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Dichiarazione del Comitato Centrale del RRP (Russia) in relazione all'insurrezione militare

 


24 Giugno 2023

Pubblichiamo la prima dichiarazione del Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario) sull'attuale situazione in Russia. Seguiremo con attenzione lo sviluppo degli avvenimenti nelle prossime ore e nei prossimi giorni, e le ripercussioni che ciò che sta avvenendo avrà rispetto alla guerra imperialista della Russia in Ucraina

Indipendentemente dall'esito del putsch di Prigozhin, questa "ribellione" porterà solo a un irrigidimento del regime e all'introduzione di una dittatura in Russia. La natura di classe di Prigozhin e la natura delle sue dichiarazioni politiche non permettono di sperare che, in caso di vittoria, il regime diventi più sociale. Al contrario, Prigozhin potrebbe piuttosto cambiare la situazione verso una più aperta dittatura del capitale.

I proletari potrebbero approfittare della situazione di divisione delle élite per prendere il potere, se avessero una propria organizzazione di classe e un programma politico chiaro, ma al momento non è così. Tuttavia, la situazione attuale e la confusione del Presidente e del Governo di fronte alla rivolta sfatano completamente il mito dell'inviolabilità e dell'inattaccabilità del potere di Putin.

Su questa base, il Comitato Centrale del Partito Operaio Rivoluzionario esorta i proletari coscienti a organizzarsi in brigate per difendersi, poiché la situazione in Russia è fuori controllo, ma nessuna delle due parti in conflitto è proletaria e non merita di essere sostenuta.

Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario)

L'ENI in guerra... contro l'Ucraina

 


L'ipocrisia dell'imperialismo italiano e dei suoi affari

22 Giugno 2023

L'invio delle armi all'Ucraina è da tempo oggetto del confronto pubblico. Chi lo rivendica lo fa nel nome della NATO. Chi lo boicotta lo fa contro la NATO e la resistenza ucraina, dipinta come pura appendice della NATO. Noi difendiamo il diritto alla resistenza ucraina contro la guerra d'invasione russa senza per questo cessare un solo istante di denunciare la natura della NATO e dell'imperialismo di casa nostra. Per questo siamo bersaglio congiunto degli atlantisti e dei rossobruni.

Solo che intervengono fatti che sbugiardano l'ipocrisia di entrambi.

L'ENI è il cuore economico dell'imperialismo italiano. Il grande ispiratore della sua politica estera. La principale azienda capitalista nel continente africano. L'imperialismo italiano si sente tutelato dall'Alleanza Atlantica, e così l'ENI. Ma non al prezzo di sacrificare i propri affari su scala mondiale. Accade così che, mentre l'Italia invia armi all'Ucraina, ENI rifornisce la Russia di prodotti petroliferi essenziali per la sua guerra contro l'Ucraina.

Avete capito bene. Nel Kazakistan uno dei più grandi giacimenti di gas e petrolio esistenti al mondo, quello di Karachaganak, di proprietà ENI, produce elio, un gas indispensabile per l'industria militare ed aerospaziale, usato in particolare dalla Russia per quattro tipi di armi (i razzi spaziali di tipo Angara, quelli di tipo Sojuz, il veicolo spaziale KTDU, il missile intercontinentale SS-19 Stiletto). La produzione di elio in Kazakistan finisce direttamente alla Russia. Serve a trasportare in orbita i satelliti militari spia che permettono di controllare impianti ucraini per poterli colpire con armi di alta precisione. Le bombe che in Ucraina distruggono centrali elettriche, case, ospedali, scuole, godono anche di un contributo italiano.

Naturalmente con ciò non diciamo affatto che allora “l'Italia è in guerra al fianco della Russia”. Perché sappiamo bene che così non è, e la demagogia un tanto al chilo non ci appartiene. E tuttavia due cose colpiscono. In primo luogo, l'ipocrisia dell'imperialismo italiano e dei suoi gioielli di casa, che da un lato osannano il governo liberista di Zelensky (con un occhio al mercato della ricostruzione futura dell'Ucraina) e dall'altro aiutano i bombardamenti russi che distruggono l'Ucraina. In secondo luogo, il silenzio di rossobruni e di tanti pacifisti, che essendo impegnati a denunciare la resistenza ucraina contro l'invasione russa, non sanno bene che dire di fronte alla complicità dell'ENI nei bombardamenti russi. Quindi preferiscono tacere.

Quanto a noi, ne ricaviamo l'ennesima conferma. La resistenza ucraina contro la guerra d'invasione dell'imperialismo russo ha un solo possibile alleato sicuro: il proletariato russo e la classe operaia internazionale. Non certo gli imperialismi d'Occidente. Da questi, gli ucraini ricevono oggi le armi con cui hanno diritto a difendersi, ma non avranno mai un sostegno coerente, se non nei limiti dei loro interessi imperialistici. Interessi che giocano sempre su tutti i tavoli, sempre sulla pelle dei popoli. Il popolo curdo, che giustamente ha usato nella propria lotta di resistenza anche le armi di provenienza americana, è stato rapidamente scaricato dalle “democrazie” d'Occidente, pur di allargare la NATO a Svezia e Finlandia. È una lezione che il popolo ucraino e la sua resistenza farà bene a ricordare.

La lotta per la pace o è una lotta contro tutti gli imperialismi o non è.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il crollo della sanità pubblica in Italia

 


L'emergenza sanitaria, l'urgenza di una svolta

20 Giugno 2023

Il disastro del sistema sanitario italiano non è una notizia. Lo è la precipitazione che l'investe, a partire dalla condizione di chi ci lavora. Il taglio di trentamila posti letto negli ultimi dieci anni ha falcidiato i posti di lavoro nel momento stesso in cui il ciclone della pandemia ha accumulato un gigantesco ritardo e abbattimento delle prestazioni ordinarie. Mediamente sono trecento le ore di lavoro extra non retribuite accumulate dal personale medico. Il personale infermieristico non è da meno. Gli stipendi sono in picchiata. Il contratto 2019/2021 è già scaduto e non viene rinnovato. Il governo offre un aumento del 4% che è esattamente la metà di quanto è stato già mangiato dall'inflazione. Un insulto.

Lo stanziamento previsto per la sanità dal famigerato PNRR è di una modestissima manciata di miliardi, per di più a debito. Le cosiddette Case di comunità che dovrebbero fare da maxiambulatori sono disegnate sulla carta ma non sono finanziate. Del resto il PNRR è un'operazione una tantum, non può farsi carico di un investimento strutturale in nuove assunzioni. La risultante è la fuga del personale sanitario in direzione delle cliniche private, quelle invece lautamente retribuite con risorse pubbliche. Il tutto sullo sfondo di una divaricazione sempre più ampia tra regione e regione, che l'autonomia differenziata minaccia di accrescere drammaticamente.

È necessaria una svolta. Non si può rispondere all'emergenza sanitaria con misure ordinarie. Occorre un sistema di misure straordinarie in fatto di massicce assunzioni e di aumento delle retribuzioni. La riapertura delle duecento strutture sanitarie tagliate nell'ultimo decennio. La nazionalizzazione dell'intero sistema sanitario. Una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco, che da sola libererebbe 400 miliardi per opere sociali. La cancellazione del debito pubblico verso le banche (80 miliardi annui di soli interessi) e la devoluzione delle risorse così risparmiate in sanità pubblica, risanamento ambientale, istruzione.

È necessaria una grande mobilitazione del movimento operaio attorno a una piattaforma di svolta. L'emergenza sanitaria deve rappresentare un riferimento essenziale di questa piattaforma. Una piattaforma di lotta che non abbia paura di sfidare le compatibilità di questo sistema capitalista, che è capace di aumentare le spese militari, di detassare i profitti dei capitalisti, di saccheggiare l'ambiente naturale, ma non di curare chi ha bisogno e di dare dignità a chi lavora.

Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici potrà segnare una svolta complessiva.

Partito Comunista dei Lavoratori

Omofobia di guerra

 


L'invasione dell'Ucraina e l'offensiva anti-LGBT

21 Giugno 2023

L'ossessione omofoba ha caratterizzato da sempre il machismo putiniano. Ma la guerra in Ucraina ha trascinato con sé un salto ulteriore. È stata varata con voto unanime una legge che proibisce la transizione verso l'altro sesso perché “la transizione sarebbe un modo di sottrarsi alla chiamata alle armi”. Lo ha sostenuto pubblicamente il vicepresidente della Duma Pyotr Tolstoj, nipote del grande scrittore russo, arruolato nelle file di Russia Unita.

È stato fondato, su iniziativa di Putin, un istituto di ricerca per “studiare i gay” e promuovere “metodi psichiatrici per riportare le idee sul proprio ruolo gender alla realtà”. I canali Telegram del regime dileggiano le manifestazioni europee dei movimenti LGBT denunciandole come manifesto della depravazione occidentale. La presenza nell'esercito ucraino di unità di volontari transgender è additata come prova di satanismo. In diverse regioni della Russia sono operanti centri di rieducazione di gay, lesbiche, transessuali coi metodi dell'isolamento e della tortura.

Il Patriarca Kyrill, ex KGB, mobilita la Chiesa ortodossa a sostegno di questa campagna, non senza chiedere in aggiunta il divieto per legge dell'aborto in ogni sua forma. Le truppe cecene dell'islamofascista Kadyrov rivendicano pubblicamente l'omicidio dei gay come dovere morale e pratica militare, già da anni peraltro attuata in Cecenia con la copertura di Putin.

Putin fa della campagna omofoba un tratto identitario della guerra russa. Una ragione in più per opporsi alla sua guerra, al fianco di chi in Russia contesta sia la guerra che l'omofobia del regime.

Partito Comunista dei Lavoratori

TFA sostegno VIII ciclo: le storture di un sistema malato


 Come tutti gli anni, nel periodo estivo si sosterranno le prove per l’ammissione al "TFA Sostegno" (Tirocinio Formativo Attivo,ndr), giunto ormai alla sua VIII edizione. Il bando generale (D.M. 694 del 30 maggio 2023) riporta solo le date per sostenere i test preselettivi e recepisce quanto disposto recentemente dal governo, in termini di nuove modalità di reclutamento. Un rompicapo che metterebbe alla prova anche il più abile giurista.


La scuola, com’è noto, è regolamentata da un ginepraio normativo che viene usato come banco di prova da tutti i governi che si susseguono, i quali utilizzano come arma di propaganda, i soliti slogan. Tra questi ritroviamo la semplificazione del reclutamento a fronte del moltiplicarsi delle graduatorie e la predisposizione di percorsi più coerenti per il reclutamento dei docenti, che possa premiare una volta per tutte chi ha valorosamente sostenuto la scuola in tutti questi anni, soprattutto durante la fase pandemica. Tutto questo è ovviamente falso, di fronte alla concretezza dei fatti.

I percorsi per il reclutamento del personale docente non sono stati semplificati, al contrario prevedono l’acquisizione di ulteriori CFU (Crediti Formativi Universitari, ndr), oltre ai 24 previsti dalla "Buona scuola" e dal vecchio decreto legislativo 59/2017, che salgono a quota 30. Per chi vorrà poi sostenere i concorsi su posto comune, oltre al concorso dovrà acquisire 60 CFU presso l’università. Da ciò ovviamente scaturiranno graduatorie su graduatorie al fine di ricreare la medesima imbarazzante situazione, vigente al momento della creazione delle GPS (Graduatorie Provinciali per le Supplenze, ndr) introdotte nel 2020 dal Ministro Azzolina. L’Unico pregio delle GPS era sottrarre alle scuole il meccanismo delle chiamate e riordinare le graduatorie. Vale però la solita solfa: un passo avanti per compierne molti di più a ritroso.

Il TFA sostegno rientra in questo pittoresco scenario, i cui aspetti negativi sono stati denunciati per anni dai precari che hanno deciso di seguire questa strada. Uno sguardo superficiale è in grado già di captare i primi segni di questo meccanismo sbagliato: le università a disposizione (come al solito), sono più numerose nelle regioni in cui il numero di scuole è nettamente minore. Ad esempio, in Lombardia, solo 4 università (di cui tre nella città di Milano e una a Bergamo) mettono a disposizione un numero di posti esiguo (si tratta da decreto di 1170 in totale) a fronte dell’altissimo numero di scuole e di conseguenza di insegnanti. Al contrario in una regione come il Lazio, troviamo ben 10 università a disposizione. Se ci spostiamo in Sicilia, nella sola università di Palermo sono banditi in totale 1400 posti e così nella Università di Messina, 1000 a Catania.

In Campania le sole due università previste dal bando, arrivano a 3540 posti.

Una follia se pensiamo che questi docenti sono inseriti nelle GPS di altre province. Significa dover rinunciare ad un anno di servizio. Molti docenti, che per anni hanno fatto sacrifici e si sono trasferiti dal sud per poter lavorare, sono ora costretti a tornare a casa perché i posti messi al bando nelle università sono molto alti e offrono dunque maggiore opportunità di successo. Per chi poi, deve spostarsi ex novo, significa doversi mantenere un anno in una regione lontana dal proprio luogo di residenza (cfr a fondo pagina e il link: i principali dati della scuola - avvio anno scolastico 2020-2021 - miur.gov.it)


FORMAZIONE PERMANENTE: TUTTA SULLE SPALLE DEI PRECARI

Al di là degli sforzi già impressionanti per poter sostenere un percorso che prevede concorso per accedere con competenze in ingresso già molto ampie, viaggi per frequentare le lezioni, esami, laboratori e tirocinio da effettuarsi fuori dall’orario di servizio, l’aspetto forse più delicato riguarda i costi.

La media nazionale è di 3000 euro, ma il range per conseguire la specializzazione varia da 2500 a 45001. I costi più alti si registrano all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e arrivano a 4100 euro. Un vero e proprio salasso.

Anche noi crediamo fermamente nel valore della formazione, perché siamo docenti e l’aggiornamento professionale è d’obbligo, non solo per quel che concerne i contenuti disciplinari ma anche sulle acquisizioni pedagogiche in continuo sviluppo. Crediamo però altrettanto fermamente anche al fatto che la formazione non possa essere così onerosa e a carico dei docenti, soprattutto precari, ai quali sono richiesti requisiti molto alti se confrontati ai colleghi già in ruolo.

Dunque, com’è possibile non pensare che ci sia del marcio visto il calo di iscrizioni nelle università, che di anno in anno continua ad aumentare? Non è forse lecito pensare che i soldi vengano recuperati dai docenti “poco formati e preparati”?

Se facciamo due calcoli, le università che bandiscono un altissimo numero di posti con costi molto alti, saranno forse dedite alla formazione dei docenti??? Pensiamo alla soprannominata Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, la quale chiede 4100 euro per un totale di 2160 posti. Fate pure voi la moltiplicazione.


QUALE FORMAZIONE PER QUALE RUOLO?

Pensiamo che il sistema di formazione e di reclutamento dei docenti debba essere radicalmente cambiato, pur consapevoli che solo un governo dei lavoratori potrà rendere effettivo questo cambiamento.

Come lavorator@ della scuola chiediamo:

• Lauree abilitanti per porre fine al mercimonio dei crediti formativi post-laurea; nello specifico un biennio magistrale abilitante per posto comune e un percorso analogo abilitante per il sostegno.
• Abolizione delle università telematiche;
• Un periodo transitorio in cui accedere ai percorsi vigenti, pagando una tassa di iscrizione uguale per tutti di 500 euro.
• Un sistema di tasse universitario basato su l’ISEE che sia progressivo, che non penalizzi le fasce intermedie e che tassi i redditi alti;
• Un sistema di reclutamento che preveda dunque, dopo le lauree abilitanti, un concorso e il consueto anno di prova presso un’istituzione scolastica con superamento di prova finale presso comitato di valutazione.

Lavorator@ della scuola – Partito Comunista dei Lavoratori

Nazionalismo russo e difesa dell'Ucraina


 Le posture nazionaliste ucraine avvantaggiamo l'imperialismo russo invasore

«Non ci sono russi buoni o cattivi. Il cento percento della popolazione russa è responsabile della guerra d'invasione dell'Ucraina». Cosi ha dichiarato il 2 giugno Yermak, portavoce di Zelensky. Non a caso la dichiarazione è stata ripresa immediatamente dal canale Telegram di Putin col titolo: “Il governo ucraino prende di mira l'intero popolo russo”. Quale occasione migliore per galvanizzare lo sciovinismo russo a sostegno dell'invasione dell'Ucraina?

La verità è che il nazionalismo russofobico alimentato da diversi ambienti di governo ucraini non solo non rafforza ma indebolisce la difesa dell'Ucraina, al pari della rivendicazione della riconquista della Crimea. Tali posture infatti consentono all'imperialismo russo di consolidare le retrovie del consenso interno alla guerra, vitale per il suo proseguimento. E persino di alimentare la propria campagna grottesca, completamente falsa, contro l'inesistente “regime nazista di Kiev”, campagna replicata dai mercenari filonazisti della Wagner e dagli islamofascisti ceceni di Kadyrov.

Naturalmente il nazionalismo del governo borghese di Zelensky non è una ragione per non difendere l'Ucraina dalla guerra d'invasione russa, dai bombardamenti quotidiani cui vengono sottoposte tutte le sue principali città, dalle annessioni imperialiste di parte del suo territorio operate dalle forze d'occupazione russe dopo il 24 febbraio 2022. Ma la migliore difesa dell'Ucraina non è quella che si riduce alla pur necessaria resistenza armata. È quella che combina la guerra nazionale di difesa dagli invasori con l'appello al proletariato e alla popolazione povera di Russia perché si ribellino al proprio governo e alla sua guerra. Una guerra condotta non solo contro l'Ucraina ma contro gli interessi dei lavoratori russi: con la compressione delle loro condizioni di vita e di lavoro, il loro arruolamento al fronte, l'ulteriore limitazione dei loro diritti democratici, una nuova irregimentazione della vita pubblica russa.

L'apertura di un fronte proletario di opposizione in Russia contro la guerra di Putin segnerebbe una svolta decisiva nell'intero scenario di guerra. Ma richiede una politica internazionalista da parte Ucraina che è incompatibile con la natura del governo Zelensky.

La politica di fraternizzazione tra proletari ucraini e proletari russi ha dunque due nemici. Innanzitutto lo sciovinismo imperialista grande-russo, ma anche il nazionalismo borghese ucraino. Per questo difendiamo l'Ucraina nonostante Zelensky, in opposizione alla sua politica, nel segno dell'internazionalismo proletario.

Partito Comunista dei Lavoratori

Non è il nostro Stato, non è il nostro lutto

 


Per una analisi di classe della parabola del berlusconismo, fuori da ogni lettura liberale e giustizialista

Non ci meravigliano i funerali di Stato e il lutto nazionale per Berlusconi. Quello che a noi interessa è un bilancio di verità sulla storia del berlusconismo e delle sue resurrezioni

Il governo a guida postfascista di Giorgia Meloni ha tributato un'autentica celebrazione alla memoria di Berlusconi. Come neppure alla regina Elisabetta. Molte le ragioni di questa scelta politica: un ringraziamento all'uomo che sdoganò la famiglia missina nel lontano 1994; un tributo a Forza Italia quale partito della maggioranza alla vigilia delle elezioni europee; e soprattutto una prenotazione del suo elettorato in (prevedibile) uscita dopo la morte del mitico Cavaliere. In altri termini, un investimento sul proprio futuro.
Questa celebrazione a reti unificate, senza precedenti istituzionali, trova peraltro un riscontro nel senso comune di una parte dell'opinione popolare, in particolare piccolo-borghese. Un capitalista di grande successo nei diversi campi della sua attività è oggetto fisiologico dell'invidia ammirata del piccolo-borghese, una proiezione spesso inconfessata dei suoi sogni e delle sue frustrazioni. Uno dei segreti del fascino berlusconiano.
La morte di Berlusconi ha fatto da stura a questa parte del sentimento pubblico con un carico suggestivo di nostalgia e incantamento.

Più complesso il posizionamento del cosiddetto campo avverso al berlusconismo, sia quello borghese liberale (PD) che quello di matrice giustizialista.
Il primo ha oscillato tra un imbarazzata reverenza istituzionale per i funerali di Stato e i dubbi manifesti sugli “eccessi” del cerimoniale.
Il secondo ha rispolverato il proprio armamentario tradizionale contro la indubbia delinquenza di Berlusconi in fatto di evasione fiscale, di relazioni mafiose, di leggi ad personam, di onnipotenza televisiva, attribuendo il successo dell'uomo alla potenza dei suoi mezzi economici e alla spregiudicatezza impunita del loro utilizzo. Tutti elementi veri, intendiamoci, ma parziali. Perché ciò che rimuovono è l'aspetto essenziale: la dinamica di classe che ha sospinto il fenomeno Berlusconi.

L'ascesa e durata del fenomeno Berlusconi vanno ricondotte alle responsabilità decisive delle forze egemoni dell'antiberlusconismo: le responsabilità del liberalismo borghese progressista (PDS, DS, PD), come in parte di quello giustizialista. Sono loro che hanno spianato la strada prima allo sfondamento politico del Cavaliere negli anni '90, poi alle sue ripetute resurrezioni. Col contributo decisivo, ogni volta, dei gruppi dirigenti della sinistra politica, inclusa quella cosiddetta radicale.

Vediamo allora di ricapitolare questa dinamica.

Il PCI venne sciolto dopo il crollo del Muro di Berlino perché il suo gruppo dirigente, nel nuovo contesto, vide sgombra la via per il proprio ingresso al governo del capitalismo italiano. I governi Amato (1992) e Ciampi (1993) tennero a battesimo il nuovo Partito Democratico della Sinistra (PDS), coinvolgendolo indirettamente nel primo attacco alle pensioni, nel prelievo notturno dai conti correnti, nel patto di concertazione contro i salari, nella distruzione della scala mobile. Ciò che scatenò nel 1992 l'autunno dei bulloni contro una burocrazia sindacale complice della svendita. La sinistra si identificò con l'establishment nel momento stesso in cui il crollo dei vecchi partiti borghesi della prima Repubblica (DC, PSI), trascinato da Tangentopoli, creava un'enorme vuoto di rappresentanza politica. La distruzione del sistema elettorale proporzionale, voluta dal PDS in funzione della propria ambizione di governo, fece il resto.

Certo, Berlusconi si buttò nell'arena politica per tutelare i propri interessi aziendali. Ma poté farlo ed avere successo proprio perché i liberalprogressisti gli avevano spianato la strada, consentendo a un grande capitalista senza scrupoli di presentarsi paradossalmente come "l'uomo nuovo", dentro un sistema elettorale ideale per la sua scalata.
Peraltro vale la pena ricordare ai giustizialisti che Berlusconi usò nel 1992 la stessa inchiesta di Mani Pulite per salire in groppa alla domanda di cambiamento, e alla fine intestarsela. Un'operazione populista consentita dal disarmo parallelo del movimento operaio. L'ingresso della neonata Rifondazione Comunista nel Polo dei progressisti occhettiano-ciampista (1994) avallò questo disarmo.

Il primo governo Berlusconi, 1994, intraprese da subito un attacco frontale al sistema pensionistico, sulla scia delle misure di Amato. Ne scaturì un duro scontro sociale dall'esito incerto. Gianni Agnelli coniò la famosa espressione: "Se Berlusconi vince, vince per tutti; se perde, perde da solo”. Era un affidamento alla prova di forza intentata dal Cavaliere, ma senza identificazione nelle sue fortune.
I sindacati, sfidati frontalmente, promossero lo sciopero generale. Lo sciopero registrò una partecipazione enorme. Il governo fece marcia indietro e la dissociazione della Lega di Bossi lo affondò precocemente.
Ma il nuovo governo Dini, 1995, nato dall'inedita alleanza tra PDS e Lega (“costola della sinistra” la definì D'Alema) esordì proprio con il varo della riforma contributiva della previdenza pubblica, quella contro cui i lavoratori avevano scioperato. La CGIL di Sergio Cofferati coprì il governo con tanto di brogli nelle assemblee operaie per far passare l'accordo. Un disastro.

La legislatura di centrosinistra (1996-2001), coi governi Prodi, D'Alema, Amato, completò su tutta la linea l'opera di restaurazione antioperaia: lavoro interinale, privatizzazioni, tagli sociali a sanità e istruzione, parità tra scuola pubblica e privata, bombardamento di Belgrado, riforma costituzionale filoleghista (articolo V). Era la linea del grande capitale italiano, vero mandante del centrosinistra dopo la breve parentesi berlusconiana del 1994. L'ingresso di Rifondazione nella maggioranza del governo Prodi, e poi del Partito dei Comunisti Italiani di Cossutta e Rizzo nei governi D'Alema e Amato, coprirono a sinistra questa politica. La grande delusione operaia e popolare che ne scaturì sospinse nel 2001 il ritorno di Berlusconi al governo.

La nuova legislatura Berlusconi (2001-2006) preservò e appesantì le misure antioperaie del centrosinistra. In particolare col varo della legge 30 (legge Maroni), che estese a dismisura la precarizzazione del lavoro, con un nuovo intervento sulle pensioni, e con l'attacco all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Parallelamente, il sostegno e la partecipazione italiana alle missioni militari imperialiste in Afghanistan e in Iraq, e già prima lo scontro frontale col movimento no global nelle giornate di Genova 2001, concorsero a segnare una linea di frattura tra il governo e un vasto sentimento popolare.
Fu una stagione intensa di movimenti: il movimento operaio con la grande piazza CGIL di San Giovanni a Roma a difesa dell'articolo 18 che costrinse Berlusconi a un passo indietro; il movimento contro la guerra, il più grande nell'Europa capitalista; persino un movimento democratico (i “girotondi” di Nanni Moretti), che fiancheggiava criticamente il centrosinistra in opposizione a Berlusconi. Ma a partire dal 2004, un nuovo accordo tra i DS e Rifondazione Comunista mise la sordina alla mobilitazione sociale per preparare la comune alternanza di governo. Alleanza che per pochi voti, nel 2006, aprì la nuova stagione dell'Ulivo e dell'Unione.

Il nuovo governo di centrosinistra (2006-2008), con la presenza ministeriale di Rifondazione, mantenne tutte le misure antioperaie varate da Berlusconi. Vi aggiunse un intervento a favore della previdenza integrativa col coinvolgimento del TFR, l'aumento delle spese militari e del finanziamento delle missioni, una straordinaria detassazione dei profitti di banche e imprese (con l'IRES che passò dal 34% al 27,5% nella sola finanziaria del 2007). Un programma contro i lavoratori combinato con la promozione dei massimi responsabili della repressione del G8 di Genova ( De Gennaro). Una doccia gelida per tutti i movimenti che si erano battuti negli anni precedenti per la cacciata di Berlusconi. Un autentico tradimento di aspettative e interessi, come tale avvertito da grandi masse, fonte di disincanto e passivizzazione. La caduta precoce del secondo governo Prodi, per l'eterogeneità di una maggioranza che andava da Turigliatto a Mastella, segnò la disfatta dell'Unione e in particolare di Rifondazione, che ne uscì distrutta. Ancora una volta fu Berlusconi, nelle elezioni del 2008, a capitalizzare la disfatta della sinistra.

Il terzo governo Berlusconi (2008-2011), ancora una volta resuscitato dai liberali, preservò tutte le misure già varate dal centrosinistra, aggiungendovi un attacco pesantissimo alla scuola pubblica, con la riforma Gelmini e i suoi 8 miliardi di tagli. Una riforma mantenuta da tutti i governi successivi. Ma la grande crisi capitalistica iniziata nel 2008, e precipitata in Italia nel 2010-2011, portò ad una conclusione traumatica l'esperienza di governo, con l'avvento del governo Monti e le sue terapie d'urto contro i lavoratori, votate insieme da centrodestra – Meloni inclusa – e centrosinistra.
Fu l'inizio dello sfaldamento del bipolarismo italiano, e l'irruzione di un lungo ciclo populista, segnato prima dal M5S di Grillo, poi dall'ascesa di Salvini, infine dal trionfo di Giorgia Meloni. Un ciclo che si è combinato con un riflusso prolungato del movimento operaio, senza pari in Europa per profondità e durata, e una penetrazione di suggestioni reazionarie in vasti settori di salariati.
Il ripiegamento della sinistra “radicale” nei blocchi giustizialisti con Di Pietro e Ingroia, con l'abbandono della centralità del lavoro, lasciò campo libero a questa deriva. In ogni caso fu incapace di contrastarla.

Quanto alla stella di Berlusconi, aveva iniziato a declinare già nel 2011. L'egemonia berlusconiana sul centrodestra si esaurì a metà del decennio, a vantaggio di Salvini e Meloni.
La rapida consumazione della parentesi di unità nazionale a guida Draghi, col pieno coinvolgimento del PD ("l'agenda Draghi”) ha preparato lo sbocco annunciato di un governo a guida postfascista, il più a destra dell'Italia repubblicana.
Forza Italia è sopravvissuta a questo ciclone, e oggi partecipa al governo. Sopravvivrà alla morte di Berlusconi? Vedremo presto il dipanarsi della sua crisi annunciata e/o della sua possibile deflagrazione. Non è di questo che qui ci occupiamo.

Ciò che qui vogliamo evidenziare è che, ieri come oggi, le fortune del centrodestra e ora della destra non sono mai state il portato di una forza intrinseca, ma del lungo corso della politica delle sinistre, del loro accodamento a forze estranee alle ragioni del lavoro o apertamente avversarie del lavoro.
La destra raccoglie quello che la sinistra semina.

Solo una ripresa della lotta di classe, solo una egemonia della classe operaia nella stessa battaglia democratica contro la destra, possono disgregare il blocco sociale reazionario, cambiare i rapporti di forza, dischiudere una vera alternativa. Ciò che richiede lo sviluppo di un partito indipendente della classe lavoratrice attorno a un programma anticapitalista: una sinistra rivoluzionaria.

Non ci meravigliano i funerali di Stato e il lutto nazionale per Berlusconi. Di certo non è il nostro Stato e non è il nostro lutto. Ci interessa un bilancio di verità sulla storia del berlusconismo e delle sue ripetute resurrezioni. Ci interessa una svolta della nostra classe, per una alternativa di società e di potere. Per una Repubblica dei lavoratori e delle lavoratrici, l'unica che possa fondarsi sul lavoro, l'unica che possa recidere le basi materiali della reazione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Per un movimento LGBTQIAP+ anticapitalista e rivoluzionario

 


Testo del volantino del PCL in distribuzione nei pride 2023

Anche quest'anno il mese di giugno – il Pride Month per la comunità LGBTQIAP+ – si apre all'insegna della rabbia e della frustrazione. Tutti e tutte noi abbiamo ben impresse le recenti immagini della polizia locale di Milano, città peraltro guidata da una giunta cosiddetta "progressista" e che si proclama "aperta" e "sicura" per le persone LGBTQIAP+, che picchiano e arrestano Bruna, una donna trans di origine brasiliana, che stava attraversando un momento di fragilità. Ma questo è solo il più recente (e uno dei pochi rimbalzati sulla stampa generalista) episodio di odio omolesbobitransafobico avvenuti nel corso degli ultimi mesi.


Negli stessi giorni a Bologna, la "città più libera del mondo" si diceva qualche anno fa, veniva sgomberato l'ennesimo spazio occupato ad opera della solerte questura cittadina e della giunta comunale "più progressista d'Italia": si trattava della Vivaia TFQ, uno spazio transfemminista queer nato solo da qualche mese all'interno di un'area di proprietà privata ormai abbandonata da anni. L'unica colpa di questi/e compagni e compagne: aver messo in dubbio un sistema fondato su profitto, sfruttamento e omolesbobitransfobia e aver di conseguenza costruito uno luogo libero da tali logiche.

Quelle che subiamo, però, sono una violenza e un'oppressione che non conoscono confini nel nostro paese come nel resto del mondo. Nel periodo compreso tra marzo 2022 e marzo 2023 ci sono state 115 aggressioni (tra cui 2 omicidi) a sfondo omolesbobitransafobico. Sempre lo scorso anno solo la transfobia ha causato 10 vittime nel nostro paese. Si tratta del dato peggiore di tutto il continente, ma la cosa purtroppo non ci sorprende, visto quando detto poco fa.
E la situazione non è affatto migliore se guardiamo agli ultimi mesi: dall'inizio di quest'anno si contano, secondo l'osservatorio di Non Una di Meno, 35 casi di femminicidio, lesbicidio e trans*cidio. Tutte morti che – insieme alle migliaia di lavoratori e lavoratrici uccisi/e ogni anno e ai migranti abbandonati a morire nel Mediterraneo o condannati all'inferno dei CPR – hanno un solo e univoco responsabile: il modello capitalista e la società borghese, ossia la "civiltà" (se così vogliamo chiamarla) degli sfruttatori e degli oppressori.

Inoltre, nel nostro paese, alla perdurante instabilità a livello internazionale, causata dalle conseguenze socio-economiche della pandemia globale e dal sanguinoso conflitto russo-ucraino con la conseguente crisi, si deve anche sommare la pericolosa deriva reazionaria e autoritaria che ha caratterizzato le istituzioni repubblicane dopo la vittoria elettorale di Fratelli d'Italia e la nascita del governo Meloni.,
Durante questi otto mesi di governo postfascista e sovranista abbiamo visto susseguirsi una lunga serie di misure e di dichiarazioni che candidamente hanno svelato la natura ferocemente classista, filopadronale, misogina, razzista e omolesbobitransafobica dell'attuale compagine di potere. Una combriccola che per noi – sfruttati/e ed oppressi/e – ha da offrire solo repressione, povertà e annullamento dei diritti acquisiti, mentre non smette di offrire regalie e favori al padronato e continua a fare inquietanti promesse e a dare aperto supporto alle organizzazioni neofasciste e fondamentaliste, che sono tra le principali fautrici del clima sempre più esasperato di intolleranza e odio di cui sono bersaglio primario soggettività queer, donne, persone razzializzate, subculture (pensiamo al cosiddetto "decreto anti-rave" o ai divieti imposti ad alcuni collettivi punk), i movimenti sociali (come abbiamo visto accadere ai/lle giovani attivisti e attiviste dei movimenti ambientalisti) e le avanguardie politiche e sindacali.

Mentre tutto ciò accade, assistiamo al balbettio inconsistente e alla falsa opposizione dei partiti di centrosinistra e del movimento LGBTQIAP+ e femminista mainstream che, al di là della sbiadita patina di progressismo e antifascismo sotto cui tentano di nascondersi, sono solo la cassa di risonanza di coloro che da sempre ci sfruttano e ci odiano.
Il tempo della fiducia nelle istituzioni e nelle illusioni riformiste e assimilazioniste per noi è finito per sempre. Il nostro movimento deve creare, autorganizzandosi su basi anticapitaliste e antifasciste, un fronte ampio che unisca tutte le lotte e persegua questi obiettivi fondamentali:

• La cacciata del governo Meloni e la fine di ogni forma di oppressione e sfruttamento, di ogni morte ingiusta e di ogni atto di violenza. La fine di questo mondo barbaro, l'avvento della rivoluzione!

• Per un movimento LGBTQIAP+ antifascista, antirazzista e anticlericale! Lotta senza quartiere contro le organizzazioni integraliste neocattoliche, neofasciste, razziste e bigotte. Nessuna legittimità e nessuna agibilità per chi attenta alla vita e alla libertà delle donne e delle soggettività LGBTQIAP+ e razzializzate!

• Il riconoscimento e il diritto di autodeterminazione di tutte le identità trans* e non binarie, dello spettro Bi+ e di quello AroAce, delle persone intersex e la distruzione definitiva del paradigma [cis]eteronormativo, così che ogni forma di discriminazione e oppressione basata sull'orientamento sessuale e/o sull’identità di genere perda la propria forza. Per Bruna, per Cloe, per Maudit, per Elios, per Morgana, per Naomi, per Sasha, per Chiara, per Camilla, per tutte le persone queer vittime della
violenza di questo sistema!

• Per la convergenza tra le battaglie per i diritti civili e quelle del movimento operaio in una comune prospettiva rivoluzionaria e internazionalista. Non può esistere dittatura del proletariato senza liberazione delle donne e delle persone LGBTQIAP+! Non può esistere liberazione della donna e delle persone LGBTQIAP+ senza dittatura del proletariato!

• La difesa degli spazi di incontro e autodeterminazione come consultori, centri antiviolenza, e di tutti gli spazi sicuri, in particolar modo le realtà occupate, gestiti da gruppi e collettivi femministi, transfemministi e queer.
Solidarietà alla Vivaia TFQ di Bologna e a tutti gli spazi occupati e transfemministi queer sgomberati o fatti oggetto della repressione di stato!

• Cancellare le numerose e molteplici forme di patologizzazione e violenza perpetrate contro le persone LGBTQIA+, disabili e neurodivergenti all’interno dei contesti e dei percorsi medici, psicologici e socio-sanitari; per un diritto alla salute – totalmente pubblico, gratuito e garantito – veramente inclusivo e perciò definitivamente libero dalla morale borghese: senza discriminazioni di classe, razzismo, sessismo, omolesbobitransafobia e abilismo.

• No alle divise al pride e negli altri momenti di lotta della comunità LGBTQIAP+! Dobbiamo riconoscere la natura reazionaria e repressiva di queste istituzioni e fare come a Stonewall: nessuno spazio per le forze dell'ordine e per le forze armate dentro al movimento queer!

• Per la difesa incondizionata del diritto all'aborto; perché il diritto all'aborto deve essere realmente libero, garantito e inclusivo in ogni luogo. Cacciamo antiabortisti e preti dagli ospedali e dai consultori!

• La cancellazione di tutte le forme di precarietà nei luoghi di lavoro, con il ripristino dell’articolo 18 e l’inserimento di norme che contrastino in modo sostanziale e inflessibile le discriminazioni contro l’identità di genere e l’orientamento sessuale da parte della classe padronale.

• Annientare il ruolo reazionario della Chiesa cattolica: abolizione del Concordato e di tutte le regalie concesse al Vaticano, come la truffa dell’8x1000. No all'insegnamento della religione nella scuola pubblica! No alle ingerenze del Vaticano sulla libertà e sulla salute delle donne e delle soggettività queer!

• Il riconoscimento della genitorialità per le persone single e per le coppie LGBTQIAP+.


Questa è la prospettiva per cui lottiamo.

Partito Comunista dei Lavoratori - commissione donne e altre oppressioni di genere

Dove sono i soldi

 


L'impudenza del portavoce delle banche. La necessità della loro nazionalizzazione

Il Presidente dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI), Antonio Patuelli, ha tuonato contro l'eccesso di spesa pubblica sulla stampa del Gruppo GEDI (La Stampa, 23 maggio). Il Sole 24 Ore la lanciato una campagna analoga denunciando la «dinamica incontrollata delle spese di assistenza sociale e pensionistiche». Si potrebbe dire che si tratta delle solite campagne padronali che da trent'anni hanno dettato a tutti i governi le peggiori terapie antioperaie. Ma c'è una differenza. Il rilancio della campagna padronale non avviene in un contesto di crisi ma in piena euforia dei profitti, come documentano gli stessi giornali padronali. Di più: proprio l'euforia dei profitti sospinge l'aumento dei prezzi, quello che falcidia i salari. Una dinamica europea. Persino la BCE calcola che nell'eurozona «il grosso della fiammata dei prezzi nella seconda metà del 2022 è stata determinata dall'incremento degli utili delle imprese» (Corriere della Sera, 22 maggio). Più chiaro di così.

L'euforia dei profitti attraversa diversi settori ma è clamoroso per le banche. Le prime venti banche europee hanno realizzato 56 miliardi di utili nel primo trimestre 2023. Sono in prima fila proprio le banche italiane, quelle rappresentate da Patuelli, quelle che in risposta all'alzata dei tassi della BCE hanno alzato i mutui variabili, per intenderci. Nel solo primo trimestre del 2023 le prime sei banche italiane hanno accumulato 8776 milioni di utili, quasi 9 miliardi, con un incremento medio del 56% rispetto all'analogo trimestre dell'anno precedente. Intesa San Paolo ha fatto meglio, con un aumento del 87,5. Per non parlare di Unicredit, i cui profitti nello stesso periodo sono passati da 274 milioni a 2,064 miliardi.

Naturalmente con l'incremento dei profitti è cresciuto il valore azionario dei rispettivi patrimoni in Borsa. Perché la maggiore redditività del capitale ha sospinto l'acquisto di azioni bancarie. facendone lievitare il valore. Dunque, più dividendi per gli azionisti, maggiore la loro ricchezza finanziaria.
Eppure nessuno si sogni di tassare i profitti, neppure quelli extra. «In dottrina non esiste la nozione di extraprofitti; qualora poi si volesse creare il neologismo si dovrebbe ammettere anche il suo contrario, le extraperdite», dichiara l'ineffabile Patuelli (23 maggio, La Stampa)

Bene. C'è una sola soluzione di svolta, all'insegna dell'igiene morale oltre che della giustizia sociale: nazionalizzare le banche, senza indennizzo per i grandi azionisti.
Basta parassiti a carico di chi lavora!
Solo un governo dei lavoratori può realizzare questa misura. Non a caso fu attuata dalla Rivoluzione d'ottobre. A tutti coloro che dicono, anche a sinistra, che il bolscevismo è inattuale perché non tiene il passo coi tempi, ci spieghino cosa c'è di più attuale. Il problema è prenderne coscienza.
Il PCL vive e lavora per questo. In ogni lotta, in ogni movimento di resistenza.

Partito Comunista dei Lavoratori

L'Italia scavalca la Francia. In Tunisia

 


La caccia di manodopera a basso costo dei capitalisti italiani

La competizione internazionale tra poli imperialisti coinvolge le rotte internazionali degli investimenti. La cosiddetta deglobalizzazione segna l'accorciamento delle catene del valore, cioè la ricerca da parte di ogni imperialismo di fonti di approvvigionamento più vicine geograficamente, e soprattutto il più possibile sottratte alle incognite di misure sanzionatorie e protezionistiche degli imperialismi rivali.
In questo senso si rafforza in particolare sia la tendenza al reshoring, cioè al reimpatrio delle produzioni industriali (soprattutto da Cina e dall'Asia), sia parallelamente la ricerca di un proprio cortile di prossimità in cui concentrare gli investimenti esteri.

È il caso dell'imperialismo italiano in Tunisia. Già ci siamo occupati recentemente del rischio di default di questo paese, per via dei gravami del debito estero connesso al salto dei tassi di interesse sospinto dalle banche centrali. Un rischio tuttora presente dettato dalla pratica usuraia del capitale finanziario. Ma le politiche di rapina in Tunisia riguardano anche, più direttamente, le pratiche d'impresa, innanzitutto italiane.

In Tunisia il costo del lavoro è un sesto di quello italiano. «La Tunisia ha soprattutto il grande vantaggio di avere tanti lavoratori disponibili, per di più in una zona agricola come questa dalla disoccupazione elevata» dichiara candidamente il padrone dell'azienda di Cornedo Vicentino che ha scelto la Tunisia come seconda patria. Un'azienda di materiale elettronico che investe anche in Romania e Cina ma che ora fa rotta sulla Tunisia. Duecento dipendenti, prossimamente trecento, in località Mornaguia. Prevalentemente giovani e donne. È una delle 911 aziende italiane presenti nel paese, con quasi 80000 posti di lavoro complessivi, prevalentemente nella meccanica e nel tessile abbigliamento, con 135 progetti nuovi nel prossimo anno. Sono aziende che hanno sostituito per lo più le produzioni in Oriente dopo la vicenda Covid e poi con la guerra in Ucraina.

L'Italia fa la parte del leone in Tunisia, sbalzando la Francia al primo posto come partner commerciale, con un incremento delle esportazioni del 39,1% rispetto al 2021 per un totale di 4 miliardi di euro. Il titolare della Sparco, azienda di Torino con 1200 dipendenti, conferma le ragioni della scelta tunisina: «A causa della disoccupazione persone più qualificate accettano di fare lavori al livello più basso». È la stessa ragione che spinge in Tunisia il gruppo Calzedonia con quattro fabbriche, e il gruppo Zoppas.

Il default non è un problema che preoccupa gli investitori italiani. Al contrario: «Un eventuale default potrebbe provocare un indebolimento del dinaro e addirittura una ulteriore riduzione dei costi» dichiara Albino Bellazzi, amministratore delegato di Sparco. In altri termini, più la Tunisia va in rovina, più cresce la disoccupazione, più i giovani e le donne tunisine saranno disponibili a subire un ribasso dei loro già miserabili salari pur di lavorare e sopravvivere. A tutto vantaggio dei nostri capitalisti. Il che spiega oltretutto l'avversione di quest'ultimi all'immigrazione tunisina verso l'Italia e l'Europa. Troppi emigrati riducono la riserva di manodopera disoccupata e dunque il potere di ricatto salariale dei padroni italiani.

Quando Giorgia Meloni gira l'Africa, dalla Tunisia all'Etiopia, con tanto di foto coloniali di scolaresche locali festanti che sventolano il tricolore per renderle omaggio, si occupa solo dell'interesse dei capitalisti italiani. Che non a caso seguono la premier con proprie delegazioni d'affari. La bandiera della Nazione e della Patria, purtroppo oggi rivalutate a sinistra, serve solo ad offrire un paravento di nobiltà all'imperialismo italiano e alla sua ricerca di manodopera a basso costo nelle periferie del mondo. È una ragione in più per una politica internazionalista contro l'imperialismo di casa nostra e contro ogni tossina di sovranismo.

Partito Comunista dei Lavoratori

Scemi di guerra e ipocriti di pace

 


La strana infatuazione della sinistra “radicale” per Marco Travaglio

Scemi di guerra. Un paese pacifista preso in ostaggio dai no pax è il nuovo best seller di Marco Travaglio. Ma è anche la nuova Bibbia di tanta parte della sinistra cosiddetta radicale in tema di Ucraina e di guerra.

Diciamo subito che la capacità di attrazione del travaglismo a sinistra è un fenomeno sconcertante. Travaglio non avrebbe nulla nel suo pedigree per meritare simpatie a sinistra. Allievo di Indro Montanelli, è stato il nume tutelare del giustizialismo manettaro negli ultimi vent'anni e passa, facendo leva sull'antiberlusconismo. È stato l'inquisitore di Lotta Continua sul caso Calabresi, in omaggio alla campagna dei PM. Il paladino di Antonio Di Pietro nel 2001 quando respingeva l'inchiesta parlamentare sul G8 di Genova a difesa dell'onorabilità della polizia. È stato il cantore di Beppe Grillo nel 2013 quando inveiva contro l'esistenza stessa dei sindacati. È stato la sponda giornalistica di Giuseppe Conte nel 2018 quando governava con Salvini e di Di Maio contro «i taxi del mare». Ha inoltre sostenuto le inchieste giudiziarie più maldestre contro le ONG, le sentenze forcaiole contro Mimmo Lucano, la campagna contro Alfredo Cospito a difesa del 41 bis... La simpatia che Travaglio incontra a sinistra è solo la misura dell'eclisse culturale di quest'ultima. Il travaglismo è la malattia senile di un riformismo in disarmo.

Ma è sulla guerra in Ucraina che questo connubio incontra la traduzione più imbarazzante.
La posizione di Travaglio in fatto di Ucraina è, in buona sostanza, che gli ucraini se la sono cercata, che la Russia è stata provocata, che la guerra al fondo è una guerra americana contro la Russia, che gli italiani sono ostaggi di una guerra americana, che la fine della guerra è cessare di armare l'Ucraina. Punto.
Non è una posizione originale. Coincide esattamente con la rappresentazione propagandistica di Putin, in funzione dei suoi propri interessi. Ma coincide anche con la pubblica opinione di Berlusconi, esternata in clamorose dichiarazioni. Con le opinioni di Matteo Salvini, di Marine Le Pen e dell'estrema destra tedesca. Con le posizioni pubbliche di Donald Trump, che ne fa addirittura un asse della propria campagna elettorale per le le presidenziali. Non a caso Il Fatto Quotidiano ha ospitato di recente un editoriale di Massimo Fini, antiecologista radicale, proprio a sostegno esplicito di Donald Trump nel nome della pace in Ucraina.

Il fatto nuovo è che Travaglio ha sentito il bisogno di riciclare tali posizioni in libro di 457 pagine, e che buona parte del campo pacifista pende dalle labbra di questo libro. Questa è l'unica ragione per cui ce ne occupiamo.

Il libro è costruito su un impianto retorico abile. Per liberarsi dell'accusa di filoputinismo enumera gli infiniti accreditamenti di cui Putin ha goduto in passato da parte degli attuali atlantisti di ogni sponda politica. E qui indubbiamente non ha che da scegliere. “Ipocriti, oggi date a me del putiniano quando siete stati voi a sostenere l'autocrate”, dichiara Travaglio con puntuali citazioni politiche e giornalistiche a 360 gradi prese dalla cronaca degli ultimi vent'anni. Se non che l'ipocrisia degli altri non assolve la propria ipocrisia. Semplicemente la maschera.


LA RIMOZIONE DEI FINI DICHIARATI DELL'INVASIONE RUSSA

La “guerra per procura” è la tesi di fondo del libro. Letteralmente, se le parole hanno un senso, significa che l'Ucraina è stata spinta in guerra dagli USA e che gli USA punterebbero attraverso l'Ucraina all'escalation militare. Non potendo negare l'invasione russa del 24 febbraio del 2022, Travaglio la presenta come una sorta di trappolone ordito dagli USA in cui Putin sarebbe caduto. L'invasione dell'Ucraina sarebbe stata letteralmente un augurio e un auspicio di Biden, che avrebbe spinto per l'invasione contro un Putin disponibile al dialogo. Questa rappresentazione, assai popolare in alcuni ambienti della sinistra, è costruita innanzitutto sulla negazione dei fatti. Più precisamente sulla negazione del ruolo reale di ogni protagonista.

In primo luogo, nega la natura e gli scopi dichiarati dell'invasione russa. Nel discorso a reti unificate del 21 febbraio è Putin stesso ad aver presentato al mondo le ragioni dell'imminente invasione: non la difesa del Donbass ma l'annessione dell'Ucraina.

«Cittadini della Russia... questo mio discorso riguarda gli eventi in Ucraina e perché sono così importanti per noi per la Russia... Vorrei sottolineare ancora una volta che l'Ucraina per noi non è solo un paese vicino: è una parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura, e del nostro spazio spirituale... L'Ucraina moderna è stata interamente creata dalla Russia, o per essere più precisi dalla Russia bolscevica e comunista. Questo processo iniziò praticamente subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi compagni lo portarono avanti in un modo che risultò estremamente duro per la Russia, separando quella che è storicamente terra russa... L'Ucraina sovietica è il risultato della politica dei bolscevichi e può essere giustamente chiamata l'Ucraina di Vladimir Lenin... Uno stato confederativo e uno slogan sul diritto all'autodeterminazione delle nazioni, fino alla secessione, furono posti alla base della struttura sovietica... L'URSS è stata fondata al posto dell'ex impero russo nel 1922... La disintegrazione del nostro paese unito è stata causata dagli errori dei leader bolscevichi... È un vero peccato che le basi del nostro Stato non siano state ripulite dalle odiose e utopiche fantasie ispirate dalla rivoluzione che sono distruttive per qualsiasi stato normale... Volete la decomunistizzazione? Molto bene, ma perché fermarsi a metà strada? Siamo pronti a mostrare cosa significherebbe per l'Ucraina una vera decomunistizzazione...»

Dunque l'invasione dell'Ucraina aveva come obiettivo pubblicamente dichiarato il suo ritorno alla terra russa; la fine della sua autodeterminazione nazionale voluta dai comunisti di Lenin, e il ritorno dell'impero russo in Ucraina. Colpisce come tanta parte degli estimatori “comunisti” di Putin rimuovano la retorica ferocemente anticomunista che ha accompagnato l'invasione russa dell'Ucraina.
Ma non è di questo che ora ci occupiamo. Ci occupiamo del fatto che l'invasione è stata dettata dalle autonome ragioni dell'imperialismo russo, non da quelle dell'imperialismo americano. Negare questa verità dichiarata, attribuire l'invasione alla trama USA, come fa Travaglio, è la prima bufala del libro.

Significa allora che la NATO non ha alcuna responsabilità nella esplosione della guerra? Certo che no. L'espansione dei confini NATO in Europa dopo il crollo dell'URSS ha sicuramente concorso al contesto storico della guerra. Ma se è per quello vi ha concorso anche (e soprattutto) la disfatta dell'imperialismo USA prima in Iraq e poi in Afghanistan, combinata con l'ascesa mondiale dell'imperialismo cinese a ridosso della crisi capitalistica internazionale del 2008. Se l'imperialismo russo voleva riprendersi l'Ucraina è perché puntava a capitalizzare l'indebolimento USA, l'ascesa cinese, i nuovi equilibri mondiali. Si può non vederlo?


LA NEGAZIONE DEI FATTI, DELLA DINAMICA DI GUERRA, DEL TEATRO STESSO DELLA GUERRA

Un secondo risvolto della cosiddetta guerra per procura passa per la negazione dei fatti intercorsi al piede di partenza del conflitto.

Un fatto accertato – da tutti riconosciuto e da nessuno negato – è che nei giorni successivi all'invasione gli USA abbiano offerto a Zelensky un possibile asilo politico in Florida. Non solo non gli hanno chiesto di resistere, ma gli hanno offerto la fuga. Pura beneficienza? No. L'imperialismo USA in quei giorni era convinto che l'Ucraina avrebbe ceduto inevitabilmente all'imponente superiorità russa, e che ogni resistenza sarebbe stata vana e avventurosa. Era la stessa opinione di Scholz. Fu la scelta ucraina della resistenza militare all'invasione (“Non ho bisogno di un passaporto ma di armi” rispose Zelensky) a modificare il quadro della guerra, contro le previsioni USA e tedesche.
Fu solo a fronte della imprevista resistenza ucraina che l'imperialismo USA e gli imperialismi NATO scelsero di sostenerla per interesse proprio. Una scelta diversa infatti avrebbe messo a rischio la tenuta stessa della NATO sul versante nord-europeo e un crollo di credibilità dell'imperialismo USA su scala mondiale, a tutto vantaggio della Cina, che è il vero avversario strategico degli USA. La teoria della guerra per procura (mandiamo avanti Zelensky per fare guerra alla Russia) si appoggia dunque sul capovolgimento della realtà.

Un terzo risvolto della teoria della guerra per procura passa per l'incomprensione della dinamica di guerra. Davvero gli USA spingono per l'escalation militare in Ucraina? Davvero spingono in direzione della guerra NATO contro la Russia? È questa, com'è noto, la tesi propagandistica del Cremlino, ma non regge alla prova dell'evidenza. Certo, gli imperialismi NATO hanno profuso aiuti militari importanti e determinanti, per un totale al momento di 65 miliardi di dollari. L'imperialismo USA e poi l'imperialismo britannico sono i principali contributori. Senza il loro sostegno sarebbe stata e sarebbe vana la resistenza ucraina contro una potenza russa enormemente superiore in fatto di riserve umane (milioni di reclutabili), carri armati (oltre 10000), aerei da combattimento (circa 3000).

Ma tutto questo non significa affatto che gli USA puntino sull'escalation. In realtà la durata della guerra, e a maggior ragione una sua radicalizzazione, sono un serio problema per gli USA. Per le casse federali, a fronte di un debito pubblico americano mai così alto. Per la campagna elettorale di Biden, insidiata dalla propaganda “pacifista” di Trump. Per la tenuta alla lunga delle alleanze USA in Europa sul fronte franco-tedesco, come emerge nelle posture altalenanti di Macron. Per l'evidente crisi di egemonia mondiale degli USA a fronte dell'allargamento dell'iniziativa diplomatica cinese in America Latina (Brasile), in Medio Oriente (Arabia Saudita e Iran), e naturalmente in Africa.
La verità è che gli USA cercano una via d'uscita dalla guerra che eviti sia la sconfitta ucraina che la guerra NATO contro la Russia. Un equilibrio molto difficile da ottenere, e permanentemente a rischio. Nel frattempo chiedono all'Ucraina di non attaccare in profondità il territorio russo, respingono ogni ipotesi di no fly zone, rifiutano l'adesione dell'Ucraina alla NATO durante la guerra in corso... Naturalmente non lo fanno perché "pacifisti". Lo fanno, al contrario, perché hanno da pensare alla possibile guerra futura contro la Cina sui mari del Pacifico, il vero crinale di una futura possibile terza guerra mondiale. È la ragione per cui paradossalmente proprio il Pentagono frena sugli aiuti a Kiev: “Non possiamo disarmarci, dobbiamo pensare a Taiwan”.

Il quarto risvolto della teoria della guerra per procura è la rimozione della popolazione ucraina. Che è la vittima quotidiana della guerra vera. Quella promossa dall'invasione russa a partire dal 24 febbraio 2022. Quella che non a caso si combatte in Ucraina, non in Russia, nel paese invaso, non nel paese imperialista invasore. Quella che conta ogni giorno morti, feriti, innumerevoli privazioni per la popolazione civile aggredita per via della distruzione di case, scuole, ospedali, fabbriche in tutte le regioni dell'Ucraina. Quella che ha fatto più di dieci milioni di sfollati ucraini. Questo elementare principio di realtà è rimosso da tutte le letture geopolitiche del conflitto. Che addirittura, come nel caso di Travaglio e del professor Orsini, rappresentano le sofferenze ucraine non come il prodotto dei bombardamenti russi ma come il portato della resistenza ai bombardamenti, cioè... della “guerra voluta dalla NATO”. Con un capovolgimento così radicale della logica da richiedere l'attenzione della psicoanalisi.


A PROPOSITO DEL DONBASS

Per replicare alla verità, Travaglio richiama la guerra ucraina contro il Donbass del 2014. È uno dei motivi portanti del libro. «Se la gente scoprisse la verità capirebbe che il mantra atlantista “Putin aggressore e Zelensky aggredito” vale solo dal 2022; prima per otto anni gli aggressori erano i governi di Kiev...».
In realtà se tanti compagni scoprissero la verità comprenderebbero che Travaglio bara. Perché scomodare la guerra del 2014 per spiegare la guerra del 2022? La guerra del nazionalismo reazionario ucraino della destra di Poroshenko contro i diritti linguistici delle popolazioni russofone del Donbass è un'altra guerra. Colpiva i diritti di autodeterminazione del Donbass nel nome della “grande Ucraina”. Per questo coerentemente ci schierammo a fianco delle popolazioni russofone e delle Repubbliche separatiste contro il governo ucraino post-Maidan, nonostante la natura rossobruna dei governi separatisti e il sostegno loro accordato dall'imperialismo russo. È il caso di ricordare che Zelensky nel 2019 raccolse una massa di voti nel Donbass proprio perché si presentò in contrapposizione alla destra di Poroshenko.

La guerra attuale non è affatto il prolungamento della guerra del 2014. È la guerra dell'imperialismo russo contro il diritto di autodeterminazione dell'Ucraina e la sua stessa legittimità storica. Non a caso si è tradotta nell'annessione del 23% del territorio ucraino, ben al di là della Crimea e del Donbass. Un'annessione imperialista con forze militari di occupazione, referendum farsa, misure di deportazione, legge marziale... Kherson non è il Donbass, come non lo è Zaporizhzhia.
Eppure delle province ucraine militarmente occupate da Putin non c'è traccia nelle 457 pagine del libro di Travaglio. Come non vi è traccia della pubblica dichiarazione di Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, secondo cui «l'unica soluzione della guerra accettabile per la Russia è la scomparsa dell'Ucraina con la sua spartizione: l'Ucraina ovest alla UE e le sue regioni centrali e dell'Est alla Russia» (25 maggio 2023). Testuale. Mentre il governatore russo di Belgorod, con l'appoggio di Mosca, già rivendica l'annessione alla Russia della provincia ucraina di Kharkiv, per aggiungerla all'attuale bottino di guerra. Altro che “difesa del Donbass”. Confondere la guerra dell'imperialismo russo con la difesa del Donbass significa solo fare il verso alla retorica nazionalista di Putin, la stessa retorica che presenta l'invasione dell'Ucraina come continuità della "guerra nazionale patriottica” contro il nazismo. In compagnia dei mercenari paranazisti della Wagner e delle bande cecene islamofasciste di Kadyrov, con la benedizione del patriarca ex KGB Kyrill e della sua campagna antisatanista.

Denunciare la guerra imperialista russa, difendere il diritto di autodeterminazione ucraina, non significa affatto per parte nostra sposare il nazionalismo ucraino. Né ieri né oggi. Denunciamo la rivendicazione ucraina della riconquista della Crimea (che è e deve restare russa) come rivendichiamo i diritti di autodecisione del Donbass. Di più. Diciamo che se la guerra di difesa dell'Ucraina dall'invasione russa si trasformasse domani in una guerra di riconquista ucraina della Crimea e delle repubbliche di Donetsk e di Lugansk muterebbe di conseguenza la nostra posizione sulla guerra. Ma oggi l'Ucraina ha diritto a difendersi e a liberare i territori occupati e annessi dalla Russia dopo il 24 febbraio. Ciò che implica il ritiro e il respingimento delle forze di occupazione russe entro i confini del febbraio 2022. Peraltro la stessa libera autodeterminazione delle popolazioni russofone del Donbass, se non è compatibile coi sogni di rivincita del nazionalismo ucraino, non lo è neppure con la permanenza delle truppe di occupazione russe. Tanto più dopo l'esperienza della guerra d'invasione.


LA CONFUSIONE SULL'INVIO DELLE ARMI

L'opposizione all'invio di armi all'Ucraina è l'alfa e l'omega del libro di Travaglio. Sull'argomento, dopo oltre un anno di guerra regna a sinistra la massima confusione. Che confonde in un calderone indistinto il sacrosanto rifiuto della guerra col rifiuto di ogni sostegno alla sue vittime, sotto l'incenso della predicazione della pace.

Ragioniamo con ordine.
Siamo contro la guerra imperialista, come siamo contro lo sfruttamento capitalista. Siamo per una società del mondo libera da queste piaghe. Ma essere contro lo sfruttamento ci esime forse dal chiederci chi è lo sfruttatore e chi lo sfruttato? Certo che no, naturalmente. Chi rivendicasse “la pace” tra sfruttato e sfruttatore – tra l'operaio e il padrone – nel nome del rifiuto dello sfruttamento, contraddirebbe proprio la lotta allo sfruttamento. Lo stesso vale per una guerra. Siamo contro ogni guerra imperialista. Ma possiamo forse per questo ignorare la distinzione tra la potenza imperialista che promuove la guerra e la nazione non imperialista che la subisce? Rifiutare il sostegno alla nazione invasa nel nome della pace con l'imperialismo invasore contraddice la lotta contro l'imperialismo, e quindi contro la guerra. È l'abc di una riflessione elementare. Purtroppo è l'abc che viene rimosso. La voluminosa teoria della guerra per procura, cara a Travaglio, ha come fine questa rimozione.

La fascinazione della guerra per procura come chiave di lettura della vicenda ucraina ha il vantaggio della semplicità e del richiamo della tradizione. Nulla è più semplice che vedere al mondo il solo imperialismo USA e NATO. È l'imperialismo riconosciuto e combattuto dalle generazioni del dopoguerra per più di mezzo secolo. È sicuramente tutt'oggi l'imperialismo politicamente dominante su scala mondiale. Il punto è che non è più, da almeno vent'anni, l'unico polo imperialista. Dalla restaurazione capitalista prima in Russia e dopo in Cina sono emersi nuovi imperialismi, coi loro interessi, le loro ambizioni, le loro politiche di potenza, le loro guerre. La guerra in Ucraina condensa nella sua complessità il nuovo scenario internazionale rivelando al tempo stesso natura e ruolo dei diversi imperialismi, delle loro contraddizioni, del loro intreccio con l'autodeterminazione nazionale. La questione delle armi è solo un riflesso di questo groviglio.

Vediamo bene gli interessi degli imperialismi NATO in questa guerra e le ragioni del loro sostegno all'Ucraina. Come abbiamo detto e scritto, gli imperialismi NATO sostengono l'Ucraina come la corda sostiene l'impiccato: il loro aiuto militare è politicamente finalizzato ai propri interessi imperialistici. Che sono anche il consolidamento del proprio controllo sull'Ucraina (finanziario, strategico, militare).
Una piena autodeterminazione dell'Ucraina richiederà pertanto indubbiamente la rottura con gli imperialismi NATO dentro una soluzione socialista. Per questa semplice ragione non rivendichiamo l'invio delle armi da parte dell'imperialismo di casa nostra. E anzi denunciamo le sue finalità politiche. Così come denunciamo più in generale ogni sviluppo delle spese in armamenti (ovunque stratosfericamente più grande degli aiuti militari all'Ucraina).

E tuttavia è altrettanto indubbio che oggi l'Ucraina ha prima di tutto il diritto a difendersi da una guerra imperialista d'invasione (al pari di ogni nazione non imperialista invasa) che minaccia la sua stessa sovranità e annette parti del suo territorio. E può farlo nelle condizioni attuali solo usando le armi che gli imperialismi NATO le forniscono. È un fatto. Opporsi all'invio di armi è negare il diritto di resistenza dell'Ucraina all'invasione russa. Nei fatti è parteggiare per l'imperialismo russo, favorire la sua politica di annessione, chiedere la resa dell'Ucraina all'invasione. Perché senza armi nessuna resistenza è possibile.

Pertanto non rivendicare l'invio delle armi da parte NATO e al tempo stesso non boicottare il diritto ad usarle da parte ucraina è una posizione coerente con la complessità dello scenario mondiale. Tiene insieme l'autonomia politica dall'imperialismo di casa nostra e il sostegno a chi si difende dall'imperialismo altrui. Distingue la guerra d'invasione e la guerra di difesa nazionale dall'invasione. Contrasta frontalmente la prima, riconosce i diritti della seconda, senza accordare naturalmente alcun appoggio politico al governo borghese di Zelensky.


La GUERRA IN UCRAINA E L'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE

Travaglio protesta contro questa rappresentazione nel nome della pace. «Pace diventa sinonimo di resa: chi chiede un negoziato e un cessate il fuoco viene accusato di negare la legittimità della splendida ed eroica resistenza di tanti ucraini e di pretendere che questi si arrendano, anche se non l'ha mai detto né pensato. Anzi, tutti riconoscono il loro sacrosanto diritto di difendersi. Ma con le loro armi e con quelle di chi può inviarle, non con quelle dell'Italia che non può per Costituzione».
Il riferimento è al famoso articolo 11 sull'Italia che ripudia la guerra come strumento di soluzione di controversie internazionali. Un democratico borghese potrebbe replicare che è la Russia a promuovere una guerra d'invasione e che “ripudiare” questa guerra rientra nei parametri costituzionali. Ma noi non siamo uomini di legge come Travaglio, non ci identifichiamo nella Costituzione di De Gasperi e Togliatti, non mettiamo la Legge al di sopra dell'umanità di chi deve difendersi da un'aggressione. Se l'Ucraina ha il «sacrosanto diritto di difendersi», come Travaglio a denti stretti riconosce, avrà pure il diritto di esercitarlo. O no? Esercitarlo è il diritto a usare le armi di cui può disporre indipendentemente dalla loro provenienza.

Quanto alla richiesta di negoziato, cui nessuno obietta, si tratta di evitare ambiguità pelose. «Il ritiro delle truppe da che mondo è mondo viene dopo le trattative non prima» dichiara Travaglio. Quanto ai tempi e alle condizioni delle trattative... «con tutti i miliardi e le armi che invia all'Ucraina è mai possibile che l'Occidente non debba avere voce in capitolo?».
Difficile a questo punto raccapezzarsi. Da un lato si rivendica il negoziato al posto dell'invio delle armi. Dall'altro si dichiara che proprio l'invio delle armi consentirebbe di avere voce in capitolo nel negoziato. Salvo l'Italia, par di capire, che non potendole inviare per impedimento costituzionale non avrebbe dunque voce in capitolo nel negoziato... che tuttavia si rivendica nel nome della Costituzione italiana. Che dire, l'uomo di legge Travaglio si è un po' ingarbugliato. Quanto a noi, che non siamo uomini di legge (borghese), vorremmo solo sapere da Travaglio qual è la richiesta che vorrebbe portare al negoziato. Chiede si o no il ritiro delle truppe russe d'occupazione entro i confini del febbraio 2022? Le 457 pagine non rispondono a questa domanda elementare. E anzi tutto il senso dell'argomentazione sulla guerra per procura porta alla conclusione che la fine della guerra richiede semplicemente la fine dell'invio delle armi all'Ucraina. Ciò che significherebbe l'annessione dell'Ucraina o di una sua parte per mano dell'imperialismo russo. Sicuramente Travaglio non è putiniano, ma Putin e Medvedev sono d'accordo con lui.


«DOVREMMO FORSE INTERVENIRE IN TUTTE LE GUERRE?»

L'uomo di legge non ha finito di dire la sua. «In ogni guerra che si rispetti c'è sempre un aggressore e un aggredito. Dunque l'Italia dovrebbe intervenire in tutte le guerre del pianeta». E giù l'elenco delle guerre dimenticate del mondo, dai curdi alla Palestina. Questo argomento, molto popolare a sinistra, combina il cretinismo istituzionale con il rovesciamento della logica più elementare. Potremmo rispondere a Travaglio che noi non ci identifichiamo nell'Italia capitalista, e che l'imperialismo italiano è ben presente con uomini e armamenti in tanti teatri di guerra persino in tempi di pace (dall'Iraq al Libano al Kosovo) in funzione degli interessi propri e/o della NATO, senza che Travaglio abbia mai per questo sollevato scandalo o problemi. Invece siamo noi a declinare in senso antimperialista, e da un'angolazione indipendente, proprio l'argomento di Travaglio. Per quale ragione rivendicare i diritti di liberazione dei popoli oppressi “in tutte le guerre del pianeta” e voltare le spalle al popolo ucraino di fronte all'imperialismo russo? Perché due pesi e due misure? Non si cacci la palla in tribuna dicendo che sono contesti diversi, perché ogni contesto è sempre diverso dall'altro.
Ciò che non può cambiare è la difesa di popoli invasi, colpiti dalla politica di potenza di questa o quella potenza imperialista, anche quando la loro lotta viene appoggiata strumentalmente dagli imperialismi rivali. I curdi hanno combattuto per la propria causa con armi e istruttori americani. Era forse una ragione per voltare le spalle ai curdi? Il Negus difese l'Etiopia dall'aggressione mussoliniana col sostegno militare britannico. Era forse una ragione per voltare le spalle alla resistenza etiope?
Gli ucraini oggi combattono con armi NATO, anche (in misura minima) italiane. È questa una ragione per negare loro il diritto a difendersi dall'invasione russa? I migliori sindacati ucraini, giustamente all'opposizione di Zelensky e delle sua politiche sociali antioperaie, sono tutti impegnati nella difesa di fabbriche, case, scuole, ospedali dai bombardamenti russi, e per questo partecipano alla difesa del paese. Dovremmo dire loro che si sbagliano e boicottare la loro autodifesa?


LA “GUERRA GIUSTA” DEL PATRIOTA TRAVAGLIO

«La verità è semplice come la lingua in cui è scritta la Costituzione. L'unica guerra giusta è quella per difendere la patria: la nostra, non quella degli altri, a meno che con gli altri non abbiamo stipulato trattati che ci vincolano al soccorso armato. E non è il caso dell'Ucraina».
Qui tutta l'essenza del travaglismo risplende alla luce del sole. La difesa della patria tricolore e dei suoi alleati internazionali è l'unica guerra giusta che Travaglio rivendica. La patria degli altri, quando invasa da un paese oppressore, non interessa. Interessa solamente la propria patria, imperialista, e i suoi legami internazionali, imperialisti.
Dunque se un paese della NATO fosse attaccato, Travaglio sosterrebbe l'ingresso “giusto” dell'Italia in guerra, perché in quel caso “la patria” sarebbe vincolata dall'articolo 5 del trattato di Alleanza Atlantica.

Notevole che larga parte del pacifismo italiano abbia Travaglio come proprio punto di riferimento. Soprattutto in un tempo storico in cui rullano davvero tamburi di guerra; in cui si impenna la corsa agli armamenti di tutte le potenze imperialiste lungo una scala di grandezza di quasi tremila miliardi al mondo; in cui la NATO si allarga in Nord Europa e Asia, col ridispiegamento di proprie truppe, anche italiane, ai confini; in cui persino la Germania riarma e il Giappone raddoppia il proprio bilancio militare; in cui si ammassano nel Mar Cinese Meridionale le navi militari di tutto il mondo, incluse navi italiane...
Di fronte a tutto questo Travaglio contrappone la possibile “guerra giusta” di difesa della “nostra” patria o di suoi alleati NATO al diritto di difesa dell'Ucraina dalla Russia. L'importante, secondo Travaglio, è «partecipare all'Alleanza Atlantica da alleati, non da camerieri. In posizione eretta. Non sdraiati o a 90 gradi». È la stessa posizione di tanti generali in pensione ospitati dal Fatto Quotidiano, già comandanti in capo di missioni imperialiste del passato, e oggi dispensatori di pace. Tutti patriottici e atlantisti, ma..."eretti” contro l'Ucraina.

Marco Travaglio non contesta né la NATO né i bilanci militari della patria italiana. Non a caso il Presidente del consiglio Giuseppe Conte, da lui sostenuto, ha accresciuto le spese in armamenti e la loro percentuale sul PIL senza che il nostro pacifista (o il suo amico Di Battista) avesse qualcosa da ridire. Così, il referendum sostenuto dal Fatto Quotidiano contro l'invio di armi all'Ucraina non contesta la crescita in prospettiva del bilancio militare della Difesa da 25 a 38 miliardi (prospettiva accettata a suo tempo da Conte), né l'ordinaria fornitura di armi da parte dell'Italia a regimi odiosi come quello egiziano (“non sono mica in guerra”), né l'ordinaria partecipazione italiana a missioni militari di mezzo mondo dentro e fuori la NATO. Insomma non mette in discussione l'ordinario imperialismo italiano, la sua conformità costituzionale, le sua alleanze internazionali. Si occupa solo di contrastare il diritto di autodifesa dell'Ucraina. Questo sì nel nome della Costituzione. Il fatto che l'arco dei promotori del referendum vada dal no vax integralista Ugo Mattei a tutta la galassia rossobruna dichiaratamente putiniana sino allo storico fascista Franco Cardini, apologeta della Repubblica di Salò, non fa meraviglia. La fa il coinvolgimento di democratici e pacifisti ingenui, tutti a rimorchio di un Marco Travaglio qualunque.

A differenza di Marco Travaglio, e di chi lo segue a sinistra, ci opponiamo a tutti gli imperialismi vecchi e nuovi, e a difesa di tutti i popoli oppressi da questi aggrediti. Lo abbiamo fatto a suo tempo rivendicando il diritto di resistenza irachena, serba, afghana, contro le stesse truppe di occupazione italiane, nel totale silenzio dei tanti Travaglio, lo facciamo rivendicando il diritto di resistenza ucraina contro le truppe di occupazione russe.
Per noi l'unica guerra giusta è quella degli oppressi contro i loro oppressori. L'unica “nostra patria” sono i lavoratori e i popoli oppressi a tutte le latitudini del mondo. La “nostra Costituzione” è quella dell'URSS di Lenin e di Trotsky che rivendicava la rivoluzione socialista internazionale quale antidoto risolutivo contro la guerra, fuori da ogni sciovinismo e da ogni cinica indifferenza.

Partito Comunista dei Lavoratori