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No all'ipotesi di CCNL dei metalmeccanici


Questo contratto dà pochi spiccioli ai lavoratori, moltissimo ai padroni e peggiora quello precedente che la FIOM si era rifiutata di firmare. Rimane tutta la parte normativa: orario di lavoro (flessibilità e straordinari obbligatori), gestione ferie e Par, restrizione della malattia e vengono introdotte norme peggiorative per la legge 104. Inoltre, i premi di risultato diventeranno totalmente variabili (in base alla produttività).

PERCHÉ VOTARE NO

Il 26 novembre su “Il Sole 24 ore” si leggeva: “Contratto metalmeccanici: 92 euro fra welfare e busta paga”. Landini, Bentivoglio e Palombella confermavano questo aumento fantasma.

È UNA CIFRA INVENTATA 

A tutti i lavoratori verrà riconosciuta l’inflazione con gli aumenti nel contratto nazionale. Verrà calcolata dopo che a maggio sarà stato reso noto dall’ ISTAT il valore dell’ IPCA ( indice dei prezzi a livello europeo).

Si stima per il 2016 un’inflazione dello 0,5% (pari a 9 euro) che si prevede arriverà all’ 1% nel 2017 e all’1,2% nel 2018. Se fossero confermati, si arriverà a un aumento di circa 51 Euro (fra tre anni) in busta paga. L’unica cosa sicura sono 9 Euro (al 5° livello), il resto non si sa. Si tratterebbe sempre di un adeguamento all’inflazione, per cui il potere di acquisto del salario rimarrà uguale.

A decorrere dal 1 gennaio 2017, gli aumenti dei minimi tabellari riconosciuti dopo questa data, assorbiranno gli aumenti individuali, nonché gli aumenti fissi collettivi, concordati in sede aziendale, salvo che siano stati concessi con clausola di non assorbibilità. In pratica, se per qualsiasi motivo la paga aumenta questo adeguamento all’inflazione non ci sarà.


IL GRANDE AFFARE DEI PADRONI? L’ASSISTENZA INTEGRATIVA 


Le aziende verseranno per conto di ogni lavoratore 156 Euro all’anno a mètaSalute, “Fondo sanitario metalmeccanici” istituito da FIM, UILM, FEDERMACCANICA e ASSISTAL, nel 2011.

Questi soldi, anziché in busta paga, andranno alle assicurazioni, che (incassati i profitti) daranno pochissimo in rapporto ai soldi ricevuti.

Prima per aderire a questo fondo bisognava fare domanda; con questo contratto l’adesione sarà automatica e se un lavoratore non vorrà, dovrà presentare disdetta scritta, ma in questo caso non prenderà un centesimo. mètaSalute opera tramite Uni-Salute (assicurazione sanitaria) che, a sua volta, fa parte del gruppo Unipol Assicurazioni.

Così i burocrati sindacali diventano complici e soci in affari dei VAMPIRI della sanità privata.

PAGAMENTI IN NATURA: UN RITORNO AL MEDIOEVO 


Dal 1° giugno 2017 le aziende attiveranno per tutti i lavoratori dei piani di “flexibel benefit”. Sono buoni spesa, pagamenti in natura, per un costo massimo di 100 euro. Nel 2018 e 2019 l’importo sarà elevato a 150 e 200 euro. Una cosa non è chiara: se c’è un massimo ci deve essere un minimo, quale è e chi lo decide? Nel contratto non è specificato.

Le aziende avranno due vantaggi. Primo, questi importi non saranno sottoposti al pagamento dei contributi (come se fossero pagamenti in nero). Secondo, una parte del salario anziché anticipata in busta paga sarà posticipata. Cioè, l’azienda pagherà questi “buoni” dopo che il lavoratore li avrà spesi.

VERSO LA DEMOLIZIONE DELLA 104

La legge 104 prevede il diritto a tre giorni di permesso al mese, a scelta del lavoratore e senza preavviso, per l’assistenza a un familiare invalido, malato o non autosufficiente.

Questo contratto prevede che, per avere i permessi, “il lavoratore presenti un piano di programmazione mensile degli stessi con un anticipo di 10 giorni rispetto al mese di fruizione, fatto salvi i casi di necessità e urgenza”. Chi stabilisce e con quali criteri i casi di urgenza e necessità? Nel contratto non è specificato.

È INACCETTABILE 

Dichiarano di proteggere la salute dei lavoratori e dei loro familiari (con l’obbligo di aderire alla sanità integrativa), ma attaccano il diritto alla cura dei malati.

A pagarne di più le conseguenze saranno le donne, che in genere sono quelle su cui pesa maggiormente il lavoro d’assistenza parentale.

Il NO a questo contratto deve diventare il NO a decenni di sacrifici che sono serviti solo a ingrassare i padroni e impoverire i lavoratori.

NON AUMENTA IL SALARIO 


DIMINUISCE I DIRITTI

APRE LA STRADA ALLA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITÀ

NO A UN ALTRO CONTRATTO TRUFFA!
Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione Romagna "D. Maltoni"

Governo Gentiloni: il renzismo senza Renzi


13 Dicembre 2016

Il “nuovo” governo Gentiloni è la continuità mascherata del renzismo. Una forma di renzismo senza Renzi. Un governo-ponte che nelle intenzioni di Renzi dovrebbe dargli il tempo di preparare la sospirata rivincita elettorale. Il più presto possibile, s'intende, nella speranza di travasare sul PD il 41% del Sì alla riforma costituzionale (bocciata).

Per coltivare il sogno della rivincita, Renzi aveva tre necessità complementari. La prima: fare un (breve) passo indietro nella scena politica, per onorare le promesse pubbliche in caso di sconfitta e provare a riabilitare la propria immagine ammaccata. La seconda: disporre di un potere di controllo sul nuovo governo ed in particolare sulle scelte delicate in fatto di nomine pubbliche (che sono parte del blocco di potere del renzismo). La terza: disporre di un governo sufficientemente debole, incapace di fargli ombra, incapace di travalicare i tempi brevi che Renzi gli ha assegnato.

Il governo Gentiloni risponde a queste necessità. Matteo Renzi conserva una propria presenza diretta nell'esecutivo grazie all'inserimento di Luca Lotti e di Maria Elena Boschi, la più stretta scuderia renziana. Affida la partita decisiva della prossima legge elettorale ad Anna Finocchiaro, la cui fedeltà è stata già sperimentata nel fiancheggiamento diretto di Boschi lungo lo scontro sulla riforma istituzionale. Preserva i propri ministri economici fondamentali (Padoan e Poletti), per preservare il patto di ferro con Confindustria e con le banche. Offre rappresentanza ministeriale a tutte le correnti della maggioranza filorenziana del PD, per assicurarsi il controllo del fronte interno al partito al piede di partenza del suo congresso. Cancella la sola ministra Giannini, ormai bruciata sull'altare della Buona Scuola, e zavorra più di ogni altra per l'immagine del renzismo. Respinge infine la candidatura ministeriale di Verdini, sia per evitare nuovi appesantimenti di immagine, sia soprattutto perché un governo più ballerino sui numeri al Senato avrà maggiori difficoltà a durare, e potrà essere più facilmente sfiduciato.

Questa operazione tuttavia ha due punti di debolezza.
La prima è l'immagine pubblica obiettivamente provocatoria di un governo che schiera in prima fila tutte le figure sconfitte dal No del 4 dicembre: la garanzia di controllo renziano sul governo viene pagata al caro prezzo di una sfrontata continuità ministeriale. Il renzismo senza Renzi oltre una certa soglia di impudicizia rischia di zavorrare ulteriormente proprio l'immagine di Renzi e le sue ambizioni di rivincita.

Il secondo fattore di complicazione riguarda il rapporto con una parte non irrilevante dei poteri forti. Poteri a suo tempo tutti schierati col renzismo nel momento della sua ascesa e delle sue promesse di stabilizzazione reazionaria, ma che oggi diffidano dello spirito avventuriero di un (aspirante) Bonaparte sconfitto che rischia di anteporre la propria sete di rivincita all'interesse generale di sistema. Lo sguardo critico della grande stampa borghese verso un governo paravento delle ambizioni del renzismo è sintomatico di questa preoccupazione. La stessa Presidenza della Repubblica ne è investita.

Resta il fatto che il governo Gentiloni continuerà le pratiche correnti del renzismo e del grande capitale contro i lavoratori italiani. La continuità della gestione del Jobs Act. La continuità della detassazione dei profitti già sigillata dall'ultima Legge di stabilità, a carico di spese e protezioni sociali. La continuità del soccorso pubblico al potere bancario, con l'annunciato salvataggio del Monte dei Paschi di Siena a carico dei lavoratori contribuenti. La continuità delle politiche di segregazione e di espulsione dei migranti, in sintonia con la campagna del populismo reazionario (Salvini e Di Battista).

La costruzione di un'opposizione sociale, unitaria e di massa, contro il renzismo e la sua versione mascherata, è l'unica via per dare una prospettiva progressiva alla vittoria del No del 4 dicembre.
Partito Comunista dei Lavoratori

Telecom: giù le mani dai contratti!

Testo del volantino distribuito in occasione dello sciopero del 13 dicembre

Mentre gli utili del gruppo Telecom nei primi 9 mesi del 2016 sono aumentati di 477 milioni di euro (profitti derivanti dallo sfruttamento della manodopera salariata), lorsignori del Consiglio di Amministrazione e dirigenti pensavano bene di incrementarli dando la disdetta del contratto aziendale. Disdetta che segue il continuo peggioramento delle condizioni di lavoro: aumento dei turni e modifica degli orari di lavoro, taglio del PDR (premio di risultato), contratti di solidarietà pagati con riduzioni di salario, esternalizzazioni di attività.
Questa iniziativa padronale si accompagna alla crisi occupazionale in molteplici aziende del settore delle telecomunicazioni (valga per tutte il call center di Almaviva); gare di appalto al massimo ribasso.
In risposta a questa situazione, appoggiati dal sindacalismo di base e autonomo, i lavoratori si sono autorganizzati dando vita a scioperi e a manifestazioni su tutto il territorio nazionale.
Con la scesa in campo dei sindacati di settore di CGIL-CISL-UIL si è realizzato per il momento il fronte unico sindacale per una risposta unitaria dei lavoratori. Lo sciopero del 13 dicembre è il frutto di questa unità, ma bisogna andare avanti fino al raggiungimento degli obiettivi:

- NO alla disdetta del contratto aziendale,

- NO alle esternalizzazioni di attività,

- NO all’unilateralità delle modifiche degli orari di lavoro,

- NO al demansionamento 


Ma anche NO alla controriforma voluta dal governo Renzi e Confindustria, battendosi per la non applicabilità nei contratti di lavoro dello Jobs act e dei controlli individuali a distanza, facendo perno per la difesa dell’occupazione alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Per avere dei risultati bisogna non solo resistere un minuto di più del padrone, istituendo una cassa economica di resistenza; occorre che i lavoratori più attivi e i sindacati di base si facciano carico di estendere l’autorganizzazione dei lavoratori all’interno del gruppo TIM, per poi allargarlo al settore delle telecomunicazioni e a tutti i settori in crisi e in lotta per i contratti. Così organizzati, costruire una piattaforma che unisca tutti i lavoratori, precari, disoccupati, capace di imporre una soluzione che cancelli tutte le leggi sulla precarietà, riduca l’orario di lavoro a parità di salario come risposta alla disoccupazione, e che sia in grado di dare una svolta economica e sociale a favore del mondo del lavoro.
Il PCL è a fianco dei lavoratori in lotta e si batte per la prospettiva anticapitalistica di uscita dalla crisi, per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici basato sulla loro organizzazione e la loro forza per costruire una nuova società, alternativa a questa, basata sulla voracità del capitale.
Partito Comunista dei Lavoratori
P.s.: volantinaggio al  concentramento di martedì 13 dicembre ore 10:00 piazza XX settembre Bologna