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Per abbattere la violenza patriarcale e capitalista ci vuole la rivoluzione socialista!

 


25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Quest'anno la giornata mondiale contro la violenza sulle donne cade nel pieno della crisi sanitaria, che si innesta nella fase di lunga crisi economica avviata nel 2008, approfondendola e aggravandola nelle sue conseguenze sociali.
Le donne delle classi subalterne stanno pagando un prezzo enorme per questa crisi a tutti i livelli della loro condizione generale.

Questa è dominata, prima di tutto, dall’incertezza del lavoro e del salario, elementi imprescindibili di autonomia.
I contraccolpi hanno investito il vasto settore del lavoro precario, nel quale le donne sono la maggioranza, come lo sono nei settori fortemente in crisi, il turismo e i servizi (soprattutto ricettivi, ristorativi, culturali e di assistenza sanitaria e domestica).
In Italia si sono persi rispetto all’anno scorso 274.000 posti di lavoro occupati da donne (dati ISTAT di agosto 2020), e c’è un forte incremento di donne inattive, specialmente nelle fasce giovanili (+8,5%).
D’altra parte anche per le donne occupate, ma temporaneamente in cassa integrazione, è venuta meno la certezza del salario (in ogni caso generalmente basso, anche per la grande diffusione del part time, molto spesso involontario), estremamente ridotto ed erogato con forti ritardi dall’INPS, quando non anticipato dal datore di lavoro.
Nei settori che si trovano a contatto con il Covid-19 – nella sanità pubblica e privata, nell’assistenza domestica – o in relazione con il pubblico, come nel commercio e la grande distribuzione, le lavoratrici subiscono invece un sovraccarico di lavoro e una elevata esposizione al contagio, spesso sprovviste di adeguate misure di sicurezza.

La situazione altalenante delle scuole e la condizione di vulnerabilità delle persone anziane ha determinato un maggiore carico di lavoro sulle spalle delle donne, sulle quali grava il maggiore peso delle attività di cura, peggiorato dai tagli e dalla privatizzazione e aziendalizzazione dei servizi sanitari e sociali.

In questo quadro lo smart working si sta strutturando come una forma di ulteriore sfruttamento, veicolato attraverso la mistificazione di una possibile (ed evidentemente normale e doverosa nell’ottica capitalistica) conciliazione tra il lavoro produttivo e il lavoro riproduttivo, con il risultato di confondere i confini dei due ambiti, aumentandone la durata e l’intensità di entrambi. Inoltre ciò condanna le donne a rinchiudersi nella sfera privata dell’ambiente domestico, che molto spesso non è uno spazio sicuro.
Questo è confermato dall’aumento dei casi di violenza domestica, registrati con un incremento delle richieste di aiuto del 119,6% (dati ISTAT marzo-giugno 2020), che i centri antiviolenza e le case rifugio, colpiti dai tagli delle risorse e dalle difficoltà operative causate dall’emergenza, hanno faticosamente seguito.

Tra le diverse forme di violenza che le donne stanno subendo in forma aggravata in questa fase di emergenza sanitaria c’è il contrasto all’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), già di norma ostacolato dalla pratica nelle strutture sanitarie dell’obiezione di coscienza. In questi ultimi mesi in molti ospedali si è verificata la sospensione o la riduzione del servizio, mentre in diverse regioni nei consultori e negli ambulatori non viene somministrata la pillola abortiva RU486. Esemplari sono stati il caso dell’Umbria, dove la giunta di centrodestra guidata dalla presidente Tesei aveva abrogato una delibera che permetteva di praticare l'aborto farmacologico in day hospital, rendendolo possibile solo con un ricovero di tre giorni, rendendo l’interruzione di gravidanza più traumatica e invasiva; e il più recente caso del Piemonte, dove a inizio settembre, su iniziativa di un consigliere di Fratelli d’Italia, è stata emessa una circolare che vieta l’aborto farmacologico direttamente nei consultori, riservandone l’attuazione solo negli ospedali, e attiva l’ingresso dei movimenti per la vita nelle strutture dove si pratica l’interruzione di gravidanza.
In una fase di crisi, le politiche reazionarie e repressive, la violenza e il controllo dello Stato, cercano di avere la meglio sulla nostra libertà di scelta, e necessitano di una radicale risposta, come dimostrano la mobilitazione delle donne polacche, e in Argentina quella della Campagna nazionale per il diritto all'aborto, sostenuta dai partiti della sinistra marxista rivoluzionaria, che sta in questi giorni riempiendo le piazze, mentre è stato depositato un disegno di legge al Congresso dal presidente peronista Alberto Fernandez.

Di fronte all’aggravarsi di tutte le forme di violenza che le donne subiscono, è necessaria una mobilitazione femminista a livello internazionale su basi anticapitaliste e rivoluzionarie, all’interno di un movimento unitario di tutta la classe oppressa e sfruttata, e attraverso la costruzione di un fronte che unisca la lotta contro tutte le oppressioni di genere alle lotte per il lavoro, per la casa, per la difesa dell’ambiente e a quelle antifasciste.

Una lotta con rivendicazioni chiare e radicali:

• difesa del lavoro, strumento di autonomia e di autodeterminazione, rivendicando il blocco permanente dei licenziamenti e la cancellazione di tutte le leggi che hanno precarizzato la condizione lavorativa e che hanno sottoposto le donne alla dipendenza familiare, a ricatti, abusi e molestie nei luoghi di lavoro. Cancellazione di appalti e privatizzazioni, fonte di lavoro precario;

• ripartizione del lavoro tra tutte e tutti, con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga; 30 ore per tutti, pagate 40, con l’introduzione di un salario minimo intercategoriale di 1500 euro;

• difesa del salario, rivendicandone la copertura al 100% e rivendicando un salario garantito in caso di disoccupazione o inoccupazione. Contro ogni ipotesi di reddito universale o di autodeterminazione slegato dal lavoro;

• cancellazione delle controriforme delle pensioni e ritorno al sistema retributivo;

• nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo delle lavoratrici e dei lavoratori delle imprese che chiudono, inquinano e delocalizzano;

• patrimoniale di almeno il 10% sul 10% più ricco della popolazione e cancellazione del debito pubblico verso le banche, e nazionalizzazione di queste ultime;

• servizi sociali pubblici e sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici e delle utenti per i servizi legati alla cura. Fine della pratica della sussidiarietà privata. La prospettiva deve essere la socializzazione del lavoro di cura;

• aborto libero, sicuro e gratuito; accesso all’aborto farmacologico; contraccezione gratuita e garantita;

• abolizione dell’obiezione di coscienza e consultori pubblici e laici;

• autorganizzazione dell'autodifesa femminista con il potenziamento di centri di aiuto e ascolto; fondi ai centri antiviolenza e case di tutela per donne maltrattate, organizzati da donne e per donne, senza nessun finanziamento a enti o case famiglia religiose o private;

• eliminazione di tutte le leggi securitarie che violano i diritti delle donne immigrate; lotta al caporalato e alle forme di schiavismo cui sono soggette le lavoratrici; lotta alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione.

Dentro questo sistema economico e sociale non è possibile la liberazione delle donne dalle diverse forme di violenza e oppressione. In una società di sfruttamento, in una società divisa in classi, non saremo mai libere.
Solo con il rovesciamento di questo ordine sociale innestato sul capitalismo e il patriarcato, solo con una rivoluzione socialista potremo spezzare le catene dello sfruttamento e della violenza, e liberare noi stesse e l’umanità intera.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere