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Solidarietà a Eddy e al SI Cobas

 


Esprimiamo la nostra piena solidarietà al compagno Eddy Sorge, membro dell'esecutivo nazionale del SI Cobas, indagato per associazione a delinquere dalla Procura di Napoli.

Non è la prima volta che questo capo d'accusa viene impugnato contro compagni e movimenti impegnati sul versante della lotta di classe, per l'unità e l'organizzazione degli sfruttati.
Tanto più in una fase di approfondimento del conflitto sociale, come nella logistica, e alla vigilia dello sblocco dei licenziamenti, la magistratura borghese affila le armi della repressione contro le forme di lotta più radicali e i loro dirigenti. Si vuole creare un clima di intimidazione che scoraggi la moltiplicazione delle lotte di resistenza e favorisca la rassegnazione.
Nel momento in cui vi sono padroni che impunemente organizzano i mazzieri contro i picchetti di sciopero (FedEx-Zampieri), che promuovono aggressioni squadriste contro presidi sindacali (Texprint), che spingono i crumiri persino ad uccidere sindacalisti in lotta, come Adil Belakhdim, pur di consegnare la merce per tempo, si accusa di associazione a delinquere chi lotta in prima fila per denunciare e contrastare tutto questo. In questo paradosso sta tutto il marcio della democrazia capitalista. L'unica associazione a delinquere è la società borghese e il suo Stato.

Giù le mani da Eddy! Piena difesa dei diritti di lotta degli sfruttati!

Partito Comunista dei Lavoratori

È uscito il nuovo numero di Unità di Classe

 


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28 Giugno 2021


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In questo numero:


Sciopero generale! Editoriale - Marco Ferrando

La vertenza Elica a Fabriano - Mauro Goldoni

Le elezioni in Perù - M.F.

Tesi sulla questione palestinese

Transizione ecologica, geopolitica e imperialismo - Francesco Peresino

Partito Comunista dei Lavoratori

Maurizio Landini, basta chiacchiere!

 


O sciopero generale o tradimento dei lavoratori

25 Giugno 2021

NO AI LICENZIAMENTI! NO ALLA REPRESSIONE PADRONALE! COSTRUIAMO LO SCIOPERO GENERALE

Il Partito Comunista dei Lavoratori interverrà nelle manifestazioni indette dalla CGIL, la CISL e la UIL per sabato 26 giugno.

Sarà presente doverosamente anche alla manifestazione indetta dal SI Cobas a Novara per portare avanti la lotta nella logistica e ricordare l'assassinio infame del compagno Adil ucciso da un camionista armato dall'odio padronale e dall'indifferenza della polizia.

Il PCL sta dispiegando tutte le sue risorse militanti per costruire il fronte unico di massa della classe lavoratrice attraverso l'unità di tutte le organizzazioni sindacali e politiche di riferimento, che manifesti attraverso lo sciopero generale la propria forza, potenzialmente enorme, per fermare il governo di unità nazionale della borghesia, il governo Draghi, l'aggressione padronale e la massa di licenziamenti che si annunciano nei propri mesi.

Partecipa a questo fine al percorso politico e sindacale del Patto d'azione anticapitalista e dell'Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi rispettandone le decisioni democratiche e proponendo sempre la costruzione, a partire dalle lotte esemplari delle operaie e degli operai della logistica, della più ampia unità dell'avanguardia della classe operaia e delle organizzazioni classiste. Per questo molte compagne e molti compagni del partito sono impegnati, oltre che in numerosi sindacati di base, anche nell'area di opposizione CGIL-Riconquistiamo tutto per unirla al percorso di mobilitazione unitaria e per farne un canale di proiezione unitaria verso la massa degli iscritti alla CGIL, in cui aprire uno spazio di attenzione e di interlocuzione intorno alle rivendicazioni dell'avanguardia di classe e dei suoi percorsi di unità d'azione più avanzati.

Accanto alla rivendicazione elementare dello sciopero generale, il PCL avanza l'indicazione dell'organizzazione dell'autodifesa operaia per contrastare gli attacchi nei confronti dei picchetti operai ad opera di squadre di mazzieri al soldo dei padroni, che purtroppo hanno puntellato drammaticamente la cronaca degli ultimi giorni delle lotte nel settore della logistica.

La morte del compago Adil ha avuto un'eco che è andata molto oltre i confini dell'organizzazione sindacale di appartenenza, il SI Cobas, e i numerosi scioperi spontanei nelle fabbriche nonché il grido “assassini assassini” da parte delle operaie e degli operai della Whirlpool all'indirizzo del Ministero dello Sviluppo Economico possono significare il risveglio della coscienza di classe ben oltre i limiti di elementari forme di solidarietà.

Le compagne e i compagni del PCL porteranno queste parole d'ordine nelle manifestazioni del 26 giugno, senza alcuna fiducia nella direzione della burocrazia dei sindacati confederali ma chiedendo risolutamente a Landini di smetterla con le chiacchere, che significano solo tradimento delle ragioni della classe lavoratrice, e di indire un vero sciopero generale o di andarsene.

Di seguito potete leggere il testo del volantino che distribuiremo (allegato in fondo a questa pagina).




MAURIZIO LANDINI, BASTA CHIACCHIERE!


Il 30 giugno scade il blocco dei licenziamenti. Confindustria ha chiesto libertà di licenziare, Draghi l’ha prontamente concessa. Tutti i partiti borghesi, dal M5S alla Lega, passando per il PD, han detto sì. Come ha detto sì la Meloni, che già votò con tutti gli altri la famigerata Fornero.

I padroni potranno scegliere al buffet se prendere ancora un po’ di cassa integrazione per loro gratuita, ma con gli stipendi tagliati, oppure buttare sulla strada gli operai. Quelli che nell’anno della pandemia sono stati costretti a lavorare sempre, anche in assenza di protezioni sanitarie, pur di ingrassare i profitti. E di profitti i capitalisti ne hanno fatti tanti nell’anno del Covid, in particolare nell’industria e nella logistica, grazie anche alle regalie pubbliche, pagate dai lavoratori.

Bene, saranno proprio questi settori a licenziare per ristrutturare. Lo ha dichiarato Carlo Bonomi quando ha detto che “l’industria è in forte ripresa”, ma proprio per questo deve liberarsi della zavorra di “costi eccessivi”. Nell’Italia in cui i lavoratori crepano come mosche nelle fabbriche, grazie anche all’assenza di ogni reale controllo, il governo concede ai padroni mano libera totale. Libertà totale di subappalto, libertà dai controlli ambientali, libertà persino dai controlli sulla corruzione. In una parola, libertà di sfruttamento.

Se poi come alla FedEx i lavoratori si ribellano, il padrone ricorre a squadre di mazzieri prezzolati per piegare la lotta a bastonate, mentre la polizia lascia fare. Adil è stato ucciso in questo clima a Novara durante un picchetto.

Tutto questo può essere fermato. Ma alla condizione che i lavoratori uniscano davvero le loro forze in un fronte comune di mobilitazione. È necessario preparare uno sciopero generale vero che unisca tutte le lotte di resistenza a difesa del lavoro. Uno sciopero generale vero capace di ribaltare i rapporti di forza. Uno sciopero generale che rivendichi la continuità del blocco dei licenziamenti; la cancellazione di tutte le forme di precariato; la riduzione generale dell’orario di lavoro a parità di paga; una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco per investire le risorse così liberate in un piano di nuovo lavoro, nella sanità, nella scuola; un vero salario garantito ai disoccupati che cercano lavoro.

È necessario che tutti i sindacati che parlano a nome dei lavoratori prendano l’impegno a promuovere una lotta vera, unitaria, di massa. Non servono parole di critica al governo se non si fa nulla per fermarlo, come fa Landini. Occorre coerenza tra le parole e i fatti! È scandaloso che di fronte all’annuncio di centinaia di migliaia di licenziamenti non sia stata convocata nessuna azione di lotta! Le manifestazioni di oggi non debbono ridursi a un diversivo. È necessario qui e ora indire lo sciopero generale in tempi brevi.

Occorre prepararsi ad uno scontro sociale prolungato, che opponga alla radicalità del padronato una radicalità uguale e contraria. Occorre unificare le tante vertenze a difesa del lavoro, come alla Whirlpool: dando indicazione di occupare le aziende che licenziano, e rivendicando la loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori. Costituendo una cassa nazionale di resistenza a sostegno delle lotte.

Ma non basta una lotta di pura resistenza sindacale. Quest’anno eccezionale di pandemia ha dimostrato al mondo la vera natura del capitalismo. Milioni di morti causati dalla demolizione dei sistemi sanitari per pagare i debiti alle banche e ingrassare la sanità privata. Mentre la vaccinazione di massa è in mano a pochi grandi colossi, e ovunque crescono le spese militari delle grandi potenze.

Ovunque la dittatura del profitto sta prendendo per la gola il genere umano. Solo una prospettiva di rivoluzione può liberarlo. Solo la prospettiva di governi dei lavoratori, in ogni paese e su scala internazionale può tracciare un progetto di emancipazione. Il PCL è impegnato a costruire questa prospettiva anticapitalista.

Partito Comunista dei Lavoratori

A dieci anni dalla vittoria referendaria sulla privatizzazione dell'acqua

 


Dieci anni fa il referendum del 12 e 13 giugno 2011 ha sancito, in modo netto come da tempo non accedeva, il no alla privatizzazione dell’acqua. 27 milioni di persone hanno deciso che l’acqua è un bene comune, fuori dalle regole del mercato e del profitto. Ad oggi, quel risultato è costantemente ignorato ad ogni livello politico e istituzionale, tanto dai governi centrali (UE e italiano) e dalle giunte locali pentastellate, di centrodestra, di centrosinistra.



ROMA, ACEA. PROFITTO PER POCHI, DISSERVIZI PER MOLTI

L’azienda pubblica fornitrice di acqua è, già da anni, impegnata in una missione privatistica e aziendalistica. Acea viene definita uno “strano animale”: è una società per azioni quotata in borsa e la maggioranza è del Comune di Roma ma a decidere le strategie ci sono i soci privati, i francesi di Suez (23,3%) d’intesa con Francesco Gaetano Caltagirone (5%). Come società a maggioranza pubblica dovrebbe fare gli interessi del pubblico. Non si tratta di proprietà pubblica o privata ma di inalienabile diritto alla vita per migliaia di persone. Acea, di fatto, si comporta come un’azienda privata e, dunque, la sua missione è massimizzare i profitti e dare dividendi ai soci, sfruttando la posizione di monopolio di cui gode, violando palesemente il risultato e la volontà popolare del referendum sull’acqua del 2011. Tutto ciò significa che in questi anni si è speso pochissimo per migliorare il servizio e mettere in atto investimenti che migliorassero la situazione delle condutture idriche e sistemasse disservizi già noti, come anche il CRAP ha denunciato a più riprese ed incessantemente.


DISPERSIONE IDRICA: ZERO INVESTIMENTI

Acea Ato 2 è la società operativa del Gruppo Acea che gestisce il servizio idrico integrato nell’Ambito Territoriale Ottimale (Ato, per l’appunto) del Lazio centrale, comprensivo di Roma e altri 111 comuni della regione. L’ATO2, con un’estensione territoriale superiore a 5.000 chilometri quadrati e a circa 3.600.000 abitanti, è il più grande in Italia e gestore del servizio idrico integrato dal 26/11/2002. La quota di partecipazione di Acea SpA è pari al 96.46% e «secondo i dati Mediobanca, nel 2016 Acea Holding ha registrato un risultato netto positivo di ben 643 milioni. Di questi guadagni, 90 milioni sono venuti dall’attività di Acea Ato2». Nell’attuale fase dovremmo discutere di come usare gli utili di Acea per il bene comune e non pensare ai dividendi dei suoi azionisti privati. Nel 2017, quando la crisi idrica del razionamento dell’acqua era alle porte Acea staccò assegni di dividendi milionari ai suoi soci (su tutti Comune di Roma e GDF-SUEZ dopo lo scambio di azioni col gruppo Caltagirone) ma la dispersione di acqua nelle tubature di Acea Ato2 era di appena il 25% nel 2007 salendo al 35% sei anni dopo per toccare il 45%.


COSA PENSIAMO

Ribadiamo che di fronte agli inganni della politica del capitalismo italiano, europeo, mondiale, che si rincorrono e si danno spallate per privatizzare il più possibile, c’è una soluzione. Dobbiamo rispondere in modo netto a questo affronto ridicolo e surreale con una politica netta e di classe. Uniamo la lotta per l’acqua con la lotta per l’estensione dei diritti civili e sociali; con la lotta per la nazionalizzazione delle banche strozzine e porle sotto il controllo dei lavoratori. Dobbiamo uscire dalla logica della “correzione” del sistema: il sistema capitalistico è incorreggibile. Questo sistema basato sul profitto e l’anarchia di produzione va superato, un altro mondo è possibile e si chiama socialismo!

Esigiamo che venga rispettata la volontà referendaria di dieci anni fa a cui non è mai stato dato seguito.

Contro le privatizzazioni dei beni comuni!

Per un'altra gestione delle risorse e dell’economia!

Per un governo dei lavoratori! Per il socialismo!

Partito Comunista dei Lavoratori

Abolire il Concordato!

 


Lo scontro sulla legge Zan conferma la natura reazionaria del Vaticano e del papato

La Segreteria di Stato vaticana ha compiuto un passo ufficiale presso lo Stato italiano per chiedere la modifica della legge Zan, invocando il rispetto del Concordato.
Non si tratta della abituale ingerenza delle gerarchie cattoliche in fatto di legislazione ordinaria, ma di un passo formale da Stato a Stato. C'è un solo parziale precedente: la denuncia della proposta di legge sul divorzio come lesione al Concordato da parte di Paolo VI nel lontano 1967. Ma in quel caso non intervenne la Segreteria di Stato; parlò direttamente il monarca assoluto della Chiesa. Qui interviene il suo braccio diplomatico, con la minaccia di un'impugnazione giuridica.

L'interpretazione per cui saremmo in presenza di una divisione interna alla Chiesa, di un atto non condiviso dal Papa, è ridicola. Sia perché il segretario di Stato, cardinal Parolin, è un fedelissimo di Bergoglio, sia perché il Papa presunto “progressista” ha sempre espresso le posizioni più reazionarie in fatto di omosessualità. Anche ai tempi del suo vescovato a Buenos Aires, quando denunciò la legalizzazione dei matrimoni gay da parte del governo argentino come «un attacco devastante ai piani di Dio, ispirato dall'invidia del diavolo» (2010). Solo una sinistra italiana papalina ha potuto, e può, presentare Bergoglio come riferimento progressista, indicandolo addirittura ad esempio.

L'iniziativa vaticana si commenta da sé. Nello stesso momento in cui le gerarchie ecclesiastiche di tutto il mondo sono travolte dall'emersione di centinaia di migliaia di crimini, abusi, violenze, normalmente occultati e impuniti, in fatto di pedofilia, la Chiesa chiede che le scuole cattoliche siano esentate dalla legge italiana in fatto di omofobia. Chiede che la Chiesa e le sue proprietà siano un territorio franco sottratto allo Stato. Chiede insomma che la legge italiana si subordini ai dogmi del catechismo.
Nella nota vaticana infatti si legge: «Ci sono espressioni della sacra scrittura e della tradizione ecclesiale e del magistero autentico del Papa e dei vescovi che considerano la differenza sessuale secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa rivelazione divina». Dunque se la “rivelazione divina” considera l'omosessualità peccato, le scuole cattoliche non possono legittimare l'omosessualità parlando di omofobia e transfobia. È il modello di Orban, che vieta si parli di omosessualità nelle scuole prima dei 18 anni.

I partiti più reazionari, da FdI alla Lega, naturalmente esultano. La separazione tra Chiesa e Stato vale per loro solo se si tratta di Islam. Con la Chiesa cattolica vale invece il principio opposto: i dogmi religiosi diventano linea di confine della legge, lo scudo dell'“identità italiana” contro la minaccia degli “invasori”. Il fatto che ci sia qualche partito cosiddetto comunista che gioca di sponda con questi ambienti fa davvero venire il voltastomaco.

Ma se i reazionari esultano, i partiti borghesi liberalprogressisti balbettano. Rassicurano la Chiesa, professano “volontà di dialogo”, annunciano mediazioni. Di Maio attiva il ministero degli Esteri, Letta comprende “il nodo giuridico”, Draghi impegna governo e Parlamento nella ricerca di una soluzione concordata. Lo stesso presentatore della legge, Zan, si affretta a dichiarare al Corriere che la Chiesa non deve temere nulla: le scuole cattoliche potranno continuare a fare quello che vogliono, in virtù del «principio di autonomia scolastica, che è generale e si applica a tutte le scuole, pubbliche e private». Di più: «In Aula alla Camera, proprio per venire incontro alle preoccupazioni di parte del mondo cattolico, è stato precisato che le iniziative dovranno essere coerenti con il piano triennale dell'offerta formativa e con il patto di corresponsabilità educativa tra scuole e famiglie. Questo per ribadire oltre ogni ragionevole dubbio che il tutto potrà – non dovrà – avvenire nel rispetto dell'autonomia scolastica» (Alessandro Zan, Corriere della Sera, 23 giugno).

Oltre ogni ragionevole dubbio, il messaggio in soldoni è il seguente: “Cari vescovi e cardinali, potrete continuare a far ciò che volete, come prevede il Concordato e le stesse leggi scolastiche; vi abbiamo già dato tutte le garanzie possibili, al punto che alla Camera anche Lega e FdI hanno votato la legge; ora in cambio dateci la solita finta patacca da esibire come “vittoria” agli occhi del mondo laico e progressista. Per voi non cambierà nulla, permetteteci almeno di salvare la faccia”. Sarà questo il mercimonio dei prossimi giorni.

La verità è che solo rompendo con la Chiesa, a partire dalla cancellazione del Concordato, è possibile salvaguardare con coerenza i principi più elementari di laicità, e con essi i diritti delle donne, degli omosessuali, delle lesbiche, dei transessuali, di tutti gli oppressi. Il punto vero non è se la legge Zan viola il Concordato o meno, ma che l'intervento della Segreteria di Stato vaticana chiarisce una volta di più, se ve ne era bisogno, che il Concordato è un'arma intollerabile in mano alla Chiesa a tutela dei suoi privilegi. Inclusa la scandalosa evasione fiscale di 5 miliardi di euro sottratti allo Stato, da tempo accertati e che nessuno le chiede.

A sua volta non si può rompere con la Chiesa, e cancellare il Concordato, senza rompere con la borghesia italiana, i suoi partiti, i suoi governi.

La Chiesa è da sempre parte organica del capitalismo italiano, con le sue banche, le sue partecipazioni azionarie, le sue gigantesche proprietà immobiliari. Il Concordato del 1929 tra il cardinal Gasparri e Benito Mussolini non fece che sancire giuridicamente questa realtà, con un matrimonio di reciproci interessi. Il PCI di Togliatti lo mise in Costituzione col famigerato articolo 7. Il suo aggiornamento nel 1984, sotto il governo Craxi, assicurò al matrimonio lunga vita. La presenza della Chiesa in tutte le istituzioni dello Stato borghese e della vita pubblica (scuola, sanità, giustizia, esercito) lo testimonia quotidianamente.

Non è un caso che i partiti della sinistra cosiddetta radicale (PRC, PdCI) che si sono avvicendati nei governi con la borghesia e/o che aspirano a parteciparvi non solo non hanno mai rivendicato l'abolizione del Concordato, ma hanno cercato di legittimarsi presso gli ambienti clericali, a volte esaltando il Papa di turno. È la ragione per cui solo un partito marxista rivoluzionario, proprio in quanto anticapitalista, può essere coerente sino in fondo sullo stesso terreno delle libertà democratiche e dei diritti civili.

Via il Concordato!
Giù le mani della Chiesa dai corpi e dai diritti delle donne, degli omosessuali, delle lesbiche, dei transessuali, di tutti gli oppressi!

Partito Comunista dei Lavoratori

SCIOPERO GENERALE E AUTODIFESA PROLETARIA: 18 E 19 GIUGNO IL PCL NELLE LOTTE OPERAIE!

 












Intervento di Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL, alla manifestazione nazionale a Roma di sabato 19 giugno, contro i licenziamenti, la repressione padronale e per ricordare l'assassinio del compagno Adil, operaio, dirigente sindacale del Si Cobas a Novara, ucciso da un crumiro che col camion ha sfondato il picchetto. Investiamo la memoria e il sacrificio di Adil nella battaglia per rovesciare questo sistema marcio! Costruiamo lo sciopero generale, ribaltiamo i rapporti di forza, apriamo dal basso uno scenario nuovo!

Intervento di Luigi Sorge, operaio Stellantis di Cassino, militante dell'Opposizione CGIL e del PCL, alla manifestazione nazionale a Roma di sabato 19 giugno, contro i licenziamenti, la repressione padronale e per ricordare l'assassinio del compagno Adil, operaio, dirigente sindacale del Si Cobas a Novara, ucciso da un crumiro che col camion ha sfondato il picchetto. Non può più scorrere il sangue operaio nelle fabbriche. Alla violenza dei padroni opponiamo l'autodifesa operaia e la forza di massa del movimento operaio! Costruiamo lo sciopero generale di massa, lottiamo per l'alternativa socialista contro il capitalismo!


Abbiamo ricordato l'assassinio del compagno Adil Belakhdim, operaio, dirigente sindacale del SI Cobas a Novara, da parte di un crumiro che col camion ha sfondato il picchetto. Anche per lui saremo in piazza il 19 giugno a Roma!

Contro lo sblocco dei licenziamenti, contro la repressione dello Stato e dei padroni, costruiamo un fronte unitario di lotta, costruiamo uno sciopero generale vero e di massa!

Riprendiamoci ciò che è nostro: nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo operaio della fabbrica! Alla forza e la violenza dei padroni bisogna contrapporre la forza collettiva! Giù le mani dai lavoratori in lotta! Giù le mani dalla classe operaia! Il capitalismo è barbarie: solo la rivoluzione cambia le cose! *** Rimani in contatto con il PCL! *** Il nostro sito: pclavoratori.it Pagina Facebook: facebook.com/PCLavoratori E-mail: info@pclavoratori.it Iscriviti al nostro canale YouTube!
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Assassinio a Novara

 


Tutti a Roma!

Il PCL esprime il proprio dolore e la piena solidarietà ai lavoratori in lotta e a SICobas per l'assassinio di Adil Belakhdim.

L'assassinio di Adil, operaio, dirigente sindacale del SICobas a Novara, da parte di un crumiro che col camion ha sfondato il picchetto, non è un evento casuale. È il prodotto del clima da Far West che il padronato della logistica ha imposto nel settore, con il ricorso a mazzieri prezzolati come a Tavazzano e a Prato. È il riflesso della criminalizzazione strisciante delle forme di lotta radicali a difesa del lavoro sancita dai decreti Salvini, tuttora pienamente operanti. È questo il contesto che ha armato l'assassino di Adil.

Il governo e i suoi ministri che oggi dichiarano «preoccupazione» per l'accaduto sono i massimi fiduciari di quegli stessi padroni della logistica che ricorrono a misure di terrore contro gli scioperanti. Sono i responsabili politici di quella polizia che lascia fare ai mazzieri e poi inquisisce chi si difende da questi. Si appoggiano in Parlamento su un'unità nazionale che abbraccia quei partiti razzisti e reazionari che hanno promosso le campagne d'ordine contro i picchetti. Sono gli stessi che annunciano lo sblocco generale dei licenziamenti contro cui Adil lottava.

Padroni e governo sono dunque pienamente responsabili dell'accaduto.

Contro padroni e governo c'è una ragione in più per sostenere le lotte operaie, estenderle e unificarle sul terreno dello sciopero generale. Ed anche per affrontare, nella logistica, il tema dell'autodifesa delle lotte stesse contro mazzieri e crumiri.

La manifestazione nazionale a Roma di domani acquista dopo quanto accaduto una importanza ancora maggiore.

Tutti a Roma!

Partito Comunista dei Lavoratori

Se toccano uno.. 18 giugno, sciopero della logistica

 


Pubblichiamo il comunicato dell’area Riconquistiamo Tutto - Opposizione CGIL in sostegno allo sciopero della logistica di venerdì 18 giugno e in appoggio alla manifestazione nazionale di sabato 19 giugno a Roma

17 Giugno 2021

Il 18 giugno il settore merci e logistica si ferma contro la repressione padronale, il peggioramento delle condizioni di lavoro delle operaie e degli operai della logistica, il sistema criminale del subappalto.

Esprimiamo la nostra incondizionata solidarietà ai lavoratori della FedEx-TNT aggrediti in maniera squadrista da un gruppuscolo di guardie private e crumiri istigati dal padrone della piattaforma logistica, Zampieri, sotto la presenza immobile delle cosiddette Forze dell’Ordine.

Dopo questa aggressione, un altro picchetto di lavoratori e lavoratrici è stato smantellato con la forza alla Texprint di Prato. Altro che ipotesi concertative, viviamo l’emergere di pratiche squadristiche antisindacali contro lavoratori e lavoratrici della logistica che ci portano alla mente la Pinkerton e le esperienze statunitensi, cioè il tentativo di una radicale limitazione e di una repressione (anche fisica) di ogni minimo diritto sindacale individuale e collettivo.

Questa aggressione antioperaia sta assumendo contorni sempre più accesi e diffusi: per queste ragioni riteniamo importante la giornata di lotta del 18 giugno, ci auguriamo veda un’ampia e significativa adesione, invitiamo tutte le RSU e le RSA a sostenerla e i lavoratori e le lavoratrici della logistica a parteciparvi.

Appoggiamo allo stesso modo la manifestazione di sabato 19 giugno poiché ne condividiamo le parole d’ordine, che in maniera ostinata e contraria portiamo avanti in CGIL per ottenere dalla nostra organizzazione l’indizione dello sciopero generale nazionale.

Contro la repressione padronale e delle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori!

Contro il silenzio complice dello Stato davanti alla tragedia delle morti sul lavoro!

Contro la liberalizzazione dei subappalti, che determina la diminuzione delle responsabilità sulla sicurezza nei luoghi di lavoro!

Per un protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori che costringa la CGIL a convocare lo sciopero generale nazionale!

Riconquistiamo Tutto - Opposizione CGIL

Contro i licenziamenti, per la difesa del lavoro

 


Lo sblocco annunciato dei licenziamenti, assieme alla liberalizzazione dei subappalti, è un attacco frontale al mondo del lavoro. Alla riapertura dopo la pandemia, si annuncia la soppressione di centinaia di migliaia di posti di lavoro, a partire dalla grande industria. Lavoratori e lavoratrici che per un anno hanno retto sulle proprie spalle l’economia del paese, spesso costretti al lavoro senza adeguate protezioni, si vedranno buttati su una strada.


Secondo Bankitalia quasi 700000 salariati, secondo altre stime oltre un milione. Questo nonostante negli ultimi anni, e non soltanto nel periodo di crisi sanitaria, le imprese abbiano usufruito, in varie forme, di enormi risorse pubbliche pagate dai salariati stessi. Nel quadro della ristrutturazione macro economica pianificata dall’Unione Europea, Confindustria ottiene ora dal governo Draghi ciò che ha chiesto: la libertà di licenziare per ristrutturare le aziende e massimizzare i profitti.

A questa offensiva governativa e padronale pensiamo sia necessario rispondere tempestivamente, con uno sciopero generale del mondo del lavoro nei giorni in cui lo sblocco diventerà operativo. Un’azione di lotta tempestiva come inizio di una battaglia prolungata, uno sciopero unitario che realizzi il fronte più ampio possibile.

Occorre far seguire alle parole i fatti, costruendo una reale mobilitazione di massa, capace di unificare l’intero fronte di lotta, superando ogni logica di autocentratura e preclusione reciproca. Lo sblocco dei licenziamenti il 30 giugno, senza reale contrasto sul piano sindacale, senza sciopero nazionale, sarebbe un fatto preoccupante, che accrescerebbe ulteriormente le dinamiche di passivizzazione e ripiegamento a vantaggio del padronato e delle forze politiche più reazionarie.

Crediamo importante che l’azione unitaria di sciopero si leghi ad una piattaforma di lotta che rivendichi la riduzione generale dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, un sistema universale di ammortizzatori sociali capace di rispondere anche ai nuovi bisogni emersi nel mondo del lavoro, finanziato anche attraverso una patrimoniale sulle grandi ricchezze.

Una piattaforma che punti ad unire in un blocco sociale alternativo ciò che il capitalismo punta a dividere: lavoratori, precari, disoccupati.
Tuttavia il confronto e la discussione sulle parole d’ordine richiede innanzitutto un’iniziativa di mobilitazione contro lo sblocco dei licenziamenti.
Per questo, data la rilevanza non solo sindacale ma anche politica della posta in gioco, ci permettiamo di avanzare un forte appello all’unità per la promozione di uno sciopero generale contro le misure annunciate dal governo, a sostegno di una piattaforma alternativa. Non servono né dichiarazioni critiche senza azione di lotta né il rituale di scioperi di singole organizzazioni tra loro concorrenti ed in ordine sparso. Ciò che serve è un vero scatto unitario.

Se i padroni, le loro organizzazioni, i loro partiti fanno fronte comune per lo sblocco dei licenziamenti, occorre costruire un fronte comune di segno opposto. Per quanto ci riguarda ci batteremo per questo.

Coordinamento nazionale delle sinistre di opposizione (Comunisti in Movimento, Fronte Popolare, La Città Futura, Partito Comunista Italiano, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito Marxista-Leninista Italiano)

Il 19 tutte e tutti a Roma, per il diritto di sciopero e unità contro la repressione

 


Pubblichiamo l'appello approvato dall'Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi e del Patto d'azione anticapitalista per un fronte unico di classe tenutasi domenica 6 giugno.


Al centro la proposta rivolta alle diverse organizzazioni del sindacalismo di classe e agli iscritti dei sindacati confederali per uno sciopero generale contro lo sblocco dei licenziamenti.
I compagni e le compagne del PCL hanno votato a favore del testo, valutando positivamente il fatto di rivolgersi alle altre organizzazioni sindacali classiste, e non solo ai loro iscritti, per una promozione unitaria dello sciopero.

Parallelamente abbiamo presentato al voto un ordine del giorno che declinava l'appello in termini più precisi: un appello rivolto anche alla CGIL, al fine di smascherare Landini e parlare coi settori più avanzati della sua base operaia nell'industria; per uno sciopero generale da realizzarsi a ridosso dei giorni dello sblocco dei licenziamenti (30 giugno, 1 luglio) come prima risposta tempestiva. L'ordine del giorno è stato respinto con 53 voti contrari e 14 voti a favore.

Sul dibattito che ha accompagnato la discussione e le prospettive d'azione del Patto torneremo con una nota specifica dopo la manifestazione nazionale del 19 giugno a Roma, che ci vede fortemente impegnati, tanto più dopo l'aggressione infame e squadrista contro i lavoratori a Tavazzano.





APPELLO PER UNO SCIOPERO GENERALE CONTRO I LICENZIAMENTI, LA REPRESSIONE, IL GOVERNO DRAGHI

In queste settimane nei palazzi del potere economico e politico, da Roma a Washington, si respira un’aria di grande ottimismo, se non proprio di festa. Dopo il tonfo dell’economia mondiale nel 2020, il più profondo da decenni, è in moto un processo di rilancio della produzione e dei profitti.

Se questo processo sarà duraturo o no, è tutto da vedere. La sola cosa certa è che è fondato su un enorme indebitamento di stato, e che il peso di questo debito verrà quanto prima scaricato sulla classe lavoratrice.

In Italia è in arrivo lo sblocco formale dei licenziamenti deciso dal governo Draghi dopo che ci sono già stati un massacro di posti di lavoro precari pari a 945.000 unità, in grandissima maggioranza donne, e una grandinata di licenziamenti disciplinari e anti-sindacali di avanguardie di lotta o di semplici lavoratori e lavoratrici con la spina dorsale diritta.

Tra l’estate e l’autunno altre centinaia di migliaia di proletari/e verranno gettati in mezzo a una strada. Nel contempo, agitando il ricatto della disoccupazione e della povertà, il padronato sta intensificando lo sfruttamento del lavoro con forme diffuse di vero e proprio schiavismo, perfino di lavoro totalmente gratuito, ai danni in particolare degli immigrati. Uno degli effetti più scontati e drammatici di questo processo è l’aumento dei morti sul lavoro.

Questo massacro sociale ha bisogno del pugno di ferro dentro e fuori i luoghi di lavoro. È quello che stiamo vedendo negli ultimi mesi contro gli scioperi nella logistica e contro le azioni di lotta dei movimenti sociali. Polizia e carabinieri sono ovunque ci sia un focolaio di lotta, affiancati anche da bande di mazzieri privati.

Davanti a quest’offensiva padronale, che viene dopo una gestione della pandemia sciagurata e criminale, le strutture direttive di CGIL, CISL, UIL si limitano a dichiarazioni verbali di protesta alle quali non segue mai un sola vera iniziativa di contrasto ai padroni e al governo. Anzi quello che continuano a diffondere tra i lavoratori è un sentimento di sfiducia e di passività.

Dal settembre dello scorso anno, invece, l’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi si è impegnata a chiamare all’azione organizzata contro l’asse padronato-governo con ripetuti scioperi e manifestazioni costituendo un piccolo polo di riferimento per quanti/e intendano resistere. Ma siamo coscienti che per fermare questa nuova brutale aggressione del capitale al lavoro salariato è necessaria la scesa in campo di forze molto più ampie di quelle che siamo riusciti finora a mobilitare.

Per questo lanciamo oggi un appello a tutte le forze del sindacalismo di base, ai tanti/e iscritti ai sindacati confederali, anzitutto alla CGIL, sconcertati e scontenti per la politica di subordinazione ai padroni e al governo, ai tantissimi/e giovani senza sindacato e in formazione, per organizzare insieme un grande sciopero generale capace di scuotere l’intera classe lavoratrice e di opporre a Draghi e ai suoi mandanti un fronte di classe forte dei suoi numeri e delle sue ragioni.

Ciò che ci unisce – il no ai licenziamenti, alla repressione, all’intensificazione dello sfruttamento, al militarismo che incrementa spese belliche e missioni di guerra, al razzismo e alla legislazione speciale contro gli immigrati, alla demagogia del “femminismo” di stato proprio mentre peggiora la condizione della grande massa delle donne lavoratrici, alla farsa della “transizione ecologica” – è assai più decisivo di ciò che ci divide.

Mettiamoci perciò al lavoro per preparare insieme una grande risposta di lotta alla Confindustria e al “governo dei migliori” servitori del capitalismo, e lanciare un segnale anche ai proletari degli altri paesi, come hanno fatto le masse oppresse della Palestina e il movimento del Black Lives Matter.

Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi

Aggressione infame di una squadraccia armata

 


Solidarietà ai lavoratori colpiti e al Si Cobas. Tutti a Roma il 19 giugno!

L’aggressione di questa notte al picchetto dei lavoratori di FedEx – Zampieri di Tavazzano (Lodi), da parte di una squadraccia di picchiatori al soldo dell’azienda, è un atto infame.

Al lavoratore gravemente ferito, a tutti i lavoratori coinvolti e al Si Cobas va la nostra piena solidarietà.

Attorno alla lotta esemplare dei lavoratori della FedEx e agli scioperi di solidarietà con questa lotta, il padronato del settore sta rispondendo con la militarizzazione dello scontro. La logistica sta diventando un Far West da primo ‘900 americano, con i padroni che, non contenti dei servizi offerti dalla repressione dello Stato, finanziano direttamente propri corpi militari irregolari per spezzare i picchetti e riportare l’ordine. Mentre la polizia lascia fare, salvo criminalizzare i lavoratori che si difendono. L’obiettivo è piegare la resistenza operaia e buttar fuori dalla logistica il Si Cobas, colpevole di organizzare quella resistenza.

Se passa questa pratica militare nella logistica rischia di estendersi in altri settori. Magari in occasione dello sblocco dei licenziamenti nella grande industria e nell’edilizia. È necessario allora che attorno alla lotta di FedEx e della logistica si sviluppi una attiva campagna di solidarietà militante di tutte le organizzazioni del sindacalismo di classe, al di là di ogni divisione.

Ma è anche necessario mettere a tema la necessità dell’autodifesa organizzata dei lavoratori stessi della logistica. Se i padroni del settore ricorrono a propri mazzieri per attaccare i picchetti, i picchetti hanno diritto di difendersi con gli stessi mezzi, colpo su colpo, come nelle migliori tradizioni del movimento operaio. Non dovrà più accadere che gli sgherri del padrone, armati di spranghe e catene, possano colpire impunemente lavoratori inermi. Dovranno trovare ovunque pane per i loro denti.

Lo sciopero generale della logistica del 18 giugno e la manifestazione nazionale del 19 giugno a Roma sono e saranno una prima risposta e una occasione di denuncia pubblica di ciò che accade. Nella prospettiva dello sciopero generale dei lavoratori e delle lavoratrici, e di tutte le loro organizzazioni.

Partito Comunista dei Lavoratori
I video che mostrano gla squadraccia di mazzieri pagati dai padroni  e la polizia (al servizio dei padroni) che resta a guardare.
Ricordiamocene!

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/06/11/tnt-fedex-notte-di-tensione-a-lodi-si-cobas-lavoratori-del-presidio-picchiati-con-bastoni-e-sassi-e-la-polizia-non-ha-mosso-un-dito-video/6226867/?pl_id=11&pl_type=category




Le elezioni in Perù

 


Contro i partiti borghesi e reazionari che vorrebbero annullare il voto, ma senza la minima illusione nel nuovo Presidente Castillo

Mentre scriviamo è ancora in corso il conteggio dei voti delle elezioni presidenziali in Perù. Il partito reazionario di Fuerza Popular, guidato da Keiko Fujimori, figlia del golpista Alberto, contesta la vittoria di stretta misura di Pedro Castillo, chiede l’annullamento di 200000 voti, mobilita la piazza di Lima contro la “frode comunista”. Soprattutto spera che il conteggio delle schede del voto estero possa ribaltare il risultato. Ma appare improbabile che ciò avvenga.

Probabile è invece che una presidenza Castillo possa trascinare con sé una radicalizzazione dello scontro di classe in Perù. In un quadro latino-americano segnato nell’ultima fase dalla crisi rivoluzionaria in Colombia, dall’ascesa del movimento di massa in Ecuador, dalla ripresa della mobilitazione in Cile.


UN PAESE SACCHEGGIATO DALL’IMPERIALISMO

La vittoria di Pedro Castillo è un portato della grande crisi politica e sociale che il Perù attraversa.

Il paese è stato spogliato dal lungo corso delle politiche liberiste, inaugurato da Alberto Fujimori. Eletto nel ‘90 quale Presidente del Perù, Fujimori attuò un colpo di Stato nel ‘92, sciogliendo il Parlamento, cambiando la Costituzione, concentrando nelle proprie mani tutte le principali leve del potere. Iniziò così la lunga stagione dell’austerità, delle privatizzazioni al servizio degli interessi imperialisti, della precarizzazione selvaggia del lavoro, dei tagli alle pensioni in omaggio al pagamento del debito pubblico peruviano. Fu anche la stagione degli squadroni della morte contro militanti comunisti, attivisti sindacali, capi delle comunità indigene. La sterilizzazione forzata delle popolazioni indigene fu uno degli atti più brutali della dittatura fujimorista.

Fujimori cadde nel 2000, travolto dagli scandali per corruzione e dalle incriminazioni giudiziarie. Ma la Costituzione da lui varata nel ‘93 è tuttora intatta. Riconosce il diritto all’evasione fiscale dei grandi capitalisti, attraverso il sistema dei “contratti privati” con lo Stato, privilegia gli investimenti privati riservando allo Stato un ruolo puramente sussidiario, prevede una forte limitazioni delle libertà sindacali. Tutti i governi borghesi che si sono alternati in Perù negli ultimi trent’anni hanno custodito gelosamente questa eredità di Fujimori, a tutela della borghesia nazionale e dell’imperialismo, americano ed europeo.

L’economia capitalistica peruviana ha conosciuto tassi di crescita molto alti sino a tempi recenti, con un tasso medio superiore alla media del continente latino-americano (+5,9% nell’ultimo decennio), ma in un quadro di estrema polarizzazione tra ricchezza e povertà. Tra il relativo benessere sociale di un settore rilevante della classe media urbana e l’immiserimento progressivo della popolazione povera delle periferie, delle campagne, delle comunità indigene.

L’irruzione della pandemia e della recessione mondiale ha precipitato la crisi sociale a livelli mai conosciuti. Sei milioni di posti di lavoro distrutti, una popolazione attiva ridotta al 39,5%, precarizzazione totale del lavoro con il completo scardinamento della contrattazione, un divario sempre più abissale tra città e campagna. Mentre il Covid ha falcidiato 186000 persone su una popolazione di 32 milioni di abitanti, con un tasso di mortalità del 10% dei contagiati, il più alto al mondo, riflesso dell’assenza di un sistema sanitario in molte regioni del paese, in particolare nelle regioni rurali.


DUE BLOCCHI SOCIALI CONTRAPPOSTI

Il crollo della società peruviana ha sospinto nell’ultimo anno una forte instabilità politica, col rapido succedersi di diversi governi, ogni volta travolti dagli scandali, ogni volta oggetto di vaste contestazioni di massa. Ciò in un quadro di progressiva frammentazione della rappresentanza politica borghese, che il primo turno del voto presidenziale ha ben documentato. La borghesia si è divisa tra Keiko Fujimori (14,5%), un partito ultraliberista (10,7%), una formazione di estrema destra (“Porky”, 12,2%). Ciò ha consentito a Pedro Castillo di primeggiare con il 18,1% dei voti.

La polarizzazione del secondo turno tra Fujimori e Castillo ha visto contrapposti due blocchi sociali.

Keiko Fujimori ha raccolto attorno a sé la piccola e media borghesia urbana legata alle professioni liberali, alla piccola impresa, al commercio. Una classe che esercita una egemonia maggioritaria su ampi settori popolari nelle città. Keiko ha ottenuto a Lima ben il 65% dei voti. La sua campagna elettorale è stata di tono maccartista contro il “pericolo comunista” (Castillo). Ma anche smaccatamente populista, nelle migliori tradizioni di famiglia: sino a promettere la redistribuzione sociale dei profitti delle grandi compagnie. Il vero fine di Keiko era quello di vincere per tirar fuori il padre di galera, e con lui i clan affaristici e faccendieri che aveva protetto.

Pedro Castillo ha polarizzato attorno a sé il voto popolare contro Fujimori e la loro dinastia. Ha vinto con larghissimo margine nelle 6 regioni più povere con l’80% dei voti, spopolando nelle campagne e nei centri minerari. Nelle città ha raccolto il voto della maggioranza dei salariati, in particolare nel settore pubblico. La sua vittoria porta il segno della volontà di rottura della classe operaia e della maggioranza della popolazione povera con le politiche dominanti dell’ultimo mezzo secolo. Come tale va salutata positivamente dai marxisti rivoluzionari, che in Perù non a caso hanno dato indicazione di voto per Castillo al secondo turno.

Giustamente però si è trattato di un appoggio elettorale critico, senza nessuna identificazione in Castillo, senza abbellire il suo profilo politico, senza tacere sulla realtà effettiva del suo programma.


IL PROGRAMMA REALE DI CASTILLO

Pedro Castillo è un sindacalista che diresse nel 2017 un importante sciopero degli insegnanti per ottenere aumenti salariali, uno sciopero che scavalcò la burocrazia sindacale ottenendo l’appoggio dell’opposizione sindacale interna. L’emersione della sua figura come difensore dei lavoratori ha avuto questa origine, sicuramente progressiva. La sua estraneità al circo politico tradizionale gli ha permesso inoltre di intercettare la domanda di cambiamento e di svolta contro “i vecchi politici corrotti” espressa dalle mobilitazioni dell’ultimo anno. La sua provenienza rurale ha familiarizzato l’immagine di protettore delle campagne contro gli affaristi e gli affamatori delle città, rivestendolo dei panni di leader contadino. Il 50,2% è la risultante di tutto questo.

Ma tutto questo non fa di Castillo ciò che non è: un presidente “comunista”. Solo chi confonde la realtà con le finzioni strumentali della propaganda reazionaria può prendere un simile abbaglio.

Il programma sociale originario di Perù Libre di Castillo è un onesto programma antiliberista nel quadro del capitalismo peruviano, fondato su nazionalizzazioni con indennizzo del settore minerario ed energetico. Una versione peruviana della politica di Morales in Bolivia. Il suo programma politico prevede una Assemblea costituente che cambi la Costituzione del ‘93, obiettivo sicuramente democratico. Nulla sul debito estero, nulla sui corpi repressivi dello Stato, nessuna reale riforma agraria. Terreni su cui già il programma iniziale di Perù Libre confermava la continuità strutturale della politica borghese peruviana.


IL PASSO DEL GAMBERO DI PERÙ LIBRE

Oltretutto questo programma riformista è stato progressivamente edulcorato da Castillo nel corso della campagna elettorale. L’8 giugno il portavoce economico di Perù Libre, Pedro Francke, ha tranquillizzato la borghesia peruviana e i circoli imperialisti con queste parole:

«Rispetteremo la proprietà privata scrupolosamente... Rispetteremo l’autonomia della Banca Nazionale Peruviana e i suoi rapporti con gli investitori... Ripetiamo che non abbiamo previsto nel nostro programma economico statizzazioni, espropri, confische, controllo dei cambi, controllo dei prezzi... Rispetteremo tutti gli impegni di pagamento del debito pubblico peruviano... Vogliamo il dialogo aperto con tutti gli imprenditori onesti, il cui ruolo nella industrializzazione e nello sviluppo del paese è fondamentale».

Un programma di collaborazione di classe in piena regola. Il classico passo del gambero dei partiti riformisti quando passano dall’opposizione al governo: archiviazione degli stessi propositi riformisti, assunzione pura e semplice delle compatibilità capitaliste.

Peraltro, Castillo non si è mai riferito alla classe lavoratrice. Tutta la sua campagna elettorale si è sviluppata attorno al richiamo del “popolo”, della “gente”, della “patria”, in chiave classicamente populista, mentre sul terreno dei diritti civili Castillo ha esibito il lato più regressivo e imbarazzante: rifiuto del diritto d’aborto e più ingenerale delle rivendicazioni femministe, rifiuto di ogni riconoscimento dei diritti degli omosessuali, difesa ostentata della famiglia patriarcale. Un omaggio alla cultura diffusa delle sue zone rurali di provenienza, che erano e sono il suo principale bacino elettorale.


LA POSIZIONE DEI MARXISTI RIVOLUZIONARI

Vedremo se Castillo consoliderà la propria vittoria e formerà un proprio governo. Di certo non sarà un governo dei lavoratori, cioè di rottura con l’ordine capitalista e imperialista. I marxisti rivoluzionari peruviani saranno in prima fila nel contrastare i disegni della reazione borghese di contestare e annullare il voto popolare. Ma non daranno un appoggio politico a un governo borghese di sinistra. Come non lo diedero i bolscevichi a Kerenskij, neppure nel momento in cui era minacciato da Kornilov. Come non l’abbiamo dato a Chavez o a Morales, pur opponendoci alle minacce dell’imperialismo. Come non l’abbiamo dato ai governi Prodi, Tsipras, Sanchez, anche quando erano appoggiati da partiti che si autodefiniscono comunisti.

La questione del governo, come la questione della guerra, segna una rigorosa linea di demarcazione tra marxismo rivoluzionario, riformismo, centrismo, in tutta la lunga storia del movimento operaio. La socialdemocrazia prima, lo stalinismo poi (a partire dal VII Congresso dell’Internazionale Comunista del 1935, col varo dei governi di fronte popolare) hanno cancellato questa linea di demarcazione inaugurando la lunga stagione dei governi di coalizione con “la borghesia democratica”. Ma questa demarcazione è riproposta ciclicamente nella sua attualità a tutte le latitudini del mondo. Tanto più in un contesto storico segnato dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla crisi del capitalismo internazionale.

Recuperare il principio dell’opposizione comunista a tutti i governi della borghesia non significa porre un segno di equivalenza tra tutti i governi borghesi, ciò che sarebbe ed è una posizione di estremismo settario e infantile. Significa semplicemente difendere una elementare collocazione di classe. Che è la precondizione di una politica rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

VOLENTIERI PUBBLICHIAMO: BOLOGNA: SABATO 5 GIUGNO MANIFESTAZIONE DAVANTI ALLA SEDE DI CONFINDUSTRIA. NON SIAMO CARNE DA MACELLO, BASTA MORTI SUL LAVORO


provvedimenti che il governo Draghi si appresta a varare sul tema del lavoro svelano la vera natura dell’esecutivo, fedele esecutore dei voleri di Confindustria che senza mezzi termini intende   scaricare sulle spalle dei lavoratori i costi della crisi economica e sanitaria. Non a caso il 75% degli aiuti economici per fronteggiare la pandemia sono finiti nelle tasche delle imprese.

SBLOCCO DEI LICENZIAMENTI
Nonostante il blocco dei licenziamenti voluto dal precedente governo, dall’inizio della pandemia,in un anno, sono stati persi quasi 1 milione di posti di lavoro. Lo sblocco dei licenziamenti a far data dal 1 luglio rischia di trasformarsi quindi in una vera e propria mattanza sociale. I lavoratori diventeranno sempre più ricattabili e questo a scapito del salario, della difesa dei diritti, e della salute  e sicurezza sui posti di lavoro.

APPALTI AL MASSIMO RIBASSO
Si prevede il ritorno al ricorso degli appalti al massimo ribasso e la deregolamentazione del sub-appalto. Questa norma se dovesse passare porterebbe all'abbattimento dei salari- in alcuni settori sono già da fame- all'aumento degli incidenti sui posti di lavoro oltre ai pericoli di infiltrazione mafiosa in un settore già fortemente a rischio.

Intanto sui posti di lavoro ci si continua ad ammalare, la salute e la sicurezza dei lavoratori è sempre più messa in pericolo e, cosa ancora più drammatica, si continua a morire  a causa degli incidenti. 

Per ostacolare i disegni di Governo e Confindustria bisogna ripartire con la mobilitazione unitaria dei lavoratori nella convinzione che di fronte alla portata di questo attacco nessuna organizzazione o categoria può farcela da solo. 

Bologna Sabato 5 Giugno ore 15,30
Manifestazione davanti alla sede di Confindustria
in Via S. Domenico, 4 

organizzano 
– Cobas Bologna 
– Sindacato Generale di Base
– Unione Sindacale Italiana/Cit

per adesione : primomaggio21@gmail.com