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31 Marzo 2020
Abbiamo documentato come le grandi aziende farmaceutiche abbiano interrotto nel 2003 la ricerca sulla famiglia del coronavirus perché l'epidemia della SARS si era conclusa troppo in fretta per assicurare loro un adeguato mercato. Settecento morti su scala mondiale non valevano un investimento. Oggi tutti paghiamo il prezzo terribile di questa scelta.
L'attuale pandemia, con la rapidità della sua propagazione e le centinaia di migliaia di morti che prefigura, sembra configurare un mercato ben più appetitoso per le case farmaceutiche e la rete di interessi che le circonda. La ricerca non punta tanto sulle medicine per l'intervento immediato, che non offrono necessariamente un mercato duraturo, quanto sull'individuazione del vaccino, possibile investimento planetario per i prossimi decenni. Cinquanta sono i vaccini contro il coronavirus allo studio nel mondo, quarantotto in fase preclinica, rivela l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Si muovono le grandi aziende farmaceutiche del Big Pharma (Novartis, Roche, Glaxo, Janssen...), si muovono le grandi aziende biotech, si muovono i loro Stati nazionali di riferimento, a partire dagli USA, che in asse con Israele sperano di scoprire il vaccino prima della Cina per riequilibrare la competizione in corso e rimontare i propri insuccessi.
Si dirà: “Dopotutto è una competizione virtuosa, l'importante è che il vaccino lo trovino in fretta”. Ora, che sia competizione è indubbio, che sia virtuosa un po' meno.
LA RICERCA SCIENTIFICA E I CALCOLI DEGLI AZIONISTI
Interessante la documentazione fornita al riguardo dalla stampa confindustriale (Il Sole 24 Ore). Spiega che la concorrenza tra aziende farmaceutiche da un lato e le aziende biotech dall'altro è senza risparmio di colpi. Tuttavia la concorrenza tra i rispettivi cartelli non è solo su chi per primo scopre il vaccino, ma su chi riesce ad attrarre maggiori investimenti finanziari sul mercato azionario. E chi riesce ad attrarre maggiori investimenti è l'azienda o il cartello aziendale che dimostra di saper produrre il vaccino, non solo di scoprirlo; e di saperlo produrre su scala industriale, perché solo una produzione industriale su larga scala può assicurare l'agognato profitto di chi compra le azioni di borsa delle aziende in questione. Qui nascono i problemi.
Intendiamoci, nella grande recessione dell'economia mondiale che è iniziata l'industria farmaceutica e biotech, assieme a quella alimentare, è tra le poche che ha il vento in poppa. Le quotazioni di Wall Street, in particolare per il biotech, hanno fatto la parte del leone nelle ultime sedute. Ma Credit Suisse insinua il dubbio che possa trattarsi di una euforia a breve termine. Perché? Perché per produrre su scala industriale il vaccino bisogna fare un investimento al buio. Senza sapere quando il vaccino sarà scoperto, quale sarà l'azienda o il cartello che lo scoprirà, quale Stato gli coprirà le spalle, quale sarà l'azienda o le aziende capaci di produrlo su scala industriale. E se i miliardi investiti finissero gettati al vento? Nell'incertezza, dice Credit Suisse, meglio investire nell'industria militare, o nella produzione di grano, che hanno mercato sicuro e i prezzi in salita.
Ora, il punto per parte nostra non è valutare se le preoccupazioni di Credit Suisse sono fondate, perché non abbiamo ambizioni borsistiche. Il punto è che in ogni caso la ricerca scientifica è oggi affidata alle case farmaceutiche e/o biotech e alle loro convenienze di profitto. L'indirizzo della ricerca è solamente la variabile dipendente dei loro calcoli. Fu così per la SARS nel 2003, così è oggi per il coronavirus.
BILL GATES BATTE CASSA PRESSO I BILANCI PUBBLICI
C'è di più. Siccome l'investimento richiesto dalla ricerca è non solo incerto ma assai dispendioso, le aziende farmaceutiche e biotech battono cassa presso i bilanci pubblici. Volete la ricerca sui vaccini? Pagatecela. Bill Gates lo ha spiegato col suo proverbiale candore sulle colonne del New England Journal of Medicine, pubblicato da La Stampa (29 marzo):
«Occorrono miliardi di dollari in più per completare la sperimentazione della Fase III e garantire l'approvazione normativa per i vaccini contro il coronavirus, e saranno necessari ulteriori finanziamenti per migliorare il monitoraggio e la risposta alle malattie. Perché questo richiede finanziamenti pubblici? Il settore privato non può farcela da solo? I prodotti contro le pandemie sono investimenti straordinariamente ad alto rischio e le aziende farmaceutiche avranno bisogno di finanziamenti pubblici per mettersi subito al lavoro. Inoltre, i governi e altri donatori dovranno finanziare, come bene pubblico globale, strutture produttive in grado di assicurare la fornitura di vaccini nel giro di poche settimane. Queste aziende possono produrre vaccini per i programmi di immunizzazione di routine in tempi normali ed essere rapidamente riconvertite nel corso di una pandemia. Infine, i governi dovranno finanziare l'approvvigionamento e la distribuzione dei vaccini alle popolazioni che ne hanno bisogno.»
La ciccia del discorso, come si dice in gergo, è molto chiara: spesa pubblica, profitto privato. Il vaccino è un bisogno dell'umanità, ci spiega il campione del capitalismo “illuminato” del mondo. Lo avevamo capito da soli. Ma siccome i colossi privati non vogliono caricarsi sulle spalle investimenti costosi «ad alto rischio», siano i bilanci pubblici a farsi carico di tutto: ricerca, produzione, distribuzione del vaccino. Cosa resta ai privati? Il profitto naturalmente. A tasso altissimo, perché sgravato dal grosso dei costi. Gli azionisti sorridono felici, sempre nel nome dell'umanità.
Ma se industria farmaceutica e biotech hanno bisogno di ingenti sovvenzioni pubbliche «per mettersi subito al lavoro», come dice Bill Gates, perché non portarle sotto controllo pubblico, con una vera nazionalizzazione? Perché non ricondurre la ricerca scientifica sotto il controllo dello Stato, se è lo Stato in ogni caso ad assumersi i costi? Perché non scrollarci di dosso i mille condizionamenti del profitto sull'indirizzo stesso della ricerca, i suoi tempi, i suoi risultati? In una parola: perché non cancellare il parassitismo del profitto dall'intervento sulla salute umana?
NAZIONALIZZARE L'INDUSTRIA FARMACEUTICA!
Nazionalizzare l'industria farmaceutica, senza indennizzo per i grandi azionisti, sotto il controllo dei lavoratori: è una rivendicazione avanzata dall'avanguardia di classe in diversi paesi. Ed è attualissima in Italia.
L'Italia è alla testa, assieme alla Germania, della produzione farmaceutica in Europa. Tredici grandi aziende farmaceutiche si spartiscono il mercato facendo cartello sui prezzi, dettando il prontuario dei medicinali, incassando una montagna di finanziamenti pubblici: Menarini, Dompè, Molteni, Zambon, Abiogen Pharma, Angelini, Recordati, Chiesi, Italfarmaco, Mediolanum, IBN Savio, Kedrion, Alfa Sigma. Si tratta per lo più di grandi famiglie del capitalismo italiano. La loro produzione tra il 2009 e il 2018 è cresciuta del 38%, con un aumento esponenziale delle esportazioni (+17% nell'ultimo decennio). Si battono per prolungare il tempo dei brevetti a tutela dei propri profitti, contro l'esigenza della scienza e della salute. Gestiscono spesso interi rami della sanità privata (Angelini), anch'essi irrorati da risorse pubbliche.
Per quale ragione i lavoratori, le lavoratrici, i ricercatori scientifici non dovrebbero portare sotto il proprio controllo quello che in decenni, in un modo o nell'altro, hanno già pagato?
Un unico servizio sanitario, nazionale, pubblico, gratuito, ha bisogno di una produzione e ricerca farmaceutica finalmente liberate dal capitalismo. Nel mondo, in Europa, in Italia.
L'attuale pandemia, con la rapidità della sua propagazione e le centinaia di migliaia di morti che prefigura, sembra configurare un mercato ben più appetitoso per le case farmaceutiche e la rete di interessi che le circonda. La ricerca non punta tanto sulle medicine per l'intervento immediato, che non offrono necessariamente un mercato duraturo, quanto sull'individuazione del vaccino, possibile investimento planetario per i prossimi decenni. Cinquanta sono i vaccini contro il coronavirus allo studio nel mondo, quarantotto in fase preclinica, rivela l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Si muovono le grandi aziende farmaceutiche del Big Pharma (Novartis, Roche, Glaxo, Janssen...), si muovono le grandi aziende biotech, si muovono i loro Stati nazionali di riferimento, a partire dagli USA, che in asse con Israele sperano di scoprire il vaccino prima della Cina per riequilibrare la competizione in corso e rimontare i propri insuccessi.
Si dirà: “Dopotutto è una competizione virtuosa, l'importante è che il vaccino lo trovino in fretta”. Ora, che sia competizione è indubbio, che sia virtuosa un po' meno.
LA RICERCA SCIENTIFICA E I CALCOLI DEGLI AZIONISTI
Interessante la documentazione fornita al riguardo dalla stampa confindustriale (Il Sole 24 Ore). Spiega che la concorrenza tra aziende farmaceutiche da un lato e le aziende biotech dall'altro è senza risparmio di colpi. Tuttavia la concorrenza tra i rispettivi cartelli non è solo su chi per primo scopre il vaccino, ma su chi riesce ad attrarre maggiori investimenti finanziari sul mercato azionario. E chi riesce ad attrarre maggiori investimenti è l'azienda o il cartello aziendale che dimostra di saper produrre il vaccino, non solo di scoprirlo; e di saperlo produrre su scala industriale, perché solo una produzione industriale su larga scala può assicurare l'agognato profitto di chi compra le azioni di borsa delle aziende in questione. Qui nascono i problemi.
Intendiamoci, nella grande recessione dell'economia mondiale che è iniziata l'industria farmaceutica e biotech, assieme a quella alimentare, è tra le poche che ha il vento in poppa. Le quotazioni di Wall Street, in particolare per il biotech, hanno fatto la parte del leone nelle ultime sedute. Ma Credit Suisse insinua il dubbio che possa trattarsi di una euforia a breve termine. Perché? Perché per produrre su scala industriale il vaccino bisogna fare un investimento al buio. Senza sapere quando il vaccino sarà scoperto, quale sarà l'azienda o il cartello che lo scoprirà, quale Stato gli coprirà le spalle, quale sarà l'azienda o le aziende capaci di produrlo su scala industriale. E se i miliardi investiti finissero gettati al vento? Nell'incertezza, dice Credit Suisse, meglio investire nell'industria militare, o nella produzione di grano, che hanno mercato sicuro e i prezzi in salita.
Ora, il punto per parte nostra non è valutare se le preoccupazioni di Credit Suisse sono fondate, perché non abbiamo ambizioni borsistiche. Il punto è che in ogni caso la ricerca scientifica è oggi affidata alle case farmaceutiche e/o biotech e alle loro convenienze di profitto. L'indirizzo della ricerca è solamente la variabile dipendente dei loro calcoli. Fu così per la SARS nel 2003, così è oggi per il coronavirus.
BILL GATES BATTE CASSA PRESSO I BILANCI PUBBLICI
C'è di più. Siccome l'investimento richiesto dalla ricerca è non solo incerto ma assai dispendioso, le aziende farmaceutiche e biotech battono cassa presso i bilanci pubblici. Volete la ricerca sui vaccini? Pagatecela. Bill Gates lo ha spiegato col suo proverbiale candore sulle colonne del New England Journal of Medicine, pubblicato da La Stampa (29 marzo):
«Occorrono miliardi di dollari in più per completare la sperimentazione della Fase III e garantire l'approvazione normativa per i vaccini contro il coronavirus, e saranno necessari ulteriori finanziamenti per migliorare il monitoraggio e la risposta alle malattie. Perché questo richiede finanziamenti pubblici? Il settore privato non può farcela da solo? I prodotti contro le pandemie sono investimenti straordinariamente ad alto rischio e le aziende farmaceutiche avranno bisogno di finanziamenti pubblici per mettersi subito al lavoro. Inoltre, i governi e altri donatori dovranno finanziare, come bene pubblico globale, strutture produttive in grado di assicurare la fornitura di vaccini nel giro di poche settimane. Queste aziende possono produrre vaccini per i programmi di immunizzazione di routine in tempi normali ed essere rapidamente riconvertite nel corso di una pandemia. Infine, i governi dovranno finanziare l'approvvigionamento e la distribuzione dei vaccini alle popolazioni che ne hanno bisogno.»
La ciccia del discorso, come si dice in gergo, è molto chiara: spesa pubblica, profitto privato. Il vaccino è un bisogno dell'umanità, ci spiega il campione del capitalismo “illuminato” del mondo. Lo avevamo capito da soli. Ma siccome i colossi privati non vogliono caricarsi sulle spalle investimenti costosi «ad alto rischio», siano i bilanci pubblici a farsi carico di tutto: ricerca, produzione, distribuzione del vaccino. Cosa resta ai privati? Il profitto naturalmente. A tasso altissimo, perché sgravato dal grosso dei costi. Gli azionisti sorridono felici, sempre nel nome dell'umanità.
Ma se industria farmaceutica e biotech hanno bisogno di ingenti sovvenzioni pubbliche «per mettersi subito al lavoro», come dice Bill Gates, perché non portarle sotto controllo pubblico, con una vera nazionalizzazione? Perché non ricondurre la ricerca scientifica sotto il controllo dello Stato, se è lo Stato in ogni caso ad assumersi i costi? Perché non scrollarci di dosso i mille condizionamenti del profitto sull'indirizzo stesso della ricerca, i suoi tempi, i suoi risultati? In una parola: perché non cancellare il parassitismo del profitto dall'intervento sulla salute umana?
NAZIONALIZZARE L'INDUSTRIA FARMACEUTICA!
Nazionalizzare l'industria farmaceutica, senza indennizzo per i grandi azionisti, sotto il controllo dei lavoratori: è una rivendicazione avanzata dall'avanguardia di classe in diversi paesi. Ed è attualissima in Italia.
L'Italia è alla testa, assieme alla Germania, della produzione farmaceutica in Europa. Tredici grandi aziende farmaceutiche si spartiscono il mercato facendo cartello sui prezzi, dettando il prontuario dei medicinali, incassando una montagna di finanziamenti pubblici: Menarini, Dompè, Molteni, Zambon, Abiogen Pharma, Angelini, Recordati, Chiesi, Italfarmaco, Mediolanum, IBN Savio, Kedrion, Alfa Sigma. Si tratta per lo più di grandi famiglie del capitalismo italiano. La loro produzione tra il 2009 e il 2018 è cresciuta del 38%, con un aumento esponenziale delle esportazioni (+17% nell'ultimo decennio). Si battono per prolungare il tempo dei brevetti a tutela dei propri profitti, contro l'esigenza della scienza e della salute. Gestiscono spesso interi rami della sanità privata (Angelini), anch'essi irrorati da risorse pubbliche.
Per quale ragione i lavoratori, le lavoratrici, i ricercatori scientifici non dovrebbero portare sotto il proprio controllo quello che in decenni, in un modo o nell'altro, hanno già pagato?
Un unico servizio sanitario, nazionale, pubblico, gratuito, ha bisogno di una produzione e ricerca farmaceutica finalmente liberate dal capitalismo. Nel mondo, in Europa, in Italia.