Nazionalizzazione sotto il controllo operaio e senza indennizzo delle imprese che licenziano o delocalizzano.
• Sicurezza e tutela sul lavoro sotto il controllo operaio, per condizioni di lavoro più sicure e più salubri
• Abolizione di tutte le leggi che comprimono i diritti sindacali e di sciopero, abolizione del reato di blocco stradale, no alle precettazioni illegittime
• Istituzione del reato di omicidio sul lavoro
• Lotta alla schiavitù, al caporalato e alle molestie, ai ricatti e alla violenza sessuale nei luoghi di lavoro
• Socializzazione del lavoro di cura contro qualsiasi proposta di salario alle casalinghe o reddito di esistenza. Compiti di cura socializzati e non sulle nostre spalle!
• Congedi parentali prolungati e retribuiti al 100% estesi a tutti i genitori, la responsabilità genitoriale non è solo delle donne!
• Nazionalizzare sotto il controllo sociale i servizi privati legati alla cura, abolizione del welfare aziendale e dirottamento dei fondi verso i servizi pubblici
• Istituzione di una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco per finanziare scuola e sanità, e tutti i servizi legati alla cura della persona.
• Abolizione di tutte le leggi che patologizzano le soggettività LGBTQIAP+ e istituzione di percorsi di autodeterminazione tutelati, gratuiti e garantiti
• Lotta allo sfruttamento della prostituzione e alla tratta di esseri umani
• Creazione di un percorso garantito per le vittime della violenza eterocispatriarcale ma rifiuto della denuncia obbligatoria
• Aborto libero, sicuro, gratuito e garantito, promozione dell’aborto farmacologico, abolizione del colloquio preliminare
• Contraccezione gratuita, liberamente disponibile e garantita
• Sostegno effettivo alla maternità con la socializzazione dei compiti di cura e adeguate strutture a sostegno delle madri
• Lotta alla violenza ostetrica e misogina nelle cure alle donne
• Blocco a tempo indeterminato degli sfratti
• No alla criminalizzazione di chi occupa, abolizione di tutte le leggi repressive e securitarie contro i movimenti per la casa
• Libertà di migrare, abolizione dei CPR e dei centri di detenzione per migranti
• Accoglienza e tutela delle donne e delle soggettività LGBTQIAP+ migranti e ius soli, permessi di soggiorno, documenti e diritto alla residenza
• No alle guerre dell’imperialismo e alle spese per gli armamenti, cessate il fuoco immediato in Palestina e in Ucraina e in tutti i teatri della guerra del capitale
• No all’ondata reazionaria del postfascismo mondiale, per la ripresa delle lotte antifasciste, in saldatura diretta con l’anticapitalismo
• Per un mondo pulito in cui vivere: produrre e consumare ciò che serve, accesso a acqua, terra, aria puliti, esproprio e nazionalizzazione delle imprese che inquinano

Siamo consapevoli che nessun governo della borghesia, contro i propri interessi, metterà in atto queste misure. Il programma della classe proletaria può essere realizzato solo da un governo de* lavorator*! Solo la rivoluzione socialista su scala internazionale potrà liberarci dalle catene dello sfruttamento capitalistico e dell’oppressione patriarcale.

Costruiamo insieme questa prospettiva! Saldiamo la lotta contro l’oppressione di genere alla lotta di classe! Invertiamo la deriva reazionaria sul corpo delle donne! Per una lotta femminista marxista rivoluzionaria contro capitalismo e patriarcato!


Volantino allegato in basso

Femminist* Rivoluzionari*

La corsa alle armi dell'Unione Europea

 


Gli inganni dell'europeismo imperialista nel nuovo quadro mondiale. Per una Europa socialista, quale unica vera alternativa

La svolta in corso delle relazioni mondiali pone gli imperialismi europei di fronte a una nuova sfida. Se l'imperialismo USA apre all'imperialismo russo, rompendo l'asse tradizionale transatlantico, gli imperialismi europei devono provvedere in forme nuove alle proprie necessità militari. È il senso dell'appello al “riarmo” dell'Europa pronunciato con tono solenne dalla Presidente della Commissione UE.

L'espressione “riarmo”, in sé, è ridicola. Gli imperialismi europei sono tutt'altro che “disarmati”.
I tempi del disinvestimento nella spesa militare, successivi al crollo del Muro di Berlino, sono ormai lontani. I bilanci militari degli stati europei sono in espansione da almeno un decennio. La soglia del 2% del PIL per le spese della difesa è stato indicato da tempo dall'imperialismo USA come traguardo minimo per tutti i paesi della NATO. E tutti i paesi della NATO, sotto qualsivoglia governo, si sono mossi in questa direzione. La guerra russa in Ucraina a partire dal 2022 ha naturalmente costituito un fattore di accelerazione.


LA SVOLTA DI TRUMP, UN NUOVO BANCO DI PROVA PER GLI IMPERIALISMI EUROPEI

Tuttavia la svolta di Trump pone oggi l'esigenza di un salto qualitativo. Non si tratta più di rimpinguare gli arsenali militari per compensare gli “aiuti” forniti a Zelensky. Si tratta di rispondere all'annuncio di un disimpegno americano dal fronte europeo. È un annuncio ancora indeterminato nella sua portata quantitativa, nel suo riflesso strategico sulle relazioni interne alla NATO, nelle sue conseguenze di prospettiva sulla stessa tenuta dell'Alleanza Atlantica. E tuttavia è chiarissima la nuova direzione di marcia. Donald Trump ha dichiarato che l'imperialismo USA vuole ridimensionare la propria presenza in Europa per concentrarsi sul confronto strategico con la Cina. Per questo apre all'imperialismo russo. Per questo cerca di separare la Russia dalla Cina, offrendogli in cambio non solo l'Ucraina ma un ruolo globale nella spartizione del mondo. Esattamente il ruolo cui Putin aspira.

Gli imperialismi europei avevano messo nel conto il fatto che una nuova amministrazione Trump avrebbe creato problemi sul terreno delle relazioni con l'Europa. Ma non si attendevano una svolta tanto radicale e tanto rapida.
Da tempo il capitalismo europeo viveva una propria emarginazione di ruolo nella concorrenza politica e di mercato tra la vecchia potenza americana e la nuova potenza cinese. Ma la copertura militare americana appariva scontata. Per assicurarsi la continuità di tale copertura, gli imperialismi europei hanno osservato la disciplina della NATO e la sua direzione americana in tutte le scelte di fondo, a volte anche al di là dei propri specifici interessi, o obtorto collo: nelle guerre d'invasione cosiddette umanitarie (Afghanistan, Iraq), nell'indirizzo dei bilanci militari, nel posizionamento politico di fondo sui diversi scacchieri dello scenario mondiale. Incassando come contropartita il proprio coinvolgimento, fosse pure di seconda linea, nella politica imperialistica dell'Occidente. E soprattutto una rendita di posizione geostrategica nel rapporto di forza con le nuove potenze imperialiste (Cina, Russia).


LA REAZIONE PANICA DELLE CANCELLERIE EUROPEE

Ora tutto sembra precipitare, con una drammatica accelerazione. Da qui la reazione panica delle cancellerie europee e la loro affannosa corsa al “riarmo”. Non si tratta della scelta della terza guerra mondiale da parte dell'Unione Europea, come dicono gli sciocchi di diversa osservanza, di fatto alla coda di Putin e/o di Trump e delle rispettive propagande. Si tratta della ricostruzione di una deterrenza militare dell'imperialismo europeo nella nuova stagione del militarismo mondiale.

Le relazioni imperialiste si basano sui rapporti di forza. E i rapporti di forza non sono solo economici e finanziari, ma anche militari.
La forza militare degli imperialismi europei, su scala globale, è stata sinora garantita dalla NATO. Solamente dalla NATO? No. Ogni stato nazionale imperialista dispone di un proprio specifico peso, in rapporto alle proprie dotazioni militari, alla loro esperienza e tradizione, alla loro sperimentazione sul campo. La dotazione nucleare di Francia e Gran Bretagna, ad esempio, concorre a misurare il loro status nella politica internazionale, anche all'interno del vecchio continente. E non a caso tutti gli imperialismi europei, Italia in testa, si contendono le rispettive aree di influenza (Balcani, Nord Africa, Africa subsahariana e Medio Oriente) anche e innanzitutto irrobustendo le proprie tecnologie militari.
E tuttavia è stata l'appartenenza alla NATO, e con essa la protezione americana, la garanzia di ultima istanza degli imperialismi europei. E ora? Se gli USA vanno via, che ne sarà dei baltici? La spartizione annunciata dell'Ucraina tra USA e Russia innescherà l'effetto domino di una più ampia spartizione nell'Est Europeo? Queste, ed altre, sono le preoccupazioni dei piani alti della borghesia europea e dei loro stati maggiori.


“CARNIVORI E VEGETARIANI”. AMBIZIONI E LIMITI DELL'EUROPEISMO IMPERIALISTA

In un mondo di carnivori non possiamo fare i vegetariani” ha ripetutamente affermato Mario Draghi. Dal punto di vista imperialista è una considerazione fondata. Se le grandi potenze si candidano alla spartizione del mondo in ragione innanzitutto della propria forza militare, non vi è futuro per gli imperialismi europei senza la ricostruzione di una propria potenza in armi. E una potenza in armi si accompagna, a sua volta, alla suggestione di una unificazione dell'Europa.

L'unica vera risposta alla svolta di Trump passa per lo sviluppo dell'Unione Europea in direzione di uno stato federale, affermano in coro in queste ore le mille voci dell'europeismo borghese. C'è però uno spiacevole dettaglio: la soluzione federale è incompatibile con la natura nazionale dei diversi imperialismi europei, nelle loro diverse radici, tradizioni, aree di influenza, competizione di interessi. I loro stessi apparati militari si contendono furiosamente commesse e spazi di mercato, gli uni contro gli altri armati. La Francia è europeista solo se si tratta di una Europa a trazione francese (e nucleare). La Germania non vuole subordinarsi alla Francia, e punta sempre più apertamente a un grande rilancio militare in proprio. L'Italia lustra i gioielli della propria industria bellica (Leonardo, Fincantieri) spesso in cordata con la Gran Bretagna, compete con la Germania per l'egemonia sui Balcani, e vuole capitalizzare lo sfaldamento dell'influenza della Francia in Africa (piano Mattei). Come possono questi diversi interessi comporsi sotto un unico tetto?


800 MILIARDI IN ARMAMENTI. CHI PAGA E CHI INCASSA. LA CONTRADDIZIONE TRA I DIVERSI INTERESSI NAZIONALI

Il progetto di riarmo di Von Der Leyen riflette nel suo stesso impianto la divaricazione dei diversi interessi nazionali. La Germania si è opposta a un ulteriore ricorso all'indebitamento europeo per finanziare le nuove spese militari. Gli (scandalosi) 800 miliardi in armamenti che sono stati evocati sono in larga misura affidati ai diversi bilanci nazionali (per la cifra di 650 miliardi in quattro anni). È vero che le spese nazionali in armi vengono svincolate dal Patto di stabilità (a differenza delle spese in sanità o in istruzione!), e possono accrescersi dell' 1,5% del PIL. Ma... «c'è il rischio di accentuare le differenze tra i Paesi membri che hanno spazio di manovra e quelli che sono già molto indebitati» osserva il quotidiano della nostra Confindustria (5 marzo). Preoccupato che l'Italia resti indietro rispetto agli altri concorrenti europei, anche in fatto di armamenti. In compenso, Von Der Leyen garantisce ai governi della UE la possibilità di convertire in spese militari... i “fondi europei di coesione sociale” destinati alle aree svantaggiate e depresse del continente. Come dire che il Mezzogiorno italiano pagherà le nuove spese in armi del governo Meloni-Crosetto.

La verità è che dentro il quadro capitalista l'unificazione europea sarà o impossibile o reazionaria. Così scriveva Lenin nel 1915, durante la Grande Guerra. E aveva ragione. L'attuale scenario europeo è emblematico. Da un lato, i diversi imperialismi della UE non possono creare uno stato federale paneuropeo, avviluppati come sono nelle loro insuperabili contraddizioni nazionali, tanto più a fronte dell'ascesa al loro interno delle (peggiori) forze sovraniste. Dall'altro lato, tutti i progetti europeisti, sulla attuali basi capitaliste, comportano lo sviluppo del militarismo imperialista, a spese dei lavoratori, delle lavoratrici, di tutti gli sfruttati.


L'INGANNO DELL'EUROPEISMO LIBERALE. LA SUBALTERNITÀ DELLE SINISTRE RIFORMISTE

L'idea di una Europa “autonoma dagli USA”, e per questo “potenza di pace”, ricorre frequentemente nella retorica progressista delle sinistre riformiste. Ma si tratta di un capovolgimento ideologico della realtà. Una Europa capitalista autonoma dagli USA può essere solo una potenza in armi. Non meno armata, ma più armata. Una potenza “carnivora” tra potenze “carnivore”. Una potenza che lotta contro altre potenze per la spartizione del pianeta.

Il mondo multipolare quale garanzia di pace è una ingenua illusione o una consapevole mistificazione. È proprio la moltiplicazione dei poli imperialisti, in lotta tra loro per la spartizione del mondo, ad accrescere la spinta verso la guerra. Il riarmo dell'Europa, quale replica al disimpegno di Trump, è solo un ulteriore rafforzamento di questa linea di tendenza internazionale. La prenotazione di un altro posto a tavola nella suddivisione del pianeta.

I “progetti segreti” di riconversione militare dell'industria automobilistica italiana, rivelati dal Corriere della Sera (1 marzo), sono al riguardo eloquenti circa l'attuale tendenza europea. «La Germania sta riconvertendo in armamenti, preparandosi a spendere duecento miliardi, l'Italia deve adeguarsi per non perdere la filiera» dichiara testualmente il quotidiano di Banca Intesa (citando Giorgia Meloni). Produrre carri armati al posto di auto sicuramente risponde al trionfo in Borsa di tutte le azioni del comparto bellico. Ma non è esattamente una riconversione di “pace”. È la partecipazione alla corsa verso una prospettiva storica di guerra.

Tuttavia, fortunatamente, questi progetti di riarmo hanno un problema: l'aperta diffidenza o ostilità di larga parte delle opinioni pubbliche europee. In particolare tra quelle masse lavoratrici prima colpite da compressione dei salari e tagli sociali nel nome del “progresso”, ed oggi chiamate a pagare di tasca propria la corsa agli armamenti nel nome della difesa della Patria, sia essa nazionale o europea. Ieri come oggi, nell'esclusivo interesse dei capitalisti e dei loro profitti.


PER UNA EUROPA SOCIALISTA, QUALE UNICA ALTERNATIVA DI PACE

Per questo ci battiamo contro ogni riarmo imperialista, nazionale, europeo, mondiale. Contro ogni NATO, vecchia o nuova. Contro ogni economia di guerra. Contro ogni aumento delle spese militari, e anzi per il loro abbattimento, a vantaggio innanzitutto di sanità ed istruzione. Per la nazionalizzazione senza indennizzo di tutta l'industria bellica sotto il controllo dei lavoratori.

La lotta per la pace o è lotta contro ogni l'imperialismo, a partire dal proprio, o non è.
Il problema non è armare l'Europa, ma disarmare la borghesia europea. Ciò che solo una rivoluzione sociale potrà fare.

L'unica possibile Europa di pace è quella governata dai lavoratori e dalle lavoratrici. Una Europa socialista. L'unica che possa unificarsi su basi progressive. L'unica che possa schierarsi al fianco di tutti i popoli oppressi e del loro diritto di resistenza, senza scopi di rapina. L'unica che possa incoraggiare la ribellione delle masse lavoratrici dell' America, della Russia, della Cina, contro i propri imperialismi, le loro guerre, le loro politiche coloniali.

Partito Comunista dei Lavoratori

Stati Uniti: primi impatti del secondo mandato di Trump

 


Da quando ha assunto la carica per il suo secondo mandato, il 20 gennaio, Trump ha lanciato un'offensiva reazionaria, autoritaria e imperialista. Questa volta è accompagnato dall'establishment, con l'appoggio di un Partito Repubblicano schierato dietro di lui, il sostegno esplicito dei principali magnati capitalisti e l'atteggiamento permissivo dei democratici e della burocrazia sindacale.


Quest'ultimo fattore ha certamente contribuito al fatto che non siano emerse le grandi mobilitazioni di opposizione che lo accolsero nel 2016, ma la crescente polarizzazione sociale e politica alimenta anche la radicalizzazione di un settore disposto a lottare per fermarlo, e il suo programma reazionario non passerà senza provocare resistenza.

I rivoluzionari avranno un ruolo fondamentale nelle lotte che arriveranno e nell'organizzazione i combattenti che le guideranno.


UN PROCESSO GLOBALE

L'ascesa dell'estrema destra è un fenomeno globale. Varie espressioni di essa sono al governo in sette paesi dell'Unione Europea (Italia, Paesi Bassi, Ungheria, Repubblica Ceca, Croazia, Slovacchia e Finlandia), in Austria è prossima al governo ed è in aumento in Francia, Germania e Regno Unito.

Alcune delle sue espressioni più estreme e stravaganti, come il presidente argentino Milei e il presidente salvadoregno Bukele, sono promosse come esempi da seguire a livello internazionale. Il bolsonarismo rimane una forza importante in Brasile, nonostante non sia più al governo.

Il regime fondamentalista di Modi in India e il regime autoritario di Putin in Russia condividono caratteristiche centrali con l'estrema destra occidentale. Anche al di là di queste espressioni politiche, c'è una tendenza generale nel mondo verso regimi più autoritari e repressivi in tutto l'arco politico capitalista.

L'estrema destra globale non è omogenea, ci sono settori più radicali o più vicini alla destra classica, più nazionalisti o più neoliberisti. Ma al di là della diversità, essi costituiscono la punta di diamante di una decisiva svolta globale a destra della borghesia, che ha rafforzato un settore reazionario della società.


UN PRODOTTO DELLA CRISI SISTEMICA

La crisi sistemica che il capitalismo sta attraversando dal 2008 è paragonabile solo a quelle che hanno preceduto le due guerre mondiali del secolo scorso. La distruzione e la concentrazione del capitale causato da quelle guerre permisero alla borghesia di recuperare la redditività necessaria per superare quelle crisi. Oggi la borghesia, non vedendosi per il momento in grado di affrontare una nuova guerra mondiale, cerca di recuperare la redditività aumentando lo sfruttamento.

A causa della profondità della crisi, non è sufficiente aver messo fine allo stato sociale e alla maggior parte delle conquiste ottenute nel secondo dopoguerra, né è sufficiente la flessibilità del neoliberismo. La borghesia ha bisogno di porre fine ai diritti più elementari delle masse lavoratrici e di ridurci al lavoro fino al collasso fisico, in cambio del minimo necessario per sopravvivere e continuare a lavorare. Consapevoli che ciò danneggia la stragrande maggioranza della popolazione, genera opposizione e provoca resistenza, la borghesia deve ridurre al minimo i meccanismi democratici e rafforzare al massimo i dispositivi repressivi.

Il fatto che l'estrema destra esprima più chiaramente questo bisogno della borghesia imperialista nel suo insieme spiega in larga misura la sua rapida accettazione e assimilazione da parte dei regimi borghesi e dei partiti politici, e contribuisce in modo significativo alla sua ascesa globale.

A sua volta, il fenomeno dell'estrema destra fa parte di un processo globale di polarizzazione, che provoca anche mobilitazioni di massa, ribellioni e rivoluzioni, compresi grandi scioperi che hanno rianimato alcuni dei settori più potenti della classe lavoratrice nel mondo. Si tratta di un processo ineguale, perché nonostante le gigantesche lotte e la radicalizzazione a sinistra di settori importanti, in questo polo non è emersa un'espressione politica, come invece è emersa a destra.

Tuttavia, poiché la borhesia è riuscita a schiacciare la volontà di resistere, ciò che predomina è l'instabilità. E finché le masse continueranno a combattere, i rivoluzionari avranno il dovere di portare avanti queste lotte e di sfruttare l'opportunità di organizzare i combattenti più determinati, il che ci permette di costruire e rafforzare le nostre organizzazioni rivoluzionarie.


IL 2025 NON È IL 2016

Questo trionfo di Trump è parte del fenomeno globale dell'ascesa dell'estrema destra, si nutre di esso e, a sua volta, rafforza tutte le sue espressioni. Quest'azione di ritorno spiega, in larga misura, la sicurezza con cui Trump e i suoi partner abbiano lanciato, appena insediati, un'offensiva così completa e profonda.

Al momento del suo primo mandato nel 2016, Trump è stata una delle prime espressioni dell'estrema destra. In quel periodo non era il candidato preferito della borghesia, che vedeva più rischi che opportunità nel suo governo. Dovette affrontare grandi mobilitazioni contro di lui, così come l'opposizione o la mancanza di collaborazione di gran parte dell'establishment. Non è riuscito ad attuare molte delle sue iniziative, e ha perso la rielezione per il secondo mandato nel 2020. È stato anche processato e condannato per diversi crimini. Ma ha consolidato una base sociale radicalizzata, rappresentativa di una minoranza ma importante; mentre le aree politiche tradizionali continuavano a disintegrarsi.

L'amministrazione democratica di Biden, succeduta a Trump, ha mantenuto alcune delle politiche chiave di Trump (come la politica sull'immigrazione e i tagli alle tasse per le imprese e i ricchi), ha contrastato movimenti di scioperi, ha sostenuto zelantemente il genocidio sionista a Gaza, oltre a reprimere gli studenti che hanno mostrato solidarietà con la Palestina. A contribuire a questa delusione è stata la capitolazione di Bernie Sanders e dei Socialisti Democratici d'America (DSA), che avevano generato aspettative negli anni precedenti, i quali hanno continuato a sostenere senza tante remore la rielezione di "Genocide Joe", e poi di Harris. Come conseguenza, i democratici hanno perso circa sei milioni di voti.

Nel frattempo Trump si è rafforzato all'interno delle file repubblicane come il leader di opposizione più coerente, come una figura radicale perseguitata dall'establishment e, fondamentalmente, come espressione dell'estrema destra, che durante i quattro anni di Biden è avanzata a livello internazionale.

A differenza di quanto accaduto nel 2016, il Partito Repubblicano si è schierato dietro la sua candidatura e ha costruito una coalizione con più di cento organizzazioni della destra radicale e un ambizioso programma reazionario, dettagliato nel Progetto 2025 della Heritage Foundation. La grande borghesia, che era divisa durante il suo primo mandato, è ora apertamente coinvolta, come espresso chiaramente dal sostegno pubblico a Trump dei magnati della tecnologia e degli uomini più ricchi del mondo come Musk, Zuckerberg e Bezos, che fino ad ora avevano dato di sé un'immagine molto più progressista.

L'amministrazione Trump gode anche di una maggioranza conservatrice alla Corte Suprema, del controllo di entrambe le camere dei rappresentanti, e di una leadership democratica che è più collaborazionista che di opposizione.

Nel loro insieme, questi elementi mostrano che la classe dominante imperialista ha un maggiore livello di unità sulla necessità di adottare un orientamento più reazionario. Avendo valutato che il primo mandato di Trump è fallito perché non è andato a fondo in modo più deciso, la classe dominante sostiene ora l'attuale politica per cercare di imporre cambiamenti più profondi, e più rapidamente. Una dinamica simile ha portato anche la borghesia di altri paesi a dare il proprio sostegno all'estrema destra, ad esempio in Argentina.

Di conseguenza, Trump e i suoi collaboratori sono arrivati alla Casa Bianca traboccanti di fiducia. Ma il loro vero sostegno è costituito da una minoranza nell'insieme della società. Trump ha vinto le elezioni con un margine di appena l'1,5%, e l'astensione di un terzo dell'elettorato significa che solo un terzo lo ha eletto. Non possiamo perdere di vista questa debolezza strutturale del governo, dietro la sua attuale fiducia apparentemente illimitata.


LA DIMENSIONE DELL'OFFENSIVA

Da quando è entrato in carica, Trump ha lanciato una serie di attacchi su tutti i fronti, misure contro i lavoratori, gli oppressi, i diritti democratici, le normative ambientali, e dichiarazioni di aggressione imperialista.

In una delle sue prime mosse, Trump ha dato l'indulto ai manifestanti condannati per l'attacco del 6 gennaio 2021 al Congresso, molti dei quali fascisti dichiarati. Il suo gabinetto costituisce il governo più oligarchico e reazionario dal XIX secolo. La posizione del magnate Elon Musk, con poteri straordinari sul bilancio, è indicativa.

Indipendentemente da quanto sia realistico il suo obiettivo dichiarato di tagliare più di un quarto il bilancio nazionale, Musk ha già licenziato decine di migliaia di lavoratori statali e sta spingendo per il pensionamento "volontario" di altri due milioni. Ha cambiato la categorizzazione dei lavoratori statali per arrogarsi il potere di licenziare senza impedimenti milioni di lavoratori, precedentemente considerati di natura non-politica. Tra gli altri problemi causati, il governo Trump ha interrotto tutta l'assistenza sociale nazionale e gli aiuti internazionali, causando una crisi globale dell'accesso ai farmaci per l'HIV.

Ha scatenato un massiccio raid da parte dell'ICE, la polizia dell'immigrazione, arrestando migliaia di persone, e trasferendone decine nei campi di detenzione e tortura di Guantánamo. Ha firmato decreti che tolgono i diritti alle persone trans, criminalizzano gli attivisti pro Palestina ed eliminano i programmi contro la discriminazione razziale e di genere.

Ha annullato le tiepide normative ambientali che Biden aveva attuato, ha ritirato il Paese dagli Accordi di Parigi e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Alcune di queste misure sono state bloccate a livello giudiziario, ma le possibilità che molte di esse vengano ratificate, invece che annullate, sono maggiori oggi, dato l'attuale contesto politico e la natura del potere giudiziario.

Ci sono anche molti annunci di misure che non sono molto realizzabili, ma che rinvigoriscono la base sociale reazionaria. In questo senso, il saluto nazista di Elon Musk, anche se in seguito ha negato che lo fosse, è un messaggio potente al settore radicalizzato della destra, su cui questo governo cerca di fare affidamento per affrontare l'inevitabile resistenza all'attuazione del suo programma.

Questa azione cerca di "inondare il campo" con numerose misure estremamente reazionarie ma irrealizzabili, così che sia impossibile rispondere a tutta questa serie di attacchi. In questo modo, le misure che essi intenderanno davvero portare a termine sembreranno meno terribili o passeranno inosservate. Ma ciò è anche parte di una battaglia culturale per il "senso comune". In questo modo Trump cerca di espandere radicalmente gli atteggiamenti e le azioni razziste, sessiste, xenofobe, omofobe e generalmente reazionarie che sono considerate accettabili, e di stabilire quali diritti sono considerati "privilegi" o veri e propri crimini.

Questa battaglia non ha un'importanza minore. Il suo obiettivo è quello di rafforzare e motivare l'azione dei settori più estremisti, violenti e direttamente fascisti che costituiscono il nocciolo duro della base sociale dell'estrema destra; e indebolire e demoralizzare i lavoratori e le persone oppresse in generale, e gli attivisti disposti a fronteggiare tali attacchi.


LA DOTTRINA TRUMP

Uno degli aspetti centrali della crisi sistemica in corso del capitalismo è la crisi dell'egemonia imperialista. Gli Stati Uniti, che sono tuttora la prima potenza mondiale, sono in netto declino, mentre le potenze regionali si rafforzano e la Cina emerge come concorrente globale.

Nel 2016 gran parte della borghesia si è opposta alle tendenze protezionistiche e isolazioniste di Trump, e dal 2020 Biden sta cercando di recuperare l'orientamento precedente. Ora sembra prevalere la conclusione che la strategia multilaterale, con la quale l'imperialismo statunitense ha dominato il mondo per molti decenni, non funziona più, e che è necessario un cambiamento importante per riconquistare il potere globale con la forza.

Pertanto, la brusca svolta del nuovo governo in direzione di un forte protezionismo commerciale e un nazionalismo espansionista più aggressivo ha il sostegno dell'establishment.

Trump ha iniziato annunciando nuovi dazi commerciali contro Messico, Canada e Cina; e ha dichiarato la sua intenzione di riprendere il controllo del Canale di Panama, annettere la Groenlandia e colonizzare Gaza. Sebbene questi ultimi obiettivi siano generalmente considerati irrealizzabili, e le tariffe per il Canada e il Messico siano state successivamente negoziate, gli annunci sono serviti come dichiarazione di intenti.

Da allora, gli Stati Uniti hanno aumentato le tariffe commerciali praticamente verso tutti, scaricando parte della crisi sul resto del mondo, rafforzando i profitti aziendali statunitensi a spese di altri. Ciò aggrava la crisi economica di tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, compresi alleati storici come l'Europa e Taiwan, e i paesi in cui governano altri leader di estrema destra come l'Argentina. Pertanto, questa politica genererà un maggiore attrito diplomatico e politico USA e alleati, e acuirà il conflitto interimperialista con Cina e Russia.

Trump sta anche intensificando un intervento politico internazionale più aggressivo e unilaterale. Ha svolto un ruolo centrale e visibile nell'applicazione del cessate il fuoco a Gaza, e poi ha proposto l'espulsione più rapida possibile della popolazione palestinese. Ora ha aperto i negoziati con Putin per concordare la consegna del territorio ucraino alla Russia, alle spalle del popolo ucraino.

Tuttavia, il tentativo di consolidarsi con la forza contiene anche un elemento di disperazione, e comporta un rischio non trascurabile. Rafforzarsi economicamente e geopoliticamente a spese degli altri, compresi i suoi alleati storici, aggrava la crisi e l'instabilità economica e politica in tutto il mondo. Questo disordine e i conflitti, le guerre, le ribellioni e le rivoluzioni che esso provoca sono, a loro volta, il più grande pericolo per i piani dell'imperialismo.


COME AFFRONTARLI

L'offensiva della nuova amministrazione Trump apre una nuova situazione politica, segnata da un attacco capitalistico reazionario, qualitativamente superiore al precedente, e che cambierà in modo significativo le dinamiche della lotta di classe.

Sebbene Trump e il suo governo non intendano ancora uscire dalla cornice generale delle istituzioni democratico-borghesi ed eliminare completamente le organizzazioni sindacali e politiche non borghesi, il salto autoritario e repressivo che cercano di imporre è profondo. Implica tagli drastici ai diritti democratici e un approfondimento della repressione statale, della violenza parastatale contro gli oppressi contro l'attivismo sindacale e di sinistra.

I democratici, che alle elezioni hanno minacciato che se Trump avesse vinto sarebbe arrivato il fascismo, ora minimizzano i rischi che fino a poco tempo fa esageravano. Con l'avvicinarsi delle prossime elezioni, si ricorderanno di quanto sia pericoloso Trump per presentarsi come l'unica alternativa. Ma la necessità di affrontare Trump e lottare per fermare i suoi piani è immediata.

I democratici, al contrario, si sono sforzati di garantire una transizione senza intoppi e ora stanno cercando modi per collaborare con la nuova amministrazione. Vogliono impedire l'emergere di movimenti di lotta che alla fine richiederanno tempo e sforzi per smobilitarli e incanalarli in attività di lobbying ed elettorale a proprio vantaggio.

I rivoluzionari devono agire in modo diametralmente opposto. Non possiamo minimizzare il pericolo rappresentato dagli attacchi del nuovo governo, né dobbiamo esagerarli. Al di là della caratterizzazione che ne diamo, dobbiamo essere in prima linea nel denunciare le misure di questo governo, trasmettendo l'urgenza di organizzarci per affrontarle e facendo appello alla più ampia unità per combattere questa lotta, con la massima forza possibile.

Allo stesso tempo, dobbiamo smascherare i democratici, che parlano del pericolo di Trump per chiedere voti, ma non per affrontarlo quando è più importante farlo. Dobbiamo spiegare la loro responsabilità nell'aprirgli la porta, nel disarmare i movimenti che potevano affrontarlo con più forza, e spiegare la necessità di costruire un'alternativa politica indipendente dai capitalisti e dai loro interessi.

Dobbiamo continuare le lotte economiche e sociali che abbiamo finora condotto per il salario e per il diritto di organizzazione sindacale; contro il razzismo istituzionale e la violenza della polizia; in difesa degli immigrati, per il diritto all'aborto, per l'identità e tutti i diritti di genere, tra gli altri. Queste lotte si intensificheranno. Così come in passato abbiamo iniziato a lottare per stabilire che le vite dei neri contano ("black lives matter"), dovremo ora lottare per difendere le vite delle persone trans, dei migranti e delle donne.

Ma le lotte democratiche in particolare stanno per assumere un nuovo ruolo. Dobbiamo assumerci il compito di organizzare l'autodifesa contro i settori fascisti che ora agiranno con maggiore fiducia, affrontare la persecuzione e la repressione, difendere politicamente e fisicamente il diritto di manifestare e tutti i diritti democratici; e portare avanti queste lotte in una forma che non si riproponeva da molto tempo.


VOGLIA DI COMBATTERE

La demoralizzazione accumulata durante il mandato di Biden, la disattivazione dei movimenti degli ultimi anni ad opera del Partito Democratico e la loro decisione di non organizzare proteste nazionali per l'insediamento di Trump, spiegano in gran parte perché questa volta non ci sono state manifestazioni di massa come nel 2016.

Tuttavia, c'è un'avanguardia che vede la necessità e l'urgenza di organizzare la resistenza. Sono migliaia di giovani radicalizzati dal movimento di solidarietà con la Palestina, sono i lavoratori attivi negli scioperi di Amazon o dello United Auto Workers, donne, LGBT+, immigrati, attivisti neri che hanno visto i loro movimenti disattivati dai democratici e comprendono la necessità immediata di organizzare una lotta seria, contro un pericolo molto reale.

L'offensiva di Trump provocherà inevitabilmente resistenza all'interno degli USA e in tutto il mondo. La forza e le possibilità che questa resistenza avrà dipendono in larga misura dal livello di organizzazione e di orientamento politico di questa avanguardia radicalizzata. Questo pone un compito per i rivoluzionari di oggi, una di quelle sfide in cui è importante cosa facciamo o non facciamo, cosa otteniamo o non otteniamo.

Oggi è possibile e necessario organizzare migliaia di attivisti e lavoratori politicamente radicalizzati disposti a lottare per un progetto rivoluzionario, per influenzare il corso delle lotte a venire e per gettare le basi di un partito rivoluzionario che rappresenti la classe lavoratrice e combatta per il socialismo negli Stati Uniti e nel mondo. Ciò può essere fatto da un lavoro di raggruppamento dei rivoluzionari nel paese e a livello internazionale, una prospettiva che la Lega Internazionale Socialista sostiene fermamente.

Alejandro Bodart, Vince Gaynor