Post in evidenza

ELEZIONI REGIONALI DELL’EMILIA ROMAGNA: LE NOSTRE INDICAZIONI DI VOTO

  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

Cerca nel blog per parole chiave

La questione palestinese: origini e prospettive | Franco Grisolia

 


Registrazione dell'iniziativa di formazione interna del PCL, svoltasi il 4 dicembre 2023 sulla piattaforma ZOOM.

 Relazione del compagno Franco Grisolia.

 Buona visione!


 seguici sui nostri social!

 www.facebook.com/PCLavoratori

 • t.me/PCLavoratori

 www.instagram.com/pclavoratori

Il PCL piange il caro compagno Antonio Carrabba


 La morte improvvisa del compagno Antonio Carrabba ci ha colti di sorpresa e ci lascia stravolti.

Antonio è stato fra i fondatori del nostro partito nel 2006, e tra i fondatori della nostra sezione. Il suo impegno per anni è stato rivolto alla battaglia sindacale nella CGIL scuola e alla costruzione della sezione di Arezzo.
Antonio è stato un compagno molto amato nel partito, apprezzato per la semplicità con cui affrontava le questioni, per l’impegno e per la grande innata simpatia. Il suo senso dell’umorismo discreto lo rendeva un compagno di viaggio ideale.
Amava la vita, la convivialità, il mare, e i suoi figli.
Per tanti di noi è stato un fratello con cui confidarsi e un compagno di battute e di momenti sereni, con lui abbiamo condiviso lotte e manifestazioni.
Negli ultimi anni era ritornato nella sua Puglia, verso il suo mare che amava tanto, alla ricerca di un luogo dove trascorrere gli anni della pensione. Nonostante questo è stato protagonista di un lavoro davvero esemplare di costruzione del partito in quella regione, svolto alla sua maniera, con la semplicità e la gentilezza che erano i suoi tratti caratteriali più evidenti, sempre in punta di piedi.

Ci manchi e ci mancherai tantissimo, Antonio. Grazie per quello che ci hai dato, ne faremo buon uso.

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Arezzo

Patto UE su immigrazione e asilo: una coltre di putrida ipocrisia blinda l'Europa contro i migranti


 Nausea. Non ci sono altre parole. Il Patto su Migrazione e Asilo dell’UE stimola solo questa sensazione. Oltre 2500 sono stati i migranti morti affogati nelle acque del Mediterraneo. Bisognerebbe forse dire meglio: uccisi.


Uccisi dall’incapacità di accoglienza da parte di una UE che per altro, lo vediamo bene in questi giorni nel conflitto mediorientale e altrettanto nel continente africano, è pienamente implicata e corresponsabile dello stato di guerra e fame che attanaglia le enormi masse popolari dalle cui file partono masse di diseredati nella speranza di un qualche futuro per la propria vita e per i propri cari.
Da questo punto di vista la differenza tra richiedente asilo, profugo e migrante economico non ha alcuna importanza se non a giustificare politiche repressive sobillate dall’estrema destra.

La stampa borghese definisce il Patto un accettabile compromesso. Per gli interessi imperialisti dei paesi UE è certamente così. Dal punto di vista dei migranti, in massima parte rappresentati da proletari e classi popolari, la realtà è ben diversa.

Questo Patto legittima la chiusura delle frontiere europee al flusso dei migranti (Frontex), con il corollario di terribili tragedie, come quella del 3 ottobre del 2013 sulle coste di Lampedusa in cui morirono 368 persone, o quella più recente sulla spiaggia di Cutro in cui hanno perso la vita oltre 100 migranti.

Riduce la possibilità umanitaria di soccorso in mare, mettendo in preventivo altre migliaia di morti, mentre la UE d’altra parte sostiene le azioni dei suoi Stati membri impegnati in politiche giudiziarie repressive nei confronti di chi presta soccorso e sostegno umanitario (vedi il caso Lucano in Italia).

Limita la possibilità di esigere il diritto d’asilo legalizzandone le violazioni da parte dei singoli Stati, e favorendo le espulsioni rapide verso i paesi considerati “sicuri” come la Tunisia, dove il presidente Saied ha avviato da tempo una campagna di stampo razzista di internamento nei confronti dei migranti, o verso paesi i cui governi ricevono finanziamenti dalla UE che vengono destinati tra l’altro anche al mantenimento di autentici lager per migranti, come in Libia.

Favorisce l’apertura di nuovi centri di detenzione anche tramite patti indegni, come quello recentemente stipulato tra Meloni e Rama. Il recente scandalo del CPR di via Corelli a Milano ha rivelato impietosamente le condizioni inumane nelle quali vengono detenuti uomini donne e bambini colpevoli solo di cercare condizioni di vita accettabili.

Limita fortemente, infine, i cosiddetti movimenti secondari, negando così il diritto a recarsi verso la meta desiderata una volta entrati nel territorio della UE.

Questo Patto è stato eufemisticamente definito un compresso. In realtà si tratta di un atto di guerra verso quelle masse di diseredati in fuga dalle condizioni politiche ed economiche create dallo scambio diseguale e dalla politica di potenza dei paesi imperialisti della UE, in Africa e in Medio Oriente.

L’Europa, che si vanta di essere la culla del diritto, ha così ucciso il bambino. Lo testimonia anche la legge di riforma dell’immigrazione da poco approvata in Francia con il plauso della destra lepeniana, che rappresenta una stretta persecutoria e razzista nei confronti di immigrati e richiedenti asilo.
Tutto ciò accade mentre la popolazione europea invecchia rapidamente ed è in una forte decrescita demografica. Soprattutto in Italia, dove ogni anno la popolazione diminuisce di oltre 100000 unità.

I media borghesi, dai liberali a quelli della destra, ne approfittano per chiamare in causa l’insostenibilità dell’attuale sistema pensionistico e annunciare nuovi aumenti dell’età pensionabile e riduzione degli assegni.
Invece è evidente che questo gap potrebbe essere facilmente e proficuamente superato da politiche di accoglienza che consentissero tutti gli anni ad alcuni milioni di persone di venire a vivere e a lavorare in UE.

Ma allora perché la borghesia non adotta misure politiche che vadano in questa direzione?
Non possiamo completamente escludere che la realtà dei fatti presenti il proprio conto, per cui i governi borghesi siano costretti a un orientamento di maggior apertura sul tema immigrazione. Tuttavia, una ragione strutturale milita contro tali soluzioni: la necessità insopprimibile per il capitalismo imperialista europeo di alimentare la rapina sociale a danno del proletariato, quello proprio e quello internazionale, tramite il dirottamento delle risorse destinate al welfare state pubblico.

Questa rapina stringe al collo i cordoni della borsa per i proletari a tutto vantaggio di enormi svalutazioni fiscali, commesse, appalti e in generale largo pascolo di profitti per le grandi concentrazioni capitalistiche, che così ricavano annualmente utili miliardari da distribuire ai propri azionisti. La rapina sociale è talmente intersecata con il metodo di estrazione del profitto da parte del capitale contemporaneo da non poter essere messa in discussione, seppur timidamente, pena il crollo del sistema capitalistico stesso.

Nello stesso tempo le lavoratrici e i lavoratori migranti, tenuti ai margini della vita sociale in situazioni di povertà e scarsa assistenza, possono essere costretti a subire condizioni di sfruttamento feroce soprattutto in quei settori industriali “straccioni” a maggior tasso di profittabilità, come l’agro-zootecnico (braccianti), il logistico (riders), l’edile, il turistico (gli stagionali), ecc.

Per questo la soluzione dell’”arcano problema” dell’immigrazione deve risiedere nella lotta per un’alternativa di governo e di società.
Solo il governo delle lavoratrici e dei lavoratori può avere nel suo programma misure per una vasta e strutturata accoglienza dei migranti senza fare speciose distinzioni tra migranti “politici” ed “economici”. Solo l’avvio dell’edificazione socialista e dell’esproprio degli immensi capitali detenuti da pochissime e spesso anonime mani può fornire le risorse per finanziare questa accoglienza e in generale tutte le misure di previdenza ed assistenza sociale.
Solo la prospettiva della rivoluzione mondiale con la distruzione di tutti gli imperialismi può consentire, con una equa ripartizione delle risorse tra tutti i paesi del mondo, la fine di quelle condizioni di vita inaccettabili, guerre, fame, sfruttamento, cambiamenti climatici, che spingono centinaia di milioni di persone a lasciare la propria terra.

Il Partito Comunista dei Lavoratori, sezione dell’Opposizione Trotskista Internazionale, è impegnato quotidianamente a costruire in Italia e a livello internazionale questa prospettiva.

Partito Comunista dei Lavoratori

È uscito il nuovo numero di Marxismo Rivoluzionario

 


22 Dicembre 2023

Per sapere come acquistare la rivista del PCL scrivi a info@pclavoratori.it, in chat alla nostra pagina Facebook ufficiale o contatta la sezione a te più vicina

In questo numero:


Per una Palestina libera, laica e socialista in una Federazione socialista del Medio Oriente

Tesi sulla questione palestinese

Risoluzione sulla Palestina. Adottata dal Comitato di Coordinamento Internazionale dell'Opposizione Trotskista Internazionale

Al fianco della resistenza palestinese - Federico Bacchiocchi

La situazione politica italiana a un anno dall’insediamento del governo Meloni - Marco Ferrando

A ottant'anni dalla morte di Pietro Tresso (Blasco) - Franco Grisolia

L'Opposizione di sinistra 1923-1933 - Eugenio Gemmo

L'Italia nel Mar Rosso per difendere il massacro sionista

 


...ma anche gli interessi dei "nostri" armatori

Prosperity Guardian: questo è il nome della missione militare promossa dall'imperialismo USA nel Mar Rosso, contro gli attacchi del regime yemenita alle navi israeliane o che trafficano con Israele. La sua bandiera è la “difesa della libertà del commercio internazionale”. In realtà l'unica “libertà” che si vuole tutelare è la libertà dello Stato sionista. La libertà del genocidio della popolazione di Gaza, e del terrore antipalestinese in Cisgiordania.

Certo, c'entrano anche, nella partita, interessi commerciali e finanziari. Gli attacchi houthi alle navi israeliane o che trafficano con Israele hanno indotto 55 navi commerciali a sostituire il canale di Suez con la circumnavigazione dell'Africa, gli oneri delle compagnie assicurative stanno salendo, i noleggi portuali diventano più costosi, il prezzo del petrolio può aumentare.
Tutto ciò che disturba la quotidianità degli affari è una insidia per i capitalisti e per gli Stati che li tutelano. Ma tutto questo è il portato indiretto dello sterminio in atto contro il popolo di Gaza e di Palestina. Gli stessi Stati imperialisti, a partire dagli USA, che sostengono il massacro sionista mirano a tutelare la sua impunità minacciando la guerra contro chi la contrasta. Questa è la ragione prima della missione.

L'imperialismo italiano, fedele alleato d'Israele, è coinvolto nell'operazione, al pari del Regno Unito, del Canada, della Francia, dell'Olanda... e del governo “progressista” e “di sinistra” di Spagna.
Il ministro Crosetto sta negoziando le regole d'ingaggio del coinvolgimento italiano. Semplice difesa militare dei mercantili insidiati o anche potere di bombardamento diretto dello Yemen? Quel che è sicuro è la partecipazione italiana alla missione, senza neppure la formalità di un mandato parlamentare. Secondo Crosetto si tratterebbe semplicemente di appoggiarsi al mandato già conferito per la missione antipirateria nei mari del Medio Oriente. Ma chiunque capisce che qui la pirateria non c'entra nulla. Il governo Meloni sta predisponendo semplicemente una diretta partecipazione italiana a una missione di guerra contro un paese arabo, quali che siano le sue modalità operative.

Semplice sudditanza italiana agli USA? No, è anche un duplice interesse nazionale italiano.
Innanzitutto un interesse strategico: il governo Meloni sta usando la sponda americana per allargare il proprio raggio d'azione in Medio Oriente e in Africa (Piano Mattei) in aperta concorrenza con la Francia. Per questo vuole restare nel gorgo senza lasciare spazi indebiti agli imperialismi rivali.
In secondo luogo un interesse diretto dei capitalisti italiani e del mondo degli affari coinvolti. Lo afferma candidamente il ministro Crosetto: «Rispondendo a una precisa richiesta di tutela degli interessi nazionali pervenuta dai nostri armatori, abbiamo deciso di spostare nel Mar Rosso una delle nostre unità navali...». Più chiaro di cosi! I palestinesi crepino pure purché i “nostri” armatori siano tutelati.

La verità è che l'Italia viene coinvolta in una azione di guerra, su mandato dei suoi armatori, a tutela dello Stato sionista, contro il popolo palestinese.

È necessario portare nella mobilitazione a difesa della Palestina la parola d'ordine del No alla missione nel Mar Rosso. No a una missione internazionale imperialista e filosionista. No alla partecipazione italiana alla missione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Con la Resistenza palestinese: il video della serata di venerdì 15 dicembre a Bologna

 


Venerdì 15 dicembre: un importante discussione intorno al sostegno della Resistenza Palestinese.

Ne abbiamo parlato con Federico Bacchiocchi del PCL e con il compagno Dawood di Giovani e Palestina, che ringraziamo per la sua chiara e lucida testimonianza.







Il clima del capitale

 


La COP28 a Dubai smentisce una volta di più l'illusione di un possibile “capitalismo verde”

15 Dicembre 2023

La stampa borghese internazionale esalta il cosiddetto accordo storico siglato al COP28 a Dubai. Sono gli stessi toni trionfali con cui sono state salutate a suo tempo tutte le conferenze internazionali su clima, a partire dalla conferenza di Kyoto del 1997 per arrivare a quella di Madrid del 2019. Ma ciò non ha né impedito né ostacolato la deriva ambientale del mondo nel corso degli ultimi trent'anni. Gli impegni formali delle diplomazie sono carta straccia. Ciò che conta è la materialità degli interessi in gioco. Il linguaggio cifrato delle diplomazie è solo la registrazione indiretta della partita vera.

Peraltro nel caso di COP28 persino il linguaggio formale dell'accordo raggiunto fa strage di illusioni. Si nega l'abbandono dei fossili (“phase out”) a favore di un generico ”allontanamento progressivo” (“transitioning away”) per tutelare innanzitutto le petromonarchie. Si allude a futuribili sistemi di cattura e stoccaggio della Co2 per legittimare la continuità della produzione di energia sporca. Si lodano i cosiddetti combustibili di transizione per tutelare la produzione di gas. Scompare ogni cenno alla rapida chiusura del carbone. Si staglia l'obiettivo delle emissioni zero nel 2050 senza verifiche intermedie. Quanto al fondo per risarcire i paesi danneggiati dalla transizione (loss damage), lo si riduce alla cifra irrisoria di qualche centinaio di milioni. Il nulla. Anche se si volesse valutare l'accordo in base al testo scritto approvato, sarebbe davvero difficile presentarlo come vittoria dell'ambiente.

Ma non è il testo a spiegare la realtà, è invece la realtà a decodificare il testo. La realtà è molto semplice nella sua brutalità. Tutte le principali potenze imperialiste del pianeta, in lotta tra loro per spartirsi il mondo, stanno programmando grandi investimenti nelle energie fossili. Gli Stati Uniti hanno programmato nel marzo 2023 enormi investimenti nella produzione di GNL (gas naturale liquefatto) da esportazione, per un totale di 450 miliardi di metri cubi all'anno, e il più grande progetto petrolifero in Alaska (ConocoPhillips), con una capacità produttiva di 180000 barili al giorno sino alla fine degli anni venti. La Cina ha programmato un incremento del 56% della produzione nazionale di gas tra il 2020 e il 2030, e del 13% tra il 2030 e il 2050, mentre apre tre grandi miniere di carbone di cui è primo consumatore al mondo. La Russia ha programmato un aumento del 53% della produzione di carbone, e del 32% della produzione di gas da qui al 2035. Mentre su un altro piano, il governo brasiliano di Lula, salutato come progressista dalle sinistre riformiste di tutto il mondo, prevede un aumento del 63% della produzione petrolifera e del 124% della produzione di gas. Intanto l'ENI, fiore all'occhiello dell'imperialismo italiano, ha accresciuto il portafoglio risorse di 750 milioni di barili di petrolio nel solo 2022...

Quanto al mito di una Unione Europea “ambientalista”, è sufficiente un documento pubblicato dalla BCE (Il Sole 24 ore, 7 dicembre) costretto a constatare lo scarto tra la propaganda “verde” delle banche e il loro finanziamento massiccio degli investimenti inquinanti. Un campione di 109 grandi gruppi bancari dell'area euro, dove «le banche che più si presentano attente alle sfide ambientali sono anche quelle che prestano di più... alle industrie con alte emissioni di carbonio». Il greenwashing non è dunque un ricorso marginale, ma una pratica corrente del capitale finanziario d'Europa: quello che regge i governi imperialisti del vecchio continente, quello che chiede di tagliare sanità e pensioni per incassare gli interessi sui titoli di Stato acquistati.

La verità è che futuro dell'umanità non rientra nei bilanci del capitale. Secondo Mario Tozzi «mettendo a confronto i dati relativi agli investimenti in petrolio, gas e carbone con gli scenari di incremento della temperatura» siamo già oggi ben oltre lo scenario dell'aumento di temperatura dell'1,5%. «Se l'attuale progressione non muta andiamo verso un aumento del 2,7%» dichiara a La Stampa (14 dicembre). Con tutte le conseguenze che ne derivano.

Il sistema capitalista non è riformabile. Le illusioni su un possibile “capitalismo verde” sono smentite una dopo l'altra dall'esperienza dei fatti. Solo una prospettiva di rivoluzione sociale su scala internazionale può venire a capo del problema e invertire la rotta. Solo l'azione di massa della classe lavoratrice e della giovane generazione può realizzare tale prospettiva. Costruire controcorrente questa consapevolezza è l'azione quotidiana del nostro partito.

Partito Comunista dei Lavoratori

A CHI CHIEDE CASA SI DA’ IL MANGANELLO

 


I problemi abitativi di Bologna sono esplosivi. La casa è un diritto di carta straccia che le forze di polizia intervenute per sgomberare due realtà abitative occupate calpestano sotto i propri stivali

Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria solidarietà alle compagne e ai compagni di Plat, CUA e ai manifestanti aggrediti dalla polizia mentre si opponevano allo sgombero di un appartamento occupato da una famiglia e uno stabile occupato dagli studenti per uso abitativo temporaneo.

Sono mesi che gli studenti manifestano in tutte le città universitarie italiane per denunciare il caro affitto che pregiudica il diritto allo studio,

Bologna ha migliaia di case sfitte di proprietà di enti pubblici o partecipati e decine di migliaia di appartamenti privati vuoti.

I meccanismi di gentrificazione del centro cittadino e la speculazione turistica hanno fatto schizzare in alto il costo degli affitti, favorite da piattaforme come Airbnb e dall’uso massiccio da parte dei proprietari della formula dell’affitto breve.

Accanto ai piccoli proprietari che dietro suggerimento di agenzie interessate, cercano di trarre il massimo profitto dalle proprie case, vi sono padroni di grandi proprietà immobiliari, quali enti pubblici, costruttori, aziende e la Chiesa, che speculano tenendo alti i costi degli affitti e favorendo le piattaforme speculative come Airbnb

Un problema enorme e discusso a livello locale così come a livello nazionale. Ma al momento l’unica soluzione sembra l’uso della forza contro chi cerca di sfuggire da situazione di indigenza o di marginalizzazione mettendo in pratica tramite un’occupazione il diritto alla casa. Il diritto borghese alla rendita e al profitto cozza ancora una volta contro l’elementare diritto delle persone ad avere un tetto.

La prepotenza capitalistica, pubblica e privata deve essere rovesciata da una forza eguale e contraria.

La forza di milioni di salariati, studenti e classi popolari.

  • Per un piano abitativo del comune di Bologna e della Regione Emilia-Romagna che metta a disposizione di lavoratori e studenti appartamenti e stabili di propria gestione;
  • per l’obbligatorietà fiscale dei piccoli proprietari (con il sistema del bonus/malus fiscale) al canone di affitto concordato;
  • per la severa limitazione del numero di case e appartamenti nella disponibilità delle piattaforme come Airbnb e della speculazione turistica;
  • per l’esproprio dell’immenso capitale immobiliare abitativo detenuto da banche, Chiesa, costruttori e Agenzie e la sua messa a disposizione per la distribuzione alle classi popolari sotto controllo dei lavoratori
Partito Comunista dei Lavoratori
Sez. di Bologna

La fine di Rizzo tra le braccia di Alemanno

 


Dallo stalinismo al rossobrunismo. Le basi culturali di una deriva

Il pubblico abbraccio con Gianni Alemanno e il suo "Forum per l'Indipendenza Italiana” ha completato la parabola politica di Marco Rizzo. Per parte nostra nessuna sorpresa. Avevamo denunciato da tempi non sospetti, spesso soli, la valenza politica reazionaria delle posizioni da questi assunte: difesa della sovranità nazionale dell'imperialismo italiano, rivendicazione dei valori tradizionali della famiglia, contrapposizione agli immigrati e ai loro diritti, opposizione ai vaccini... Un impasto indigeribile che già delineava l'approdo rossobruno. Il blocco di Rizzo con variopinte destre sovraniste (Ancora Italia, Riconquistiamo Italia, Italia Unita...) in occasione delle ultime elezioni politiche lo ha esplicitato. L'incontro ultimo con Alemanno, erede ortodosso della tradizione missina neofascista, lo ha infine celebrato nella forma più clamorosa.


Potremmo limitarci a guardare la vicenda da un'angolazione, per così dire, antropologica, in riferimento alle caratteristiche della persona. Trasformismo spregiudicato, ambizioni istituzionali debordanti, estrema spregiudicatezza manovriera, assenza teorizzata di principi, posture misogine evidenti... Sono tutti ingredienti di un sottotraccia “culturale” che ha sorretto l'incessante peregrinazione di Marco Rizzo nell'arco di trent'anni: prima da dirigente di Rifondazione Comunista il sostegno al governo Prodi e alle sue peggiori misure antioperaie (lavoro interinale, record di privatizzazioni, campi di detenzione per i migranti...) al fianco di Bertinotti, Cossutta, Ferrero; poi la scissione a destra di Rifondazione a fianco di Cossutta e Diliberto con la fondazione del Partito dei Comunisti Italiani, per sostenere i governi D'Alema e Amato (inclusi i bombardamenti NATO su Belgrado); poi il pubblico e ostentato sostegno a Romano Prodi quale presidente della Commissione Europea nelle vesti di capogruppo del PdCI ,a Strasburgo; poi la rottura col PdCI di Diliberto in reazione alla propria marginalizzazione di ruolo e la nascita di Comunisti-Sinistra Popolare (poi Partito Comunista); poi la riverniciatura a sinistra del proprio profilo pubblico con l'improvvisa conversione a un apparente ultrasinistrismo (“sinistra e destra pari sono”, rifiuto di ogni unità d'azione a sinistra); infine la deriva rossobruna con la rottura di ogni (formale) riferimento di classe, nel nome del “popolo” e dell'interesse nazionale. Ognuna di queste stagioni ha pescato nella vocazione avventuriera del soggetto. Uno, nessuno, centomila, così è se vi pare. A caccia di una telecamera o di un taccuino purchessia.

Eppure una lettura esclusivamente antropologica risulterebbe riduttiva. Il fenomeno rossobruno va al di là di Marco Rizzo e dei confini nazionali. Lo testimonia la recente scissione a destra di Die Linke in Germania da parte di Sara Wagenknecht. nel nome del respingimento dei migranti e di un'apertura all'estrema destra di AfD. Lo rivela più in generale lo slittamento campista a sostegno dell'imperialismo russo e cinese di settori significativi dell'ambiente stalinista internazionale in diversi paesi e continenti. Ovviamente non tutta l'area campista approda nel rossobrunismo. Ma certo quest'ultimo attecchisce per lo più proprio all'interno dell'area campista, dentro una cultura che rimuove ogni argine classista nel nome del primato della geopolitica. Ne è un esempio la cosiddetta Piattaforma mondiale antimperialista, un'area internazionale di matrice stalinista che aggrega diversi soggetti rossobruni, da Vanguardia Espanola (che rivendica la colonizzazione spagnola dell'America) al Partito Nazional-Bolscevico di Russia (che esalta lo sciovinismo grande-russo, e naturalmente l'invasione dell'Ucraina).

Non è un caso se è proprio l'ambiente politico culturale di estrazione staliniana a essere maggiormente esposto al fenomeno. Sia perché la traiettoria storica dello stalinismo, nella sua dinamica di svolte e contro svolte, ha più volte incrociato stagioni rossobrune: come in occasione del patto sciagurato fra Hitler e Stalin del 1939-1941, quando l'intero movimento comunista internazionale fu costretto a celebrare la Germania nazista nel nome di comuni valori popolar-nazionali e della comune avversione alle vecchie democrazie plutocratiche. Sia perché da un punto di vista più generale la rottura staliniana con l'internazionalismo proletario nel nome delle “vie nazionali” e delle tradizioni nazionali ha fornito un retroterra culturale, seppur indiretto, alle conversioni più spregiudicate: nel Partito Comunista Francese degli anni '30 il passaggio dallo stalinismo al fascismo di Jacques Doriot nel nome della nazione francese fu paradigmatica. Quando si rompe l'ancoraggio internazionalista ogni deriva diventa possibile.

Potremmo dire che la biografia di Marco Rizzo ha in fondo ricalcato in sedicesimo quella di un Jacques Doriot: dal governismo borghese del fronte popolare all'approdo estremo del rossobrunismo. Evidentemente la mala pianta dello stalinismo non ha cessato di generare figli postumi. La differenza è che un tempo fu tragedia, oggi semplicemente una farsa.

Partito Comunista dei Lavoratori

Armi italiane allo Stato sionista

 


Gruppo Leonardo e Banca Intesa riforniscono la guerra contro i palestinesi. Il governo italiano è coinvolto

La potenza di fuoco criminale dello Stato sionista contro il popolo palestinese si avvale del contributo italiano. Il 30 ottobre 2023, nei giorni dei primi bombardamenti a tappeto su Gaza, Il gruppo Leonardo SpA, società leader del settore militare tricolore, si accordava con Elbit Systems, azienda israeliana della difesa, per lo sviluppo di un nuovo sistema laser che le truppe possono usare per esplorare le posizioni nemiche e coordinare gli attacchi. L'accordo fa seguito alla cospicua fornitura di elicotteri militari a Israele da parte del gruppo Leonardo avvenuta nella scorsa primavera.

Non si tratta di affari “privati”, per quanto immondi. Il gruppo Leonardo – prima azienda militare in Europa e dodicesima a livello mondiale in fatto di vendita d'armi – è controllato dal “nostro” ministero dell'Economia e delle Finanze, ed anche per questo gode del finanziamento massiccio di Banca Intesa, fiore all'occhiello assieme a Unicredit del sistema bancario italiano. Questo significa che l'imperialismo italiano e il governo Meloni sono pienamente coinvolti nel massacro in corso contro la popolazione di Gaza. Lo sono non solo sul piano politico, col proprio sostegno allo Stato sionista, ma anche di fatto sul piano militare.

L'opposizione alla guerra genocida di Israele richiama dunque più che mai il dovere dell'opposizione all'imperialismo di casa nostra. L'intero movimento operaio e sindacale italiano deve battersi per boicottare ogni traffico e complicità militare col sionismo, unendosi all'azione di boicottaggio intrapreso contro Israele dai settori più avanzati del movimento operaio internazionale.

Partito Comunista dei Lavoratori

Libertà e rientro immediato per Ilaria!

 


Giù le mani dagli antifascisti!

3 Dicembre 2023

Dal mese di febbraio nelle carceri dell'Ungheria del regime di Orban è rinchiusa Ilaria Salis, compagna anarchica delle occupazioni del Ticinese, da sempre attiva nelle lotte per il diritto alla casa e nella solidarietà verso detenuti anarchici come Cospito, per aver partecipato secondo l'accusa agli scontri contro neonazisti provenienti da tutta Europa durante una parata organizzata dai neonazisti nostalgici del regime fascista e fortemente antisemita dell'ammiraglio Horthy.

Le ultime notizie provenienti dalla prima lettera che è riuscita a inviare dopo più di sei mesi di detenzione ai suoi avvocati ci parlano di condizioni insopportabili, di celle piene di topi e cimici, di detenute costrette a lavorare per 50 euro al mese e dell'impossibilità per la compagna di accedere anche agli accessori per garantirle il minimo di igiene personale.

Come negli scorsi mesi abbiamo solidarizzato con la battaglia in carcere di Alfredo Cospito, da comunisti internazionalisti non possiamo non auspicare che nasca una mobilitazione in solidarietà in tutto il paese per il rilascio ed il rientro di Ilaria e contro il trasferimento nelle carceri ungheresi di Gabriele Marchesi, l'altro compagno anarchico arrestato a Budapest in quei giorni.

Contro il reazionario regime bonapartista di Orban, che gode del convinto sostegno di partiti di governo come la Lega. Per la libertà delle compagne e dei compagni!

Partito Comunista dei Lavoratori

La violenza è strutturale: abbattiamo il capitale!

 


Pubblichiamo il volantino delle compagne Femministe Rivoluzionarie per la giornata di lotta del 25 novembre contro la violenza di genere

Sono giunte a 101 le vittime di femminicidio in Italia e a 3 le vittime di transicidio. Queste si sommano alle morti avvenute nel passato e alle altre migliaia di vittime in tutto il mondo. Molti di questi omicidi o suicidi indotti trovano le proprie radici nell’ambiente domestico e nelle relazioni tossiche. Questo è solo uno dei tanti volti della violenza di genere, la sua espressione più profonda, che origina da un problema culturale e strutturale. Il sistema capitalistico si è sviluppato sulla proprietà privata e sulle oppressioni di genere per dominare incontrastato sulle nostre vite. Questa è la doppia oppressione che dobbiamo distruggere in maniera indipendente da tutte le forze politiche borghesi.

Ci sono donne e persone T* che corrono maggiori rischi di subire violenza: le persone con disabilità, l* migrant*, e le persone che vivono in contesti marginali e precari. Questo ci dimostra che, per quanto la violenza di genere sia una questione trasversale, differenti sono i livelli di oppressione e, per noi, è fondamentale riconoscere una matrice di classe dove l’oppressione miete la maggioranza delle proprie vittime.

Siamo in una fase di grave crisi economica e sociale, acuita dai conflitti bellici, in cui la recessione si accompagna ad un tasso di inflazione al 5,4% e alla compressione salariale. In Italia nonostante i proclami politici e il recepimento, in termini legislativi, del contrasto alla violenza di genere, il governo Meloni continua a tagliare sulla spesa sociale per investire nelle spese militari, nel ponte sullo stretto e nelle imprese. Mentre avanzano le privatizzazioni. Questi sono gli altri volti della violenza: le guerre imperialiste, le morti dovute ad un sistema sanitario e di cura inefficiente, il disinvestimento nella scuola che alimenta ignoranza e stereotipi pericolosi, le morti sul lavoro.
È ora di dire NO! e di coniugare la lotta contro il patriarcato alla lotta anticapitalista, con rivendicazioni chiare:

• ripartizione del lavoro con la riduzione dell’orario di lavoro settimanale a 30 ore pagate 40; parità salariale per tutt*
• Salario minimo di 12 euro l'ora (1500 euro mensili) e indicizzata all'inflazione; forti aumenti salariali di almeno 300 euro netti, e di una scala mobile dei salari; Il salario garantito per chi è in cerca di occupazione, contro ogni forma di reddito slegato dalla condizione lavorativa, che non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori possibilità di rinchiudere le donne nell’ambiente domestico.
• Tutela della maternità e congedi parentali retribuiti per tutt* (affinché la genitorialità non sia prerogativa delle sole donne).
• Revisione e aggiornamento della sicurezza sui posti di lavoro; istituzione del delitto di omicidio sul lavoro.
• Un welfare statale che non ci renda schiave e schiavi all’interno della famiglia, con l’istituzione di un ampio programma di servizi sociali che si prenda in carico l’enorme quantità di lavoro di cura che oggi pesa maggiormente sulle spalle delle donne, nella prospettiva della socializzazione del lavoro di cura.
• Requisizione di tutte le case sfitte da assegnare in primo luogo a tutte le persone con difficoltà di inserimento lavorativo e alle persone con disabilità, a garanzia dello sviluppo della propria autonomia personale.
• Consultori pubblici per le donne e per le persone LGBT*QIAP+, sotto il controllo dell* utent* e con accesso a tutte le tecniche e alle informazioni mediche per autodeterminare le decisioni sul proprio corpo; Centri antiviolenza strutturati e non ridotti ad una sorta di ufficio reclami sulle spalle dei volontari.

Solo un governo de* lavorator* può realizzare queste misure! Solo nella prospettiva anticapitalista e socialista su scala mondiale potremo vivere in un mondo senza violenze e oppressioni di genere.

Femminist* Rivoluzionari*

La vittoria ultrareazionaria in Argentina

 


La nuova fase dello scontro sociale. Il ruolo della sinistra rivoluzionaria

Il candidato ultrareazionario Milei (La Liberad Avanza) ha ottenuto una vittoria travolgente al ballottaggio delle elezioni presidenziali argentine, con 11 punti di vantaggio sul candidato peronista Massa, espressione del governo uscente (55,7% contro il 44,3%). Tra il primo e il secondo turno Milei è passato da 8 milioni a 14,5 milioni di voti, vincendo in 21 circoscrizioni su 24. Determinante sicuramente il sostegno della coalizione di destra tradizionale guidata da Patricia Bullrich, Juntos por el Cambio (Insieme per il cambiamento), che ha largamente travasato su Milei i suoi 6 milioni di consensi.
In ogni caso Milei è riuscito a polarizzare un vasto blocco sociale interclassista attorno alla bandiera del “cambio”, unendo attorno a sé il grosso della piccola borghesia e ampi settori di popolazione povera: il classico blocco reazionario con base di massa che ha sorretto a suo tempo le fortune di Trump e Bolsonaro. La sua vittoria segna la crisi del vecchio bipolarismo tra il peronismo e la destra liberale. La profondità della crisi argentina ha rotto gli argini della tradizionale alternanza.

Il governo peronista di centrosinistra guidato da Alberto Fernandez è stato l'artefice della vittoria di Milei. Le sue politiche di collaborazione col Fondo Monetario Internazionale per pagare l'ingente debito estero hanno accompagnato una crescita abnorme della povertà, sino al 40% della popolazione. La ulteriori misure di precarizzazione del lavoro hanno colpito la condizione dei giovani. La progressiva svalutazione del peso ha aumentato a dismisura i costi delle importazioni producendo un'inflazione fuori controllo al 140%, che ha polverizzato salari e pensioni. La copertura delle burocrazie sindacali a questa politica d'austerità ha fatto il resto.
Milei ha dunque raccolto, purtroppo, una vasta pulsione di rigetto e disperazione sociale. La retorica “anticasta” e la sua recita mediatica – la motosega quale metafora della rottura col passato – ha sfondato nell'immaginario popolare. La Libertad Avanza è apparsa confusamente a suo modo un programma di liberazione alla maggioranza della società argentina.

Ma nella realtà il programma di Milei ha il profilo della reazione pura, persino della provocazione sfrontata: dalla privatizzazione integrale di sanità e istruzione, alla dollarizzazione dell'economia, all'abrogazione dei sussidi sociali, alla cancellazione di conquiste democratiche elementari (aborto), alla pubblica rivalutazione della dittatura militare e delle sue politiche assassine. Il sostegno a Milei di tante sue vittime annunciate segna il paradosso del voto argentino. Un paradosso certo non nuovo nella storia, ma che misura nella sua portata la profondità della disfatta peronista, e la serietà della sconfitta del movimento operaio.

Ora si apre in Argentina una fase nuova dello scontro politico e sociale. Milei ha riportato una vittoria elettorale schiacciante, ma non dispone di un potere istituzionale proporzionale. Dispone di 38 deputati su 257 e di 8 senatori su 72, in virtù dei risultati delle elezioni di ottobre. Non ha propri governatori nelle provincie. Ha pochissimi sindaci delle città. Sicuramente si avvarrà dell'appoggio parlamentare dichiarato, e negoziato, della destra tradizionale di Macri e di Bullrich, ma anche col loro sostegno non raggiungerà la maggioranza necessaria. Il divario tra il programma annunciato e i numeri parlamentari rappresenta dunque il suo primo problema. Non il solo.
Il Fondo monetario aspetta il pagamento nel prossimo mese di 44 miliardi di dollari, le riserve della Banca centrale sono a secco, l'incasso delle privatizzazioni annunciate, al netto di ogni altra considerazione, richiede tempi lunghi. Milei ha annunciato che farà dell'Argentina...“la prima potenza del mondo”, ma intanto deve misurarsi con la sua crisi verticale.

Il terreno decisivo del confronto che si prepara è quello della lotta di classe. La terapia d'urto che il nuovo Presidente ha annunciato rappresenta una dichiarazione di guerra contro il movimento operaio e sindacale e le organizzazioni di massa. L'onda euforica delle illusioni (e della confusione) lascerà presto il campo alla realtà di nuovi imponenti sacrifici. Le disponibilità compromissorie delle burocrazie sindacali peroniste dovranno confrontarsi con la resistenza della propria base. Le organizzazioni del movimento piquetero stanno organizzando una prima risposta. Le organizzazioni studentesche e il movimento di massa delle donne hanno annunciato la propria mobilitazione. Il fronte unico di classe e di massa contro il governo più reazionario dai tempi della dittatura è certo la prima necessità politica, in un contesto molto difficile.

In questo contesto la sinistra trotskista argentina (Frente de Izquierda - Unidad) è e sarà un punto di riferimento importante per l'avanguardia larga della classe operaia e dei settori oppressi della società. I quasi 800000 voti riportati nelle elezioni di ottobre su una politica di opposizione di classe e di alternativa di sistema (“obreros al poder”), la conferma di un'importante presenza parlamentare, il prestigio di un'ampia riconoscibilità operaia e popolare anche al di là dei voti ottenuti, candidano le organizzazioni del FIT a un ruolo importante nella costruzione dell'opposizione di massa al nuovo governo Milei, combinando la parola d'ordine del fronte unico contro la reazione con lo sviluppo di una direzione alternativa al peronismo. Un'indicazione tattica unitaria delle organizzazioni del FIT per un voto a Massa contro Milei al ballottaggio (ovviamente senza alcun sostegno politico a Massa) avrebbe rafforzato, e non indebolito, questa battaglia per l'egemonia alternativa presso la base operaia peronista. Non farlo è stato a nostro avviso un errore. In questo senso la posizione assunta da Izquierda Socialista ci è parsa corretta, a differenza di quella “astensionista” variamente declinata di PO, PTS, MST. Ma l'errore non toglie nulla al ruolo indispensabile che il FIT è oggi chiamato a svolgere. Ai compagni del FIT va tutto il nostro sostegno politico in questa importante battaglia nella fase difficile che si apre. La costruzione del partito rivoluzionario argentino, attraverso un'unificazione delle organizzazioni del FIT in un comune partito, ci pare più che mai un'esigenza posta dallo scenario politico. Non da oggi, ma tanto più oggi.

Partito Comunista dei Lavoratori

A difesa del diritto di sciopero

 

Per il più ampio fronte unico di classe e di massa



Il governo a guida postfascista dichiara illegittimo lo sciopero generale del 17 novembre indetto da CGIL e UIL. Non era mai accaduto nella storia repubblicana che uno sciopero generale confederale venisse impugnato dal governo.
È l'ennesima riprova, se ve ne era bisogno, del totale fallimento della linea di pace sociale regalata al governo Meloni-Salvini nel suo primo anno di vita. Se le burocrazie sindacali si attendevano un riconoscimento di ruolo hanno ottenuto l'opposto: uno schiaffo umiliante.

Il punto è che la dichiarazione di “illegittimità” dello sciopero non rappresenta semplicemente di un affronto alle burocrazie sindacali ma una aperta provocazione nei confronti di tutto il movimento operaio. Un grave precedente, una minaccia per il futuro. Per questo esige una risposta unitaria di tutto il movimento operaio. Una risposta all'altezza della provocazione.

Lo sciopero del 17 va esteso all'intero territorio nazionale e a tutte le categorie, per la difesa stessa del diritto di sciopero. Tutte le organizzazioni del sindacalismo di classe dovrebbero unire le proprie forze allo sciopero, sulle base delle proprie piattaforme, attorno alla difesa di questo diritto, allargando l'iniziativa di sciopero di SI Cobas già indetta per quel giorno. Va rivendicata unitariamente la cancellazione della legge 146/1990 in quanto legge antisindacale, purtroppo avallata per tanto tempo dalle burocrazie sindacali e tante volte usata contro il sindacalismo di classe. Va rivendicata unitariamente l'abolizione della stessa Commissione di Garanzia Sciopero, di fatto agenzia del governo.

Più in generale i fatti dimostrano la necessità del più ampio fronte unico di classe e di massa contro il governo e il padronato. La massima unità e al tempo stesso la massima radicalità.
La pratica rituale degli sciopericchi in ordine sparso, piccoli o grandi, si è rivelata impotente. È necessaria una mobilitazione di massa prolungata attorno ad una piattaforma di svolta. È l'ora di una vertenza generale del mondo del lavoro. È l'ora di uno sciopero generale vero. Per ribaltare i rapporti di forza, fermare la reazione, aprire una stagione nuova.

Partito Comunista dei Lavoratori

Solidarietà al Nouveau Parti Anticapitaliste


 Le autorità francesi hanno bloccato gli strumenti di comunicazione social del NPA (Nouveau Parti Anticapistaliste). La ragione risiede nel ruolo svolto da NPA nella promozione delle manifestazioni di solidarietà col popolo palestinese contro l'infame massacro in corso a Gaza per mano dello Stato di Israele.


È un fatto gravissimo. Un colpo inaccettabile alla libertà di espressione di una organizzazione rivoluzionaria da parte di un governo solidale con lo Stato sionista.
Purtroppo non si tratta di un fatto isolato. In larga parte d'Europa i governi borghesi di diverso colore hanno intrapreso una campagna di criminalizzazione delle iniziative di solidarietà con la Palestina e la sua resistenza. Il governo tedesco a guida socialdemocratica ha vietato le manifestazioni filopalestinesi. Il governo conservatore britannico pretendeva di proibire la manifestazione oceanica che si è svolta a Londra contro lo Stato sionista. Ovunque governi solidali coi crimini di guerra d'Israele cercano di tappare la bocca a chi li denuncia.

Non riusciranno nell'intento. La solidarietà con la Palestina cresce nel mondo.
Come Partito Comunista dei Lavoratori diamo piena solidarietà ai compagni e alle compagne di NPA contro le misure liberticide delle autorità francesi. La loro lotta è più che mai la nostra lotta: contro lo Stato sionista, a sostegno della resistenza palestinese, per il pieno diritto di autodeterminazione del popolo palestinese!
Giù le mani dal NPA!

Partito Comunista dei Lavoratori

Al fianco della resistenza palestinese

 


In queste ore le forze dell’IDF stanno occupando porzioni crescenti della striscia di Gaza. Dopo giorni di bombardamento a tappeto, che hanno causato circa 30000 vittime tra i civili palestinesi, tra morti e feriti, con un tragico bilancio soprattutto per i bambini e le donne, le forze armate israeliane stanno procedendo al tentativo di rastrellamento dei combattenti palestinesi e si apprestano al combattimento casa per casa.


Il Partito Comunista dei Lavoratori sostiene il pieno diritto dei palestinesi a prendere le armi e resistere all’invasione genocidaria da parte dei sionisti.

Riconosciamo che oggi le forze armate palestinesi comprendono partiti e fazioni politiche diverse.


L’URGENZA E I COMPITI DELLA RESISTENZA ARMATA ALL’INVASIONE COLONIALE ISRAELIANA

La connotazione di Hamas, la maggiore delle organizzazioni che dirigono la resistenza a Gaza, il suo carattere antiproletario, su cui torneremo, non deve significare alcun arretramento, nemmeno di un millimetro, dal pieno appoggio alla resistenza armata del popolo palestinese.
Per questo sosteniamo la lotta armata di Hamas e degli altri combattenti, e salutiamo con favore una possibile rivolta popolare in Cisgiordania. Una rivolta che deve affrontare le forze israeliane e purtroppo anche la polizia dell’ANP, a cui chiediamo di interrompere immediatamente il proprio ruolo di governo collaborazionista con le forze colonialiste dello Stato sionista.

Auspichiamo inoltre che tutte le organizzazioni combattenti palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania mettano da parte ogni divisione e si riuniscano in un coordinamento unificato che consenta loro di prendere con efficacia tutte le misure militari necessarie a respingere l’invasione di Gaza e inferire le massime perdite all’esercito occupante.

Questo è infatti l’obbiettivo militare e politico prioritario del momento, che se dovesse essere fallito aprirebbe la strada alla pulizia etnica e ad una nuova Nakba per il popolo palestinese.


I MARXISTI RIVOLUZIONARI E I COMPITI FONDAMENTALI DELLA LOTTA DEL POPOPOLO PALESTINESE

Lo scopo della liberazione della Palestina, il che implica la distruzione rivoluzionaria dello Stato sionista di Israele, deve essere incondizionatamente sostenuto dai marxisti rivoluzionari di ogni parte del mondo.
Su questo non vi possono essere ambiguità che diano spazio all’illusoria possibilità che in qualsiasi forma, persino “socialista”, possa sorgere ed avere vita legittima uno Stato palestinese a fianco dello Stato sionista. Questa possibilità, oltre che dalla logica, oggi è esclusa dai fatti storici che avvengono sotto i nostri occhi.

Ma la liberazione della Palestina non può avvenire né nella forma della Repubblica islamica, come vogliono Hamas e la Jihad islamica, né in quella democratico-borghese. In questo senso, l’esistenza di uno Stato palestinese effettivamente libero e indipendente sarebbe meramente illusoria, perché sarebbe invariabilmente sottomessa a potenze capitaliste e imperialiste che continuerebbero la rapina delle sue risorse e lo sfruttamento delle sue masse proletarie.

Solo la rivoluzione socialista può realizzare il compito storico dell’autodeterminazione nazionale del popolo palestinese. Solo la sua estensione a tutto il Medio Oriente, con il fine della realizzazione di una Federazione socialista del Medio Oriente, può proteggere i diritti e le condizioni di vita tanto delle masse proletarie palestinesi quanto di quelle arabe.


LA NATURA REAZIONARIA DI HAMAS

L’accordo al coordinamento e al comando unificato delle operazioni militari non significa in alcun modo un appoggio politico, nemmeno transitorio, ad Hamas, verso cui i rivoluzionari devono nutrire, al contrario, la massima sfiducia.
Hamas, che in arabo vuol dire "Movimento islamico di resistenza", è un partito islamista piccolo-borghese dotato di un’ala politica ed un’ala militare non necessariamente unite sotto la stessa direzione.

Il reclutamento al partito e alla sua ala combattente avviene per il tramite della fidelizzazione mistica e religiosa che si sublima nell’ideologia della Jihad, ossia la guerra santa contro gli osservanti di altre religioni ed in primo luogo di quella ebraica.
La jihad costituisce un terreno di reclutamento per Hamas, così come il nazionalismo lo ha assunto spesso per direzioni piccolo-borghesi che hanno promosso lotte di liberazione nazionale in Europa e nel resto del mondo nei decenni passati.

Questa ideologia è inoltre resa lugubre da un marcato antisemitismo, che professa la cacciata e l’uccisione degli ebrei in quanto ebrei, e non solo la lotta contro i coloni ed il colonialismo, così come il nazionalismo spesso degenera nella sua forma fascista.
Inoltre è finalizzata a subordinare l’aspirazione nazionale palestinese all’interesse di regimi monarchici e capitalisti che finanziano il partito (Qatar).

I marxisti rivoluzionari da sempre denunciano queste ideologie e mettono in guardia il proletariato delle nazioni oppresse contro il loro inevitabile tradimento delle aspirazioni di liberazione nazionale. Questa infatti può essere garantita, nel quadro dell’attuale spartizione imperialistica del mondo, solo dalla rivoluzione socialista, che instaurando la dittatura del proletariato con il metodo della democrazia operaia, è la sola forma che può garantire la fine dell’oppressione nazionale così come di tutte le altre forme di oppressione.

Allo stesso tempo, contestiamo come obiettivo reazionario e antiproletario il fine politico strategico di Hamas, che è quello di costituire una repubblica islamica sul territorio della Palestina.
Una repubblica islamica simile a quella iraniana che oggi è attraversata dall’eroica rivolta del movimento delle donne, che il PCL sostiene incondizionatamente


IL MOVIMENTO MONDIALE A SOSTEGNO DELLA PALESTINA

Un grande e inaspettato movimento popolare, soprattutto giovanile, da est a ovest, da sud a nord sta attraversando tutti i continenti al grido “free Palestine”.

I marxisti rivoluzionari devono portare in questo grande movimento la consapevolezza del sostegno incondizionato alla resistenza palestinese, rifiutando ogni equidistanza tra oppressori ed oppressi, tra aggressori e aggrediti, anche se ammantata di un ipocrita pacifismo. Ciò nella prospettiva della liberazione della Palestina e la distruzione dello Stato sionista, per l’istaurazione di uno Stato operaio socialista che garantisca tutti i diritti del popolo ebraico e per l’estensione della rivoluzione proletaria a tutto il Medio Oriente.

Partito Comunista dei Lavoratori

Ciao Mario

 


Pubblichiamo due ricordi di Mario Tommasi, militante per molti anni del nostro partito, scomparso ieri.


Nella vita spesso si vivono momenti di impotenza, che inducono stati di sofferenza improvvisa. Quando ci si confronta in particolare con il lutto e la morte, tutto diventa più difficile da affrontare e sembra impossibile.

Oggi ci ha lasciato il compagno Mario Tommasi, un bravo compagno e una bella persona. Per me è stata una vera e propria doccia fredda, avevo avuto modo di sentirlo circa un mese fa, mi aveva detto che non era stato bene ma mi aveva tenuto nascosto della sua malattia, che oggi ce lo ha portato via.

Militante e dirigente del PCL, compagno sempre disponibile e pronto a mettersi in discussione, dotato di spirito critico. Era stato sin dalla fondazione del PCL – all'epoca chiamato Movimento – il nostro punto di riferimento nella provincia di Rieti, un compagno appassionato e generoso. Negli ultimi anni aveva abbondonato la politica attiva, ma non aveva reciso i legami con la comunità del suo partito, e spesso sui social non mancava di far presente il suo punto di vista.

Non dimenticherò mai il tuo modo di stare in piazza, da manuale; la tua voce era così netta ed instancabile.

Mario non era solo un compagno eccezionale, ma anche un amico. Ci mancherai.

Condoglianze e un abbraccio a Nazzarena.


Eugenio Gemmo






Mario Tommasi, compagno esemplare


Mario Tommasi era un compagno dai grandi silenzi. Era attraverso i silenzi che parlava, più che con le parole. Il suo carattere affabile, semplice, di una mitezza che sconfinava in un'introversione inaccessibile, era il corrispettivo della concretezza e semplicità con cui concepiva la militanza.

Mario aveva un approccio essenzialmente pratico all'attività politica. Che non è mai stato per lui la negazione del lato teorico, ma lo sforzo costante di far vivere la teoria in ogni singolo atto in cui era possibile infonderla e trasmetterla. In ogni volantinaggio, corteo, assemblea, incontro.

Un'attitudine che forse gli derivava dal suo lavoro di programmatore e di informatico ante litteram. Fu attivo per lunghissimo tempo, fin da giovane tecnico (come allora venivano chiamati), nel Collettivo politico della Olivetti e nella "cellula Olivetti" del PCI, a Roma. Approdò a Rifondazione Comunista, e a Proposta (antesignana del PCL), quasi naturalmente. Ai tempi della nascita del PCL, nel 2006, fu tra i dirigenti locali di Rifondazione, a Rieti e nel Lazio, che più si spesero per far capire le ragioni della scissione e per organizzare una risposta collettiva che fosse all'altezza della situazione.

Per anni e anni, ha guidato esemplarmente la piccola e combattiva sezione di Rieti ovunque in prima linea.
Per molti anni non c'è stato corteo, manifestazione, iniziativa pubblica, appuntamento interno che non lo vedesse presente, defilato e instancabile, macinando decine di chilometri, con una puntualità che anticipava anche le circolari di convocazione, con la amata Nazzarena sempre al suo fianco.
Che fosse la presenza assidua ai cancelli delle fabbriche, la vendita del giornale, i volantinaggi, i tavolini, la raccolta firme, una conferenza stampa, non c'era niente che Mario non organizzasse fin nei dettagli. Quei dettagli ai quali prestava sempre attenzione, e che spesso erano per lui la chiave di volta per capire e spiegare questa o quella posizione, questa o quella dichiarazione, questo o quel disegno del nemico di classe.

Non era compagno di tante parole, Mario, non era compagno di convenevoli. Per lui le parole pesavano, ed erano da usare poco e indirizzare bene. I suoi interventi nelle riunioni locali e nazionali erano sempre calibratissimi, e centravano il sodo senza girarci intorno, all'occorrenza riportando tutti coi piedi per terra. A un congresso nazionale presentò degli emendamenti e un documento sul finanziamento (sua "fissazione" di sempre, per la quale era stato componente della commissione economica del partito), e negli interventi di presentazione fu approfondito fino alla pignoleria, non lasciò nulla al caso, facendo capire lo scrupolo affilato con cui aveva pensato e studiato prima di agire.

Non lasciare niente al caso era l'impronta del suo contributo, del suo leninismo. Era per questo che il suo tarlo organizzativistico non lo lasciava mai soddisfatto, mai assetato. Un tarlo che lo poteva portare a dissensi verticali ma non all'autocompiacimento della distruzione, dell'isolamento o della fuga. Sapeva bene che un partito rivoluzionario è imperfetto per definizione, e che la costruzione non è che un cammino incessante verso il miglioramento sempre possibile ma spesso non a portata di mano. Era consapevole di questo per intelligenza e per fatto generazionale, per atteggiamento e per comprensione politica. E non poteva che reagire con una delle sue tipiche alzate di spalle, o allargando sconfortato le sue enormi braccia, quando era alle prese con facilonerie e spacconaggini che gli era toccato di vedere anche dentro il suo partito.
Il suo proverbiale anti-ottimismo – che alla fine aveva e ha avuto la meglio – non era mai un motivo di ripiegamento ma semmai una molla per spingersi avanti, per trovare una soluzione, magari cambiando strada, insieme.

Ciao Mario, grazie del tuo esempio. Cercheremo di farlo vivere nel tuo ricordo.


OL

Pietro Tresso, a ottant'anni dalla sua morte

 


Sono ormai passati ottant’anni da quando “Blasco”, Pietro Tresso (guarda il nostro video documentario nuovo di zecca), uno dei padri del movimento operaio italiano ed internazionale, perse tragicamente la vita. La sua testa cadde come tanti altri rivoluzionari, per opera della burocrazia stalinista. Colpevoli solamente di opporsi alle menzogne fabbricate da Mosca.

La vita di Tresso fu piena di privazioni, sofferenze e miseria.

Nato nel 1893, quarto figlio di un ex mezzadro di Venezia divenuto manovale, e a nove anni dovette lasciare la scuola, imparando sin dalla tenera età il mestiere di sarto, alcune fonti riportano anche possibile operaio presso la fabbrica Lanerossi di Vicenza.
Entrò presto nella gioventù socialista, e fu insieme a Bordiga e Gramsci uno dei fondatori del PCI e membro dell’Ufficio Politico.

Grande organizzatore di sindacati contro il fascismo (famosa la lotta a Gravina di Puglia), responsabile del centro interno clandestino del PCI in Italia, rappresentò il Partito Comunista d'Italia a Mosca nel novembre del '22 durante il IV congresso dell'Internazionale Comunista. La sua figura e il suo prestigio nella sinistra italiana gli costarono virulenti attacchi da parte dei fascisti, che cercarono anche di ucciderlo.

La sua personalità dotata di grandi capacità politiche e organizzative fu descritta in maniera esemplare da Ignazio Silone: «Sotto molti aspetti, Pietro Tresso era in effetti un comunista esemplare. Caso poco frequente nel movimento operaio italiano, era un dirigente di origine proletaria che conservava intatte le qualità di freschezza e attività della sua classe sociale. Benché autodidatta, la sua viva intelligenza s'applicava allo studio degli argomenti più differenti, anche quelli che erano estranei alle necessità del lavoro pratico che il partito gli affidava. Nella conversazione con gli amici, gli piaceva manifestare il suo gusto per la conoscenza disinteressata. Era coraggioso di natura e, nelle circostanze più drammatiche del lavoro clandestino, non perdeva mai il suo buonumore».

Nel 1930 venne espulso dal PCI, insieme a due compagni dell'Ufficio Politico, Alfonso Leonetti e Paolo Ravazzoli, a causa dell'adesione al trotskismo. Diede battaglia con tutta la sua tenacia alla linea avventuristica dello stalinismo, aderì all'Opposizione di Sinistra Internazionale fondata da Trotsky; da quel momento in poi lavorò fino alla morte al suo fianco, nelle file del movimento trotskista internazionale.

Nei primi anni '30, Blasco si impegnerà a costruire e a dirigere, in Italia e in Francia, la lotta sistematica alla burocrazia sovietica. Egli era infatti oramai convinto del processo degenerativo in atto nell'URSS, processo che portò il partito di Stalin e dei suoi lacchè alla divisione della classe operaia, bollando i socialisti come "socialfascisti", contribuendo così alla vittoria del nazismo in Germania.

Nel 1943, tra il 26-27 ottobre, la sua vita giunge all'epilogo: verrà giustiziato a sangue freddo, in Francia, da sicari di Stalin, "gli affossatori della rivoluzione". Su chi abbia dato l’ordine ancora non vi è chiarezza. Sicuramente l’ordine è partito dall’alto. Sappiamo che l’esecutore materiale fu il partigiano Jean Sosso (Giovanni Sosso), un uomo dell’apparato stalinista, nato in Italia ma migrato in Francia. Dopo la guerra fu inviato in Polonia come giornalista dell’Humanité (giornale francese stalinista).

Il PC italiano si è chiuso in un silenzio compromissorio. Togliatti e Cerreti, se non direttamente colpevoli, erano sicuramente a conoscenza della morte di Tresso. Leonetti, ex storico dirigente del partito, come ha riportato il giornalista Berardi dell’Unita (giornale del PCI), nel dicembre del 1984, prima della morte, ricevette all’ospedale romano Gemelli la visita di due uomini che gli chiesero di far sparire un testo di Togliatti che, se pubblicato, avrebbe scatenato l’inferno. Leonetti li allontanò definendoli dei «corvi».

Tresso è uno di quei dirigenti come Wolf, Nin, Klement, L. Sedov, che hanno dedicato la vita per il socialismo. Militanti che si sono opposti alle tragedie della burocrazia staliniana, militanti che hanno lottato per l'internazionalismo comunista, pagando con la vita le loro idee. Tresso merita un adeguato riconoscimento, è un’icona non solo politica ma anche morale di grande valore.

Per troppo tempo le vittime dello stalinismo sono state rimosse e cadute nel dimenticatoio. Lo stalinismo non era un giudice di un tribunale operaio, ma un becchino poggiato sul sangue dei rivoluzionari.



Bibliografia essenziale su Pietro Tresso

Assassinii nel maquis. La tragica morte di Pietro Tresso - Pierre Broué - Prospettiva Edizioni

Vita di Blasco di Giorgio Sermasi, Paolo Casciola, Odeonlibri

Alfonso Leonetti. Storia di un'amicizia. Testi inediti, ricordi e corrispondenza con Roberto Massari (1973-1984)

Il vento contro - Stefano Tassinari - Marco Tropea Editore

Jean Burles
https://maitron.fr/spip.php?article18197

Jean Sosso
https://maitron.fr/spip.php?article131464

Eugenio Gemmo