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ELEZIONI REGIONALI DELL’EMILIA ROMAGNA: LE NOSTRE INDICAZIONI DI VOTO

  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

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È uscito il nuovo numero di Unità di Classe


In questo numero:

23 Febbraio 2017
Editoriale - Marco Ferrando 

L'ideologia del nuovo presidente americano - Piero Nobili 

Perché è indispensabile una prospettiva marxista rivoluzionaria in Turchia - Ruggero Rognoni 

L'APE e lo smantellamento del sistema previdenziale pubblico - Antonino Marceca 

Un congresso difficile. Un confronto politico chiaro. 

Risoluzione conclusiva del congresso nazionale del PCL 

Poste Italiane: un colosso in via di privatizzazione 

Donne in piazza contro la violenza patriarcale - Chiara Mazzanti 

La protesta di massa delle donne in Polonia - Chiara Pannullo 

Da Fassino ad Appendino: sempre dalla parte padronale - a cura del PCL Torino

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Tsipras e il governo Syriza secondo Paolo Ferrero

La solidarietà di Ferrero a Tsipras è la dimostrazione della comune natura traditrice dei riformisti

18 Febbraio 2017
«Tsipras non ha mai tradito», ha dichiarato testualmente Paolo Ferrero in una recente intervista al Manifesto. È la confermata fedeltà del gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista a quella Sinistra Europea che ha assunto Tsipras come propria bandiera.

Eppure la drammatica esperienza del governo Tsipras mostra una realtà capovolta. A due anni dalla sua formazione, a un anno e mezzo dalla sua capitolazione alla troika, il governo Syriza-Anel sta macinando giorno dopo giorno le peggiori politiche di rapina del capitale finanziario sulla pelle dei lavoratori greci. Come era facile prevedere, il memorandum del luglio 2015 si è rivelato un cappio al collo sempre più stretto per la popolazione povera. L'impegno ad onorare il pagamento del debito pubblico, in perfetta continuità con i governi precedenti, fa del governo Tsipras l'agenzia dei creditori della Grecia. Questi creditori hanno nome e cognome: sono in misura preponderante gli Stati imperialisti europei. La Germania detiene 60 miliardi del debito greco, la Francia 46 miliardi, l'Italia 40 miliardi. I 326 miliardi versati complessivamente dalla troika alla Grecia servono a riempire casse e portafogli di questi famelici creditori attraverso il pagamento di debito e interessi. Nel frattempo il debito pubblico greco è ormai salito a 180% del prodotto lordo (e secondo il FMI è destinato a crescere sino al 275% entro il 2060!).

Sulla Grecia si scaricano anche le contraddizioni interne al campo dei creditori. Il FMI dichiara da tempo che il debito greco è ormai «insostenibile», e propone a UE e BCE una sua ristrutturazione (cancellazione dei crediti inesigibili in cambio di una stretta ulteriore del rigore). Ma gli Stati europei creditori (Germania, Francia, Italia) non hanno alcuna intenzione di tagliare le proprie quote di credito, a detrimento delle proprie casse e delle proprie banche, tanto più alla vigilia di elezioni politiche interne delicatissime. Al tempo stesso sono terrorizzati dall'idea che il FMI possa lasciarli soli sul fronte greco. Ecco allora la “soluzione”. Per mostrare al FMI che il debito pubblico greco è nonostante tutto rimborsabile, chiedono a Tsipras un supplemento di rapina: gli chiedono di portare l'avanzo primario (il rapporto tra entrate e uscite al netto degli interessi sul debito) al 3,7% del prodotto lordo, a fronte di una economia che nel 2016 è “cresciuta” dello 0,3%. Come? Attraverso altri quattro miliardi di tagli sociali (ancora sulle pensioni) e di tasse sui consumi (a scapito dei salari). Nei fatti chiedono un nuovo colpo alle masse popolari, già stremate da sacrifici senza fine.

E Tsipras? Tsipras obbedisce, negoziando come sempre il piano degli strozzini. Certo, lamenta che «si sta giocando col fuoco». Ma solo per ricordare ai creditori che è nel loro interesse che il debitore non tiri le cuoia. È un punto sensibile. Tsipras governa ormai con una maggioranza parlamentare di soli tre voti di scarto. I sondaggi danno Syriza al 17%, un consenso più che dimezzato dopo un anno e mezzo di gestione dell'austerità. La destra di Nuova Democrazia, attorno al suo nuovo leader Kyriakos Mitsotakis, è data al 34%, misura di una ripresa rapidissima grazie alla capitalizzazione reazionaria del malcontento sociale, mentre Alba Dorata spera di incassare l'onda del lepenismo francese. All'interno di Syriza e dei suoi gruppi parlamentari lo spettro di una disfatta annunciata apre manovre e conflitti.
Tsipras cerca disperatamente di sfuggire al disastro della propria esperienza politica. Supplica i creditori di rinnovargli fiducia dopo la dimostrazione eroica di fedeltà alla troika. Usa la svolta Trump per rammentare al governo tedesco che è suo interesse salvaguardare l'unità della UE contro le spinte nazionaliste e protezioniste. Si offre come cortigiano delle socialdemocrazie europee, per cercare di incassarne benemerenze e favori. Chiede insomma al capitale finanziario e ai suoi governi di lasciargli uno spazio residuo di sopravvivenza.
Di certo, conferma anche per questa via di aver rotto da tempo con quella base di massa, giovanile e proletaria, che due anni fa ne aveva sospinto l'ascesa e che il governo ha svenduto alla troika.

Il fatto che Paolo Ferrero - ex ministro di un imperialismo creditore - continui inossidabile a garantire per Tsipras, conferma solamente la solidarietà dei riformismi al di là delle frontiere, attorno al proprio unico motto comune: dalla parte borghesia, ieri, oggi, domani.
Partito Comunista dei Lavoratori

COMUNICATO STAMPA: NO ALLO SFRATTO DELL'XM24


Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la sua solidarietà ai militanti del Centro Sociale XM24, colpiti da un avviso di sfratto dalla Giunta Merola. 

L'ex mercato ortofrutticolo è un luogo che ormai da quasi 15 anni ospita il centro sociale,conosciuto in tutto il quartiere per le sue battaglie antifasciste e per aver dato ospitalità al mercato biologico di "Campi Aperti". 
Nelle intenzioni del Sindaco al posto dell'XM24 sorgerà ex novo una caserma dei Carabinieri.

Il mandato di Merola, iniziato con il varo del progetto Passante di mezzo, continua con i "pruriti" securitari, sull'onda della campagna elettorale leghista della scorsa primavera. In realtà,ciò che è in gioco non è tanto il mantenimento di un centro sociale, ma l'intenzione di cementificare tutto un quartiere,per riprendere le speculazioni edilizie, momentaneamente bloccate dal fallimento delle Cooperative impegnate nella costruzione di appartamenti vendibili a 4000 euro il mq. 
L'Emilia Romagna e Bologna in particolare risultano ai primi posti nella classifica nazionale per consumo di suolo e non conforta per nulla il fatto che si costruisca una caserma dei Carabinieri, peraltro non richiesta dai vertici dell'Arma: si vogliono infatti salvaguardare gli interessi di speculatori e banchieri, coprendoli con una vergognosa campagna sulla sicurezza, identificata con la lotta agli immigrati,"dediti al furto e allo spaccio di droga".  
Vogliono trasformare un quartiere popolare, certo con le sue contraddizioni, in un cantiere permanente, che alla fine sarà agibile solo a chi ha soldi, utilizzando la solita guerra tra poveri e togliendo del tutto quei pochi servizi sociali che ancora rimangono. 
Oltretutto, la ex Caserma Sani, nello stesso quartiere, che potrebbe essere utilizzata per ristrutturare alloggi da affittare a canone convenzionato, sta invece cadendo a pezzi.

A favorire questo progetto di speculazione affaristico-mafiosa (in tutta la Regione ormai spuntano come funghi Aziende eterodirette dalla 'ndrangheta, come dimostra il processo Aemilia, in corso a Reggio Emilia) è stato scelto un Sindaco del PD, a dimostrazione che, come diceva Agnelli, "è migliore la sinistra a portare avanti la politica della destra"(ammesso e non concesso che il PD sia un partito di sinistra). 
Purtroppo non possiamo che constatare che avevamo ragione a dare l'indicazione di astensione al ballottaggio delle recenti elezioni comunali: Merola è migliore della Borgonzoni ad applicare il programma di...Salvini.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
SEZ. DI BOLOGNA

Via il boia Erdogan! Per il diritto all'autodeterminazione del popolo curdo!


9 Febbraio 2017
testo del volantino che sarà distribuito sabato 11 febbraio a Milano, in occasione del corteo nazionale per il Kurdistan
Il popolo curdo è stato diviso un secolo fa dalle potenze coloniali ed è oppresso in almeno quattro paesi: Siria, Iraq, Iran, Turchia. Tutti questi paesi sono coinvolti, assieme ad Arabia Saudita, Emirati del Golfo e Israele, nella crisi irrisolta del Medio Oriente. La contesa mediorientale vede coinvolti per l’egemonia regionale da un lato Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Israele, dall’altro l’Iran, Hezbollah (Libano) e la Siria di Assad, sostenuti rispettivamente da un lato dall’imperialismo statunitense ed europeo e dall’altro dall’imperialismo russo (e in modo più defilato cinese) che intervengono sia direttamente che attraverso formazioni locali. La Siria, dopo la deviazione reazionaria e la sconfitta della rivoluzione araba, è attualmente crocevia di fronti di guerra intrecciati e sovrapposti, e teatro delle principali contraddizioni della situazione internazionale. 

Nessun regime locale e nessuna potenza imperialista ha reale interesse a sostenere la liberazione e ancora meno l’unificazione del popolo curdo. La guerra condotta dalle forze popolari curde, la partecipazione armata delle donne a difesa del Rojava, contro il fascismo islamista dell’ISIS e di altre organizzazioni salafite e reazionarie, rappresenta l’elemento progressivo e di estrema importanza nell’attuale contesto di guerre intrecciate e sovrapposte. 

Il movimento curdo nella regione è politicamente diviso: il PDK di Barzani (Iraq), conservatore, e il PKK, progressista, sono le principali organizzazioni nazionaliste nella regione, in competizione per la direzione del movimento nazionale curdo. Queste forze negoziano con Assad, con la Francia, con gli USA, con la Russia per riceverne il sostegno al proprio progetto nazionale. Una speranza mal riposta e fonte di ricorrenti frustrazioni e sconfitte storiche.

La Turchia di Erdogan, promotrice di un proprio disegno di potenza neo-ottomano nella regione, non ha esitato, insieme all’Arabia Saudita, a sostenere i fascisti islamici dell’ISIS. Questo progetto non può sopportare nessuna forma di autodeterminazione curda, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini. Dopo il fallimento del colpo di Stato, Recep Tayyip Erdogan ha operato una repressione senza precedenti finalizzata a liquidare l’opposizione democratica, in particolare della minoranza curda, imporre un regime autoritario e ricomporre le alleanze internazionali. Quindi ha continuato a reprimere nel sangue la rivolta dei curdi in Turchia e ha invaso il Rojava per spezzare in Siria ogni ipotesi di autonomia curda. Dopo l’apparente svolta di Erdogan contro l’ISIS, gli USA hanno voltato le spalle al movimento curdo del Rojava, scegliendo la Turchia quale sicuro bastione della NATO. È evidente che ogni attore si muove con duttilità e spregiudicatezza al solo fine di difendere e rafforzare il proprio peso politico in funzione dei futuri nuovi equilibri. 

Nell’attuale contesto imperialista non c’è soluzione progressiva alla questione palestinese senza la distruzione rivoluzionaria dello Stato sionista, così come non c’è soluzione progressiva della questione curda in un Kurdistan indipendente senza la messa in discussione degli equilibri e dei confini statuali disegnati dalle potenze coloniali. Questa rivendicazione democratica è realizzabile solo nel quadro di una soluzione socialista, nella prospettiva di una federazione socialista del Medio Oriente. Solo la classe lavoratrice, ponendosi alla testa dei popoli oppressi della regione, può realizzare i compiti democratici della rivoluzione (autonomia all'imperialismo, autodeterminazione nazionale, riforma agraria radicale). Solo un partito rivoluzionario e internazionalista, forte della teoria della rivoluzione permanente, può dirigere questo processo. In alternativa, come i fatti dimostrano, in presenza di una direzione borghese c’è la ridefinizione della carta geografica del Medio Oriente per mano dell'imperialismo, dell'ISIS, del sionismo, del progetto neo-ottomano turco. 


NESSUNA FIDUCIA NEGLI IMPERIALISMI! 

PER UN KURDISTAN UNITO E INDIPENDENTE! 

PER UNA FEDERAZIONE SOCIALISTA DEL MEDIO ORIENTE!
Partito Comunista dei Lavoratori

LOI DU TRAVAIL JOBS ACT ANALOGIE E DIFFERENTI RISPOSTE


INCONTRO DIBATTITO CITTADINO
Giovedì 16 Febbraio- ore 20.30

Sala del Baraccano, via S. Stefano 119 - BOLOGNA





Ne discutiamo con

  • Massimo Betti Sindacato Generale di Base
  • Francesco Doro CGIL “Il sindacato è un’altra cosa”
  • Marta Positò    Commissione Nazionale Studenti Partito Comunista dei Lavoratori


Coordina Ermanno Lorenzoni

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI - SEZ. DI BOLOGNA

Accordo italo-libico: accordo infame contro i migranti


L'intesa tra il governo Gentiloni e il premier fantoccio libico Serraj è stata presentata come grande successo diplomatico italiano. L'intero consesso dei governi europei ha espresso le proprie congratulazioni. L'unica loro riserva riguarda la credibilità del soggetto contraente: un “governo” libico in realtà confinato nella sola Tripoli, e apertamente minacciato dal governo rivale di Bengasi, appoggiato da Francia, GB, Egitto e Russia. Eppure non sono riusciti a contenere la “fiduciosa speranza in un giro di boa nelle politiche migratorie”.

La ragione è molto semplice. Avete presente l'accordo tra UE e Turchia sul respingimento dei migranti lungo la rotta balcanica? L'intesa tra Italia e Libia vuole replicare lo stesso schema lungo la rotta mediterranea. A prezzo inferiore, ma nella stessa logica. La UE, e la Germania in primis, appalta al regime di Erdogan il respingimento inumano di chi fugge dalla guerra di Siria? L'Italia fa lo stesso col governo libico in relazione a chi cerca la via del mare. Affida alla Guardia costiera libica, opportunamente rafforzata col proprio contributo, il lavoro sporco del respingimento in mare dei barconi. Affida alla Libia e ad altri stati africani confinanti, in cambio di centinaia di milioni, il respingimento a sud di chi cerca la via per arrivare al mare. Il tutto nel nome del “respingimento dell'immigrazione irregolare e clandestina” come recita il testo dell'intesa.

L'ipocrisia non potrebbe essere più squallida. Non perché si ripropone formalmente la distinzione tra migranti “economici” e richiedenti asilo. Ma proprio perché in realtà persino questa distinzione abusiva viene ignorata. Infatti nell'intesa non compare neppure formalmente la parola “asilo”. Il respingimento dei migranti, via mare e via terra, non fa distinzioni di status. I migranti debbono essere respinti in massa. Punto. Una volta respinti verranno ammassati se necessario nei cosiddetti “centri di accoglienza” libici (formalmente 24), rispetto ai quali i famigerati CIE sono hotel di lusso. Centri recentemente definiti lager persino da un ambasciatore tedesco. Centri gestiti da clan mercenari dove si pratica regolarmente lo stupro e la tortura. Centri per di più esterni all'area controllata da Sarraj, e dunque estranei persino formalmente ad ogni possibilità di controllo. Sarebbero questi i luoghi ove si garantisce “la salvaguardia dei diritti”? La verità è che il governo italiano e i governi europei vogliono solo liberarsi dell'angosciante fardello dei migranti, che fanno perder voti e "causano problemi". Non c'è nulla di meglio che provare a liberarsene alla fonte bloccando le partenze, costi quel che costi. Anche se questo significa impedire l'esercizio di quel “diritto universale all'asilo”, formalmente benedetto da tutti i trattati e convenzioni. Persino gli uffici dell'ONU sono imbarazzati. Ma la loro funzione è solo quella di coprire in silenzio, magari con qualche preoccupazione salva coscienza, crimini e cinismo dei governi del capitale.

La verità è nuda: gli stessi governi europei che storcono il naso in questi giorni di fronte a Trump e al suo respingimento indiscriminato dei migranti messicani o degli islamici, realizzano di fatto le stesse politiche in casa propria, nei Balcani e nel Mediterraneo.

Il capitalismo è ovunque miseria, sociale e morale. Solo una rivoluzione può fare pulizia.
Partito Comunista dei Lavoratori
6 Febbraio 2017

Euro o lira, il vero problema è il capitalismo


Contro la truffa del nazionalismo!

4 Febbraio 2017
testo del volantino mensile nazionale del PCL
Il capitalismo è un sistema fallito. L'aumento impressionante delle disuguaglianze sociali in tutto il mondo ne è la misura. Ma un sistema fallito, in profonda crisi di consenso, deve riuscire a dirottare su falsi miti la rabbia sociale delle classi che sfrutta.

Per un certo tempo il mito europeista ha svolto questo ruolo. Perché i sacrifici? Perché bisogna “entrare in Europa”, si diceva in Italia negli anni ‘90. L'Unione Europea dei principali stati capitalisti veniva presentata come orizzonte di progresso. Ma l'esperienza della UE ha dimostrato l'opposto: precarietà del lavoro, privatizzazioni, tagli alle prestazioni sociali, demolizione dei contratti nazionali. Sono le politiche di tutti i governi UE. Per ultimo del governo Tsipras, che aveva annunciato la “riforma sociale e democratica” della UE e ha finito con lo svendere alla troika persino l'acqua pubblica. A riprova che non si può riformare la UE.

Ora che la truffa dell'Unione ha perso la propria credibilità, tornano in voga i miti nazionalisti e sovranisti. Perché i sacrifici? Perché c'è l'euro e la Germania ci sfrutta. L'uscita dall'euro e/o dalla UE diventa la via maestra del ritorno della democrazia e della “sovranità del popolo”. È la propaganda dei nazionalismi reazionari europei, ma anche, in altre forme, di ambienti diversi della sinistra. È un'altra truffa.

Non esiste la sovranità di una moneta. Esiste la sovranità della classe sociale che la controlla. All'ombra del dollaro sovrano, i padroni USA hanno abbassato i salari, tagliato milioni di posti di lavoro, sotto Bush come sotto Obama. Ed oggi Donald Trump, nel nome della nazione americana, annuncia una nuova stretta contro la sanità e i diritti sindacali. Sotto la sovranissima sterlina, i padroni inglesi hanno smantellato i diritti e le conquiste sociali di generazioni di sfruttati. Oggi, l'uscita della Gran Bretagna dalla UE non cambia di una virgola il corso distruttivo di queste politiche.

La nuova moda dell’era Trump è dunque la vecchia truffa del nazionalismo: la borghesia in ogni Stato arruola i propri lavoratori contro i lavoratori di altri paesi, in una competizione mondiale di tutti contro tutti. I sacrifici che prima erano richiesti nel nome della globalizzazione e del libero scambio, ora sono invocati sempre più nel nome della Patria e della Nazione. Ma a pagare sono sempre gli stessi: i lavoratori. E a guadagnarci sono sempre gli stessi: i capitalisti e i loro profitti. Questa è la truffa che si nasconde dietro le parole dei Le Pen, dei Salvini, dei Grillo...

La verità è che l'alternativa non è tra euro e lira, tra libero scambio o protezionismo, tra Unione Europea e nazione. L'alternativa vera è tra capitalisti e lavoratori. Tra capitalismo e socialismo. In ogni paese e su scala mondiale. Da un lato un sistema sociale fallito che non ha nulla da offrire ma solo da togliere, quali che siano le sue monete e le sue istituzioni, nel quale la sovranità sta in ogni caso nelle mani dei capitalisti, dei banchieri, della loro dittatura. Dall'altro un progetto di alternativa di società in cui a comandare sia finalmente chi lavora, chi produce la ricchezza della società, e cioè la sua maggioranza, a partire dal controllo delle leve fondamentali dell'economia.

Il Partito Comunista dei Lavoratori si batte nelle lotte dei lavoratori, in ogni lotta di resistenza sociale per questo progetto di liberazione e rivoluzione. Per la costruzione di un partito internazionale della classe lavoratrice basato su questa prospettiva: l'unica vera alternativa.
Partito Comunista dei Lavoratori

Strage di Viareggio: il capitalismo assolve se stesso


Mercoledì 31 gennaio si è tenuta l’udienza conclusiva del processo sulla strage di Viareggio. La sentenza di primo grado vede gli ex amministratori delegati di FS e RFI Mauro Moretti e Mario Michele Elia colpevoli insieme ad altri 21 dei 33 imputati nel processo, condannati a vario titolo per disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo aggravato, lesioni personali. La sentenza ha quindi dimostrato senza dubbio alcuno il legame diretto fra la strage e le incurie e i tagli sulla sicurezza dei materiali e strumenti utilizzati da FS. Moretti viene condannato a 7 anni in primo grado.

Ciò che è accaduto quel 29 giugno 2009 si inscrive in un tristissimo quadro più ampio in cui abbiamo assistito al susseguirsi di diverse tragedie (i terremoti dell’Aquila, dell’Emilia, l’alluvione di Genova del 2014 e i terremoti nell’Abruzzo e nelle Marche nel 2016) che potevano essere evitate confermando ogni volta che la sicurezza non può essere subordinata a logiche di profitto.

È emblematico dell’attitudine del Capitale ad autoassolversi il fatto che lo Stato abbia “ricompensato” Mauro Moretti per la sua gestione di FS nominandolo nel 2014 amministratore delegato di Finmeccanica (Leonardo S.p.A.).

Il Partito comunista dei lavoratori esprime totale solidarietà alle famiglie delle vittime della strage e a Riccardo Antonini, il ferroviere licenziato perché si è schierato con i familiari delle 32 vittime violando il “codice etico aziendale” e ci uniamo a loro nella richiesta di dimissioni immediate per Moretti e Margarita poiché riteniamo un insulto inaccettabile che continuino a ricoprire cariche di Stato. Le dimissioni di Mauro Moretti non sono solo il minimo significativo e doveroso atto di giustizia verso i familiari delle vittime, verso la città ferita da un disastro prevedibile ed evitabile, verso i lavoratori delle ferrovie umiliati e vessati in questi anni per aver lottato per la verità nascosta dietro questa tragedia. Tale richiesta assume anche un preciso atto politico di lotta contro il capitalismo. Mauro Moretti alla fine degli anni 80 è stato segretario della CGIL Trasporti. Non è stato un momentaneo passaggio sindacale: per quattro anni ha rappresentato i diritti dei lavoratori dei trasporti dentro questo sindacato. È passato inoltre attraverso l’esperienza di sindaco in un piccolo comune del Centro Italia dal 2004 al 2014, ma pochissimi cittadini lo hanno visto in quegli anni, poiché l’ex sindacalista era impegnato in una sua scalata personale e politica dentro i più prestigiosi settori del capitalismo industriale italiano. Nel 2006 viene nominato dal governo Prodi amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e viene incaricato del suo risanamento, che ha ottenuto attraverso la soppressione di linee locali destinate in particolare ai pendolari, ai tagli alla qualità complessiva dei servizi FS, al taglio di personale e ad una riduzione dell'investimento nella manutenzione e sicurezza. Il capitalismo e il potere politico italiano hanno visto in lui il “cavallo” giusto per lanciare il grande progetto dell’alta velocità, progetto stimato inizialmente in circa 20 miliardi solo per il Nord Italia e il ben noto scempio della Val di Susa.

Il 29 giugno 2009, giorno della tragedia di Viareggio, è da considerarsi dunque come data simbolo del compimento di quella strategia di tagli anche alla sicurezza, al personale e alla manutenzione. Moretti in udienza in tribunale quasi con fastidio definisce la strage come "spiacevolissimo episodio", ma intanto il suo sguardo è rivolto oltre: verso le prospettive che potrebbero pervenire dallo sviluppo capitalistico dell’apparato militare industriale italiano gestito dal fiore all’occhiello di un azienda di Stato come Finmeccanica/Leonardo. Un’amministrazione la sua che taglia tutto quello che ha a che fare con la produzione nei settori dei trasporti per rivolgere l’attenzione sullo sviluppo della produzione del settore dei sistemi di difesa ed armamenti sofisticati come quello delle missilistica. Una strategia politico militare che parla di imperialismo, di guerre e di interessi del capitalismo politico italiano verso i conflitti locali o più complessi dello scontro tra i vari blocchi mondiali.

Le dimissioni di Moretti quindi devono rappresentare un passaggio della lotta di classe in questo paese. Non solo in nome delle vittime della strage di Viareggio, ma per ribadire che non esiste alcun capitalismo buono, che anzi questo gronda di sangue dalle mani dei suoi uomini più rappresentativi come Mauro Moretti. 

È inoltre necessaria una battaglia per la nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori di tutto il settore dei trasporti, nonché un grande piano di investimenti infrastrutturali per la messa in sicurezza del sistema ferroviario, da ottenere attraverso il rifiuto del debito pubblico alle banche, accompagnata dalla loro nazionalizzazione, e con la cancellazione delle regalie fiscali ai capitalisti.

Tutte queste istanze non potranno essere varate certo dai comitati d'affari della classe capitalistica, a partire dal governo Gentiloni. Solo un governo dei lavoratori, capace di rompere con gli interessi padronali, può risanare il territorio mettendo in sicurezza l’intero sistema ferroviario finalmente pubblico e efficiente, tutelando le vite e la dignità dei lavoratori e dei cittadini, nell’orizzonte della riorganizzazione radicale dell'intera società in base al primato dei bisogni.
Chiara Mazzanti - Ruggero Rognoni 
Comitato Centrale 
Partito Comunista dei Lavoratori