Post in evidenza

ELEZIONI REGIONALI DELL’EMILIA ROMAGNA: LE NOSTRE INDICAZIONI DI VOTO

  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

Cerca nel blog per parole chiave

Argentina. Aborto legal: es ley!

 


La vittoria delle donne argentine sull’interruzione volontaria di gravidanza

30 Dicembre 2020

Questa mattina (ora italiana), le donne della Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito hanno ottenuto una vittoria nell’ambito dei diritti riproduttivi che segna una svolta storica in Argentina e in America Latina, dove la maggioranza dei paesi ha leggi restrittive in merito di interruzione volontaria di gravidanza.
Dopo l’approvazione alla Camera dei Deputati l'11 dicembre 2020, anche in Senato è stata approvata la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, con 38 voti favorevoli, 29 contrari e 1 astenuto. 
Un successo contro il clero reazionario (che ha forti legami con il governo) e contro il Papa argentino Bergoglio, sempre prodigo di ringraziamenti e sostegno ai movimenti argentini antiabortisti. Una tappa fondamentale nel cammino di emancipazione delle donne nell’ambito della riappropriazione dei diritti riproduttivi, sempre ostacolata dalle forze conservatrici del paese.

La “marea verde” (dal pañuelo verde che contraddistingue il movimento) che da anni lotta con determinazione per la salute riproduttiva delle donne e per la loro autodeterminazione, ha presidiato il Congresso Nazionale: migliaia di donne, lavoratrici e studenti, hanno affermato con la loro presenza il carattere tutt’altro che istituzionale di questo traguardo, nonostante la proposta sia stata avanzata formalmente dal presidente Alberto Fernandez per capitalizzare una vittoria politica e di immagine, dopo il precedente tentativo fallito nel 2018 che ha causato una reazione ancora più radicale da parte del movimento argentino.
Il testo approvato è molto diverso da quello portato avanti dalla “marea verde”, ed è stato modificato per facilitarne l’approvazione.
Il limite più grande di queste modifiche consiste nell’obiezione di coscienza, primo ostacolo al diritto di aborto nei paesi dove è già legalizzato, che potrà essere esercitata non solo a livello individuale, ma anche a livello di struttura ospedaliera privata (che avrà però l’obbligo di reindirizzare verso una struttura dove è permesso).

La battaglia della Campaña Nacional por el Derecho al Aborto dovrà continuare per l’applicazione della legge contro tutti gli ostacoli posti dal clero, contro l'obiezione di coscienza, per rivendicare l’educazione sessuale, l’istruzione e la salute pubblica libere dall’influenza della Chiesa cattolica.  
All’interno di questa lunga lotta, un ruolo di primo piano è stato svolto, senza nessun dubbio, dai partiti della sinistra trotskista, che porteranno avanti con coerenza questi obiettivi che sono parte integrante dello sviluppo di una lotta internazionalista, classista e rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere

'A che serve Podemos?'

 


Persino la stampa borghese spagnola ormai se lo chiede

29 Dicembre 2020

Il governo Sanchez-Iglesias all'attacco delle pensioni

«Presto ogni paese dovrà fare i conti con i suoi debiti» scrive sul Sole 24 Ore il presidente dell'Associazione delle Banche Italiane Antonio Patuelli. Memori di questa necessità i governi capitalisti e i loro entourage sono ovunque al lavoro. Negli stessi giorni in cui si magnifica la vaccinazione anti-Covid, intralciata a ogni passo dai tagli pregressi alla sanità; negli stessi giorni in cui si celebra la svolta europea del Recovery Fund nel segno della fine dell'austerità e del nuovo regno dell'abbondanza, i circoli dominanti cercano di capire su chi scaricare in prospettiva il conto di tanta manna.


Certamente non pagheranno le spese militari, in rapida risalita a tutte le latitudini del mondo. Certamente non pagheranno le imprese e le banche, sorrette tanto più oggi dai soldi pubblici, e beneficiate dalla detassazione dei profitti.
Quali sono allora le voci del bilancio statale che per la loro consistenza possono farsi carico dei nuovi oneri? Sanità, istruzione, pensioni. Solo che sul servizio sanitario, già massacrato per decenni e investito dalla pandemia, nuovi tagli sono oggi problematici anche in rapporto all'opinione pubblica. Ci si limita a evitare gli investimenti necessari in fatto di strutture e personale sanitario, a beneficio delle cliniche private.
L'istruzione pubblica, anch'essa disossata, risparmia a manetta grazie a contratti precari, edifici fatiscenti, appalti sulle pulizie, bassi stipendi. Travolta anch'essa dalla pandemia, difficilmente può essere oggetto di nuove terapie d'urto.

Restano le pensioni. Le care vecchie pensioni, il bancomat privilegiato del lungo ciclo liberista.

Il governo italiano ha già annunciato la cancellazione dell'elemosina di quota 100, di cui pochissimi lavoratori e ancor meno lavoratrici hanno potuto beneficiare. Si andrà in pensione a 64 anni con 38 di contributi, restando l'età pensionabile a 67 secondo l'immutata legge Fornero. Chi può andare prima dei 67 anni verrà penalizzato, grazie al ricalcolo contributivo. Quanto alle grandi aziende, potranno disfarsi del personale eccedente grazie a scivoli pensionistici appositamente concessi e in parte coperti dalla NASPI.

Il governo francese aveva ingaggiato un durissimo scontro sociale proprio sulla riforma delle pensioni, che poi il ciclone del Covid aveva costretto a sospendere. Ora il Comité de suivi des retraites ha sentenziato che i conti previdenziali sono fuori controllo e che dunque il progetto Macron va rilanciato costi quel che costi. L'operazione suggerita è la più semplice: alzare l'età pensionabile, che in Francia è ancora a 62 anni grazie alle ripetute mobilitazioni radicali della classe operaia. La MEDEF (Confindustria francese) caldeggia apertamente il suggerimento. “Tutti sanno che è la soluzione più efficace” dichiara Roux de Bézieux a Le Monde (23 dicembre). Il Presidente, non senza preoccupazioni di piazza, ha subito assicurato ai padroni il proprio impegno.

Il governo spagnolo di PSOE-Podemos non vuole essere da meno. La Spagna dopo l'Italia è la principale beneficiaria dei prestiti europei. La Commissione Europea ha raccomandato a Madrid una gestione rigorosa in prospettiva delle politiche di bilancio. Il governo Sanchez, ed in particolare la ministra dell'Economia Nadia Calviño, ha predisposto una riforma delle pensioni incentrata sull'allungamento da 25 a 35 anni della base di computo degli emolumenti. El Pais parla di una riduzione media delle pensioni future di oltre il 6%. Già il governo Zapatero, beatificato a suo tempo dalla sinistra italiana, aveva allungato da 15 a 25 anni il periodo di computo delle pensioni durante la crisi del 2011. Ora il nuovo governo “progressista” fa altrettanto. Le burocrazie sindacali, coinvolte nella concertazione con padronato e governo (il "patto di Toledo") fanno deboli rimostranze con l'obiettivo di sedere al tavolo della negoziazione, senza alcuna forma di mobilitazione. E Podemos?

Podemos è parte integrante del governo Sanchez, con un vicepresidente, Pablo Iglesias, e due ministri, di cui uno al lavoro (Yolanda Díaz). Pablo Iglesias è in grande difficoltà. Il suo ingresso al governo un anno fa era stato accompagnato da solenni promesse di cambiamento. Ma in Spagna non è cambiato nulla per i salariati e la popolazione povera. Restano le leggi di estrema precarizzazione del lavoro ereditate dalla destra. I contratti di lavoro sono congelati. Il sistema sanitario assomiglia come una goccia d'acqua a quello italiano, stessi tagli, stessa tragedia. Gli immigrati continuano a subire un trattamento inumano, a partire dai respingimenti, grazie all'accordo tra Madrid e Rabat. In compenso aumentano le spese militari, e l'esportazione spagnola di armi negli ultimi sei mesi ha registrato il record assoluto di 22 miliardi e 545 milioni (El Pais, 23 dicembre). Le misure annunciate di riduzione delle pensioni future è solamente il sigillo dell'immutata continuità borghese. Podemos borbotta, promette, minaccia, ma solo per coprire la propria corresponsabilità. Lo facevano Bertinotti e Ferrero con Prodi, lo fa Pablo Iglesias con Sanchez.

La compromissione è talmente sfacciata che il principale quotidiano borghese si chiede «¿Para qué sirve Podemos?» (El Pais, 21 dicembre). «...Ad oggi le tematiche poste di Iglesias o sono insignificanti (come l'aumento di 8 euro del salario minimo) o di ordine ideologico ma estranee alla vita quotidiana (la Monarchia) o di semplice velocizzazione del ritmo legislativo...».
Tanto rumore per nulla, insomma. L'unico risultato concreto della collaborazione ministeriale è l'effetto cloroformio sulla mobilitazione sociale. Finché dura.

Ma Rifondazione e Potere al Popolo non hanno nulla da dire sulle responsabilità del loro alleato spagnolo?

Partito Comunista dei Lavoratori

Vaccinazione di massa e società borghese

 


La natura capitalistica della società ostacola ogni passo della vaccinazione

La vaccinazione di massa contro il Covid-19 è e sarà un'esperienza storica dell'umanità. Ma proprio per questo un'esperienza che mette a nudo una volta di più l'irrazionalità dell'attuale sistema sociale. Un sistema funzionale a sospingere nel mondo la corsa agli armamenti per spartire zone di influenza e fette di mercato si rivela inadatto a vaccinare l'umanità contro la pandemia.

A ogni passo la vaccinazione di massa inciampa sulla legge del profitto.


IL LUNA PARK DELLE BORSE ALL'INSEGUIMENTO DEL VACCINO

I colossi mondiali della farmaceutica, spalleggiati dai rispettivi stati, gareggiano senza risparmio di colpi per la spartizione del gigantesco mercato. Gli stati imperialisti, a partire dagli USA, si assicurano i primi stock della distribuzione attraverso contratti privilegiati con le proprie multinazionali. Il grosso dell'umanità resta in coda, a partire dall'Africa e dall'America Latina. Ma questi contratti sono in larga parte coperti da segreto negli stessi paesi imperialisti. Vengono rese pubbliche in linea di massima le quantità di dosi pattuite, non la parte economica e giuridica dei contratti stipulati. I lavoratori pagano i costi dei contratti, attraverso la tassazione – che ovunque grava principalmente sui salariati – ma sono privati del diritto di conoscere ciò che pagano, persino quando si tratta di vaccini. Del resto, il segreto industriale e commerciale protegge a monte i grandi monopoli dagli sguardi indiscreti di salariati e consumatori. Vale per gli articoli sanitari ciò che vale per ogni altra merce.

Pubblica è stata invece la concorrenza spietata tra gli azionisti di Pzifer, Moderna, Astrozeneca, in uno spregiudicato gioco a scavalco usando dichiarazioni di stampa sui gradi di copertura vaccinale offerti. La copertura giudicata sufficiente dagli scienziati era il 70%? Pzifer ha annunciato di riuscire a coprire il 90%, Moderna ha rilanciato due giorni dopo annunciando la copertura del 94%, Pzifer a questo punto ventiquattrore dopo proclamava il 95%. Nessuno di questi annunci al rialzo, sia chiaro, aveva allora validazione scientifica. Ma che importa? L'importante è che avessero successo in Borsa, con l'impennata straordinaria del valore delle azioni, con banche, imprese, compagnie di assicurazione, speculatori e faccendieri di ogni risma, che hanno comprato azioni di Pzifer e Moderna in attesa dei dividendi promessi. Eppure non stiamo parlando di profumi o di moda, stiamo parlando del vaccino contro la più grande pandemia dell'ultimo secolo, che ha già fatto quasi due milioni di morti al mondo. La verità è che tutto è merce nella società capitalista. I vaccini sono quotati nel luna park di Borsa al pari della Coca Cola o di un tappeto, perché il valore di scambio di una merce è indifferente al suo valore d'uso.


SISTEMI SANITARI DISOSSATI OVUNQUE INADATTI A GESTIRE LA VACCINAZIONE

Ma proprio l'uso del vaccino presenta ora grandi difficoltà.

Di fronte alla grande recessione mondiale, i governi borghesi hanno ricoperto d'oro i monopoli della farmaceutica ed esercitato pressioni sulle autorità sanitarie di validazione perché si operasse con la massima celerità. E il risultato è stato ottenuto. Ma non hanno fatto i conti coi sistemi sanitari che ora debbono gestire la vaccinazione, gli stessi sistemi sanitari disossati negli ultimi decenni per ingrassare sanità privata e banche.

Non parliamo dei paesi dipendenti e dei continenti arretrati. Parliamo dei principali paesi capitalisti. E non solo degli USA, ma di tutta l'Europa capitalista. La Germania, indicata dai liberali progressisti come modello ed esempio di welfare, conosce in questi giorni il cedimento clamoroso del proprio sistema sanitario: una sanità semiprivatizzata, con grave carenza di personale, decine di migliaia di infermieri con contratti interinali, un numero di letti pesantemente inferiore alla bisogna. Francia e Spagna seguono a ruota. Il problema ovunque è lo stesso: un sistema sanitario che si è mostrato incapace di contrastare adeguatamente la pandemia può ora affrontare lo sforzo gigantesco della vaccinazione, per di più nel momento in cui il Covid rialza la testa con nuove minacciose mutazioni del virus?

Il caso italiano è da manuale. Il 27 dicembre come in tutta Europa inizia la vaccinazione. La prima fascia di popolazione interessata, tra personale sanitario e degenti delle case di riposo, ammonta a un milione e ottocentomila unità. Sono ore frenetiche in cui le diverse ASL regionali rincorrono affannosamente il tempo perduto per predisporre le condizioni necessarie per partire. Il primo problema sono i frigo per conservare le dosi. Sul mercato si trovano freezer con prezzi da 7000 a 16000 euro, ovviamente lievitati verso l'alto, come in ogni logica speculativa; i loro tempi di consegna variano da pochi giorni a diversi mesi. Significa che il 27 dicembre diversi hub per la distribuzione si troveranno scoperti. Lo stesso dicasi per i congelatori.


LA MANCANZA DI PERSONALE SANITARIO IN ITALIA

Ma il problema più grande resta, guarda caso, la carenza di personale. E non si tratta solo dei somministratori del vaccino, di cui già ci siamo occupati, scelti da agenzie interinali ripagate con trenta milioni di euro, e ad oggi in larga parte mancanti, ma del personale sanitario nel suo insieme.

Il problema è semplice. Le disposizioni mediche prevedono che le persone cui viene inoculato il vaccino debbano tornare a casa dopo l'iniezione. Ma al primo giro sono proprio gli operatori sanitari che sono interessati dalla vaccinazione. Se vanno a casa dopo la puntura i medici e gli infermieri degli ospedali, chi provvede al loro rimpiazzo? Pare che nessuno avesse pensato a questo piccolo dettaglio. La penuria cronica delle piante organiche ospedaliere, che già costringono il personale a lavorare per più di dodici ore al giorno, diventa esplosiva proprio nel momento della vaccinazione di massa.

La vaccinazione prevede una rigida scansione temporale di lavoro, con passaggi tra loro incastrati, come in una catena di montaggio. Per ogni turno di cinque ore servono un medico, un infermiere, un amministrativo, un operatore socio-sanitario. Questa è l'unità di vaccinazione, per una media di 15 iniezioni all'ora, da replicare dopo 21 giorni. Serve una stanza per l'attesa e la registrazione, una stanza per l'inoculazione, una stanza dove il paziente riposa per una mezz'ora, per verificare la possibile manifestazione di reazioni allergiche. Tutto questo in aggiunta al normale servizio sanitario e contestualmente al suo esercizio ordinario. Dove si trovano persone, strutture, mezzi necessari?

Non è tutto. La vaccinazione non è solo inoculazione. Implica la costruzione di un'anagrafe vaccinale, con la storia sanitaria di ciascuno. Richiede soprattutto il controllo medico successivo dei vaccinati. Com'è possibile affrontare questa esigenza elementare quando la medicina territoriale è semplicemente scomparsa, perché smantellata per decenni? Certo, c'è la medicina privata, le strutture convenzionate con soldi pubblici, quelle cui molti hanno dovuto ricorrere pagando fior di quattrini per ottenere il sospirato tampone che la sanità pubblica collassata non è in grado di offrire. Ma anche il decorso medico dei vaccinati dev'essere affidato alle mani del profitto? E gli operai che non possono permettersi i costi del trattamento privato?

A ciò si sovrappone in Italia (ma in Germania coi Länder non è molto diverso) la moltiplicazione delle autorità di riferimento. Ventuno Regioni sono ventuno sistemi sanitari diversi con diverse disposizioni e livelli di trattamento. La vaccinazione è disposta dal ministero, ma saranno le Regioni a gestirla (convocazioni dei residenti, firma dei consensi, iniezioni e verifiche...).
«Sono giorni di confusione, stiamo impazzendo con la pianificazione. Non sappiamo neanche come porteremo le dosi nelle RSA, dobbiamo ancora completare la lista delle adesioni e il calendario delle vaccinazioni» esclama il dottor manager di una delle ASL laziali intervistato da Repubblica (20 dicembre), ad appena sei giorni dal V-Day. Ma la pianificazione è impossibile nell'anarchia del capitalismo, capace di tagliare trentasette miliardi alla sanità ma incapace di organizzare la vaccinazione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il paziente inglese

 


L'ipocrisia britannica sul nuovo virus e la secretazione dei contratti con le multinazionali della farmaceutica

Il governo della Gran Bretagna pare abbia avvisato con oltre un mese di ritardo della mutazione del virus in corso nel proprio paese. Solo l'esplosione del contagio nel sud-est e nella Grande Londra ha costretto Boris Johnson a rivelare pubblicamente ciò che ormai era impossibile nascondere. E pensare che il governo britannico era stato a suo tempo il più solerte nel denunciare i lunghi ritardi della Cina nel rivelare al mondo il contagio di Wuhan. Meno di un anno dopo, e nel pieno della seconda ondata della pandemia, il governo britannico ha seguito lo stesso copione.

La verità è che ovunque i governi capitalisti antepongono gli interessi della propria borghesia all'interesse dell'umanità. Boris Johnson è al riguardo un caso da manuale. Un anno fa si appellava alla cosiddetta immunità di gregge contro ogni misura di contenimento sanitario, per salvaguardare la tenuta economica della Gran Bretagna e avvantaggiarsi sulla concorrenza continentale. Poi l'esperienza personale del contagio sino alla concreta paura di crepare lo ha condotto a più miti consigli, facendone persino un alfiere di quel rigore sanitario precedentemente deriso. Ma tutto si è complicato con la seconda ondata e il suo maledetto incrocio col negoziato conclusivo della Brexit. Il premier si è trovato a mal partito, tra le opposte pressioni di un padronato britannico che spinge per un'uscita concordata con la UE e quelle di una consistente fronda ultranazionalista dei conservatori pronta ad accusarlo di pubblico tradimento in caso di accordo. In più, la sconfitta di Trump negli USA ha privato il governo inglese di quell'asse privilegiato con l'amministrazione americana presentato al proprio elettorato come fattore di rilancio internazionale della Gran Bretagna. In tali condizioni, a fronte di una durissima recessione economica interna, il virus mutato dev'essere apparso agli occhi del premier come il classico chiodo che chiude la bara. Da qui il tentativo di secretare il più possibile l'evento per guadagnare tempo nella speranza di un suo ridimensionamento. Ma l'esplosione del contagio ha fatto saltare l'operazione di censura, rivelandone anzi l'estrema gravità e le serie conseguenze a livello continentale.
Il blocco generale e immediato dei trasporti aerei, ferroviari e su gomma con la Gran Bretagna cerca ora di chiudere la stalla. Ma ormai molti buoi sono a spasso in Europa.

Tuttavia, un altro fatto misura nelle stesse ore un'ipocrisia della Unione Europea non minore di quella britannica. Un fatto silenziato dalla grande stampa italiana, ma non da quella francese. Si tratta della divulgazione per errore dei prezzi dei vaccini pattuiti tra l'Unione Europea e i grandi monopoli della farmaceutica. La segretaria al bilancio del governo belga ha infatti confidato imprudentemente a propri interlocutori (troppo) ciarlieri la natura dei contratti stipulati dalla Commissione. Bene, si è saputo per questa via che i grandi monopoli della farmaceutica, da autentici strozzini, avevano chiesto ai governi europei committenti cifre da favola, sino a 25 o 30 euro per dose di vaccino, peraltro dopo aver già incassato fior di miliardi di finanziamenti pubblici dal governo USA. La Commissione Europea, centralizzando il negoziato, ha ottenuto prezzi assai più modici e vantaggiosi, ma in cambio ha fornito ai colossi farmaceutici la solenne assicurazione della segretezza dei contratti stipulati, in modo da consentire loro di poter trattare e ottenere prezzi più elevati da altri stati e attori internazionali. Ora la segretezza è caduta, per ragioni fortuite. E allora un grande funzionario anonimo di Bruxelles lamenta il «rischio che ora le case farmaceutiche possano diventare ancora più esigenti verso i poteri pubblici europei» (Le Monde, 22 dicembre).
In sintesi: gli stati dell'Unione avevano garantito ai banditi della farmaceutica il diritto di poter rapinare altri paesi e continenti in cambio del proprio silenzio sui prezzi pattuiti in Europa. Ora si preoccupano che i banditi possano reagire avanzando nuove pretese. Come dire che lo scandalo non sta nel fatto che si volevano nascondere all'opinione pubblica europea e mondiale i contratti siglati, ma nel fatto che il segreto... è stato rivelato.

Questa è la classe che domina il mondo, questi i governi che la proteggono. L'esproprio senza indennizzo dell'industria farmaceutica, sotto il controllo dei lavoratori e dei consumatori, è una misura di igiene morale e di valenza mondiale. Solo governi dei lavoratori e delle lavoratrici possono realizzare una misura simile.

Partito Comunista dei Lavoratori

Bekaert: una lunga storia di licenziamenti in tempo di pandemia

 


La storia dei lavoratori della Bekaert di Figline è emblematica dei rapporti negli ultimi anni tra capitale e lavoro. La fabbrica di cavi speciali per pneumatici, ex gruppo Pirelli, produce un prodotto di eccellenza ma per l’attuale proprietà ha costi di produzione svantaggiosi rispetto ad altri siti esteri, e pertanto da qualche anno ne è stata annunciata la dismissione e delocalizzazione.


La multinazionale belga, in piena pandemia e sotto blocco dei licenziamenti, ha deciso di anticipare le sue mosse inviando la lettera di licenziamento ai 176 lavoratori rimasti in cassa integrazione speciale fino a fine febbraio.

È una lunga storia di false promesse, di strumentalizzazioni politiche e di letterali prese in giro anche da parte sindacale. Nel 2014 la fabbrica viene rilevata dalla Pirelli, e nel 2018 la multinazionale belga cala le sue carte. Scortati dalle forze dell’ordine, i dirigenti della società annunciano il licenziamento in tronco di 318 lavoratori, che per nulla scoraggiati occupano lo stabilimento. Una mossa giusta quella degli operai, ma vista come fumo negli occhi e pericolosa dai politici locali e nazionali, e persino dalle dirigenze sindacali. Siamo nel centro della patria di Renzi e della sua piena ascesa politica. È un periodo in cui i danni provocati ai lavoratori dalla sua mostruosa creazione legislativa conosciuta come Jobs Act cominciano a farsi sentire in una zona in piena osmosi tra la fabbrica e il territorio.

La ex Pirelli di Figline Valdarno ha nella sua storia un legame strettissimo con una comunità che non esita a scendere in piazza in difesa dei lavoratori con una mobilitazione di 5000 presenze. Tra queste si distinguono anche dirigenti sindacali, deputati ed esponenti politici, in particolare del PD di allora ma anche del centrodestra.
Tutti, a parole, si esprimono con le solite frasi retoriche e false: «Siamo impegnati unitariamente nella ricerca di una soluzione e useremo ogni risorsa per scongiurare il destino della chiusura e della deindustrializzazione».

Cade il governo Renzi e la patata bollente passa nelle mani del governo di centrodestra, che vede come ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio che inizia la lenta ma inesorabile opera di smobilitazione della lotta. Promette la cassa integrazione straordinaria per una parte dei lavoratori. Nel contempo i politici locali appoggiano la costituzione di una cooperativa, la Steel Coop Valdarno, composta dai lavoratori della Bekaert insieme a quelli di Legacoop Toscana, allo scopo di acquisire lo stabilimento e riprendere la produzione dei cavi speciali per pneumatici. Viene persino scritto un libro, La Fabbrica che non volle chiudere da redattori di Controradio Firenze e dirigenti locali della FIOM. Non solo, ma il libro contiene persino la prefazione del segretario generale della CGIL Maurizio Landini.

La logica del capitale, tuttavia, è un'altra. Anzi, con il passare del tempo questa si è rafforzata, e anche l’attenzione è calata. Le priorità sono altre, e dei 176 operai della Bekaert, della loro fabbrica dell’indotto e di un altro territorio colpito dalla crisi importa ormai a pochi. Un destino quasi comune ai lavoratori in cassa integrazione dell’acciaieria Jindal Italy ex Lucchini di Piombino e del suo territorio.

Il lento logoramento di una potenziale lotta insegna che solo attraverso l’autogestione diretta e senza compromessi nella mobilitazione, attraverso il fronte unico con altri lavoratori di altre lotte e di altri territori per una difesa comune del posto di lavoro, con la nazionalizzazione delle aziende in crisi sotto il controllo operaio, tramite lo smascheramento delle svendite di dirigenze sindacali più interessate alla cogestione degli interessi confindustriali che a quelli legittimi dei lavoratori, è possibile respingere l’attacco disumano del capitalismo. A maggior ragione nel momento storico più drammatico e difficile provocato dalla pandemia.

Il Partito Comunista dei Lavoratori è solidale con la lotta dei lavoratori della Bekaert, con l’intento di costruire un fronte unico di lotta in loro difesa e di quella di tutti i lavoratori che in questo momento stanno contrastando l’attacco sempre più pesante del capitalismo.

Ruggero Rognoni

I lavoratori delle campagne in sciopero

 


Pubblichiamo il comunicato di Campagne in Lotta diffuso dai lavoratori e dalle lavoratrici delle campagne dopo la protesta antirazzista di questa mattina a San Ferdinando (RC), a seguito dell'uccisione di Gora Gassama. A loro va il sostegno incondizionato del PCL

Oggi i lavoratori della tendopoli di San Ferdinando e di tutta la piana di Gioia Tauro sono scesi in strada, scioperando, a seguito dell'omicidio, due giorni fa, del loro fratello senegalese Gora Gassama. In una manifestazione completamente spontanea e autorganizzata, oltre cinquecento persone hanno bloccato prima la statale su cui Gora è stato ucciso e, poi, l'autostrada, mostrando una determinazione che dà grande forza alle loro rivendicazioni.

Se, infatti, l'assassinio di Gora è stato la scintilla che ha accesa questa fiamma, il razzismo, che oggi si esprime anche nelle parole di chi minimizza e di chi fa diventare Gora maliano, anziché senegalese, perché tanto uno stato africano vale l'altro, lo sfruttamento e la repressione che l'hanno causato, e che ogni giorno i lavoratori vivono sulla loro pelle sono gli stessi da decenni. E, proprio come la morte di Gora, non sono accidenti del destino. Sono fatti che portano in causa precise responsabilità e che possono, devono, essere eliminati. I lavoratori, per questo, chiedono cose ben precise, per mettere fine a questa tragedia.

Documenti che erano stati promessi, con una sanatoria, a seguito della grande mobilitazione del 6 dicembre 2019, ma che vi sono poi rivelati l'ennesimo miraggio.

Case che in Calabria, come in molte altre parti d'Italia, sono pronte da anni, ma che vengono tenute vuote, con mille implausibili scuse, pur di non destinarle a coloro a cui spettano.

Rispetto dei contratti di lavoro e dei loro diritti, violati sempre ma ancor di più ai tempi del covid, come dimostrano le condizioni ancor più aberranti imposte in questi mesi nelle tendopoli e nei campi di lavoro.

A fine giornata i lavoratori hanno ottenuto la promessa di un incontro, che dovrebbe svolgersi domani, con i sindaci della piana e con un rappresentante della prefettura. Una prima vittoria, certo, ma i lavoratori sono ben consci che tali promesse si sono spesso rivelate un modo per sviare la loro giusta rabbia, e sono pronti a tornare in strada se così dovesse essere anche questa volta.

I lavoratori, infatti, sono determinati a far valere le loro rivendicazioni, come dimostra la protesta di oggi assieme anche alle molte attuate in questi mesi di pandemia, e sono anche ben coscienti che la via più efficace per arrivare a una vittoria è la lotta, perché solo la lotta paga.

Campagne in Lotta

Un nuovo libro di Trotsky

 Potrai seguire la presentazione del libro in diretta su Facebook: www.facebook.com/PCLavoratori


Sviluppo e crisi del capitalismo e movimento operaio

20 Dicembre 2020

Siamo felici di comunicare la pubblicazione di un libro nato dalla collaborazione tra le Edizioni Pantarei e il Partito Comunista dei Lavoratori. Il volume, che contiene alcuni importantissimi testi di Lev Trotsky, non pubblicati da molto tempo nel nostro paese, si intitola Sviluppo e crisi del capitalismo e movimento operaio. L'introduzione ai testi è firmata da Marco Ferrando e Franco Grisolia.

Questi testi sono: la relazione sulla crisi economica mondiale e sui nuovi compiti dell’Internazionale Comunista, presentata alla sessione del 23 giugno 1921 del III° congresso dell’Internazionale; l’intervento, poi pubblicato con il titolo A proposito del fronte unico, tenuto alla riunione allargata del Comitato Esecutivo dell’Internazionale il 26 febbraio 1922; e infine il testo Il terzo periodo di errori dell’Internazionale Comunista, scritto intorno al capodanno del 1930 e pubblicato in tre puntate su La Verité, settimanale dell’Opposizione di Sinistra in Francia tra il 24 gennaio e il 7 febbraio successivi.

Si tratta di tre testi di grandissima importanza teorica e politica. In particolare, il primo e il terzo affrontano il problema del rapporto tra crisi economica, sviluppo capitalistico e ascesa rivoluzionaria. Si tratta di due testi che potremmo definire “anticatastrofisti”, elaborati in polemica (implicita il primo, esplicita il secondo) l’uno contro la sinistra dell’Internazionale Comunista del 1921 (Zinoviev, Bela Kun, Radek, ecc.), l’altro contro la politica avventuristica dell’IC stalinizzata del cosiddetto “terzo periodo” (1928-'34).

Questi testi hanno tanto più valore e attualità perché la maggioranza delle forze che si richiamano al marxismo rivoluzionario tendono purtroppo a riprendere, senza rendersene conto, le analisi dei "catastrofisti" contro cui Trotsky e l’Opposizione di Sinistra polemizzarono aspramente.

Un volume da leggere e studiare approfonditamente, quindi. Che dimostra non solamente le acute e per molti versi insuperate capacità analitiche marxiste di Trotsky nel tornante decisivo che va dall'ultima fase delle lotte rivoluzionarie mondiali inaugurate dalla rivoluzione russa fino alla stabilizzazione dell'involuzione burocratica dell'URSS e dell'Internazionale Comunista, ma che proprio per questo è capace di offrire ancora oggi un validissimo supporto al metodo e alle modalità di approccio dei rivoluzionari. Il metodo che fu quello della scuola di Lenin e dell'Internazionale Comunista.

Riportiamo di seguito la nota dell'editore al volume.


Nell’ottantesimo anniversario del suo assassinio da parte dello stalinismo, ricordiamo e commemoriamo Lev Trotsky pubblicando alcuni suoi scritti, da decenni difficilmente reperibili se non introvabili in Italia, ma che costituiscono un contributo del grande rivoluzionario all’analisi marxista del ciclo economico e politico mondiale, oggi sconvolto dall’ascesa asiatica.
Si tratta di tornare su questi testi alla luce dei grandi rivolgimenti che segnano il nuovo secolo dello sviluppo imperialistico nei rapporti tra le classi e tra gli Stati nel mondo. Dunque, rileggere le pagine di Trotsky del Novecento, quel suo «ventesimo secolo nato tra tempeste e procelle», e portarle in un nuovo tempo dalle possibilità altrettanto illimitate ed estensione veramente mondiale. Un nuovo secolo di guerre, certo, ma anche di grandiose rivoluzioni che vi porranno fine, aprendo la via a una società superiore
.

Partito Comunista dei Lavoratori

(Un altro) regalo di Natale ai capitalisti

 


In piena pandemia il governo detassa i fondi esteri

19 Dicembre 2020

Il paradiso fiscale per i capitalisti è l'inferno fiscale per i proletari

La stessa legge di stabilità che rifiuta le necessarie assunzioni di personale sanitario provvede a detassare ulteriormente i capitalisti. Dopo la continua discesa della tassa sui profitti (IRES) nel corso degli ultimi tredici anni (dal 34,5 al 20%); dopo la cancellazione della prima tranche dell'IRAP nel luglio del 2020 (per quasi 4 miliardi) a scapito della sanità pubblica e a vantaggio di tutte le aziende, anche di quelle che hanno maggiorato fatturato e utili (farmaceutica, informatica, alimentare, militare...), la nuova legge di stabilità dedica un pensiero di riguardo alle società estere che investono in Italia. I dividendi e le plusvalenze dei fondi esteri europei vengono infatti esentati da ogni tassazione. Il quotidiano di Confindustria Il Sole 24 Ore (18 novembre) dà grande risalto al provvedimento, perché «eliminerà la discriminazione nei confronti dei fondi italiani, che beneficiano di un'esenzione totale da qualsiasi forma di trattenuta alla fonte».
Insomma un trionfo del principio di uguaglianza tra capitalisti, al di là dei confini nazionali. Del resto a cosa serve l'Unione Europea se non a garantire innanzitutto la libera circolazione di capitali esentasse?

Questo provvedimento misura una volta di più l'ipocrisia delle lamentele della stampa borghese circa l'esistenza di paradisi fiscali in Europa. Evidentemente non si tratta di privilegi da cancellare, ma da estendere. Del resto: estendendoli a tutti non cessano forse di essere privilegi? L'intera Unione Europea si fa paradiso fiscale dei ricchi nel nome della libertà e dell'uguaglianza. L'Italia semplicemente partecipa a questa gara per attrarre gli investimenti esteri in Borsa, evitando che si dirigano altrove. Questa concorrenza al ribasso tra tutte le aree continentali, e al loro interno, in fatto di tasse sui capitali, ha un preciso risvolto economico e sociale. Aumenta sempre più il debito pubblico degli stati capitalisti, e parallelamente mina le fondamenta stesse di ciò che resta del welfare: sanità, istruzione, pensioni, servizi sociali. Tutti massacrati negli ultimi quarant'anni per finanziare la detassazione dei profitti e gli interessi sul debito alle banche. Oggi la corsa continua con nuove detassazioni e nuovo debito da scaricare sui salariati, quelli che pagano l'80% delle tasse. Il paradiso fiscale per gli uni è l'inferno fiscale per gli altri.
I riformatori che sognano un capitalismo umano e giusto cercano un cerchio che si faccia quadrato. Solo una rivoluzione può cambiare le cose.

Partito Comunista dei Lavoratori

Solidarietà alla lotta delle lavoratrici della Yoox

 


Pubblichiamo l’intervento del Comitato 23 settembre alla manifestazione bolognese di sostegno alla lotta delle lavoratrici in appalto della Yoox, un’azienda italiana di abbigliamento e beni di lusso attiva nelle vendite on line.

Passando tra appalti e subappalti alle lavoratrici viene imposto uno stravolgimento dell’orario di lavoro e dei turni, in un quadro di aumento dei ritmi produttivi, associati alla riduzione delle pause e a frequenti atti intimidatori e ritorsivi nei confronti delle lavoratrici che hanno preso parte agli scioperi. Un episodio esemplare di attacco padronale, aggravato e favorito dalla fase di crisi sanitaria, che per le aziende attive nell’e-commerce è fonte di maggiore produttività e profitti.
Il dato più significativo ed emblematico della vertenza, dal punto di vista delle condizioni generali delle donne oppresse, è l’elevato numero di lavoratrici costrette a dare le dimissioni (senza potere accedere neanche al sussidio di disoccupazione), costrette a rinunciare al loro lavoro per svolgere il lavoro domestico e di cura.
Secondo l'Ispettorato del Lavoro nel 2019 sono state 37.611 le dimissioni volontarie delle lavoratrici madri a fronte delle 13.947 dei lavoratori padri. Sono state dunque il 73% del totale. Cifre che dimostrano oggettivamente quanto il carico del lavoro di cura sia sulle spalle delle donne.
La lotta delle lavoratrici della Yoox indica la necessità di organizzarci contro ogni attacco dell’arroganza padronale per difendere i nostri bisogni immediati, e di rivendicare con ancora più forza e radicalità in questa fase di crisi sanitaria ed economica, insieme alla difesa del lavoro e del salario, congedi parentali per entrambi i genitori retribuiti al 100% e la necessità di servizi sociali universali e gratuiti, nella prospettiva della socializzazione del lavoro di cura per la nostra autodeterminazione e autonomia
.

Commissione donne e altre oppressioni di genere del PCL




SOLIDARIETÀ MILITANTE ALLA LOTTA DELLE LAVORATRICI DELLA YOOX DA PARTE DEL COMITATO 23 SETTEMBRE

Sabato scorso si è tenuto a Bologna il presidio delle lavoratrici della Yoox, una grande azienda della logistica (circa 600 dipendenti) che ha sferrato di recente un ennesimo attacco alle lavoratrici,  aumentando il numero dei turni in una giornata a orari impossibili; e impedendo di fatto alle lavoratrici con figli di andare a lavorare. Già una cinquantina di esse si è autolicenziata, molte invece stanno resistendo con l'appoggio del SICobas, mentre la CGIL ha già sottoscritto tutto questo e sta contribuendo a intimidire le lavoratrici in sciopero agitando lo spettro della chiusura dell'azienda!
Abbiamo partecipato al presidio molto affollato, che ha imposto la sua presenza in piazza nonostante la folla di addetti allo shopping o al ritrovo al bar (rigorosamente senza mascherina). Le donne della Yoox hanno espresso in prima persona la loro rabbia e la loro volontà di lotta, è intervenuta anche, efficacemente, una bambina, descrivendo cosa era diventata la sua vita quotidiana a causa dei nuovi orari della madre. C'è stato poi un breve corteo fin sotto alla prefettura.  Siamo intervenute come comitato per portare la nostra solidarietà militante a questa lotta. Ecco il nostro intervento:

Solidarietà alla lotta delle lavoratrici della Yoox!

Portiamo la solidarietà militante del Comitato 23 settembre, il comitato che si è costituito di recente in occasione del processo per il femminicidio di Atika, qui a Bologna.
Il nostro comitato si propone di denunciare e combattere tutte le forme di oppressione e di sfruttamento delle donne nel mondo del lavoro e nella vita sociale.
Oggi siamo qui perché riteniamo della più grande importanza la lotta che state conducendo. È una lotta che viene da lontano: sono molti anni infatti che avete iniziato a lottare, contro la bolgia degli appalti e contro le molestie sessuali, e nel corso degli anni, per difendere i vostri diritti. Al tempo stesso questa lotta prefigura il futuro: un futuro durissimo per tutti, ma soprattutto per le donne lavoratrici e disoccupate, che quando finirà il blocco dei licenziamenti perderanno in massa il loro posto di lavoro e si vedranno precipitare dalla povertà alla miseria.
Già oggi è dura per molte la necessità quotidiana di far fronte al lavoro fuori casa e agli impegni di lavoro in famiglia, con sempre meno aiuti dallo stato e poca condivisione in casa. Adesso, con il cambio dei turni, ci ha pensato la Yoox a rendere impossibile questo difficile equilibrio. La colpa non è del Covid: è il padrone che coglie ogni occasione per ristrutturare il lavoro nell'azienda e ingigantire i profitti, la colpa è dello stato che appoggia e aiuta le imprese in ogni modo lasciando ai lavoratori solo le briciole, e tra poco neanche quelle, la colpa è del sistema sociale in cui viviamo, che prospera sullo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori.
Per quanto dura sia questa lotta, essa è necessaria, perché non riguarda solo voi, né solo noi che siamo qui a sostenervi.
Solo a Bologna, alla fine dell'anno, saranno 1200 lavoratrici costrette a lasciare il posto di lavoro per accudire ai figli. Nel primo semestre 2020 in Italia ben 470.000 donne hanno perso il posto di lavoro; il lavoro è diventato un problema drammatico per le donne con figli, alle quali sono stati concessi 15 giorni di congedo parentale al 50% dello stipendio!
Questa lotta dice a tutte le donne e le lavoratrici che non vogliamo essere costrette a scegliere tra i figli e il lavoro, che vogliamo resistere contro il peggioramento delle nostre condizioni di lavoro come anni fa non abbiamo voluto accettare di subire in silenzio le molestie dei capi pur di conservare il posto di lavoro!
La forza di questa lotta sta nella vostra tenacia e nella possibilità di estendersi alle tante lavoratrici che sono nelle vostre condizioni.
Il nostro comitato, 23 settembre, vuole impegnarsi a contribuire all'allargamento di questa lotta e a collegarla con tutte le lotte delle donne in atto sui vari fronti di oppressione.
La stessa pressione che avete ricevuto per tornare a casa, la pressione che vorrebbe togliere alle donne l'autodeterminazione, è quella che ci penalizza quando siamo madri: in Italia, l'essere madri è la prima fonte di discriminazione sul posto di lavoro. Gli stessi che ci penalizzano quando siamo madri sono quelli che ci impediscono in ogni modo di accedere alla interruzione di gravidanza assistita, che ci costringono al ricovero ospedaliero, in tempi di Covid, quando vogliamo usare la pillola RU486, gli stessi che consentono l'ignobile propaganda che si è vista nei manifesti affissi nelle nostre città.
L'attacco alle donne, ai loro diritti, alla loro condizione di lavoro, alla loro dignità proviene da più parti. Dobbiamo rispondere a tutti questi attacchi! Non abbiamo alternative, se non la lotta. Viva la lotta delle donne, viva la lotta delle lavoratrici della Yoox!

Comitato 23 settembre

Per difendere la salute e la vita

 


18 e 19 dicembre: iniziative territoriali in tutta Italia del patto d'azione anticapitalista

Il 18 e 19 dicembre il patto d'azione anticapitalista terrà iniziative in tutta Italia, prevalentemente davanti alle strutture ospedaliere, attraverso presidi, manifestazioni, volantinaggi, per difendere la salute e la vita delle proletarie e dei proletari, per far pagare ai padroni i costi della crisi.

Il PCL, che è parte del patto d'azione, partecipa e invita a partecipare alle iniziative previste.

La seconda ondata della pandemia ha messo a nudo la crudeltà classista della società borghese e dei governi che l'amministrano. Dopo le promesse solenni nella primavera scorsa del “nulla sarà come prima”, tutto è rimasto come prima. È saltato il sistema di tracciamento, mancano ovunque medici e infermieri, la medicina territoriale è scomparsa, gli ospedali restano sottoposti a una pressione travolgente, a partire dai pronto soccorso. Il risultato è il numero di morti per Covid più alto d'Europa, cui vanno aggiunti i morti per Covid non registrati come tali, e i morti per altre patologie (cardiache o tumorali) che non hanno potuto essere curate per via del crollo delle strutture sanitarie.
Perché tutto questo? Perché per decenni i governi borghesi di tutti i colori hanno tagliato 37 miliardi alla sanità pubblica per ingrassare la sanità privata, che vola in Borsa, e per pagare il debito pubblico alle banche, italiane in primis. Le stesse banche che proprio oggi riprendono a distribuire lauti dividendi ai propri azionisti.

Parallelamente, se i capitalisti attendono la manna europea e annunciano una valanga di licenziamenti, milioni di lavoratori e lavoratrici continuano a lavorare e produrre in condizioni di supersfruttamento, senza rinnovo di contratto, senza condizioni minime di sicurezza. Mentre i portavoce più cinici dei capitalisti, come nel caso di Confindustria Marche, arrivano a dichiarare pubblicamente che la produzione di profitto viene prima del diritto alla vita. Che non è affatto una frase dal sen fuggita, ma esattamente ciò che pensano i padroni. Sono gli stessi che nel marzo scorso si opposero alla zona rossa in Val Seriana, con la conseguenza del più alto tasso di contagio e di morti a livello mondiale.

Difendere la salute significa liberare l'umanità dalla dittatura di questa classe.


- Assumere 100.000 medici e infermieri nel servizio sanitario pubblico

- Riaprire i duecento ospedali soppressi e ricostruire la medicina territoriale

- Raddoppiare l'investimento nella sanità pubblica, finanziandolo con una patrimoniale straordinaria di almeno il 10% sul 10% più ricco

- Nazionalizzare la sanità privata e l'industria farmaceutica, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici

- Screening e tamponi gratuiti per i salariati nelle fabbriche e nelle aziende

- Per il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici sulle condizioni di sicurezza in ogni luogo di lavoro



Per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. Il solo che possa realizzare l’insieme di queste misure di svolta.

Partito Comunista dei Lavoratori

18 e 19 dicembre ancora in piazza!

 


Per difendere la salute e la vita delle proletarie e dei proletari! Per far pagare ai padroni i costi della crisi!

Per milioni di lavoratori, precari e disoccupati la seconda ondata pandemica è stata peggiore della prima: l'Italia è al primo posto in Europa e tra i primissimi nel mondo sia per numero di morti che per rapporto tra contagiati e deceduti. Mentre il governo Conte, l’opposizione e gli enti locali fingono di litigare tra loro sul MES ma già inciuciano su come spartirsi – destra, centro e “sinistra” – i proventi del Recovery Plan, due sole cose sono certe: 1) la sanità è posta all'ultimissimo posto rispetto alla fiumana di miliardi per le imprese 4.0 e 'ecologiche'; 2) si fa di tutto per occultare la catastrofe prodotta dal collasso del sistema sanitario frutto di decenni di tagli e di aziendalizzazioni, e il fallimento completo delle misure di prevenzione, orientate più a salvare i profitti che a fronteggiare gli effetti del CoViD-19.
Altro che “andrà tutto bene”!

Il programma “anticrisi” dei padroni va delineandosi in maniera sempre più chiara: dopo il “regalone” della CIG elargita ai 4 venti e senza alcuna verifica sull'effettivo stato di crisi aziendale e il “regalino” dei ristori alla piccola e media borghesia, milioni di lavoratori si sono trovati con salari dimezzati, e circa 800 mila precari sono finiti per strada.

Intanto, nelle fabbriche e nei magazzini si continua a lavorare a ritmi infernali, a contagiarsi e a morire, il più delle volte senza il benché minimo strumento di tutela della salute e della sicurezza, per non parlare del personale sanitario stremato da mesi di turni massacranti in cambio di salari da fame
.

Le parole del capo della Confindustria maceratese Guzzini “anche se qualcuno morirà, pazienza”, riassumono con freddo cinismo la linea di condotta dell'intero fronte padronale: i loro profitti valgono più delle vite di milioni di proletari e proletarie.

A fronte della catastrofe attuale e della valanga ancor più rovinosa che si preannuncia in primavera, con la fine della moratoria sui licenziamenti coincidente con una terza ondata oramai quasi scontata, occorre qui ed ora rilanciare l'autorganizzazione e la lotta degli sfruttati.

La difesa economica e sanitaria dalla pandemia e dalle altre patologie pandemiche (tumori, morti sul lavoro e patologie cardiocircolatorie oscurate dal Covid) non verrà mai dalle aule istituzionali né tanto meno dai teatrini elettorali, ma passa necessariamente dalla ripresa del protagonismo di classe e da un programma di rivendicazioni centrato sugli interessi autonomi dei proletari e che passi per la costruzione di un vero sciopero generale e di una grande mobilitazione nazionale nelle giornate del 29-30 gennaio:


- Contro la mercificazione della salute da parte dei lavoratori, per sé e per tutta la popolazione, con l'obbligatorietà dello screening e dei tamponi gratuiti a tutti i lavoratori e i disoccupati e il varo di misure stringenti per la prevenzione dei contagi sui luoghi di lavoro e nei territori;

- Lavoro stabile e sicuro o salario garantito per disoccupati, precari e cassintegrati;

- Patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione i cui proventi vanno destinati ai salari e alla spesa sociale;

- Riduzione drastica e generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario: lavorare meno, lavorare tutti; per il lavoro socialmente necessario;

- Diritto al lavoro per tutte le donne, contro la precarizzazione e il lavoro a distanza; per il potenziamento dei servizi di welfare, contro la conciliazione tra lavoro domestico ed extra-domestico; per il diritto di aborto assistito e l’autodeterminazione delle donne; contro il sessismo e la violenza sociale e domestica, cresciuti in questa crisi;

- Libertà di sciopero e abrogazione dei decreti-sicurezza: contro ogni criminalizzazione delle lotte sociali e sindacali;

- Permesso di soggiorno europeo a tempo indeterminato per tutti gli immigrati e le immigrate; completa equiparazione salariale, di accesso ai servizi sociali e di diritti; abolizione delle attuali leggi italiane ed europee sull'immigrazione e chiusura immediata dei CPR; immediata applicazione della sentenza della Corte di giustizia europea che impone all'INPS di pagare gli assegni familiari anche per i congiunti residenti all'estero.

- Drastico taglio alle spese militari (un F35 costa quanto 7113 ventilatori polmonari) e alle grandi opere inutili e dannose (quali TAV, TAP, MUOS);

- Contro le politiche di devastazione ambientale e il saccheggio indiscriminato della natura e dell'ecosistema in nome dei profitti e della speculazione;

- Piano straordinario di edilizia scolastica e di assunzione di personale docente e non docente per garantire la salute nelle scuole e, appena possibile, la didattica in presenza. Abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, programmi di formazione pagati a salario pieno. Critica della cultura, dell'arte e della scienza al servizio del profitto;

- Blocco immediato degli affitti, dei mutui sulla prima casa e di tutte le utenze (luce, acqua, gas, internet) per i disoccupati e i cassintegrati; blocco a tempo indeterminato degli sgomberi per tutte le occupazioni a scopo abitativo.

- Revoca di qualsiasi progetto di “Autonomia differenziata”, che penalizza i proletari e i lavoratori del Sud;

- Amnistia e misure alternative per garantire la salute di tutti i proletari e le proletarie detenuti.

Patto d'azione anticapitalista - per il fronte unico di classe

APPUNTAMENTO: presidio contro l'Autonomia regionale differenziata venerdì 18 dicembre

 


Il Partito Comunista dei Lavoratori, sezione di Bologna, partecipa al presidio organizzato dal Comitato dell'Emilia Romagna contro l'Autonomia differenziata che si terrà venerdì 18 dicembre a partire dalle ore 16 davanti alla sede della Regione Emilia Romagna



Partito Comunista dei Lavoratori - Sez. di Bologna

Risposta al SICobas sull'assemblea del 29 novembre

 


Care compagne e cari compagni,


siamo tra coloro che all'assemblea dei lavoratori e lavoratrici combattivi/e del 29 novembre hanno votato per la proposta di Luca Scacchi di mantenere una data aperta per la realizzazione dello sciopero generale (crediamo che sarebbe più logico chiamarlo sciopero nazionale intercategoriale, ma questo è secondario), indicando in ogni caso “i primi mesi del 2021”, cioè entro marzo, come confini della nostra proposta.

Nel commento che fanno i/le compagni/e della direzione del SICobas a quanto avvenuto vi è una polemica, del tutto legittima se realistica, contro chi vorrebbe limitare ad libitum l’indicazione di una data; si parla di chi vorrebbe «aspettare Godot».
Non sappiamo se questa critica si rivolga a noi, o anche a noi. Ad ogni modo, se così fosse noi, la riterremmo sbagliata e ingiusta. La nostra proposta non era funzionale ad attendere nessuno. Né sigle relativamente importanti del sindacalismo di base (come USB e CUB) e neppure la maggioranza dell'area di opposizione CGIL, da un paio d’anni scivolata su posizioni che giudichiamo almeno parzialmente moderate. Questo senza minimizzare l’importanza di sviluppare una battaglia nelle organizzazioni sindacali di base che hanno rifiutato di impegnarsi insieme con noi, e nell'opposizione CGIL, cui appartiene la grande maggioranza di noi.

Ma esattamente per questo, e soprattutto per allargare alla base nei luoghi di lavoro tra delegati/e, attivisti/e e lavoratori/trici l’impatto del nostro appello unitario, noi abbiamo pensato che fosse necessario un tempo maggiore. Ci sono ad esempio compagni di fabbriche importanti aderenti all’opposizione CGIL che sono vicini alle nostre posizioni (alcuni dei quali hanno partecipato all’assemblea del 27 settembre, ma non a quella del 29 novembre) che non è certo che si impegnino per la riuscita dello sciopero. E anche compagni di altri sindacati di base, sempre vicini alle nostre posizioni, che devono prendere una decisione che li può portare in rotta di collisione con la propria organizzazione (l’USB a quanto ci è stato detto ha già minacciato di sanzionare quei pochi di loro che hanno partecipato alla nostra assemblea di settembre). Si tratta di discuterci, di lasciar loro il tempo in questa situazione difficile di verificare l’atteggiamento della loro base di fabbrica o azienda, e tutto questo nella difficile situazione generale in cui siamo. Infatti se non vivessimo la situazione attuale, determinata dall’epidemia di Covid, la data del 29 gennaio avrebbe potuto essere corretta, ma a nostro giudizio non in questa situazione, o almeno non senza una verifica (diciamo ad inizio anno) della praticabilità.

Nel testo stesso della direzione del SICobas si dice che è necessario il massimo impegno perché le date del 29 e 30 gennaio non siano l’ennesimo rituale autocelebrativo di una sigla, ma coinvolgano centinaia di migliaia di lavoratori. Ma questo obbiettivo non è dato. Bisogna lavorarci, ed è difficile. Per questo (e speriamo che non sia così) il rischio che lo sciopero del 29 possa apparire alla stessa avanguardia larga della classe – dati i rapporti di forza ad oggi esistenti tra noi sul piano sindacale, che non misconosciamo – come uno sciopero del SICobas, appoggiato dallo "SLAI Cobas per il sindacato di classe", dalla sinistra dell'opposizione CGIL, speriamo dal SGB più pochi altri. Niente di drammatico in ciò, ma sarebbe una sconfitta, certo parziale e temporanea, del progetto comune che ci siamo dati il 27 settembre. Solo cercare di evitare questo rischio è quello che ci ha motivato nella nostra proposta. In questo senso ci è parso di essere i più fedeli allo spirito di nascita della nostra iniziativa con l’assemblea del 27 settembre.

A ciò avremmo voluto accompagnare anche altre proposte di obiettivi programmatici per la nostra piattaforma comune che riteniamo importanti, come quella della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle industrie che delocalizzano, ristrutturano, licenziano. Cosa che effettivamente uno di noi ha sollevato, ma che è stato impossibile discutere seriamente in un quadro di dibattito centrato sulla questione della data dello sciopero, che ha appunto visto prevalere nel voto la proposta del 29 gennaio.

Per questo, vista la decisione maggioritaria dell'assemblea, noi vogliamo qui sottolineare con forza, se ci fosse qualche dubbio, che noi prendiamo atto di tale decisione, la accettiamo e faremo il massimo possibile per il successo dello sciopero del 29 gennaio, di cui oggi ci sentiamo tra i promotori e organizzatori.

Perché, per concludere, vogliamo sottolineare una cosa. Noi siamo pienamente d’accordo con i compagni e le compagne della direzione del SICobas nel segnalare l’importanza che si sia votato, senza trucchi o esasperazioni, sulle due posizioni in presenza e che sia «una metodologia e pratica di non poco conto, di cui tutte le componenti e sensibilità presenti all’assemblea dovrebbero fare tesoro se davvero si coltiva l’ambizione di aprire una pagina nuova nella storia del sindacalismo di classe nel nostro paese».
Sono infatti molti anni (per alcuni di noi decenni) che combattiamo contro le pratiche paraburocratiche e imbroglione dei rappresentanti dei vari partiti, sindacati, gruppi e gruppetti, che in camera caritatis litigano e urlano, per poi o rompere facendo fallire i movimenti oppure trovare compromessi spuri, normalmente destinati al fallimento, e poi li presentano come “volontà unanime” di tutto il movimento, condannando all’inferno chi osa contestarli in nome delle proprie legittime posizioni particolari. (Naturalmente queste considerazioni non escludono la costruzione di fronti unici, in particolare politici o politico-sindacali, e il rispetto e il riconoscimento di tutte le forze presenti; ma è ovvio che si tratta di altra cosa).

In questo senso il decidere nel modo in cui lo abbiamo fatto, nonostante alcune criticità emerse rispetto alla gestione dell’assemblea, è stato per l'Italia (perché ad esempio in Francia o in Gran Bretagna, per non parlare della Argentina per il peso maggiore della tradizione marxista rivoluzionaria, si è quasi sempre votato nelle assemblee dei vari movimenti) un salto, e si è data una lezione non solo per chi era presente, ma anche per gli assenti.
È questa tradizione consiliare, vorremmo dire sovietica, ciò che noi vogliamo (speriamo insieme a tutti voi) prospettare a tutte e tutti nel movimento operaio e negli altri movimenti degli oppressi e delle oppresse.

Certo la tradizione consiliare-sovietica è una tradizione di delegati dalla base. Che questo si possa fare anche in un movimento di massa ce lo ha dimostrato nei prima anni Duemila il grande movimento dei piqueteros argentini, che riunivano ogni tre-sei mesi assemblee nazionali dei lavoratori occupati e disoccupati con tremila-quattromila delegati eletti in assemblee di base in ragione di uno ogni quaranta partecipanti (quindi circa centocinquantamila in totale) e in proporzione delle diverse posizioni presenti, e poi si confrontavano e votavano su tutto in assemblea nazionale.

Ma in attesa di poter realizzare qualcosa di analogo anche qui in Italia – ciò che è il nostro obbiettivo – è bene partire da ciò che si può, cioè un'assemblea nazionale senza trucchi e cammellaggio.

Ricordando, per terminare realmente con un grande esempio (proprio in quest'anno in cui ricorre l’ottantesimo anniversario del vile assassinio del principale organizzatore e dirigente, al fianco di Lenin, della rivoluzione russa dei soviet, del principale dei quali appunto il personaggio storico di cui stiamo parlando, cioè Leone Trotsky, era presidente), che senza democrazia operaia e libero confronto e scontro politico nei soviet, la rivoluzione del 1917 non avrebbe mai potuto trionfare.

Noi siamo oggi microbi rispetto a quegli eventi, e le nostre divergenze sono all’interno di militanti classisti e rivoluzionari, e non tra rivoluzionari e riformisti. Ma, come appunto ricordava proprio Trotsky, per essere fedeli e coerenti nelle grandi cose bisogna cominciare ad esserlo nelle piccole.

È quindi con questo spirito, lo ripetiamo ancora una volta, che noi accettiamo la decisione maggioritaria dell’assemblea del 29 novembre e ci impegniamo, nei limiti delle nostre forze, per il successo più ampio possibile dello sciopero del 29 gennaio.



Donatella Ascoli, FILCAMS CGIL Venezia

Ercole Mastrocinque, NIDIL CGIL Torino

Francesco Doro, FILCTEM CGIL Venezia

Franco Grisolia, SPI CGIL Milano

Antonio Tralongo, CUB Palermo

Luca Tremaliti, FILT CGIL Roma

Luigi Sorge, FIOM CGIL Cassino

Maurizio Aprea, USB Lavoro privato

Mauro Goldoni, FILLEA CGIL Ancona

Renato Pomari, FIOM CGIL Monza

Riccardo Spadano, SGB Roma

Roberto Bonasegale, FIOM CGIL Ticino-Olona

Sergio Castiglione, FLC CGIL Caltanissetta

Vincenzo Cimmino, FLC CGIL Milano

Le donne sotto attacco. Il manifesto della vergogna

 


Pubblichiamo il comunicato del Comitato 23 settembre di denuncia dei vergognosi manifesti di Pro Vita & Famiglia, associazione ultrafondamentalista e reazionaria, con legami con Forza Nuova (1), contro la pillola abortiva RU486. I manifesti sono un palese e violento attacco repressivo e prevaricatore ai diritti riproduttivi delle donne e alla loro autodeterminazione, davanti al quale non rimarremo mai in silenzio, impegnandoci a costruire il più ampio fronte contro ogni forma di oppressione e violenza che le donne subiscono.


Commissione donne e altre oppressioni di genere del PCL



Le donne del Comitato 23 settembre esprimono viva condanna e grande sdegno contro la campagna reazionaria contro le donne, messa in atto dall'associazione ultrafascista "Pro Vita & Famiglia". L'ignobile manifesto in formato gigante affisso in molte città d'Italia fa parte di una campagna terroristica di menzogne e ricatti per boicottare l'uso della pillola abortiva RU486 e si inserisce nel quadro di un'aggressione che, a livello europeo, partiti e associazioni di destra, al governo e all'opposizione, stanno sferrando contro le donne.

Già da molto prima della crisi pandemica il diritto all'aborto era minato dalla presenza massiccia degli obiettori di coscienza. L'obiezione è una piaga che trova sempre più spazio all'interno dei pubblici ospedali, rendendo sempre più complicato l'accesso all'aborto libero e medicalmente assistito, mentre nessun atto è volto al ripristino dei consultori autogestiti, conquistati in passato con dure lotte. Questi presidi per le donne, per l'infanzia e l'adolescenza vanno incrementati e diffusi, con l'obiettivo di favorirne l'uso come centri di informazione e prevenzione soprattutto per le più giovani, le più esposte, assieme alle donne immigrate, al rischio di maternità non volute.
La crisi della pandemia ha aggravato la situazione delle donne che vogliono accedere all'aborto: pensiamo al caso dell'Umbria che, in piena emergenza Covid-19, ha abolito la possibilità di praticare l'aborto farmacologico tramite la pillola RU486 in day hospital, ripristinando l'obbligo di ricovero per tre giorni. Proprio quando ci viene consigliato di non accedere alle strutture ospedaliere laddove fosse possibile un'alternativa, la giunta di destra della regione ha reintrodotto il ricovero ospedaliero senza alcuna motivazione terapeutica e senza che il governo facesse nulla. In seguito al caso dell'Umbria, si è "scoperto" che in 15 regioni italiane l'aborto farmacologico è sempre applicato contestualmente al ricovero ospedaliero!

Nella cancellazione dei diritti delle donne pensiamo risieda il vero veleno di questo governo contro le donne, un governo che non ha mosso un dito contro i fascisti di queste pseudoassociazioni e che, consentendo il proliferare dei "cimiteri dei feti", ha mostrato il suo volto più lugubre.

La vergognosa ipocrisia delle istituzioni non si limita a questi casi-limite.
Nel mentre si mette in atto una campagna per convincere le donne a restare a casa e dedicarsi alla cura dei figli e della famiglia, si penalizzano fortemente le lavoratrici madri, costringendo le donne a rinunciare al lavoro, e quindi al salario che è alla base della loro autonomia e molto spesso della sopravvivenza delle loro famiglie.
Questo attacco risulta ancora più crudele se si osservano i dati delle donne che devono lasciare il lavoro quando nasce un figlio. Se nel 2019 le lavoratrici erano costrette ad abbandonare la propria occupazione in sette casi su dieci, nel 2020 la situazione è peggiorata drammaticamente, sia dal punto di vista lavorativo con un aumento significativo della disoccupazione femminile e del carico di lavoro nella sfera domestica, sia nella possibilità di esercitare il diritto di scelta in merito alla maternità. Ricordiamo in particolare che sono le donne della classe lavoratrice a pagare per prime queste scelte, indotte dal padronato pubblico e privato e mai osteggiate apertamente dal governo.
Il nostro comitato si batte a fianco delle lavoratrici, delle lotte di tutte le donne oppresse, che hanno dato in questi anni battaglia in Italia e nel mondo per la difesa dei diritti conquistati, che in questa crisi vengono sistematicamente aggrediti e compromessi. È la lotta l'unica difesa contro il peggioramento della loro condizione materiale e contro l'attacco continuo alla loro dignità.





(1) https://www.provitaefamiglia.it/blog/perche-non-serve-una-legge-sullomotransfobia-dubbi-dati-e-risposte-lo-studio-di-alessandro-fiore-video

https://www.corriere.it/extra-per-voi/2017/07/06/tutti-legami-pro-vita-forza-nuova-0f71ba70-6254-11e7-84bc-daac3beed6c1.shtml

Comitato 23 settembre