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Misure poliziesche in Francia

 


Una settimana di mobilitazioni contro la repressione e l'impunità della polizia, ora sancita dalla nuova legge sulla sicurezza

29 Novembre 2020

Nella notte tra lunedì e martedì scorsi la polizia francese ha caricato brutalmente a Parigi, in Place de la République, centinaia di immigrati richiedenti asilo, assieme a diversi giornalisti presenti. Il 21 novembre Michel Zecler, un uomo di colore, subisce ad opera della polizia un pestaggio della durata di un quarto d'ora, durante il quale viene anche insultato. Nella giornata di ieri, sabato 28, si sono contati cortei in tutto il paese, con 46 arresti a Parigi. Le immagini delle violenze poliziesche registrate negli ultimi giorni e settimane sono state talmente scioccanti per vasti settori di opinione pubblica che il Ministro degli Interni Gérald Darmanin ha dovuto dissociarsi e “chiedere spiegazioni” al prefetto.
Peccato che lo stesso ministro degli Interni sia, nelle stesse ore, il principale sostenitore di una legge chiamata “Per la sicurezza globale” che vieta la diffusione di immagini che «possano danneggiare l'integrità fisica o psichica di un poliziotto» (articolo 24). In altri termini vieta ai giornalisti e a chiunque di filmare o fotografare le violenze della polizia. Chi commettesse simile reato verrebbe colpito da un anno di galera o dalla multa di 45000 euro.

Questa legge forcaiola, applaudita naturalmente dalla polizia, è stata votata dall'Assemblea nazionale con 388 voti a favore, 104 voti contrari, 50 astenuti. Hanno votato a favore i deputati di LRM (La République en Marche), il partito di Macron, il gruppo gollista dei Repubblicani, l'estrema destra di Marine Le Pen. Contro, i deputati di centrosinistra (PS, Verdi, PCF, la LFI di Mélenchon). A gennaio la legge approderà al Senato per il suo varo definitivo, ma per il governo non sarà così semplice.

Il Presidente Macron e il primo ministro Jean Castex hanno investito apertamente su un'operazione securitaria. L'attentato terrorista di marca jihadista, settimane or sono, che ha orribilmente decapitato un insegnante reo di aver offeso l'Islam, è stata l'occasione pubblica dell'operazione “legge e ordine”. L'obiettivo cinico del governo era cavalcare la reazione di sdegno dell'opinione pubblica per recuperare consensi nel senso comune popolare, e rimontare la disfatta sul fronte sanitario e sociale. Il disegno ha esordito con una campagna islamofobica accompagnata dalla criminalizzazione pubblica della sinistra francese, accusata di complicità con l'integralismo islamico. Ma la legge poliziesca che doveva incoronarlo ha complicato le cose per Macron e Castex.

Il troppo stroppia, come dice un vecchio adagio. Il famigerato articolo 24, che vieta ogni documentazione delle violenze poliziesche, ha suscitato le proteste della stessa stampa borghese liberale, a partire da Le Monde. Gli ordini professionali dei giornalisti, i loro sindacati, l'intero associazionismo democratico si è schierato pubblicamente contro la legge chiedendo al primo ministro di ritirarla.
Ma soprattutto è in corso contro la legge un'importante mobilitazione in diverse città, a partire dalla capitale (nei termini consentiti dalla emergenza sanitaria).
La polizia non incontra in Francia il sostegno diffuso che conosce in Italia. Le mobilitazioni sociali degli ultimi anni hanno lasciato il segno. Le immagini delle violenze poliziesche nel corso delle mobilitazioni contro la Legge lavoro (il Jobs Act francese) e contro la riforma delle pensioni, ma anche durante il movimento spurio dei gilet gialli, hanno ripetutamente scosso l'opinione pubblica. Proteggere le violenza poliziesche dal reato di testimonianza è vissuto come la privazione di un diritto all'informazione. La coincidenza tra le violenze contro gli immigrati a Parigi e il varo di una legge che vieta di filmarle ha ulteriormente indebolito la credibilità del governo moltiplicando le proteste.

Chi si è mobilitato in Italia contro le leggi poliziesche di Minniti e Salvini ha dunque una ragione in più per sostenere la mobilitazione in Francia contro la legge di Macron e Castex. Nella consapevolezza che la battaglia per i diritti democratici è per noi inseparabile da quella contro i capitalisti e contro la loro “democrazia”. E che solo una società libera dallo sfruttamento sarà anche libera dalle violenze poliziesche.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il gemellaggio Sanchez-Conte

 


Le bugie sul governo spagnolo hanno le gambe corte

28 Novembre 2020

Una dichiarazione congiunta su «economia, commercio, turismo, diritti sociali del lavoro». L'incontro bilaterale a Maiorca tra Sanchez e Conte ha rilevato il comune indirizzo.
«Abbiamo consolidato l'alleanza tra i nostri Paesi, ribadendo la sintonia sui principali temi europei e internazionali. Insieme siamo una forza», ha affermato il Presidente del Consiglio italiano. Pablo Iglesias, capo di Podemos e vicepresidente del governo Sanchez, ha aggiunto che «la coalizione di governo a Roma può fare da esempio per la Spagna».

Come la metteranno ora gli entusiasti sostenitori del governo spagnolo che albergano nella sinistra cosiddetta radicale? Poche settimane fa i principali dirigenti di questa sinistra si sono sperticati nel lodare la legge di bilancio del governo spagnolo nel nome della patrimoniale. “In Spagna pagano i ricchi” è stato il comune grido di esultanza. La stampa reazionaria ha giocato naturalmente di sponda, denunciando l'improbabile «tassa socialcomunista» di Sanchez/Iglesias.
Sembrava l'eco della vicenda dei governi Prodi, quando Rifondazione Comunista diceva che “finalmente piangono i ricchi” e Berlusconi presentava Prodi come ostaggio dei "comunisti". Ma come allora, si tratta di fumo propagandistico che serve a mascherare una realtà opposta.

La patrimoniale di Sanchez e Iglesias è una finzione. Non solo interessa la soglia superiore ai 10 milioni di patrimonio, cioè lo 0,17% dei contribuenti spagnoli, ma viene applicata a discrezione delle regioni, che possono scegliere di ignorarla. Persino il liberale El Pais l'ha definita timida, con un imbarazzato eufemismo. Non a caso l'importo preventivo a bilancio di questa micropatrimoniale ammonta a 346 milioni. Se a ciò si aggiunge un modestissimo aumento della tassazione delle plusvalenze, si arriva a 1,5 miliardi, su un volume complessivo di entrate di 270 miliardi. Lo 0,7%, una entità irrisoria. Altro che “distribuzione della ricchezza”! In compenso i trasferimenti pubblici alle imprese, le garanzie pubbliche sui crediti bancari, il sostegno alle esportazioni, in poche parole l'assistenza pubblica ai capitalisti, hanno un profilo del tutto... “italiano”. Il famoso pianto degli spagnoli ricchi assomiglia terribilmente a una risata.

In realtà tutta la politica ministeriale di Podemos sembra la fotocopia di quella di Bertinotti e Ferrero. La subalternità sostanziale agli interessi del capitale mascherata da frasi vuote e recite “sociali”. Insomma, la merce la decidono la borghesia e i suoi partiti, mentre i ministri di sinistra curano la confezione. Le differenze, al di là del contesto, sono solo due. Podemos ha ben quattro ministri (tra cui il vicepresidente del Consiglio), non uno. In compenso le misure votate a suo tempo dal PRC in Italia (lavoro interinale, record delle privatizzazioni in Europa, detassazione massiccia dei profitti, campi di detenzione per i migranti...) in Spagna sono già state realizzate dai governi della destra e del PSOE. Podemos dopo tutto si limita a conservarle.

Partito Comunista dei Lavoratori

Engels, duecento anni dopo


 Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso da un salutare terrore sentendo l'espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa era la dittatura del proletariato.


(frase finale dell'introduzione di Engels all'edizione tedesca di La guerra civile in Francia di Marx, nel ventesimo anniversario della Comune di Parigi, 18 marzo 1891)


Perché Marx era prima di tutto un rivoluzionario. Contribuire in un modo o nell'altro all'abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato, contribuire all'emancipazione del proletariato moderno al quale Egli, per primo, aveva dato la coscienza delle condizioni della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento.

(orazione funebre per Karl Marx, 1883)


Esattamente duecento anni fa nasceva a Barmen, in Germania, nella parte occidentale (renana) del Regno di Prussia, Friedrich Engels.
Il grande rivoluzionario fu, durante tutta la sua vita, il compagno di elaborazione teorica e di lotta politica di Karl Marx. Con una grande modestia Engels si autodefinì “il secondo violino” dell'orchestra musicale della teoria del comunismo rivoluzionario. In realtà egli fu ben più di questo. Fu il comprimario dello sviluppo del marxismo rivoluzionario su tutti i livelli. Quello teorico, politico, filosofico, storico, economico e pratico. E soprattutto fu un rivoluzionario. Le parole che egli pronunciò al funerale di Karl Marx sono le stesse che si possono dedicare a lui.

Quanti – e sono stati molti, in particolare nel nostro paese dominato da tanti provincialismi di teorici d’accatto – hanno voluto cercare di separare Engels da Marx hanno compiuto, a partire da una sostanziale ignoranza “di alto livello” e conseguente limitazione intellettuale, una vera e propria assurdità ideologica. In definitiva, anche se per alcuni senza rendersene conto, in difesa della società borghese.
C'è stato chi, a proposito del testo fondamentale di Engels Anti-Dühring, ha parlato di tale “rottura”. Semplicemente ignorava che oltre ad essere verificati gli scritti di Marx da Engels e viceversa, alcuni capitoli dello stesso Anti-Dühring sono stati scritti non da Engels, ma da Marx stesso. Parlano di testo positivista, quando in realtà è proprio un testo antipositivista, naturalmente scritto nel linguaggio della sua epoca. Chi poi ha detto che questa opera e la successiva e mai completata Dialettica della Natura sono stati le basi teoriche del cosiddetto DiaMat (materialismo dialettico) staliniano ha detto una mostruosità totale.

Non c’è qui lo spazio per ricordare anche solo brevemente la biografia di Engels. Torneremo sulla sua vita e la sua opera nel prossimo numero della nostra rivista Marxismo Rivoluzionario. Per il momento ci limitiamo a pubblicare, oltre queste righe, la brillante introduzione del 1928 all'Anti-Dühring, del teorico bolscevico David Rjazanov (fatto fucilare da Stalin nel 1938).
Ci limitiamo qui a ricordare l’impegno di Engels sulla questione della oppressione femminile, anche in congiunzione e sotto la spinta della misconosciuta Eleanor “Tussy” Marx (la figlia più giovane di Marx), come nel testo L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato. Engels fu un elaboratore anche delle posizioni ecologiche del marxismo – anche queste misconosciute perché coperte dalle tradizioni puramente “produttivistiche” della socialdemocrazia e dello stalinismo.
Infine non possiamo dimenticare l’Engels esperto militare e – anche questo dimenticato – combattente rivoluzionario. Fatto il servizio militare volontario da giovane, egli restò tutta la vita un esperto sul terreno militare, ed è per questo che egli aveva, nell'ambito familiare dei Marx, il soprannome di “Generale”.

Ma egli fu anche concretamente un combattente. Partecipò infatti, nell’estate del 1849, agli ultimi scontri della rivoluzione sconfitta, in seno all'esercito rivoluzionario del Baden, alla fine sconfitto dalle truppe monarchiche e costretto a riparare in Svizzera. C’è da dire che anche nel testo Rivoluzione e controrivoluzione in Germania (1852) parlò con grande ironia di questa sua esperienza.
Uomo di una grande simpatia e umanità, a giudizio di tutti coloro che ne hanno scritto, odiava la retorica, capiva che la cosa principale per un dirigente marxista era non di imbracciare il fucile, ma di modificare la coscienza del proletariato e dotarlo di un partito rivoluzionario, alieno dalle successive retoriche novecentesche dell’eroico guerrigliero.
Infine egli fu sempre un nemico di ogni opportunismo, pacifismo, gradualismo. La frase che poniamo in testa a questa nota sul socialdemocratico "filisteo" (gretto, di mentalità borghese, nell'uso dei tempi di Engels) ne è un esempio, e non a caso è stato scritto nel 1891, quando le deviazioni nella socialdemocrazia tedesca cominciavano a crescere. E ancora pochi mesi prima di morire, scrisse un articolo per il quotidiano del SPD tedesco in cui affermava che per la socialdemocrazia (allora rivoluzionaria) non era il momento di buttarsi verso insurrezioni di strada, ma di rafforzarsi nella propaganda ed agitazione, fermo restando che il momento della rivoluzione di massa sarebbe poi venuto. I dirigenti del partito tedesco, peraltro ancora marxisti rivoluzionari “ortodossi", eliminarono le frasi col secondo concetto, argomentando che temevano di esporre il partito alla repressione statale. Engels se ne lamentò fortemente, perché fino all'ultimo rimase certo e convinto che solo una rivoluzione violenta poteva abbattere la società borghese e aprire la via al socialismo.

Dunque questo fu Engels. Naturalmente noi marxisti-engelsiani, come sarebbe giusto dire, i santi li lasciamo alla demagogia ipocrita di preti e burocrati stalinisti. Naturalmente Engels a volte si sbagliò nei suoi giudizi, e in tale o talaltra azione personale. Ma furono episodi minori e secondari di una grande e bella vita.
A duecento anni dalla sua nascita e a più di centoventi dalla sua morte, Friedrich Engels vive nell'avanguardia del proletariato e dell’umanità che vuole ancora e seriamente lottare per abbattere lo stato di cose presente e costruire una società finalmente libera da sfruttamento e oppressione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Unire le lotte a partire dalle vertenze in corso. Quale alternativa per il lavoro?

 


Sabato 28 novembre, ore 17, in diretta streaming sulla pagina Facebook del Partito Comunista dei Lavoratori

24 Novembre 2020

È in atto una grande offensiva capitalistica contro il lavoro, che coglie la classe operaia in una situazione di profonda difficoltà e di frammentazione, per responsabilità innanzitutto delle burocrazie sindacali.
L'atomizzazione delle vertenze nell'industria ne è una chiara espressione.

Occorre lavorare controcorrente per ricomporre un fronte unico di classe e di massa capace di unire le lotte di resistenza, ribaltare i rapporti di forza, riaprire una prospettiva anticapitalista.
Unire nell'azione l'avanguardia di classe, ovunque collocata, è in funzione di questa prospettiva.

Ne parliamo coi compagni del camping di Piombino. Interverranno:

- Marco Ferrando, portavoce nazionale PCL;
- Lorenzo Mortara, operaio YKK Vercelli;
- Francesco Doro, Commissione Lavoro PCL;
- Alessandro Babboni e Ugo Preziosi, Coordinamento Articolo 1 Camping CIG Piombino;
- Luigi Sorge, operaio FCA Cassino;
- Luca Scacchi, area sindacale "Riconquistiamo Tutto" - opposizione CGIL


L'evento sì può seguire sulla nostra pagina Facebook.

Partito Comunista dei Lavoratori

La pandemia è il capitalismo: rafforzare il Patto d'azione per rilanciare l'opposizione di classe

 


Mozione conclusiva dell'assemblea nazionale del "Patto d'azione anticapitalista – per il fronte unico di classe", tenutasi in remoto domenica 22 novembre

25 Novembre 2020

Pubblichiamo il documento varato dall'assemblea nazionale del "Patto d'azione anticapitalista – per il fronte unico di classe", tenutasi il 22 Novembre. Una discussione che ha confermato la volontà di proseguire e rilanciare il Patto d'azione e il suo intervento di classe. Il confronto ha investito sia i contenuti della piattaforma, sia le forme organizzative del Patto. Su entrambi gli aspetti il PCL, soggetto organico del Patto, ha dato il proprio contributo. Proponendo uno sviluppo della caratterizzazione anticapitalista della piattaforma (ad esempio sulla rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano); sottolineando l'esigenza di allargare il fronte unitario d'azione dell'avanguardia, a partire da un investimento coerente nel percorso unitario aperto dall'assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi di Bologna del 27 settembre; proponendo una forma organizzativa ad un tempo funzionale e corrispondente alla natura del Patto come fronte unitario d'azione tra soggetti distinti. Su questi aspetti la discussione continuerà dentro la cornice generale condivisa del documento varato

Siamo giunti a questa assemblea nazionale nel pieno della seconda ondata pandemica di Covid-19.

La fine del clima diffuso di “unità nazionale“ che aveva contrassegnato la prima fase pandemica sta portando sempre più in superficie le contraddizioni e gli antagonismi di classe sinora sapientemente occultati dietro l'ipocrisia del comune richiamo al tricolore e l'inconciliabilità tra gli interessi dei padroni e quelli dei lavoratori e delle masse proletarie, resa quanto mai evidente dal tracollo dei sistemi sanitari nella quasi totalità dei paesi occidentali.

Tutto ciò in un quadro di una crisi internazionale (al tempo stesso sanitaria, economica, sociale e politica), le cui dimensioni sono testimoniate dalle grandi lotte che attraversano il sistema capitalista ai quattro angoli del globo: dall'America latina ai grandi scioperi dell'India, alle lotte nel Maghreb e nel Medio Oriente, alle ribellioni in Europa del proletariato immigrato. Questi sommovimenti sono giunti negli ultimi mesi fin nel cuore dell'imperialismo USA, materializzandosi nelle rivolte e nelle mobilitazioni del movimento Black Lives Matters in risposta alle violenze razziste della polizia e alle politiche reazionarie dell'amministrazione Trump: un processo che si è poi riverberato anche sul piano istituzionale in concomitanza con le elezioni presidenziali, caratterizzate da un clima di polarizzazione e da una tensione sociale senza precedenti nella storia recente della democrazia borghese a stelle e strisce, al punto da portare non pochi lacchè nostrani a proclamare (a ragion veduta) la fine di un'intera epoca storica del capitalismo. Tali dinamiche si intersecano con lo sviluppo recente di grandi ampi movimenti su scala internazionale contro le devastazioni ambientali e con le lotte del movimento delle donne, che in queste settimane sta vedendo la Polonia come il principale epicentro delle mobilitazioni.
I dati e i fatti di questi mesi confermano inequivocabilmente le tesi da noi sostenute nelle assemblee di marzo e aprile, ossia:

1) Questa pandemia (così come le altre a cui abbiamo assistito in questi decenni) è il prodotto degli sconquassi determinati dal sistema capitalista sull'ambiente e sull'ecosistema, e la zoonosi (salto di specie del virus) è intimamente connessa col sistema predatorio di deforestazione e di sfruttamento intensivo delle risorse naturali che sono alla base dei disastri e delle catastrofi connesse al cambiamento climatico, ed è il prodotto di una crisi sistema da cui il capitale e le sue istituzioni sono incapaci di venire a capo.

2) Le politiche di tagli massicci e indiscriminati alla sanità, all'istruzione, al trasporto pubblico e alla spesa sociale perseguite negli ultimi decenni dai governi nazionali e sovranazionali in tutto l'occidente imperialista e senza soluzione di continuità, hanno smantellato e distrutto ogni possibile linea di difesa e di contenimento della pandemia, determinando in tempi record il collasso dei sistemi sanitari nazionali e la moltiplicazione esponenziale dei contagi.

3) I governi nazionali, e in Italia il governo Conte, gli apparati statali e le amministrazioni regionali hanno perseguito, scientemente e sistematicamente, una politica di riduzione del danno improvvisata e raffazzonata, orientata quasi esclusivamente alla difesa senza se e senza ma dei profitti del grande capitale, e sacrificando sul suo altare la tutela dei salari, della salute e della vita stessa di milioni di proletari.

È oramai noto che l'Italia fosse del tutto priva di un piano pandemico e come quest'ultimo non fosse più aggiornato dal 2006, ed è altrettanto noto che negli ultimi mesi del 2019, malgrado il Sars-Cov 2 fosse già ben presente in Cina, il governo Conte, il ministro Speranza e i vertici sanitari abbiano sistematicamente ignorato (fino al punto di secretarle) le segnalazioni e i dossier dei più autorevoli rappresentanti della comunità medico-scientifica internazionale, i quali sollecitavano una “terapia d'urto“ immediata per scongiurare decine di migliaia di morti.
Oggi che quelle previsioni si sono rivelate un autentico e macabro presagio, nel mentre assistiamo allo spettacolo indecoroso dei rimpalli di responsabilità tra governo, regioni e comuni e nel mentre le attività di screening e di tracciamento sono completamente saltate sin dagli inizi di ottobre, la “seconda ondata“ ha svelato in maniera chiara che gli unici a trarre vantaggio dal tracollo della sanità pubblica sono stati i laboratori di analisi privati, a cui sono stati nei fatti appaltati quasi per intero i tamponi dei casi sospetti e dei contatti stretti, con costi lievitati alle stelle e un business che si è vergognosamente alimentato di pari passo con l'aumento dei contagiati e con la saturazione dei posti-letto negli ospedali: lo scandalo dei costi delle ambulanze private che a Napoli sono lievitati fino a 1000 euro per paziente rappresenta solo la punta dell'iceberg di una cosciente e sistematica opera di distruzione del sistema sanitario compiuta che i governi di ogni colore hanno operato negli ultimi decenni. Senza quest'opera di distruzione sistematica, con chiusure di ospedali, tagli di personale e alla spesa per le infrastrutture, sarebbe impossibile spiegarsi il vero e proprio sciacallaggio che è attualmente in corso da parte di padroni, politicanti e speculatori senza scrupoli.

In questo contesto di crisi rovinosa si inserisce la nuova “luna di miele“ tra i padroni e Cgil-Cisl-Uil, suggellata dai tappetini rossi che Landini ha riservato a Bonomi nel corso dell'evento “Futura“: al di la di qualche apparente puntura di spillo a uso e consumo mediatico, è evidente che il meeting cigiellino è servito a suggellare, nei fatti prima ancora che sulla carta, quel “Patto per l'Italia“ di cui Confindustria ha bisogno per mettere al guinzaglio la classe lavoratrice per tutto il periodo pandemico e spegnere ogni residuo conflitto sul rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, tanto più all'indomani di uno sciopero nazionale che si è rivelato essere davvero tale solo in un numero limitatissimo di fabbriche, grosso modo coincidenti con le principali roccaforti storiche della Fiom.
Tutto lascia presagire che entro la prossima primavera i padroni “concederanno“ ai confederali la vittoria di Pirro di un rinnovo che in cambio di qualche spicciolo in più di salario, porterà in dote a Confindustria un triplice risultato: l'aumento esponenziale dei ritmi e dei carichi di lavoro (sapientemente spacciato per “produttività“), il via libera ai contratti precari senza limiti di durata e soprattutto lo stop alla moratoria sui licenziamenti a partire dalla primavera.
D'altronde, lo schema di Confindustria rappresenta già da anni, se non da decenni, una prassi e un “modello“ consolidato in svariate categorie (agricoltura, lavoro domestico, edilizia, ristorazione, ecc., per non parlare di tutto l'universo che ruota attorno alle finte cooperative), e il tentativo di ufficializzare e codificare il principio “lavorare di più, peggio, più precari e ricattati e con meno diritti“ è coerente con i decenni di controriforme del mercato del lavoro e con lo stesso Patto per la fabbrica siglato poco più di due anni fa tra governo, padroni e sindacati confederali: va da se che una volta smontato il CCNL metalmeccanici, ne deriverà un effetto a cascata in tutte le altre categorie interessate dai rinnovi.
Nel frattempo, il fronte padronale continua a dormire comodamente sugli allori, grazie al nuovo via libera alla Cig senza limiti, il cui libero accesso garantitogli dal governo viene finanche sgravato dall'onere di dover giustificare un calo di fatturato riconducibile alla pandemia.
Quella Cig che nella gran parte dei casi si traduce nella miseria di 700-800 euro al mese in busta paga, viene ipocritamente presentata dal governo e dai confederali come una misura di tutela per i lavoratori, ma in realtà non è altro che uno strumento per consentire ai padroni di privatizzare gli utili e socializzare le perdite: il silenzio di Cgil-Cisl-Uil di fronte ai dati della guardia di Finanza che attestano come più del 25% delle aziende si sia accaparrata la Cig pur non avendo alcun calo di fatturato nel mentre milioni di lavoratori sono di fatto ridottti alla fame, è di gran lunga più eloquente degli slogan e delle dichiarazioni d'intenti su “lavoro, sviluppo e contratti“ che i vertici confederali continuano a ripetere come un disco rotto.
Come contraltare alle pagliacciate dei vertici confederali, al momento continua a distinguersi per il livello di combattività diffusa solo il settore del Trasporto merci e logistica, nel quale lo scorso 23 ottobre SI Cobas e ADL Cobas hanno organizzato uno sciopero nazionale capace di fermare la gran parte del flusso di merci di tutti i principali operatori, portando a casa, come primi importanti risultati, da un lato la disponibilità a trattare di una parte delle principali associazioni datoriali, dall'altro l'apertura di un tavolo di confronto col governo sul tema della sicurezza sul lavoro e della prevenzione dei contagi da coronavirus.
Pur in un quadro che vede lo sviluppo a macchia di leopardo di lotte vertenziali e la ripresa di iniziativa in alcuni settori (su tutte la sanità e la scuola, ma anche in alcune fabbriche, nel settore dello spettacolo e nel comparto multiservizi), queste mobilitazioni registrano tuttora una estrema difficoltà a trainare settori di massa e a ramificarsi sul territorio nazionale.


LE "TRE PIAZZE" DI OTTOBRE

Se da un lato il patto tripartito tra governo, Confindustria e sindacati collaborazionisti (Cgil-Cisl-Uil-Ugl) ha permesso a questi ultimi di preservare il clima di pace sociale sui luoghi di lavoro attraverso lo scambio tra l'aumento della produttività e della precarietà (quindi dei profitti) e un nuovo rinvio della moratoria sui licenziamenti, dall'altro in queste settimane hanno iniziato a manifestarsi dei primi, inequivocabili segnali di malessere sociale per gli effetti della crisi e delle nuove restrizioni imposte dal Covid. Com'era prevedibile in un paese come il nostro, caratterizzato da un'estrema polverizzazione delle filiere produttive e da un peso significativo del commercio e e dei servizi, a rompere il ghiaccio sono state in larga parte mobilitazioni dal segno e dalla composizione confusa, di carattere apparentemente populista e interclassista, ma alla cui testa è emerso fin da subito l'interesse specifico della piccola e media borghesia, dei commercianti e di quel pulviscolo di “mezze classi“ fatte di padroni e padroncini colpiti dalle misure restrittive.
Non a caso, le parole d'ordine e le rivendicazioni spesso maggioritarie in queste piazze (“no alla dittatura sanitaria“, “no alle chiusure“, ecc.) si siano mostrate molto più permeabili dalla retorica reazionaria dei fascisti e al delirio negazionista dei “no mask“ che non alle istanze dalle lotte sociali proletarie (vedasi su tutte le piazze di Milano, Venezia, Bologna e quella del quartiere Vomero a Napoli): ciò a riconferma che gli interessi del “ceto medio produttivo“ sono oggettivamente antagonisti e inconciliabili con le lotte operaie per la difesa della salute e per il diritto a restare a casa a salario pieno e a non morire di Covid in nome dei profitti, piccoli o grandi che siano.

Dal ventre di queste manifestazioni, a partire dall'ormai celebre notte del 23 ottobre a Napoli, si è materializzata la “seconda piazza“, composta in larga parte da settori semiproletari, di proletariato marginale e/o studenti (come nel caso di Firenze), la quale in maniera confusa, genuina ma spesso completamente disorganizzata, ha riversato nelle strade una rabbia e un malessere che poco o nulla aveva a che vedere con le istanze dei commercianti (i quali non a caso si sono subito affrettati a prendere le distanza dai “violenti“) e che si è espressa attraverso cortei non autorizzati e scontri di piazza, cui è seguita, puntuale come sempre, la dura repressione delle forze dell'ordine e un'ondata di criminalizzazione ad opera dei media, intenti a bollare questi episodi come opera di “camorristi“, fascisti o negazionisti.
In realtà queste brevi ed estemporanee fiammate, più che la mafia o i fascisti (da sempre molto più a loro agio nelle aule parlamentari e nelle stanze del potere nazionale e locale che non nelle proteste di piazza), rimandano a forme di ribellione spontanea e in larga parte apolitica e/o a-classista, il cui unico comun denominatore è l'odio verso lo stato e le forze di polizia.

L'esito di questo primo round di proteste è oramai sotto gli occhi di tutti: il settore della media distribuzione, dagli esercizi commerciali e quello turistico-ricettivo hanno in poche ore portato a casa i “decreti-ristori“, con i quali lo stato si impegna ad accollarsi la gran parte delle perdite di fatturato, mentre l'esercito dei precari, dei lavoratori del settore, dei garzoni in nero e dei disoccupati hanno nella migliore delle ipotesi difeso a malapena la miseria delle poche centinaia di euro di CIG o di reddito di cittadinanza “concesse“ a suo tempo dal governo; il fatto che all'indomani del suddetto Dpcm sia le prime che le seconde piazze si siano svuotate quasi ovunque è da un lato la riprova che la piccola e media borghesia ha rappresentato la componente sociale maggioritaria in quelle mobilitazioni era di, dall'altro che in assenza di un forte movimento di classe ogni tentativo, per quanto generoso, di “attraversamento proletario“ di una rabbia tanto diffusa quanto confusa è inevitabilmente votato al fallimento, sia in termini politici sia sul piano rivendicativo parziale.

Fare un bilancio obbiettivo e lucido degli eventi di fine ottobre, non significa certo negare apriori e per principio la possibilità (e in determinati frangenti anche la necessità) di saldare e allargare le lotte operaie e proletarie con le istanze provenienti da strati del ceto medio impoverito dalla crisi e/o in via di proletarizzazione, ne tantomeno volersi trastullare in sterili quanto infantili richiami a una presunta “purezza“ del movimento proletario. A nessuno sfugge che nelle piazze italiane di ottobre, le istanze del grande ristoratore che paga 30 euro al giorno (e magari al nero) i suoi dipendenti e dell'albergatore che evade milioni di euro fossero “mescolate“ con quelle del garzone o del piccolo esercente a gestione familiare. Si tratta tuttavia di non confondere la realtà con i propri desideri, e di comprendere che fin quando i salariati e gli sfruttati non saranno capaci di dotarsi di un autonomo percorso di lotta per i propri interessi di classe immediati e futuri, nessun'alleanza e nessuna scorciatoia movimentistica sarà capace di togliergli le castagne dal fuoco e permettergli la difesa di quegli interessi, men che meno lo saranno ipotetici “fronti popolari“ con gli strati inferiori della classe dominante.

Da questo punto di vista, le mobilitazioni messe in campo dal Patto d'azione nella giornata del 24, hanno rappresentato a tutti gli effetti una sorta di “terza piazza“, distinta dalla seconda e alternativa alla prima, in quanto espressione dell'autonomia di classe e degli interessi immediati e futuri dei lavoratori e delle masse proletarie nel loro complesso.
abbiamo animato più di una decina di piazze convocate in tutte le principali città dall'assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi a seguito della riuscita iniziativa del 27 settembre a Bologna.
Il bilancio di questa giornata di mobilitazione nazionale è complessivamente positivo: in molte città (Napoli, Bologna, Torino e Roma su tutte) si è registrata la partecipazione di centinaia di lavoratori, studenti e realtà politiche e di movimento; in altre (come a Milano), la partecipazione è stata decisamente inferiore a quella registrata lo scorso 6 giugno.
La riuscita buona ma non straordinaria delle iniziative è in parte ascrivibile con le difficoltà dovute al contesto pandemico, ma in parte anche alla mancata strutturazione e organizzazione del percorso comune, sia sul piano locale che a livello locale.


LA PIATTAFORMA, I PERCORSI DI LOTTA E LE PROSSIME SCADENZE

Il contesto attuale ci chiama a portare di nuovo in primo piano la auto-difesa della salute da parte dei lavoratori nei luoghi di lavoro e nella società, con il rilancio della critica generale non solo al taglio delle spese per la sanità pubblica, ma a tutto il processo di aziendalizzazione di essa, di accorpamento degli ospedali e di introduzione sempre più in profondità della finalità del profitto. A questo processo, che è responsabile n. 1 dell'attuale crisi sanitaria, va contrapposta la rivendicazione di una sanità centrata sulla prevenzione degli infortuni e delle morti sul lavoro, la prevenzione delle malattie e delle epidemie, la strutturazione di una medicina del territorio che non è mai stata integralmente costituita, l'opposizione frontale al vergognoso business dei tamponi e delle ambulanze, ecc.
Ciò partendo dalla consapevolezza che la tutela della salute dei lavoratori passa innanzitutto dalla sicurezza e dalla prevenzione sui luoghi di lavoro.

Occorre dunque prepararsi a una dura e lunga battaglia per il diritto alla salute e alla vita dei lavoratori, mettendo in piedi campagne per il varo di protocolli anti-Covid precisi e vincolanti per tutti i padroni, sostenendo le iniziative già in corso su questo tema (su tutte quella portata avanti in queste settimane dal SI Cobas), ma soprattutto lottando per il diritto a stare a casa con l'integrazione salariale al 100% in tutte le aziende in cui non si applicano o in cui non è oggettivamente possibile applicare le misure di prevenzione.

In secondo luogo, in barba alla moratoria sui licenziamenti, ad oggi abbiamo già oltre 800.000 nuovi disoccupati, sia a causa del mancato rinnovo dei contratti a termine, sia in conseguenza delle chiusure di attività (vedi Whirlpool), sia attraverso l'espediente dei finti licenziamenti disciplinari, nonché maree di cassintegrati che hanno visto i loro salari ridotti all'osso e un'altra epidemia di disoccupazione in arrivo. In un tale contesto, foriero di precipitazioni improvvise, va messo in primo piano il salario medio operaio garantito a tutti i disoccupati - anche a quelli che siano, evidentemente, diventati tali per fallimento dei propri piccoli esercizi (cosa ben diversa dai ristori!). Questa rivendicazione va legata alla riduzione drastica e generalizzata della giornata lavorativa, per il lavoro socialmente necessario, proprio per portare a fondo la critica al modo di produzione capitalistico che in questa crisi produrrà montagne di disoccupati.

In terzo luogo, va smascherato con forza, senza se e senza ma, il disegno complessivo del capitalismo nazionale (in una con la UE e col governo Conte) teso a progettare un uso dei 209 miliardi del Recovery fund secondo la linea "come prima, peggio di prima", con il finto sviluppo "green", la micidiale Industria 4.0, la desocializzazione programmata con lavoro a distanza (a domicilio) e scuola a distanza, l'ulteriore incremento delle spese belliche (Mattarella&Co. hanno chiesto 10.000 soldati in più e nuovi armamenti), la tanto agognata fine del "sussidistan" (mai esistito, peraltro), nuove carceri e centri di detenzione per immigrati: il tutto finanziato, attraverso l'ingigantimento del debito di stato e il nuovo debito europeo, dalla classe lavoratrice e in particolar modo dalle future generazioni.
Negli ultimi mesi stiamo assistendo anche in ambiti governativi e istituzionali, all'evocazione di patrimoniale sulle grandi ricchezze che muove da propositi diametralmente opposti a quelli che ci portano ad usare questa parola d'ordine come leva per far pagare la crisi ai padroni, finalizzati al contrario a tamponare e nascondere gli effetti della crisi. Per questo specifichiamo ancora una volta che la rivendicazione non di una patrimoniale generica, ma della patrimoniale del 10% sul 10%, è finalizzata a soddisfare una serie di interessi delle masse operaie, dei disoccupati, degli sfruttati: per il salario garantito, la riduzione generalizzata e drastica degli orari di lavoro e la ricostruzione di un sistema sanitario fondato sulla prevenzione, sul rilancio dei trasporti pubblici anti-inquinamento su rotaia, la messa in sicurezza dei territori, il risanamento ambientale, etc.


Alla luce di tutto ciò, l'assemblea stabilisce quanto segue:

1) A partire dai prossimi giorni sviluppare su tutti i territori iniziative di lotta e campagne di denuncia dello sfascio della sanità pubblica, dei trasporti e dell'istruzione e di agitazione rivolta alle condizioni di miseria che attanagliano la forza lavoro precaria e disoccupata: una campagna che viaggi in parallelo con la battaglia per la difesa della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, per il varo di protocolli vincolanti per la prevenzione del contagio, per la difesa dei salari e il rinnovo dei contratti in tutti i settori della produzione e distribuzione.

2) Indire una nuova iniziativa nazionale su questi temi nel week-end 11-12 dicembre, articolata nelle varie città.

3) Si assume come denominazione unica e definitiva la seguente: "Patto d'azione anticapitalista – per il fronte unico di classe".

4) Intraprendere un lavoro di condivisione e socializzazione dei contatti e dei collegamenti internazionali in corso con realtà politiche, sindacali e sociali di altri paesi, propedeutico allo sviluppo di forme di coordinamento e di iniziativa comune.

5) Avviare un confronto tra le compagne e le lavoratrici teso alla costruzione di iniziative di lotta sul tema della doppia oppressione delle donne sfruttate dal capitalismo e dai modelli patriarcali veicolati e alimentati dalla classe dominante.

6) Avviare un gruppo di lavoro specifico sul tema della repressione e del razzismo di stato, che possa portare agli inizi del prossimo anno a un'assemblea nazionale sui problemi specifici delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.

7) Impegnare tutte le realtà che afferiscono al Patto d'azione a favorire la massima partecipazione all'assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi che si terrà il prossimo 29 novembre in modalità telematica e ad evidenziare in ogni ambito d'intervento la necessità di convocare a breve a uno sciopero generale nazionale.

8) Dar vita a un gruppo di lavoro che presenti alla prossima assemblea una proposta condivisa sul piano organizzativo, sia riguardo la necessità impellente di dar vita a un coordinamento nazionale del Patto d'azione, sia di dotare quest'ultimo di strumenti unitari di comunicazione e di agitazione politica.


L'assemblea del Patto d'azione riunitasi in modalità telematica il 22 novembre 2020, infine, aggiorna i punti della piattaforma di lotta nazionale come segue:

1) Autodifesa della salute da parte dei lavoratori, per sé e per tutta la popolazione; revisione dei Protocolli del 24 aprile, con l'introduzione dell'obbligatorietà dello screening e dei tamponi a tutti i lavoratori e il varo norme e misure stringenti e vincolanti per la prevenzione dei contagi sui luoghi di lavoro, in cui sia espressamente prevista la possibilità di chiudere le aziende laddove non sia possibile garantire il diritto alla salute e alla vita degli operatori; creazione in tutte le aziende di comitati dei lavoratori che vigilino sul rispetto dei protocolli; piano nazionale straordinario di assunzione di infermieri e medici, con l'immediato esaurimento delle graduatorie degli idonei e la stabilizzazione di tutti/e i/le precari/e, senza nessuna discriminazione nei confronti del personale sanitario d'immigrazione; integrale riorganizzazione del servizio sanitario pubblico unico, universale, gratuito, dotato di una diffusa rete territoriale, con al centro l'obiettivo della prevenzione delle malattie e la tutela della salute sui luoghi di lavoro; requisizione senza indennizzo di tutte le cliniche private, anche oltre l’emergenza; abolizione dei sistemi di "welfare" sanitario aziendale e di ogni altra forma di finanziamento indiretto alla sanità privata.

2) Salario medio garantito per disoccupati, sottoccupati, precari e cassintegrati.

3) Riduzione drastica e generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario: lavorare meno, lavorare tutti; per il lavoro socialmente necessario.

4) I costi della pandemia e della crisi siano pagati dai padroni, a partire da una patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione i cui proventi vanno destinati alla copertura al 100% di tutti i salari e al salario medio garantito per disoccupati e precari. Rifiuto del debito di stato come strumento per soffocare le rivendicazioni proletarie e sociali.

5) Libertà di sciopero e agibilità sindacale, contro i divieti delle questure, dei prefetti e della Commissione di garanzia sugli scioperi: se si lavora, si ha anche il diritto di svolgere attività sindacale e di scioperare.

6) Diritto al lavoro per tutte le donne, contro la precarizzazione e il lavoro a distanza; per il potenziamento dei servizi di welfare, contro la conciliazione tra lavoro domestico ed extra-domestico; contro il sessismo e la violenza sociale e domestica; per il diritto di aborto assistito e l’auto-determinazione delle donne.

7) Abrogazione dei decreti-sicurezza: no alla militarizzazione dei territori e dei luoghi di lavoro, contro ogni criminalizzazione delle lotte sociali e sindacali.

8) Contro la regolarizzazione-beffa Conte-Bellanova, permesso di soggiorno europeo a tempo indeterminato per tutti gli immigrati e le immigrate presenti sul territorio nazionale; completa equiparazione salariale, di diritti e di accesso ai servizi sociali; abolizione delle attuali leggi italiane ed europee sull'immigrazione e chiusura immediata dei CPR.

9) Drastico taglio alle spese militari (un F35 costa quanto 7113 ventilatori polmonari) e alle grandi opere inutili e dannose (quali Tav, Tap, Muos).

10) Contro le politiche di devastazione ambientale e il saccheggio indiscriminato della natura e dell'ecosistema in nome dei profitti e della speculazione.

11) Piano straordinario di edilizia scolastica e di assunzione di personale docente e non docente per garantire la salute nelle scuole e, appena possibile, la didattica in presenza. Abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, programmi di formazione pagati a salario pieno. Critica della cultura, dell'arte e della scienza al servizio del profitto.

12) Blocco immediato degli affitti, dei mutui sulla prima casa e di tutte le utenze (luce, acqua, gas, internet) per i disoccupati e i cassintegrati; blocco a tempo indeterminato degli sgomberi per tutte le occupazioni a scopo abitativo.

13) Revoca di qualsiasi progetto di “Autonomia differenziata”, che penalizza i proletari e i lavoratori del Sud.

14) Amnistia e misure alternative per garantire la salute di tutti i proletari e le proletarie detenuti.

Patto d'azione anticapitalista – per il fronte unico di classe

Per abbattere la violenza patriarcale e capitalista ci vuole la rivoluzione socialista!

 


25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Quest'anno la giornata mondiale contro la violenza sulle donne cade nel pieno della crisi sanitaria, che si innesta nella fase di lunga crisi economica avviata nel 2008, approfondendola e aggravandola nelle sue conseguenze sociali.
Le donne delle classi subalterne stanno pagando un prezzo enorme per questa crisi a tutti i livelli della loro condizione generale.

Questa è dominata, prima di tutto, dall’incertezza del lavoro e del salario, elementi imprescindibili di autonomia.
I contraccolpi hanno investito il vasto settore del lavoro precario, nel quale le donne sono la maggioranza, come lo sono nei settori fortemente in crisi, il turismo e i servizi (soprattutto ricettivi, ristorativi, culturali e di assistenza sanitaria e domestica).
In Italia si sono persi rispetto all’anno scorso 274.000 posti di lavoro occupati da donne (dati ISTAT di agosto 2020), e c’è un forte incremento di donne inattive, specialmente nelle fasce giovanili (+8,5%).
D’altra parte anche per le donne occupate, ma temporaneamente in cassa integrazione, è venuta meno la certezza del salario (in ogni caso generalmente basso, anche per la grande diffusione del part time, molto spesso involontario), estremamente ridotto ed erogato con forti ritardi dall’INPS, quando non anticipato dal datore di lavoro.
Nei settori che si trovano a contatto con il Covid-19 – nella sanità pubblica e privata, nell’assistenza domestica – o in relazione con il pubblico, come nel commercio e la grande distribuzione, le lavoratrici subiscono invece un sovraccarico di lavoro e una elevata esposizione al contagio, spesso sprovviste di adeguate misure di sicurezza.

La situazione altalenante delle scuole e la condizione di vulnerabilità delle persone anziane ha determinato un maggiore carico di lavoro sulle spalle delle donne, sulle quali grava il maggiore peso delle attività di cura, peggiorato dai tagli e dalla privatizzazione e aziendalizzazione dei servizi sanitari e sociali.

In questo quadro lo smart working si sta strutturando come una forma di ulteriore sfruttamento, veicolato attraverso la mistificazione di una possibile (ed evidentemente normale e doverosa nell’ottica capitalistica) conciliazione tra il lavoro produttivo e il lavoro riproduttivo, con il risultato di confondere i confini dei due ambiti, aumentandone la durata e l’intensità di entrambi. Inoltre ciò condanna le donne a rinchiudersi nella sfera privata dell’ambiente domestico, che molto spesso non è uno spazio sicuro.
Questo è confermato dall’aumento dei casi di violenza domestica, registrati con un incremento delle richieste di aiuto del 119,6% (dati ISTAT marzo-giugno 2020), che i centri antiviolenza e le case rifugio, colpiti dai tagli delle risorse e dalle difficoltà operative causate dall’emergenza, hanno faticosamente seguito.

Tra le diverse forme di violenza che le donne stanno subendo in forma aggravata in questa fase di emergenza sanitaria c’è il contrasto all’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), già di norma ostacolato dalla pratica nelle strutture sanitarie dell’obiezione di coscienza. In questi ultimi mesi in molti ospedali si è verificata la sospensione o la riduzione del servizio, mentre in diverse regioni nei consultori e negli ambulatori non viene somministrata la pillola abortiva RU486. Esemplari sono stati il caso dell’Umbria, dove la giunta di centrodestra guidata dalla presidente Tesei aveva abrogato una delibera che permetteva di praticare l'aborto farmacologico in day hospital, rendendolo possibile solo con un ricovero di tre giorni, rendendo l’interruzione di gravidanza più traumatica e invasiva; e il più recente caso del Piemonte, dove a inizio settembre, su iniziativa di un consigliere di Fratelli d’Italia, è stata emessa una circolare che vieta l’aborto farmacologico direttamente nei consultori, riservandone l’attuazione solo negli ospedali, e attiva l’ingresso dei movimenti per la vita nelle strutture dove si pratica l’interruzione di gravidanza.
In una fase di crisi, le politiche reazionarie e repressive, la violenza e il controllo dello Stato, cercano di avere la meglio sulla nostra libertà di scelta, e necessitano di una radicale risposta, come dimostrano la mobilitazione delle donne polacche, e in Argentina quella della Campagna nazionale per il diritto all'aborto, sostenuta dai partiti della sinistra marxista rivoluzionaria, che sta in questi giorni riempiendo le piazze, mentre è stato depositato un disegno di legge al Congresso dal presidente peronista Alberto Fernandez.

Di fronte all’aggravarsi di tutte le forme di violenza che le donne subiscono, è necessaria una mobilitazione femminista a livello internazionale su basi anticapitaliste e rivoluzionarie, all’interno di un movimento unitario di tutta la classe oppressa e sfruttata, e attraverso la costruzione di un fronte che unisca la lotta contro tutte le oppressioni di genere alle lotte per il lavoro, per la casa, per la difesa dell’ambiente e a quelle antifasciste.

Una lotta con rivendicazioni chiare e radicali:

• difesa del lavoro, strumento di autonomia e di autodeterminazione, rivendicando il blocco permanente dei licenziamenti e la cancellazione di tutte le leggi che hanno precarizzato la condizione lavorativa e che hanno sottoposto le donne alla dipendenza familiare, a ricatti, abusi e molestie nei luoghi di lavoro. Cancellazione di appalti e privatizzazioni, fonte di lavoro precario;

• ripartizione del lavoro tra tutte e tutti, con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga; 30 ore per tutti, pagate 40, con l’introduzione di un salario minimo intercategoriale di 1500 euro;

• difesa del salario, rivendicandone la copertura al 100% e rivendicando un salario garantito in caso di disoccupazione o inoccupazione. Contro ogni ipotesi di reddito universale o di autodeterminazione slegato dal lavoro;

• cancellazione delle controriforme delle pensioni e ritorno al sistema retributivo;

• nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo delle lavoratrici e dei lavoratori delle imprese che chiudono, inquinano e delocalizzano;

• patrimoniale di almeno il 10% sul 10% più ricco della popolazione e cancellazione del debito pubblico verso le banche, e nazionalizzazione di queste ultime;

• servizi sociali pubblici e sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici e delle utenti per i servizi legati alla cura. Fine della pratica della sussidiarietà privata. La prospettiva deve essere la socializzazione del lavoro di cura;

• aborto libero, sicuro e gratuito; accesso all’aborto farmacologico; contraccezione gratuita e garantita;

• abolizione dell’obiezione di coscienza e consultori pubblici e laici;

• autorganizzazione dell'autodifesa femminista con il potenziamento di centri di aiuto e ascolto; fondi ai centri antiviolenza e case di tutela per donne maltrattate, organizzati da donne e per donne, senza nessun finanziamento a enti o case famiglia religiose o private;

• eliminazione di tutte le leggi securitarie che violano i diritti delle donne immigrate; lotta al caporalato e alle forme di schiavismo cui sono soggette le lavoratrici; lotta alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione.

Dentro questo sistema economico e sociale non è possibile la liberazione delle donne dalle diverse forme di violenza e oppressione. In una società di sfruttamento, in una società divisa in classi, non saremo mai libere.
Solo con il rovesciamento di questo ordine sociale innestato sul capitalismo e il patriarcato, solo con una rivoluzione socialista potremo spezzare le catene dello sfruttamento e della violenza, e liberare noi stesse e l’umanità intera.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere

In Guatemala esplode una massiccia rivolta sociale

 


In Guatemala è esplosa la rivolta sociale, nel pieno di una crisi economica senza precedenti. In piena emergenza Covid, e dopo aver subito centinaia di morti provocati da due uragani devastanti all’inizio di novembre, che hanno messo in ginocchio la parte più povera e contadina del paese, la borghesia e le forze reazionarie dentro il governo della destra reazionaria “Vamos” e quello che è stato definito il “Patto della corruzione” (un'alleanza tra politici corrotti, il capitalismo locale e la mafia del narcotraffico al potere del Paese fin dalle dimissioni del presidente Otto Pérez Molina, nel 2015) hanno approvato tramite il Congresso il bilancio dello stato, che di fatto che mette in ginocchio i lavoratori e la parte più debole della popolazione guatemalteca.


Era stato lanciato un appello da diverse organizzazioni di sinistra, democratiche e dei lavoratori per una manifestazione convocata per sabato 21 novembre, contro il governo e la legge di bilancio che di fatto toglie ogni risorsa per la sanità, l’istruzione e i servizi essenziali. Alla manifestazione hanno partecipato in migliaia, e una parte del corteo ha fatto irruzione nel palazzo del Congresso, incendiandolo. Le forze di polizia, impreparate ad una così alta partecipazione di massa, non sono state in grado inizialmente di reagire, ma in serata hanno scatenato una feroce repressione ordinata dal governo di Alejandro Giammattei.
La rabbia della popolazione e dei manifestanti è totalmente diretta contro la destra di Vamos. Settori studenteschi e giovanili stanno in continuazione lanciando appelli per la mobilitazione e la resistenza sociale.
L'Unità Rivoluzionaria Nazionale Guatemalteca, partito di sinistra con rappresentanza parlamentare (erede del Partito Guatemalteco del Lavoro stalinista e delle organizzazioni guerrigliere castriste), intanto sta lanciando inviti alla protesta pacifica contro il governo e la corruzione. Il Presidente Giammattei ha promesso di non risparmiare una dura repressione.

Le proteste in Guatemala non sono isolate, e si stanno unendo a quelle di altri paesi in America latina: Cile, Colombia, Perù, Ecuador, Argentina, Costa Rica. La necessità principale è quella di unificare la lotta di classe in un continente sempre più in fiamme, devastato dalla pandemia e dalla crisi economica. Non limitandosi, come purtroppo fanno molte organizzazioni trotskiste, alla rivendicazione di nuove assemblee costituenti (quando questa rivendicazione è espressa dal movimento di massa), ma lanciando la prospettiva dell’autorganizzazione di massa in comitati e consigli eletti nei luoghi di lavoro, nelle scuole e università, nei quartieri e nei comuni rurali, come potere alternativo allo stato borghese, alla sua repressione e ai suoi inganni “democratici”.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione internazionale

Una testimonianza della lotta dei lavoratori Whirlpool


Pubblichiamo una dichiarazione di un operaio della Whirlpool sugli ultimi sviluppi della lotta di resistenza contro la chiusura dello stabilimento di Napoli della multinazionale

Buonasera, sono Antonio Donnarumma, operaio della Whirlpool di Napoli, e voglio aggiornarvi su quello che sta succedendo nella fabbrica dove lavoro.

La vertenza Whirlpool è ormai tristemente nota per tutto quello che sta rappresentando, sia per il mondo sindacale sia per il mondo del lavoro, in quanto il 31 ottobre scorso ha licenziato 350 operai della fabbrica e altri 700 operai facenti parte dell’indotto.
Dal primo novembre la fabbrica è presidiata 24 ore su 24 dagli operai, e nonostante l’emergenza Covid, stiamo gestendo le turnazioni in modo da non lasciare mai il presidio, ma allo stesso tempo di non creare assembramenti. Il presidio è davanti alla portineria, e mantenendo il distanziamento possono starci al massimo 40 persone.

Siamo in una situazione di stallo totale, ma ancora più preoccupante è che siamo in una situazione di silenzio totale. Mentre il sindacato chiede la costituzione di tavoli permanenti, dall’altra parte il governo sembra non sentire la voce dei lavoratori e soprattutto sembra essersi arreso alla volontà della multinazionale. Questo lo dico perché in settimana durante un’interrogazione parlamentare fatta dai senatori Ruotolo ed Errani, il Ministro per lo Sviluppo Economico Patuanelli ha detto che non ci sono più mezzi per fare in modo che la direzione Whirlpool torni indietro, e che sono state avviate trattative con diversi imprenditori “seri” che dovrebbero rilevare la fabbrica con tutti i lavoratori.
Noi lavoratori non crediamo a questa soluzione, anche perché in più di un’occasione, soprattutto durante l’ultima campagna elettorale, il ministro Patuanelli, la candidata alla Regione Campania per il M5S Valeria Ciarambino, e il ministro Di Maio assicurarono che la fabbrica non avrebbe chiuso, e che sarebbe stato loro preciso impegno scongiurare tale chiusura, fatto sta che la chiusura c’è stata.

Riteniamo inaccettabile sia che in diciotto mesi il governo non abbia preparato un piano, da una parte per costringere la multinazionale Whirlpool a tenere la fabbrica aperta, dall’altra per tutelare oltre mille posti di lavoro; sia che venga data la possibilità ad una multinazionale di aprire una fabbrica e poi di chiuderla alla bisogna.
Prendiamo atto pertanto della mancanza di autorevolezza e di competenza dello Stato nel gestire queste situazioni.

Se le restrizioni anti-Covid lo permetteranno, nelle prossime settimane intraprenderemo ulteriori azioni di lotta, in aggiunta a quelle già fatte in autostrada, ferrovia e aeroporto. Purtroppo non è facile con le restrizioni adottate nelle zone rosse, ma contiamo di riuscire a portare avanti la nostra causa.
Nel frattempo stiamo aspettando una convocazione al MISE per una soluzione seria e che includa Whirlpool, e voglio ribadire che non è tollerabile che sia consentito ad una multinazionale di entrare, acquisire soldi pubblici e chiudere licenziando migliaia di lavoratori.

Colgo l’occasione per ringraziare l’area di minoranza CGIL, che ha fatto mettere all'ordine del giorno una relazione sulla nostra situazione, e che si è impegnata a promuovere la nostra cassa di resistenza, istituita lo scorso anno per far fronte alle spese delle manifestazioni e del presidio permanente. Assieme agli altri operai ringrazio e ringraziamo tutti i sodali, la risposta che stiamo ricevendo, sia come partecipazione alle iniziative di lotta sia come contributo alla cassa di resistenza. Significa che dopo anni si sta ricostituendo una coscienza di classe, che è stata nel tempo progressivamente e colpevolmente smantellata, ma che ora stiamo dimostrando di avere.
Concludo dicendo solo che uniti si vince!



Per sostenere la cassa di resistenza:

Conto Cral - 106810, intestato a Cral aziendale Whirlpool Napoli

Codice IBAN IT81 N030 6909 6061 0000 0106 810

Antonio Donnarumma

Il capitale e i vecchi

 


La strage di anziani nelle RSA. E non solo

20 Novembre 2020

Il capitale cerca ovunque il profitto. Anche l'indirizzo della ricerca medica ne è condizionato, perché è appaltato all'industria farmaceutica. Ad esempio i colossi della farmaceutica, dopo aver abbandonato nel 2003 le ricerche sul virus della SARS – per il fatto che la pandemia si era rapidamente esaurita, e con essa il relativo mercato – sgomitano adesso tra loro per assicurarsi il mercato gigantesco del vaccino anti-Covid. Un bene prezioso per l'umanità (al di là delle idiozie reazionarie dei negazionisti) diventa per alcune di esse l'affare del secolo. Un mercato che sarà finanziato dai bilanci statali di tutto il mondo, e dunque in larga parte dalle tasse pagate dai lavoratori. In questo caso la ricerca sta battendo, fortunatamente, ogni record di celerità, compiendo in meno di un anno un percorso che normalmente richiede un decennio.


I TEMPI DELLA RICERCA, UNA VARIABILE DEL PROFITTO

È comprensibile. La pressione del capitalismo mondiale in recessione sulla ricerca del vaccino è stata concentrata e irresistibile. Non si tratta solo del profitto delle case farmaceutiche ma dei profitti dell'intera classe capitalista, dei volumi della produzione e del commercio mondiale, dei rapporti di forza sul mercato mondiale tra imperialismi vecchi (USA e UE) e nuovi (Cina). La ricerca ha agito sotto la frusta della Borsa.

Per altri orizzonti di ricerca, meno profittevoli, i tempi sono diversi, o addirittura infiniti. È il caso ad esempio delle malattie degenerative delle persone anziane: Alzheimer, Parkinson, demenza senile. Qui la ricerca ristagna da molto tempo. Perché occuparsi di persone improduttive per un'economia fondata sul profitto? Quando il governatore Toti osserva che i vecchi non sono «indispensabili» per la ripresa economica, volgarizza cinicamente un principio di realtà per la società borghese. Indispensabile è solo chi genera profitto; per questo lo si spreme a mani basse. I vecchi sono invece un peso parassitario. Le loro pensioni un costo. Le loro vite un tempo ormai breve. Perché dunque occuparsi di loro?

Il capitale trova un altro modo di trattare i vecchi. Li usa fin che può come ammortizzatori sociali in tempi di crisi, laddove possono arrotondare con la propria pensione i salari dei loro figli e nipoti cassaintegrati e precari, oppure surrogare l'assenza degli asili nido. In questo caso la presenza dei nonni in famiglia copre i tagli massicci del welfare, compiuti per pagare il debito alle banche. Ma quanto la vecchiaia è troppo avanzata e le condizioni di salute dell'anziano non lo permettono, allora la società borghese lo scarica come un rifiuto. O carica la sua assistenza sulla donna di casa, magari costretta a lasciare il lavoro per assistere il padre o il suocero, o a reggere un doppio lavoro ancor più estenuante. Oppure lo affida alla cura privata di una badante (per chi se la può permettere), spesso in nero, senza documenti, ricattabile, più volte oggetto di molestie e di abusi impuniti in famiglia.


IL GRANDE AFFARE DELLE CASE DI RIPOSO

La terza soluzione è la casa di riposo: il destino delle persone sole e ormai ingestibili in casa. Il luogo che in Italia in soli quattro mesi ha visto il 40% di decessi per Covid-19. Fatalità? No, anche qui la legge del profitto lascia una impronta indelebile. Per molti aspetti la più vergognosa.

In Italia abbiamo 4,4 milioni di anziani over 80. I tassi attuali di invecchiamento della popolazione, anch'essi sospinti dalla crisi capitalista, fanno sì che nel 2050 saranno quasi 8 milioni. Eppure l'offerta dei posti letto non supera la cifra dei 200.000. Un numero irrisorio. Lo Stato non si occupa della questione, è già tanto che versi una pensione. Tutto è affidato al mercato delle strutture private, tra privati cosiddetti “no profit” (cooperative, fondazioni religiose...) che ne coprono il 50%, e strutture dichiaratamente profit che coprono quasi tutta l'altra metà, salvo una piccola quota gestita dai comuni. La retta mensile varia tra i 2400 e i 4000 euro, coperta solo per la metà dal finanziamento pubblico della Regione, il resto è a carico dell'ospite. A seconda delle Regioni, va dai 50 ai 100 euro al giorno.
Se poi non trovi posto, puoi ripiegare nelle cosiddette case famiglia (al massimo sette ospiti), interamente a carico del degente per 1800 euro mensili. Luoghi dove non viene esercitato alcun controllo pubblico, neppure saltuario, e dove non a caso si consuma il peggio dei maltrattamenti e degli omicidi colposi di cui le cronache si sono occupate.

Ma chi è il proprietario delle RSA? Korian-Segesta, il principale azionista Crédit Agricole; il gruppo Kos, controllato dalla famiglia De Benedetti; il San Raffaele, della famiglia Angelucci; Sereni Orizzonti (sic), gestito da Massimo Blasoni, indagato per truffa al servizio sanitario nazionale; il Gruppo Gheron, della famiglia Bariani.
Un gruppo di grandi famiglie capitaliste che fa affari d'oro. Fatturati annui che vanno dai 200 ai 600 milioni, utili netti che oscillano rispettivamente tra i 15 e i 30 milioni. Qual è il fondamento di tassi di profitto così elevati? Non solo il livello delle rette, per quelle famiglie che se le possono permettere, ma il supersfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, medici e infermieri/e. Costretti a orari massacranti, pagati molto meno che nelle strutture pubbliche (1200 euro di media contro i 1600), spesso dipendenti di cooperative e oggetto di caporalato. Gli stessi che giorni fa hanno scioperato in tutta Italia per chiedere regolarizzazione, internalizzazione del servizio, salario, dignità, diritti. sicurezza sul lavoro.
È l'assenza di tamponi per il personale di servizio il principale veicolo di contagio nelle RSA. A sua volta moltiplicatore di decessi, tra degenti e lavoratori. A produrre la morte non è solo il virus, ma anche e in primo luogo lo sfruttamento.


LA RIVOLUZIONE E LA VITA

Cosa fa sull'argomento il governo dell'emergenza sanitaria? Un atto davvero irresistibile: il ministro Speranza ha incaricato Monsignor Vincenzo Paglia, gran cancelliere del Pontificio Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, di guidare un osservatorio sulle RSA. Commovente. Lo Spirito Santo accompagnerà i suoi lavori. Ma soprattutto la continuità dei decessi.

È invece necessaria una svolta radicale nel trattamento delle persone anziane e nel lavoro dell'assistenza, domiciliare e ospedaliera.

L'assistenza domiciliare degli anziani va assunta come funzione pubblica. Le badanti vanno assunte da un servizio nazionale dello Stato, che le metta in regola, formi il personale, garantisca la loro sicurezza, eserciti un controllo pubblico sulla funzione sociale dell'assistenza domiciliare.
Il sistema delle RSA va nazionalizzato, senza indennizzo per le famiglie capitaliste che lo gestiscono, e sotto controllo sociale, nell'ambito della requisizione e nazionalizzazione, senza indennizzo, dell'intera sanità privata.

Questa misura non sarà mai realizzata da un governo borghese, sia esso conservatore o progressista. Basta vedere gli affari della sanità privata in Spagna sotto il governo di PSOE e Podemos. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può liberare la salute dal profitto. Solo una rivoluzione può tutelare la dignità dell'ultimo tratto della vita.

Partito Comunista dei Lavoratori

Come il quotidiano di Confindustria nasconde l'incasso dei capitalisti

 


«Dieci miliardi per i dipendenti pubblici» titola con tono scandalizzato il quotidiano di Confindustria (17 novembre) per commentare l'annunciata legge di bilancio. È un falso, che serve a nascondere altro.


La cifra destinata per il lavoro e i servizi pubblici (collassati) è irrisoria. Per la sanità un miliardo (uno) riservato al Fondo sanitario nazionale, più alcune centinaia di milioni per gli infermieri per indennità di servizio. Elemosine per “gli eroi”.
I 36.000 medici e infermieri assunti a marzo con contratti precari o a tempo determinato si vedono prorogato il contratto sino al dicembre 2021. In altri termini restano precari, nonostante il crollo del sistema sanitario per il vuoto di organico. I 100 euro lordi previsti dal governo per i contratti pubblici sono comprensivi di una vacanza contrattuale di dieci (dieci) anni. Sono pertanto un insulto. La copertura economica del rinnovo contrattuale dei dipendenti di Regioni, enti locali, università, sanità è affidata ai bilanci autonomi territoriali. Il governo non prende impegni. Le nuove assunzioni nell'amministrazione pubblica contro cui insorge Il Sole 24 Ore sono spalmate tra il 2021 e... il 2032. Una promessa che non costa nulla, perché non significa nulla.

I veri dati certi sono altri, quelli su cui guarda caso Il Sole 24 ore non fornisce cifre. Confindustria incassa ventiquattro miliardi (ventiquattro) e 800 milioni per i cosiddetti incentivi del piano di transizione 4.0, credito d'imposta per macchinario e digitalizzazione, sgravi contributivi a manetta per le assunzioni, contratti a termine senza causali ulteriormente prorogati a vantaggio del lavoro usa e getta. A cui si aggiungono per i prossimi anni i 12,7 miliardi supplementari per la Difesa, cioè per l'industria militare (Leonardo) e chi lavora per questa (Fincantieri). Confermata nel frattempo l'esenzione dal versamento dei contributi previdenziali per chi usufruisce della cassa Covid, una cassa usata abusivamente da un terzo delle imprese italiane, secondo l'INPS. Le stesse imprese che annunciano licenziamenti massicci una volta finita la cassa.

La verità è che “i parassiti” non sono gli statali ma i padroni. I quali cercano di aizzare i propri salariati contro i dipendenti pubblici per dirottare altrove il loro malcontento. La necessità di una piattaforma di lotta generale che unisca l'intera classe dei salariati si rivela ogni giorno di più una urgenza improrogabile.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il vaccino del capitale

 


Un'esigenza centrale dell'umanità diventa terreno di competizione imperialista

18 Novembre 2020

ll vaccino anti-Covid è una drammatica urgenza. Purtroppo se ne occupano i capitalisti.

I colossi dell'industria farmaceutica, gli uni contro gli altri armati, si contendono il mercato mondiale. Pfizer e Moderna, Janssen/Johnson e Sanofi, ogni grande azienda del settore annuncia scoperte scientifiche straordinarie, più vantaggiose di quelle della concorrente, con tanto di rimbalzi favolosi in Borsa. La stessa stampa mondiale fatica a star dietro alle rivelazioni quotidiane.

La vulgata sovranista un tanto al chilo vede in questo fatto la conferma di una globalizzazione in cui comandano i monopoli al posto degli Stati. Ma proprio l'esempio della farmaceutica mostra una realtà diversa. I colossi Pfizer e Moderna non avrebbero raggiunto alcun risultato in fatto di ricerca scientifica senza l'enorme finanziamento pubblico dello Stato borghese americano, pagato innanzitutto dai lavoratori americani. Sono i loro stessi staff aziendali a riconoscerlo candidamente. Ed oggi è lo Stato borghese americano – Trump o Biden poco importa – che incassa dai monopoli capitalisti USA un trattamento privilegiato in fatto di distribuzione del vaccino. Naturalmente pagando fior di quattrini il suo acquisto con sommo gaudio degli azionisti farmaceutici, e scaricando i costi ancora una volta sui proletari statunitensi. I quali pagano dunque “all'andata” e al “ritorno”. Perché così funziona la società borghese.

La corsa al vaccino non è solo concorrenza tra monopoli ma anche competizione tra Stati imperialisti. L'imperialismo USA cerca una vittoria sul vaccino per anticipare la propria ripresa capitalista e riequilibrare il vantaggio dell'imperialismo cinese nel primo tempo della pandemia.
Gli imperialismi europei sono all'inseguimento. L'Unione Europea sta negoziando con i colossi farmaceutici, innanzitutto americani ma anche continentali, per evitare di trovarsi sguarnita di fronte alla concorrenza USA e Cinese. Ma sconta al proprio interno rivalità nazionali e annunciati tiri alla fune in vista della distribuzione delle dosi.

La gara sul mercato mondiale si è appena aperta, e sarà lunga. Il fatto certo è che il volume complessivo delle dosi di vaccino contrattate dai diversi poli imperialisti, e le forme annunciate della loro spartizione, sono molto inferiori alle necessità globali dell'umanità e terribilmente sperequate a vantaggio dei paesi imperialisti. Interi continenti come l'Africa e l'America Latina rischiano di essere marginalizzati nella distribuzione, e/o di dipendere dalle briciole centellinate delle potenze imperialiste, che nei loro confronti useranno anche l'arma del vaccino per ottenere nuovi spazi di sfruttamento e saccheggio di materie prime e nuove aree di influenza. Naturalmente in concorrenza tra loro per la spartizione del bottino.

Nel frattempo, siccome tutto è merce sul mercato mondiale, lo è anche la proprietà intellettuale, come i brevetti. Ogni colosso farmaceutico custodisce le proprie scoperte scientifiche come segreto industriale da tutelare dalla concorrenza rivale. E ogni Stato imperialista tutela i brevetti dei propri colossi contro gli imperialismi concorrenti. Il risultato è che scoperte utili o vitali per garantire la produzione di massa tempestiva su scala planetaria del vaccino sono sequestrate dai capitalisti, in guerra tra loro. Una guerra che prende l'umanità in ostaggio.

Marx diceva che solo il comunismo può far uscire l'umanità dalla preistoria. L'intera vicenda della pandemia conforta questa verità rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

Perché la stampa padronale di mezzo mondo solleva il tema delle diseguaglianze sociali?

 


Il sonno inquieto della borghesia

17 Novembre 2020

Il Guardian britannico pochi giorni or sono ha fatto i conti in tasca al grande capitale internazionale, sollevando il tema dell'allargamento enorme delle disuguaglianze sociali. L'analisi ha individuato i capitalisti che nel mondo hanno in tasca più di un miliardo di dollari (850 milioni di euro): 2189 "super-ricchi", il numero più alto di sempre, che nell'anno del lockdown hanno accresciuto il proprio patrimonio complessivo del 27%, passando da 8000 miliardi a 10200 miliardi. Paradigmatica la ricchezza di Bezos, fondatore di Amazon, che in poche settimane è passato da un patrimonio di 115 miliardi a quello di 189 miliardi.

Questi dati sulla ricchezza dei grandi capitalisti americani sono ricorrenti da tempo sulla stampa borghese europea. Trasudano anche il dispetto dei governi imperialisti del vecchio continente per la sfrontata evasione fiscale dei monopoli delle piattaforme on line, peraltro protetti in misura determinante dalla potenza statale degli USA, alla faccia dei teorici di un capitale talmente globalizzato da fare a meno degli Stati nazionali. Di certo quei dati riflettono la gigantesca concentrazione capitalista al livello più elevato e scandaloso. Tanto più sullo sfondo della pandemia mondiale e delle sue ricadute sociali sulla maggioranza dell'umanità.


LA POLARIZZAZIONE DELLA RICCHEZZA

Tuttavia l'attenzione verso questa ristrettissima “élite mondialista”, possibilmente estera – che tanto appassiona i sovranisti – rischia di occultare lo scandalo della classe capitalista di casa propria, quella tutelata dal “nostro” Stato borghese.
Prendiamo FCA. Tutti conosciamo la copertura di risorse pubbliche di cui ha goduto in fatto di crediti bancari, per quasi 7 miliardi. Tutti sappiamo che la sola fusione con la francese PSA arricchirà gli azionisti di altri 3,3 miliardi. Tutti sappiamo che al pari di tutti i capitalisti, FCA ha avuto in dono il taglio dell'IRAP, con soldi presi dalla sanità, e il taglio dell'IRES (tassa sui profitti) dal 34,5% al 20% circa nel corso degli ultimi tredici anni. Ma alle cedole parassitarie degli azionisti si aggiungono gli stipendi sontuosi dei manager dell'azienda, che peraltro normalmente sono anche azionisti della stessa. Il caso di John Elkann è emblematico. Dopo aver incassato in quanto azionista tutto ciò che poteva incassare, John Elkann ha fatto il pieno anche in quanto manager. Per la precisione, nel 2019 ha intascato come stipendio 37,7 milioni di euro. Cioè 1250 volte quanto guadagna il salariato medio della FCA. Il quale per guadagnare quanto Elkann dovrebbe lavorare 1250 anni.

Qualcuno dirà che si tratta di un caso estremo. No, è un dato esemplificativo della divaricazione generale della ricchezza.
Prendiamo un altro angolo di misurazione: il livello di risparmio delle classi sociali. Carlo Bonomi, nel minuetto con Landini, ha affermato che è meglio evitare (persino) la detassazione degli aumenti salariali, perché significherebbe incentivare non i consumi ma i risparmi. L'argomento non solo è insultante, perché suppone che un salariato a 1200 euro mensili possa oggi risparmiare qualcosa; ma è scandaloso perché occulta una realtà esattamente opposta: l'enorme crescita dei depositi bancari delle imprese italiane, quelle che Bonomi rappresenta. Il Sole 24 Ore (16 novembre) mette nero su bianco le cifre: nell'anno della nuova grande recessione, le imprese italiane hanno accresciuto del 21% le proprie somme in banca, per 365 miliardi di euro. La borghesia che non rinnova i contratti piangendo miseria è quella che fa lo sciopero degli investimenti mettendo in banca ciò che succhia dal lavoro salariato. Mentre dieci milioni di lavoratori e lavoratrici italiani/e su diciotto, secondo i dati della Fondazione Di Vittorio, guadagnano meno di 1200 euro, e in media tra 700 e 800.


LIBERARE IL MONDO DA UNA CLASSE DI PARASSITI

Questa voragine sociale che sta ulteriormente precipitando inquieta alcuni ambienti della borghesia. Nel 2006 il finanziere americano Warren Buffett poteva dire trionfante: “la lotta di classe la stiamo facendo noi ricchi contro i poveri e la stiamo vincendo”. Era la vigilia della grande crisi del capitalismo mondiale. Oggi la stessa stampa borghese che documenta l'abisso delle disuguaglianze si interroga sui possibili contraccolpi sociali. Il capo del gigante bancario svizzero UBS si chiede «Esiste il rischio che i ricchi finiscano sotto accusa? Sì. Ne sono consapevoli? Sì».
Il nuovo quotidiano di De Benedetti, dal nome augurante (Domani), chiede alla politica di trovare il modo di «disinnescare questa bomba sociale» per tempo.

Paradossalmente, lo stesso padronato che si arricchisce sulla miseria degli operai ha una coscienza della loro forza che è maggiore di quella che oggi hanno gli operai stessi. Dare una coscienza di classe al proletariato è il compito più che mai di tutte le avanguardie. L'unico modo per sgombrare la via della rivoluzione e liberare il mondo dalla classe di parassiti che lo governa.

Partito Comunista dei Lavoratori