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Il reddito di cittadinanza razziale

Da “prima gli italiani” a “solo gli italiani”

Da “prima gli italiani” a “solo gli italiani”. Del famigerato reddito di cittadinanza sappiamo ancora poco, ma quel che sembra certo è che saranno esclusi gli immigrati. “Solo gli italiani” ha chiesto Salvini. “Solo gli italiani” ha assicurato Di Maio. Il vecchio testo di legge del M5S è stato prontamente adattato alla bisogna.

Non stiamo parlando dei cosiddetti “clandestini”, fiore all'occhiello delle campagne xenofobe. Stiamo parlando di “stranieri”. Saranno infatti esclusi dal reddito di cittadinanza i cittadini comunitari di altri paesi, e a maggior ragione i cittadini extracomunitari. Coloro che hanno un permesso di soggiorno di lungo periodo, o il permesso unico di lavoro (da rinnovare ogni due anni), o il permesso di protezione internazionale. Quasi due milioni di stranieri sotto la soglia della povertà assoluta. Persone che hanno lavorato o che lavorano versando regolarmente i contributi ma che verrebbero discriminate in base a una legge etnica, cioè fondata su una discriminazione di nazionalità.

Dovendo trovare la quadra dei conti, dovendo pagare il debito alle banche, dovendo detassare i ricchi, i giallo-verdi hanno trovato la prima voce facile su cui risparmiare: gli immigrati. Scavalcando la stessa Costituzione borghese e persino la normativa della UE.

I tanti sovranisti di sinistra avranno la loro soddisfazione.
Per noi è una ragione in più per l'opposizione a un governo reazionario senza pudore.
Partito Comunista dei Lavoratori

Squadrismo a Bari

Un'azione squadrista formato classico. A Bari, al termine di un corteo anti-Salvini, una squadraccia di trenta fascisti di CasaPound ha aggredito a cinghiate e con tirapugni di acciaio un gruppo di compagni e compagne tra cui Eleonora Forenza, europarlamentare del PRC.
Diamo innanzitutto piena solidarietà ai compagni e alle compagne aggredite.

L'episodio di Bari non è un episodio. Conferma ciò che il nostro partito va affermando da tempo. I fascisti si stanno inserendo nel clima reazionario sospinto dal governo delle destre, ed in particolare da Salvini, per giocare allo scavalco. La moltiplicazione di aggressioni squadriste contro gli immigrati sull'intero territorio nazionale, la formazione delle ronde, le spedizioni punitive si collocano in questo quadro. Hanno iniziato coi migranti, ma si stanno allargando. Questo mostrano i fatti di Bari.

Per questo non basta la denuncia, tanto meno gli appelli istituzionali. I fatti di Bari pongono l'attualità della autodifesa organizzata dei cortei e delle manifestazioni dall'aggressione dei fascisti. Non si tratta di giocare all'avventura, ma di assumersi le responsabilità che la nuova situazione impone, in una logica unitaria e di massa, ma con determinazione esemplare.
Partito Comunista dei Lavoratori

Il governo SalviMaio si rafforza. Costruire l'opposizione di classe e di massa!

Il governo SalviMaio si è rafforzato in questi mesi. La sua base di consenso si è allargata, anche tra i lavoratori. M5S e Lega avevano un consenso complessivo del 50% il 4 marzo, oggi i sondaggi assegnano loro oltre il 60%, con uno sfondamento impressionante della Lega. Le campagne d'ordine contro i migranti, la gestione pubblica della tragedia di Genova, il successo d'immagine dell'accordo Ilva hanno rafforzato la percezione diffusa di un governo di svolta presso ampi strati popolari. In ogni caso hanno alimentato una aspettativa positiva. Il governo non cresce solamente o prevalentemente per quello che fa o per quello che promette, cresce innanzitutto perché appare contro “quelli di prima”. Per questo l'opposizione liberale del PD, dal versante degli interessi delle imprese, come gli ammonimenti di provenienza UE su immigrazione e conti pubblici, sono oggi un fattore di rafforzamento del governo SalviMaio.

Inoltre il governo capitalizza la crisi verticale delle opposizioni liberali. PD e Forza Italia vedono precipitare ulteriormente le proprie fortune, sotto ogni aspetto. Il loro consenso sociale cala (PD) o crolla (FI). I loro assetti interni sono scompaginati dal tramonto delle vecchie leadership (Renzi e Berlusconi) e dalla estrema difficoltà a trovarne di nuove. Le loro prospettive politiche sono buie: il PD è orfano del centrosinistra e lontano mille miglia da un possibile ritorno al governo, che è la sua stessa ragione di vita; Forza Italia vede dileguarsi il miraggio di una possibile ricomposizione di governo con Salvini, a fronte dello sfondamento della Lega e di un riequilibrio irreversibile dei rapporti di forza. Il risultato d'insieme di questi fattori è l'assenza di ogni soluzione di ricambio politico del governo in carica, nell'immediato e per la prossima fase; ciò che può allargare le disponibilità di dialogo dell'establishment col governo in carica, al di là delle contraddizioni esistenti.

Ma soprattutto pesa l'assenza di una opposizione sociale al nuovo governo dal versante di classe.
La CGIL è del tutto paralizzata dalla preoccupazione di salvaguardare e sviluppare il patto col padronato e dalla lotta interna per la successione alla Camusso. Mentre il candidato emergente, Maurizio Landini, è più aperto al dialogo col governo giallo-verde della destra interna filo-PD (Colla). L'USB, che pure ha avuto un ruolo positivo nella lotta dei braccianti di Rosarno e Foggia, continua ad essere segnata da una ambiguità di fondo verso il M5S che condiziona il suo rapporto col governo. L'esaltazione dell'accordo Ilva da parte di FIOM e USB ha rappresentato non solo un falso sotto il profilo sindacale, ma un'insperata sponda politica al governo - in particolare a Di Maio - e alla sua presa tra i lavoratori.


UN GOVERNO PER TUTTO IL PADRONATO 
Contrariamente al suo successo d'immagine tra i salariati, il governo giallo-verde non ha nulla a che spartire coi loro interessi. È vero, non prende ordini direttamente dalle grandi famiglie del capitale (Benetton) come i governi precedenti (inclusi quelli appoggiati da Rifondazione Comunista). Esso cerca di costruire un nuovo equilibrio politico col capitale finanziari: allargamento delle partecipazioni statali, promozione di propri fiduciari ai vertici delle istituzioni finanziarie (Consob) e dell'amministrazione pubblica, negoziazione delle politiche di bilancio. Ma il suo fine preminente è la protezione e rappresentanza della piccola e media impresa, cui vuole estendere i privilegi di cui gode la grande: riduzione ulteriore e massiccia della tassazione sui profitti (Ires), estensione del super-ammortamento, flat tax prioritaria al 15% per le partite Iva e le libere professioni, condono fiscale rivolto principalmente ai piccoli e medi imprenditori (con un tetto al milione?). Lega e M5S sgomitano tra loro per la rappresentanza di questi interessi sociali. La Lega con l'occhio al capitalismo dei distretti, il M5S con l'occhio alle libere professioni. Entrambi alla ricerca di una propria solida radice nella società del capitale, comunque dominata dal capitale finanziario, quello che compra i titoli di Stato, quello che incassa gli interessi sul debito, quello che si proietta su scala europea e mondiale. Quello dei grandi gruppi capitalistici cui in questi giorni Di Maio sta procurando lucrosi affari in Cina.

Al capitale finanziario il governo SalviMaio offre un accordo vantaggioso: “Noi rispettiamo i vincoli di fondo del debito pubblico e del fiscal compact, le leggi antioperaie dei precedenti governi, incluso la distruzione dell'articolo 18 che è la principale vittoria vostra nella guerra contro il lavoro. Tutto questo non lo tocchiamo. Voi lasciateci uno spazio di manovra per soddisfare la piccola e media borghesia, e ingannare salariati e disoccupati. Perché solo così potremo portarvi in dote il loro consenso, che è la garanzia della vostra stabilità”.

Tutta la bagarre che oggi attraversa il governo sulla prossima legge di bilancio ruota attorno alla ricerca di questo accordo. Di Maio e Salvini battono cassa, il ministro dell'economia Tria tiene il freno, a garanzia di Bankitalia e d'intesa con Mattarella. Vedremo quale sarà la risultante.


LE PROMESSE SOCIALI ALLA PROVA 
Ma se si garantisce al capitale il pagamento del debito pubblico e dei suoi interessi (in crescita), e insieme una riduzione ulteriore del prelievo fiscale sui profitti, cosa resterà delle promesse sociali su Fornero e reddito di cittadinanza? Qualcosa di sicuro resterà, perché Salvini e Di Maio non sono votati al suicidio. Ma cosa? L'abolizione della Fornero è già diventata la sua riforma, e la sua riforma sembra combinare un anticipo dell'età pensionabile con la riduzione degli assegni per via del ricalcolo contributivo. Il reddito di cittadinanza - condizionato all'accettazione di lavoro precario - sembra ridursi alla sola povertà assoluta, dimezzando il proprio bacino di riferimento.

Ma soprattutto chi paga il conto? Se si finanzia l'operazione col deficit si finisce col pagarlo con gli interessi alle banche, attingendo prima o poi al portafoglio dei salariati. Se la si finanzia col taglio delle spese, si finisce col comprimere, al di là delle chiacchiere, le prestazioni sociali. Se la si finanzia con l'aumento delle imposte, si riduce a una partita di giro in cui pagano sempre i soliti noti. Intanto si tagliano i fondi alle periferie, si ipotizza un aumento selettivo dell'Iva, si discute persino del taglio (improbabile) degli 80 euro. L'unica cosa certa è che i lavoratori salariati continuano a reggere sulle proprie spalle l'80% del carico fiscale, l'articolo 18 resta distrutto, i contratti a termine sono portati dal 20% dell'organico aziendale (Poletti) al 30% (Di Maio). A proposito di lotta al precariato! Mentre centinaia di migliaia di lavoratori immigrati, forzatamente “clandestini” per le leggi infami che li vogliono tali, saranno più vessati e sfruttati di prima, e dunque usati come arma di ricatto contro i salariati italiani per nutrire le campagne xenofobe.
Sarebbe questo un governo di svolta per la classe operaia? Non prendiamoci in giro.


PER UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE AL GOVERNO DELLE DESTRE

Il problema allora è entrare nella contraddizione tra le aspettative e la realtà. Lo può fare solo un'opposizione di classe, che punti a liberare i salariati da un blocco sociale costruito contro di loro. Che fa di loro i portatori d'acqua, e la borghesia (grande, media, piccola) la beneficiaria dell'incasso.

Un'opposizione di classe richiede tre cose.

La prima è la nettezza dell'opposizione a un governo reazionario. Tutte le posizioni di stampo sovranista, che in forme diverse aprono brecce a sinistra, vanno denunciate per quello che sono: un cedimento alla pressione reazionaria, alle sue ideologie e alle sue suggestioni. Non siamo in presenza di un governo da “incalzare con una politica di pressione”, critica. Siamo in presenza di un governo da combattere. Senza ambiguità.

La seconda è che un'opposizione di classe è tale se muove da un'angolazione opposta a quella liberale del PD. Tutte le posizioni neofrontiste che teorizzano il blocco democratico col PD contro le destre, sono oggi di fatto un aiuto alle destre e alla tenuta del loro blocco sociale. L'autonomia dal PD è la condizione stessa della ricostruzione di una opposizione classista credibile.

La terza è la costruzione di un fronte unitario di massa che punti a unire nell'azione tutte le forze disponibili all'opposizione di classe. Tutte le posizioni autocentrate, che in campo sindacale o politico mirano unicamente a preservare il proprio spazio a scapito dell'unità d'azione ed anzi contro di essa, rappresentano oggi, ancor più di ieri, un fattore di disorientamento e dispersione.

La prossima legge di stabilità può e deve essere l'occasione di un'azione generale di contrasto delle misure filopadronali, a partire da quelle fiscali.

Ma non basta l'azione di contrasto, c'è bisogno di una piattaforma generale del mondo del lavoro che tracci una linea di demarcazione verso il governo e indichi una prospettiva di mobilitazione. Senza una piattaforma autonoma, i lavoratori vengono abbandonati a corpo morto al martello della demagogia della destra, riducendosi a discutere e a commentare le sue promesse o le sue misure, magari accontentandosi del cambio di registro della propaganda, o di qualche elemosina sociale. In ogni caso, restando in una posizione subalterna, che gioca di rimessa, a tutto vantaggio dei propri avversari.

Per il recupero dell'articolo 18 e la sua estensione a tutti i lavoratori e lavoratrici

Per la cancellazione di tutte le le leggi di precarizzazione del lavoro e l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori precari

Per la piena uguaglianza di diritti tra lavoratori italiani e immigrati

Per la riduzione generale dell'orario a 32 ore, pagate 40

Per la reale abolizione della legge Fornero, età pensionabile a 60 anni o 35 di lavoro, finanziata dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, profitti, rendite

Per un salario dignitoso ai disoccupati che cercano lavoro, finanziato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese

Per la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio si tutte le aziende che delocalizzano o licenziano o inquinano

Per la nazionalizzazione di tutte le aziende e servizi privatizzati negli ultimi venticinque anni, senza indennizzo e sotto controllo sociale, a partire dai beni comuni (autostrade, servizi idrici, trasporti...)

Una piattaforma generale di questo tipo mira a unire tutto ciò che il capitale e il governo vogliono dividere, e al tempo stesso disegna una linea di frontiera che separa chi sta di qua e chi sta di là. Chi sta col padronato, chi sta col lavoro salariato. Una linea di frontiera che punta al recupero di quella grande massa di lavoratori oggi irretita dal governo giallo-verde anche perché priva di una prospettiva propria, di una ragione sociale indipendente in cui credere e per cui battersi.


PER UN PUNTO DI VISTA DI CLASSE E ANTICAPITALISTA SULLO STESSO TERRENO DEMOCRATICO 

Non si tratta di confinare l'opposizione al governo entro il perimetro economico sociale. Tanto più in presenza di un governo reazionario, l'esigenza di un'opposizione sul terreno democratico non può essere né rimossa né sottovalutata.
È il caso del rilancio dell'iniziativa antifascista in aperto contrasto delle iniziative squadriste che si vanno moltiplicando sulla scia del salvinismo.
È il caso della mobilitazione contro le campagne xenofobe e a difesa dei diritti dei migranti, a partire dal diritto a corridoi sicuri e a un'accoglienza dignitosa. È il caso della mobilitazione a difesa dei diritti delle donne e di tutte le minoranze oppresse contro l'orientamento particolarmente misogino e reazionario del nuovo ministro della famiglia. Del resto, l'esperienza delle mobilitazioni del movimento LGBT nello scorso giugno, ma anche le manifestazioni antirazziste, come quella di Milano, hanno misurato l'esistenza nonostante tutto di una disponibilità all'opposizione democratica contro la reazione a volte persino sorprendente, dati i tempi. Lo stesso successo di partecipazione alle proiezioni del film sul caso Cucchi negli ultimi giorni testimonia l'esistenza di questa risorsa.

E tuttavia occorre essere chiari. Nessuna opposizione di tipo esclusivamente democratico è oggi in grado di smuovere il blocco sociale reazionario se non si collega a ragioni sociali riconoscibili a livello di larghe masse. Di più. Una mobilitazione di tipo esclusivamente democratico, confinata nel proprio recinto, per quanto importante e necessaria, rischia di essere usata dal governo in carica come strumento di consolidamento del proprio blocco nazional-popolare contro “il democraticismo delle élite”, come recita la propaganda delle destre. Per questo è necessario portare anche sul terreno democratico la necessità di un punto di vista di classe.

A chi dice “non c'è lavoro, casa, asili per noi italiani, come fa ad esservi per i migranti?” non puoi rispondere solo col giusto richiamo alla difesa dei loro diritti. Devi indicare una alternativa di società capace di ripartire il lavoro tra tutti, di assicurare a tutti una casa, di sviluppare un grande piano di nuovo lavoro in fatto di risanamento ambientale, sicurezza antisismica, sicurezza della viabilità: ciò che implica una prospettiva di rottura anticapitalista (riduzione generale dell'orario, esproprio delle grandi proprietà immobiliari, abolizione del debito pubblico verso le banche e loro nazionalizzazione senza indennizzo...) e dunque la lotta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.

Non si può contrastare la polarizzazione reazionaria oggi in atto se non con un lavoro di polarizzazione classista e anticapitalista. Non si può contrastare il programma della reazione se non con un programma di rivoluzione.


Partito Comunista dei Lavoratori

PIC-NIC ANTIFASCISTA: Per un antifascismo di classe

PROGRAMMA DELLE INIZIATIVE:

- ORE 11 – CIMITERO DI SPERTICANO: COMMEMORAZIONE DI MARIO ROVINETTI, COMANDANTE DEL BATTAGLIONE GAP DELLA MONTAGNA

- ORE 12,15 C/O IL PRATO DAVANTI AL POGGIOLO, VIA S.MARTINO 25 – MARZABOTTO: PIC-NIC E INTERVENTI

Come arrivare:
dalla strada statale Porrettana sud, dopo Marzabotto, alla fine del rettilineo di Pian di Venola prendere a sinistra via P.Togliatti, proseguire per via gen. Dalla Chiesa, poi via Sperticano; il cimitero è a 50 metri dal circolo etrusco; per il Poggiolo, da via Sperticano una volta passato il ponte sul Reno prendere via S.Martino in direzione della Scuola di Pace di Montesole. Dopo 5 minuti sulla sinistra troverete un ampio parcheggio.

Per info. : pclavoratoribologna@gmail.com
 
Sono ormai anni che in Italia si assiste ad una ripresa impetuosa di manifestazioni politiche e organizzazioni fasciste.
Razzismo e una cultura di destra radicale hanno fatto una breccia enorme nelle classi lavoratrici
Il governo del “cambiamento” di Salvini e 5 Stelle ha fatto sue le parole d’ordine dell’estrema destra, dal razzismo istituzionale contro i migranti, all’omofobia integralista del ministro Fontana, alla sempreverde campagna antizingaro.
Ancora una volta razzismo e fascismo vengono utilizzati dalle destre per dividere la classe lavoratrice, ponendo da una parte i c.d. lavoratori autoctoni e dall’altra i migranti.
Sono superflue le richieste di applicazione delle leggi Scelba e Mancino contro le organizzazioni neofasciste, che oggi come ieri godono di sostegni e coperture a livello istituzionale.
Lo stesso Movimento 5 Stelle si è definito sempre in maniera ambigua rispetto ai temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo, definendosi sempre come né di destra né di sinistra. Emblematica la dichiarazione di Grillo nel 2013: “l’antifascismo non mi compete”.
E’ necessario e urgente riprendere il filo dell’antifascismo come lotta di classe del mondo del lavoro contro il padronato. In primo luogo recuperandone storia e coscienza.
Per questo proponiamo un appuntamento per il 22 settembre a Marzabotto, un momento di incontro e riflessione, aperto a tutti e tutte coloro si vogliano ancora porre sul terreno di un antifascismo di classe.

ORGANIZZANO:
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI – SEZ. DI BOLOGNA
PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA – DIPARTIMENTO ANTIFASCISMO

Ilva: un accordo che si regge sul falso

L'accordo siglato sull'Ilva di Taranto si regge sulle balle clamorose raccontate a destra e a manca da Di Maio e dai media compiacenti, oltre che sulla complicità dei vertici sindacali. Per la città di Taranto resterà tutto come prima, salvo che gli inquinatori non si chiameranno più Riva ma Arcelor Mittal

L'accordo raggiunto sulla sorte dei lavoratori Ilva di Taranto assomiglia molto ad un gioco delle parti di pirandelliana memoria: ogni attore ha avuto un suo ruolo, intrecciandosi con la parte degli altri.
Naturalmente comprendiamo perfettamente l'interesse del ministro Di Maio ad ergersi a mediatore tra le parti, cercando di apparire come il deus ex machina dell'accordo, riuscendo là dove non erano riusciti Calenda e il PD, giocando in casa, come si suol dire, visto che a Taranto il M5S il 4 marzo ha spopolato, prendendo oltre il 50% dei voti.
Chiaro era anche l'interesse delle burocrazie sindacali a firmare un accordo non troppo penalizzante, volto a far credere ai lavoratori che pur in condizioni sfavorevoli si può riuscire a raggiungere un accordo che salvaguardi in gran parte il lavoro e i posti di lavoro, vecchio refrain utilizzato dai burocrati ogni volta che firmano un cedimento.
L'interesse dei rappresentanti della multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal era quello di ridurre il costo del lavoro e al contempo di non sborsare troppi soldi per riparare ai disastri ambientali provocati dai Riva.


I PUNTI PRINCIPALI DELL'ACCORDO 

- Arcelor Mittal darà lavoro a 10.700 lavoratori Ilva "spalmati" su tutto il territorio nazionale (tranne lo stabilimento di Genova, per il quale ci sarà una trattativa a parte), 8.200 dei quali a Taranto. Prima di ricevere la proposta di assunzione dovranno sottoscrivere le "dimissioni consensuali" da Ilva, rinunciando quindi alla continuità lavorativa garantita dall'art. 2112 del Cod. civile (cessione di ramo d'azienda) che prevede stesso inquadramento, stessa retribuzione e stesso luogo di lavoro. Dovranno invece accettare lo spostamento eventuale in altro stabilimento del gruppo, livello ed inquadramento diverso.

- Gli esuberi sono 3.100, ai quali verrà fatta una proposta di esodo incentivato (da 15 mila a 100 mila euro lordi) a seconda della data nella quale se ne andranno.

- Il lavoratore, accettando la nuova assunzione, dovrà rinunciare ad intentare qualsiasi causa per eventuali malattie o danni personali derivanti da mancanza di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica che il datore di lavoro avrebbe potuto adottare (art.2087 Cod. civ.). Questa clausola è valida anche per chi accetta l'incentivo per l'esodo anticipato.

- Chi non verrà assunto, subito potrà usufruire della cassa integrazione a salario ridotto per un periodo massimo di 7 anni.

- Entro otto mesi l'azienda dovrà coprire il 50% della zona del parco minerario più vicina al quartiere Tamburi, il più esposto all'inquinamento.

Nel complesso, a noi sembra che l'accordo rappresenti un ulteriore cedimento sindacale sul piano dei diritti dei lavoratori. Il ministro Di Maio ha sbandierato come una sua vittoria personale la non applicazione del Jobs act ed il ripristino dell'art.18, ma ha potuto farlo sulla base di un falso. Se Arcelor Mittal non rispetterà l'accordo, il sindacato potrà denunciare il comportamento antisindacale, ma il giudice non sarà vincolato ad esprimersi. Dobbiamo anche dire che alcuni articoli dell'accordo, in particolare quelli sulla sicurezza del lavoro, peccano di anticostituzionalità. In ogni caso, è assolutamente falso che non ci siano esuberi. Le misure degli incentivi (fino a 100 mila euro) sembrano enormi, ma bisogna considerare che sono cifre lorde, e che nel meridione d'Italia (ma ormai dappertutto) è molto difficile trovare un lavoro stabile. Neanche l'ambiente, argomento sul quale il M5S aveva capitalizzato alle elezioni del 4 marzo a Taranto, promettendo prima la riconversione dell'Ilva, poi la sua chiusura, è stato salvaguardato. Le dimissioni di alcuni consiglieri comunali tarantini, in disaccordo con Di Maio, la dicono lunga sulle lacerazioni tra vertici nazionali e militanti locali del M5S.

Per quanto riguarda le burocrazie sindacali di FIOM-FIM-UILM, alle quali si è aggiunta USB, ormai da alcuni anni questo è il modello di accordo che viene sottoscritto: esodi incentivati per i lavoratori in esubero (ai quali non si propone più neanche la difesa del posto di lavoro) in cambio di erosione di diritti, anche quelli fondamentali - come la salvaguardia della sicurezza e della salute - per chi resta a lavorare.
Avrebbero potuto battersi per la nazionalizzazione, ma nei mesi scorsi, prima delle elezioni, la FIOM avrebbe disturbato troppo il governo PD, e neanche il M5S, al di là della propaganda, aveva voglia di imbarcarsi in una operazione del genere. L'USB l'ha timidamente proposta, ma senza mobilitazione dei lavoratori non è stata nemmeno presa in considerazione.

In definitiva, questo accordo si regge sulle balle clamorose raccontate a destra e a manca da Di Maio e dai media compiacenti, oltre che sulla complicità dei vertici sindacali. Per la città di Taranto resterà tutto come prima, salvo che gli inquinatori non si chiameranno più Riva, ma Arcelor Mittal. Della serie: cambiano i suonatori, ma la musica resta sempre la stessa. A meno che non entri in gioco finalmente l'autorganizzazione dei lavoratori che, nel quadro di una ripresa più generale del movimento operaio, spazzi via i burocrati sindacali.


Partito Comunista dei Lavoratori

La patria di chi?

Da Togliatti a... Fassina

Sul lancio della associazione "Patria e Costituzione"

Marx scriveva che “non si può giudicare qualcuno in base a ciò che pensa di sé, ma solo in base a ciò che oggettivamente rappresenta”. La nascita a Roma dell'associazione “Patria e Costituzione” per iniziativa di Stefano Fassina conferma questo concetto.

L'iniziativa rivendica la necessità di marciare «controvento» per rifondare una «sinistra di popolo». Come si può rifondare una sinistra di popolo? Recuperando il valore della Patria e della Nazione, sacrificato nel nome dell'Unione Europea e dei suoi trattati, dichiara solennemente Fassina. Ma il ritorno del nazionalismo sciovinista non è forse il nuovo vento emergente a tutte le latitudini del mondo, nel suo multiforme impasto coi populismi reazionari di ogni specie? Forse, ammette Fassina, ma è questa una ragione in più per «non lasciare alla destra» la bandiera della Nazione e della Patria, per «recuperare la tradizione nazionale della sinistra italiana», per rilanciare il «patriottismo nazionale di Palmiro Togliatti» e della stessa Costituzione. «L'articolo 52 della Costituzione non dichiara forse che la difesa della patria è sacro dovere di ogni cittadino? Perché dunque l'immotivata ritrosia a sventolare la bandiera tricolore?». Solo recuperando la sovranità nazionale si può applicare la Costituzione e sviluppare politiche sociali e di progresso, solo così si può fare argine alla destra: questa è la summa del pensiero di Fassina.


LA MISTIFICAZIONE DEL SOVRANISMO DI SINISTRA 

Se dovessimo limitarci a esaminare il contenuto ideologico intrinseco di questo pensiero, potremmo semplicemente rilevare la mistificazione di fondo su cui si appoggia. Le politiche sociali controriformatrici e reazionarie non sono nate con l'Unione Europea. Si sono dispiegate a partire dalla seconda metà degli anni '70 e si sono sviluppate su scala mondiale nel corso degli anni '80 (Reagan, Thatcher), quando la UE e tanto più l'euro non si erano ancora delineati. Inoltre esse prosperano tranquillamente ben al di là dei confini dell'Unione Europea, sotto le più diverse monete e bandiere nazionali. Trump taglia la spesa sanitaria, colpisce l'istruzione pubblica, allude all'aumento dell'età pensionabile, per finanziare la detassazione dei capitalisti stelle a strisce e i bilanci militari. Putin prolunga l'età pensionabile e affronta le prime serie resistenze sociali perché impegnato a finanziare le proprie ambizioni sovraniste. Teresa May non solo non allarga la spesa sociale come la campagna pro-Brexit aveva promesso, ma la sottopone a una nuova drammatica stretta. Le politiche di rapina sociale a vantaggio dei profitti sono dunque un ricorso universale del capitale nella stagione storica della sua crisi, non un parto maligno dell'Unione Europea. Sono invocate nel nome della "Nazione" non meno che nel nome dell'Unione Europea. L'Unione Europea ha semplicemente rappresentato un quadro concertato di gestione di queste politiche di rapina, a vantaggio delle grandi borghesie continentali.

Siamo dunque rigorosamente contro l'Unione Europea, e contro la truffa di una sua possibile riforma (Tsipras) proprio perché siamo anticapitalisti; non siamo anticapitalisti perché siamo contro l'Unione Europea. Come non lo sono infatti i sovranisti delle più diverse declinazioni. La carriera del patriota Stefano Fassina, già viceministro all'Economia del governo Letta, già sostenitore del pareggio di bilancio in Costituzione, non lascia dubbi al riguardo. Come conferma peraltro la sua contorsione attuale: Fassina contesta la UE nel nome della Patria, ma non rivendica affatto, guarda caso, la rottura con la UE. La sua neonata associazione nazionalista chiede semplicemente una rivisitazione dei trattati tra gli Stati capitalisti (e imperialisti) dell'Unione, per rinnovare il patto tra i diversi interessi nazionali. Evidentemente l'interesse nazionale del capitalismo italiano, seconda manifattura d'Europa, ha consigliato all'ex viceministro di moderare il proprio ardore patriottico.


LA SINISTRA NAZIONALISTA A RIMORCHIO DELLA REAZIONE 
Ma il contenuto dell'iniziativa di Patria e Costituzione non sta nel suo dettato ideologico, sta nel contesto politico che lo sospinge. Altro che iniziativa controvento! L'iniziativa di Patria e Costituzione ha alzato le proprie vele in sintonia col nuovo vento mondiale. Non il vento unionista, che ha già cessato di spirare da un pezzo, ma il vento del nazionalismo e del protezionismo, col suo portato di militarismo e xenofobia. È il vento dell'”America first!”, del nazionalismo cinese, del nuovo militarismo giapponese, del rilancio sciovinista grande russo, del nazionalismo reazionario indù. È il vento che percorre la stessa Europa, con l'ascesa prepotente dei populismi reazionari, l'esplodere delle contraddizioni nazionali (Francia e Italia che si contendono il Nord Africa), l'espansione dei bilanci militari (persino in Germania). In ultima analisi, è l'onda lunga della grande crisi capitalista dell'ultimo decennio.

Questo vento apre varchi anche a sinistra. Cattura settori proletari e popolari colpiti dalle politiche di austerità "nel nome dell'Europa”, e dunque portate a vedere nella UE la causa della propria sofferenza, e cattura a rimorchio settori dei gruppi dirigenti riformisti, sino a ieri paladini dell'UE e dei sacrifici, e oggi improvvisati esegeti del nuovo verbo patriottico. Mélenchon, già ministro dell'austerità di Jospin, ha sentito il bisogno di impugnare la spada contro «il veleno tedesco» (testuale), a difesa dell'onore francese. Il suo emulo Fassina, già viceministro di Letta, rispolvera la sacralità dell'Italia. Dirigenti rotti ad ogni avventura cercano la propria salvezza (Fassina) o la propria gloria (Mélenchon) nella spazzatura ideologica della reazione. Via la bandiera rossa, meglio sventolare il tricolore di Francia, proclama Mélenchon ad ogni comizio della sua France Insoumise. Meglio affiancare al rosso il tricolore, suggerisce più prudentemente Fassina.

Entrambi aprono alle campagne anti-immigrati. Non siamo “no border”, esclama Mélenchon, "dobbiamo essere noi a rivendicare la certezza dei confini della Nazione!” Non a caso Mélenchon difende orgoglioso la Guyana "francese”. “Gli immigrati sono un problema, inutile nasconderlo, non possiamo certo accogliere tutti”, gli fa eco Fassina, che per questo chiede la regolamentazione degli ingressi. La ragione esibita da entrambi è che la concorrenza degli immigrati schiaccia i salari degli italiani e dei francesi. Ma invece di battersi per l'uguaglianza dei diritti dei lavoratori immigrati nell'interesse degli stessi lavoratori europei, si contrappone questi ultimi ai primi, naturalmente nel nome della Patria. Questi vecchi (o giovani) arnesi del riformismo sperano con questo di legittimarsi agli occhi del senso comune reazionario di ampi strati di massa, di ricavarne qualche utile elettorale, di ricongiungere la sinistra col “popolo”. In realtà si prostrano al corso politico reazionario che oggi pervade l'Italia e il mondo, lo stesso corso politico cui le loro politiche ministeriali hanno spianato la strada.


L'ALBERO GENEALOGICO DELLO SCIOVINISMO 

È molto significativo che la radice di questa nuova impostazione sia ricercata in Italia nella politica e cultura di Palmiro Togliatti. È in questo caso un rivestimento ideologico appropriato. È vero: «Togliatti sempre rivendicò la sacralità dell'Italia e della nostra Nazione», «la stessa resistenza partigiana fu concepita come resistenza nazionale dai nostri padri costituenti» (Fassina). Per una volta è la verità. Salvo uno spiacevole dettaglio. Proprio nel nome della Patria e della Nazione, Togliatti, su mandato di Stalin e con la piena collaborazione di Secchia, subordinò la resistenza antifascista alla ricostruzione del capitalismo italiano e del suo Stato: restituì ai prefetti il loro posto di comando, riportò Valletta sul trono della FIAT, disarmò i partigiani, decretò l'infame amnistia per gli aguzzini fascisti, calunniò le forze rivoluzionarie della resistenza come nemiche del popolo e dell'Italia. La bandiera della Patria fu il cappio al collo delle potenzialità rivoluzionarie dell'immediato dopoguerra. Le camionette di Scelba contro i lavoratori, i reparti confino contro i comunisti nelle fabbriche furono negli anni '50 il prezzo drammatico della capitolazione togliattiana.

Ognuno alla fine ritrova le proprie radici. Non a caso il fior fiore dell'intellettualità stalinista e togliattiana (Giacché, Santomassimo...) si è affrettato a benedire l'iniziativa di Fassina, ricoprendola di elogi. Il sovranismo di sinistra ha trovato il proprio albero genealogico. “L'Italia proletaria si è mossa” del primo socialismo sciovinista, l'appello ai fratelli italiani in camicia nera di Palmiro Togliatti nel 1936, il tradimento patriottico della rivoluzione partigiana da parte dello stalinismo: il nazionalismo di sinistra ha un lungo solco. La celebrazione dell'8 settembre e del governo Badoglio (!) da parte di Stefano Fassina è solo l'ultima nota senile formato bonsai di una tradizione antica.

Noi stiamo come sempre dall'altra parte della barricata. Quella classista e internazionalista. Quella di Marx, oggi più attuale che mai: "Gli operai non hanno patria” (Il Manifesto del partito comunista, 1848).
Partito Comunista dei Lavoratori

Il piano sgomberi di Salvini e Di Maio

«La proprietà è sacra», ha esclamato compunto ad uso telecamere il ministro degli Interni.
È questa la bandiera del nuovo piano nazionale di sgomberi di case ed edifici occupati sull'intero territorio nazionale. Minniti si era coperto dietro la foglia di fico di una raccomandazione alle prefetture perché cercassero “abitazioni alternative”: era l'ipocrita ricerca di un ammortizzatore sociale capace di reggere il piano di sgomberi. Salvini fa a meno di ogni finzione: dirama l'ordine di sgombero come atto prioritario e incondizionato. È l'ordine di gettare in mezzo a una strada decine di migliaia di famiglie povere, italiane e immigrate. Persone magari in attesa (vana) di una casa popolare da molti anni, o sfrattate per morosità incolpevole, o impedite ad accendere un mutuo o a pagare un affitto dalla propria condizione precaria o perché licenziate, o lavoratori immigrati costretti alla “clandestinità” da leggi infami nonostante sgobbino spesso per 12 ore al giorno in cambio di un salario da fame. Per tutti costoro la proprietà non è sacra, ma proibita, al pari del diritto di disporre di un tetto. La proprietà sacra è solo quella delle grandi società immobiliari, interessate a mantenere appartamenti sfitti da far lievitare sul mercato, o di banche e assicurazioni detentrici di un patrimonio immobiliare enorme e passivo come pura voce di bilancio, o anche dello Stato e di enti pubblici che hanno abbandonato al degrado centinaia di strutture perché impegnati a tagliare servizi e spesa sociale. Per non parlare delle immense proprietà immobiliari di Chiesa e Vaticano. Questa è oggi la proprietà interessata a gettare in mezzo a una strada quella stessa popolazione povera cui ha negato il diritto alla casa.

Questa campagna di sgomberi, già operativa, non riguarda la sola questione abitativa. È parte di una campagna "legge e ordine" che il governo delle nuove destre vuole imporre nelle relazioni pubbliche, nelle politiche migratorie, nell'ordinamento giudiziario, nel rapporto di forza con ogni soggetto perturbatore dell'ordine costituito. È la stessa campagna che minaccia i centri sociali, arma di nuove pistole elettriche le forze di polizia, liberalizza la facoltà di sparare a chiunque violi la “sacra” proprietà. È una campagna che cerca il consenso tra le sue stesse vittime dirottando le frustrazioni sociali contro un nemico invisibile, ogni volta diverso e ogni volta uguale: il nemico della “sicurezza”. Ma l'unica sicurezza che in realtà si protegge è quella di chi ha tutto contro chi non ha nulla: è la sicurezza dello sfruttamento, della speculazione, dell'abuso. L'insicurezza del lavoro e della casa per ampie masse è il prezzo della sicurezza per speculatori e parassiti.

Contro questa campagna poliziesca di sgomberi è necessario costruire una resistenza diffusa, capace di coinvolgere nel più ampio fronte unitario tutte le organizzazioni impegnate sul fronte della lotta per la casa, ma anche le forze del movimento operaio e sindacale. Il diritto alla casa è un diritto universale come il diritto al lavoro. Gli sgomberi della forza pubblica devono trovare ovunque una resistenza organizzata e di massa.
In Italia vi sono milioni di persone senza casa, e milioni di case vuote, per un'unica e sola ragione, la ragione del profitto. La rivendicazione dell'esproprio delle grandi proprietà immobiliari e la loro destinazione a fini abitativi deve divenire ovunque una parola d'ordine unificante. Risolvere la questione della casa è possibile. Ma per dare sicurezza sociale a chi non ha casa e lavoro occorre violare la sicurezza del capitale. Solo un governo dei lavoratori, rompendo con la società capitalista, può dare la casa a chi non l'ha.
Partito Comunista dei Lavoratori