Il M5S capitola al TAV. Segue, a ruota, la capitolazione del Fatto Quotidiano, il giornale più stellato e grillino, nel firmamento poco luccicante della “libera” stampa nazionale.
La giravolta sul TAV dei Cinque Stelle non è solo istruttiva sul piano politico, insegna anche molto su quello giornalistico. Infatti, mentre il Corriere della Sera legge in maniera impeccabile la vicenda, il FQ sprofonda in pieno analfabetismo politico. E tutto questo avviene in contemporanea, giovedì 25 luglio 2019.
Il Corriere affida l’analisi della vicenda al massimo della precisione liberale di Massimo Franco, mai così gaudente:
L’idea che la rivolta del M5S sulla TAV sia uno strappo contro di lui (Conte, nda) va ridimensionata. È, almeno in parte, una sceneggiata. Certamente esiste una componente del Movimento che non vuole staccarsi dall’estremismo dei no TAV; e che usa il «sì» di Conte per attaccare Di Maio. Ma l’esigenza del vicepremier grillino è soprattutto quella di mascherare il proprio voltafaccia; e di affidare al Parlamento la decisione finale. Non a caso, seppure ambiguamente, Beppe Grillo lo «copre» (benedicendo la democrazia borghese, che in Italia al momento è la democrazia tanto detestata di Lega-FdI-FI-PD, chiamati ora a votare pro TAV per conto del M5S, nda). (“L’isolamento del Premier dagli alleati promette di essere un passo avanti” - Corriere della Sera, pag. 6, ripreso dalla prima).
Sentite invece cosa riesce a dire il più grande sbirro travestito da giornalista sul FQ, non in prima pagina, troppo grosso lo smacco, ma nel mezzo, quasi nascosto per la vergogna, a pag. 13, in una mesta risposta a Monica Frassoni, presidente dei Verdi europei. Mentre la presidentessa mette in guardia dallo scaricare la colpa su Lega-FdI-FI-PD e su tutto l’arco parlamentare del Partito degli Affari, accollandola giustamente in toto all’ambientalismo inconcludente, posticcio e disinformato del M5S, incapace con oltre il 30% di voti di «avviare subito un dibattito sui fatti» e di «creare le condizioni per una narrativa alternativa a quella del mito della TAV», Travaglio così difende i suoi beniamini:
[...] i cinque stelle hanno molte colpe, ma sul TAV - non avendo la maggioranza assoluta né al governo né in Parlamento né tantomeno in Europa - potevano fare ben poco più di un’altra melina di qualche mese. Che mi dici invece della cosiddetta sinistra italiana, che dovrebbe essere ambientalista e invece finge di esserlo solo quando deve travestirsi da Greta? E che hanno fatto le sinistre e gli ambientalisti europei per fermare il TAV? Quando il Partito degli Affari è così potente, pervasivo e totalizzante, anche nel mondo della cosiddetta informazione, è difficile contrapporgli una “narrazione” alternativa. Si può solo predicare nel deserto, come San Giovanni il Battista, che infatti finì decollato.(“TAV, le “colpe” di chi predica nel deserto”, botta e risposta tra Frassoni e Travaglio, Il Fatto Quotidiano).
In queste quattro righe, tutto lo smarrimento e tutta la pochezza del sedicente giornalismo indipendente, autofinanziatosi per niente. Se prima, per farsi pubblicità, lo slogan adottato come simbolo di serietà era “prima i fatti, poi le opinioni”, ora al momento del dunque, la linea del FQ si capovolge nel suo opposto: prima le interpretazioni-opinioni e poi forse, blandamente, in maniera sfumata e alquanto bislacca, i fatti.
Per la stampa borghese che sa cosa vuole e ne ha pienamente coscienza, il voto in Parlamento è la sceneggiata di Di Maio per coprire la sua capitolazione al TAV; per quella piccolo-borghese che non sa ancora da che parte è girata, è la strenua difesa finale dell’ultimo avamposto dei predicatori solitari e controcorrente nel deserto. Non si capisce per quale ragione Di Maio non possa far niente, in quanto “povero”, solo e in minoranza, mentre Verdi Europei e sinistra, ancora più soli e in minoranza di lui, possano invece fare chissà quali sfracelli. Ma tant’è, quando si perde la testa non c’è limite alle fesserie che si possono concentrare in cinque righe. Sfugge sopratutto a Travaglio che, di norma, chi predica nel deserto non sta al potere, e che non si è mai visto il potere decollare chi lo sostiene, tanto più che per essere decollato ci vuole almeno una testa, e se Di Maio per caso ce l’ha, non ce l’ha certo sul collo. Decollare Di Maio sarebbe quindi fatica sprecata, visto che alle elezioni europee si è già mezzo decollato da solo. È inutile perdere tempo a decollare uno che al prossimo giro elettorale sparirà dall’orizzonte per il resto dei suoi giorni.
Di Maio, in ogni caso, non predica affatto nel deserto, tutt'al più sarà sepolto nella sabbia dai suoi sostenitori, quando il giorno delle elezioni, scornati da tutti questi tradimenti, gli daranno il ben servito togliendogli l’appoggio. Fino ad allora, che lui si immagina il più tardi possibile come tutti i condannati al patibolo, Di Maio per Travaglio sarà la reincarnazione di San Giovanni decollato, martire del TAV. Perché se il PD dice di essere ambientalista, finge sicuramente, bisogna perciò sbugiardarlo senza pietà, ma se finge il caro “Giggino”, cinto d’aureola com’è, non bisogna stare ai fatti ma credergli sulla parola.
Essendo uscito vincitore il profitto della grande borghesia, il Corriere non ha bisogno di barare attraverso la sua ideologia mistificatrice. Deve invece barare la piccola borghesia intellettuale, quella che aveva dipinto i cinque stelle come gli alternativi onesti ai profittatori più disonesti. Di qui l’insistenza, ai limiti del misticismo, sui cinque stelle lasciati soli contro i poteri forti. Serve a mascherare in qualche modo il fallimento completo della propria analisi.
Sarà poi vero che col 32% in Parlamento si può fare poco o niente? Innanzitutto, se è vero, perché i cinque stelle non lo han detto subito? L’hanno scoperto adesso insieme al FQ di non avere il 51%? Inoltre, per l’abc della democrazia, anche quella borghese, il 32% rappresenta una minoranza parlamentare se si sta all’opposizione, non al governo. Se invece si sta al governo, rappresenta il favorevole rapporto di 2 a 1 rispetto al partito di coalizione con cui si sta in maggioranza. Anche così, le cifre dicono che il M5S avrebbe potuto portare a casa molto, e certamente più della Lega. È accaduto l’esatto opposto. La Lega, il partito dell’Ordine, che ha usato l’abolizione della riforma Fornero più per propaganda che per reale convinzione, ha ottenuto tutto del suo vero programma, quello del razzismo e della guerra preventiva contro i poveri e contro tutti quelli che lottano per migliori condizioni e diritti. Il M5S non ha ottenuto altro che appoggiare la Lega. Zero assoluto praticamente su tutto il resto. Come è stato possibile?
Evidentemente il problema non è essere maggioranza o minoranza, specialmente quando si vorrebbe fare la seconda tenendo i piedi ben saldi nella prima. Il peso politico di un 32% dipende soprattutto da come viene usato. Di Maio avrebbe potuto ottenere moltissimo se si fosse appoggiato al 32% degli elettori, chiamandoli in piazza e mobilitandoli per il programma del M5S. Ma per quanto ambiguo e annacquato fosse, il programma a cinque stelle non era il suo. Il programma di Di Maio era sfruttare la spinta elettorale per governare a qualunque costo per conto della borghesia. È per questo che molto prima delle elezioni, per mesi e mesi, ha fatto il giro delle sette chiese dei poteri forti per rassicurarli che non li avrebbe toccati. E di conseguenza, per il suo scranno, l’unica possibilità era toccare e abbattere il programma delle cinque stelle, cosa puntualmente avvenuta, anche se per Travaglio è avvenuta contro i poteri forti, non in loro ossequio.
Così abbiamo avuto l’ennesima conferma di quel che già sapevamo: solo due classi possono comandare, borghesia o proletariato. E il piccolo-borghese presuntuoso che si intrufola tra i due convinto di essere l’ago della bilancia andrà al governo per applicare fedelmente il programma della borghesia, la classe più forte, concedendosi al massimo, come specchietto per le allodole del Fatto Quotidiano, di votare contro il TAV di Lega-FdI-FI-PD, purché passi il TAV di Lega-FdI-FI-PD e del M5S al governo!
Dalla promessa di cambiamento siamo tornati, insomma, all’opposizione modello Turigliatto.
A corollario di questa ignobile farsa, la vicenda ci dice che la legge delle sole due classi al potere vale anche per la stampa. Non esiste una stampa piccolo-borghese indipendente dalla grande stampa filopadronale. Il FQ può autofinanziarsi finché vuole, quando i nodi verranno al pettine si accoderà mestamente al Corriere, alzando pietosamente bandiera bianca. Proletariato permettendo, TAV doveva essere e TAV sarà: per capitolazione dice il Corriere con lo scalpo di Di Maio in mano; perché in minoranza come sono i cinque stelle, non si poteva fare altro che melina inconcludente, dice il FQ con lo scalpo di Travaglio che si è scotennato da solo!
Al momento della verità, dunque, anche per quanto riguarda la stampa, a quella padronale non c’è che una sola controinformazione possibile, quella del proletariato cosciente, la stampa marxista, l’unica stampa che non si inchinerà mai di fronte al fatto compiuto, perché è indipendente anche dalle interpretazioni illusorie dei fatti piccolo-borghesi.
La giravolta sul TAV dei Cinque Stelle non è solo istruttiva sul piano politico, insegna anche molto su quello giornalistico. Infatti, mentre il Corriere della Sera legge in maniera impeccabile la vicenda, il FQ sprofonda in pieno analfabetismo politico. E tutto questo avviene in contemporanea, giovedì 25 luglio 2019.
Il Corriere affida l’analisi della vicenda al massimo della precisione liberale di Massimo Franco, mai così gaudente:
L’idea che la rivolta del M5S sulla TAV sia uno strappo contro di lui (Conte, nda) va ridimensionata. È, almeno in parte, una sceneggiata. Certamente esiste una componente del Movimento che non vuole staccarsi dall’estremismo dei no TAV; e che usa il «sì» di Conte per attaccare Di Maio. Ma l’esigenza del vicepremier grillino è soprattutto quella di mascherare il proprio voltafaccia; e di affidare al Parlamento la decisione finale. Non a caso, seppure ambiguamente, Beppe Grillo lo «copre» (benedicendo la democrazia borghese, che in Italia al momento è la democrazia tanto detestata di Lega-FdI-FI-PD, chiamati ora a votare pro TAV per conto del M5S, nda). (“L’isolamento del Premier dagli alleati promette di essere un passo avanti” - Corriere della Sera, pag. 6, ripreso dalla prima).
Sentite invece cosa riesce a dire il più grande sbirro travestito da giornalista sul FQ, non in prima pagina, troppo grosso lo smacco, ma nel mezzo, quasi nascosto per la vergogna, a pag. 13, in una mesta risposta a Monica Frassoni, presidente dei Verdi europei. Mentre la presidentessa mette in guardia dallo scaricare la colpa su Lega-FdI-FI-PD e su tutto l’arco parlamentare del Partito degli Affari, accollandola giustamente in toto all’ambientalismo inconcludente, posticcio e disinformato del M5S, incapace con oltre il 30% di voti di «avviare subito un dibattito sui fatti» e di «creare le condizioni per una narrativa alternativa a quella del mito della TAV», Travaglio così difende i suoi beniamini:
[...] i cinque stelle hanno molte colpe, ma sul TAV - non avendo la maggioranza assoluta né al governo né in Parlamento né tantomeno in Europa - potevano fare ben poco più di un’altra melina di qualche mese. Che mi dici invece della cosiddetta sinistra italiana, che dovrebbe essere ambientalista e invece finge di esserlo solo quando deve travestirsi da Greta? E che hanno fatto le sinistre e gli ambientalisti europei per fermare il TAV? Quando il Partito degli Affari è così potente, pervasivo e totalizzante, anche nel mondo della cosiddetta informazione, è difficile contrapporgli una “narrazione” alternativa. Si può solo predicare nel deserto, come San Giovanni il Battista, che infatti finì decollato.(“TAV, le “colpe” di chi predica nel deserto”, botta e risposta tra Frassoni e Travaglio, Il Fatto Quotidiano).
In queste quattro righe, tutto lo smarrimento e tutta la pochezza del sedicente giornalismo indipendente, autofinanziatosi per niente. Se prima, per farsi pubblicità, lo slogan adottato come simbolo di serietà era “prima i fatti, poi le opinioni”, ora al momento del dunque, la linea del FQ si capovolge nel suo opposto: prima le interpretazioni-opinioni e poi forse, blandamente, in maniera sfumata e alquanto bislacca, i fatti.
Per la stampa borghese che sa cosa vuole e ne ha pienamente coscienza, il voto in Parlamento è la sceneggiata di Di Maio per coprire la sua capitolazione al TAV; per quella piccolo-borghese che non sa ancora da che parte è girata, è la strenua difesa finale dell’ultimo avamposto dei predicatori solitari e controcorrente nel deserto. Non si capisce per quale ragione Di Maio non possa far niente, in quanto “povero”, solo e in minoranza, mentre Verdi Europei e sinistra, ancora più soli e in minoranza di lui, possano invece fare chissà quali sfracelli. Ma tant’è, quando si perde la testa non c’è limite alle fesserie che si possono concentrare in cinque righe. Sfugge sopratutto a Travaglio che, di norma, chi predica nel deserto non sta al potere, e che non si è mai visto il potere decollare chi lo sostiene, tanto più che per essere decollato ci vuole almeno una testa, e se Di Maio per caso ce l’ha, non ce l’ha certo sul collo. Decollare Di Maio sarebbe quindi fatica sprecata, visto che alle elezioni europee si è già mezzo decollato da solo. È inutile perdere tempo a decollare uno che al prossimo giro elettorale sparirà dall’orizzonte per il resto dei suoi giorni.
Di Maio, in ogni caso, non predica affatto nel deserto, tutt'al più sarà sepolto nella sabbia dai suoi sostenitori, quando il giorno delle elezioni, scornati da tutti questi tradimenti, gli daranno il ben servito togliendogli l’appoggio. Fino ad allora, che lui si immagina il più tardi possibile come tutti i condannati al patibolo, Di Maio per Travaglio sarà la reincarnazione di San Giovanni decollato, martire del TAV. Perché se il PD dice di essere ambientalista, finge sicuramente, bisogna perciò sbugiardarlo senza pietà, ma se finge il caro “Giggino”, cinto d’aureola com’è, non bisogna stare ai fatti ma credergli sulla parola.
Essendo uscito vincitore il profitto della grande borghesia, il Corriere non ha bisogno di barare attraverso la sua ideologia mistificatrice. Deve invece barare la piccola borghesia intellettuale, quella che aveva dipinto i cinque stelle come gli alternativi onesti ai profittatori più disonesti. Di qui l’insistenza, ai limiti del misticismo, sui cinque stelle lasciati soli contro i poteri forti. Serve a mascherare in qualche modo il fallimento completo della propria analisi.
Sarà poi vero che col 32% in Parlamento si può fare poco o niente? Innanzitutto, se è vero, perché i cinque stelle non lo han detto subito? L’hanno scoperto adesso insieme al FQ di non avere il 51%? Inoltre, per l’abc della democrazia, anche quella borghese, il 32% rappresenta una minoranza parlamentare se si sta all’opposizione, non al governo. Se invece si sta al governo, rappresenta il favorevole rapporto di 2 a 1 rispetto al partito di coalizione con cui si sta in maggioranza. Anche così, le cifre dicono che il M5S avrebbe potuto portare a casa molto, e certamente più della Lega. È accaduto l’esatto opposto. La Lega, il partito dell’Ordine, che ha usato l’abolizione della riforma Fornero più per propaganda che per reale convinzione, ha ottenuto tutto del suo vero programma, quello del razzismo e della guerra preventiva contro i poveri e contro tutti quelli che lottano per migliori condizioni e diritti. Il M5S non ha ottenuto altro che appoggiare la Lega. Zero assoluto praticamente su tutto il resto. Come è stato possibile?
Evidentemente il problema non è essere maggioranza o minoranza, specialmente quando si vorrebbe fare la seconda tenendo i piedi ben saldi nella prima. Il peso politico di un 32% dipende soprattutto da come viene usato. Di Maio avrebbe potuto ottenere moltissimo se si fosse appoggiato al 32% degli elettori, chiamandoli in piazza e mobilitandoli per il programma del M5S. Ma per quanto ambiguo e annacquato fosse, il programma a cinque stelle non era il suo. Il programma di Di Maio era sfruttare la spinta elettorale per governare a qualunque costo per conto della borghesia. È per questo che molto prima delle elezioni, per mesi e mesi, ha fatto il giro delle sette chiese dei poteri forti per rassicurarli che non li avrebbe toccati. E di conseguenza, per il suo scranno, l’unica possibilità era toccare e abbattere il programma delle cinque stelle, cosa puntualmente avvenuta, anche se per Travaglio è avvenuta contro i poteri forti, non in loro ossequio.
Così abbiamo avuto l’ennesima conferma di quel che già sapevamo: solo due classi possono comandare, borghesia o proletariato. E il piccolo-borghese presuntuoso che si intrufola tra i due convinto di essere l’ago della bilancia andrà al governo per applicare fedelmente il programma della borghesia, la classe più forte, concedendosi al massimo, come specchietto per le allodole del Fatto Quotidiano, di votare contro il TAV di Lega-FdI-FI-PD, purché passi il TAV di Lega-FdI-FI-PD e del M5S al governo!
Dalla promessa di cambiamento siamo tornati, insomma, all’opposizione modello Turigliatto.
A corollario di questa ignobile farsa, la vicenda ci dice che la legge delle sole due classi al potere vale anche per la stampa. Non esiste una stampa piccolo-borghese indipendente dalla grande stampa filopadronale. Il FQ può autofinanziarsi finché vuole, quando i nodi verranno al pettine si accoderà mestamente al Corriere, alzando pietosamente bandiera bianca. Proletariato permettendo, TAV doveva essere e TAV sarà: per capitolazione dice il Corriere con lo scalpo di Di Maio in mano; perché in minoranza come sono i cinque stelle, non si poteva fare altro che melina inconcludente, dice il FQ con lo scalpo di Travaglio che si è scotennato da solo!
Al momento della verità, dunque, anche per quanto riguarda la stampa, a quella padronale non c’è che una sola controinformazione possibile, quella del proletariato cosciente, la stampa marxista, l’unica stampa che non si inchinerà mai di fronte al fatto compiuto, perché è indipendente anche dalle interpretazioni illusorie dei fatti piccolo-borghesi.