L'invasione dell'Ucraina e l'offensiva anti-LGBT
21 Giugno 2023
L'ossessione omofoba ha caratterizzato da sempre il machismo putiniano. Ma la guerra in Ucraina ha trascinato con sé un salto ulteriore. È stata varata con voto unanime una legge che proibisce la transizione verso l'altro sesso perché “la transizione sarebbe un modo di sottrarsi alla chiamata alle armi”. Lo ha sostenuto pubblicamente il vicepresidente della Duma Pyotr Tolstoj, nipote del grande scrittore russo, arruolato nelle file di Russia Unita.
È stato fondato, su iniziativa di Putin, un istituto di ricerca per “studiare i gay” e promuovere “metodi psichiatrici per riportare le idee sul proprio ruolo gender alla realtà”. I canali Telegram del regime dileggiano le manifestazioni europee dei movimenti LGBT denunciandole come manifesto della depravazione occidentale. La presenza nell'esercito ucraino di unità di volontari transgender è additata come prova di satanismo. In diverse regioni della Russia sono operanti centri di rieducazione di gay, lesbiche, transessuali coi metodi dell'isolamento e della tortura.
Il Patriarca Kyrill, ex KGB, mobilita la Chiesa ortodossa a sostegno di questa campagna, non senza chiedere in aggiunta il divieto per legge dell'aborto in ogni sua forma. Le truppe cecene dell'islamofascista Kadyrov rivendicano pubblicamente l'omicidio dei gay come dovere morale e pratica militare, già da anni peraltro attuata in Cecenia con la copertura di Putin.
Putin fa della campagna omofoba un tratto identitario della guerra russa. Una ragione in più per opporsi alla sua guerra, al fianco di chi in Russia contesta sia la guerra che l'omofobia del regime.