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Il nuovo governo e le prospettive dello scenario politico
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Risoluzione sulla situazione politica votata dal Comitato Centrale del PCL
26 Giugno 2018
Il nuovo governo Conte-M5S-Lega è il portato del terremoto politico del 4 marzo. Riflette al tempo stesso la profondità della rottura politica prodottasi e le nuove contraddizioni di cui è gravida.
NUOVO GOVERNO E GRANDE CAPITALE
La soluzione di governo della crisi politica non rappresenta la soluzione preferita dal grande capitale. Dopo il risultato del 4 marzo la grande borghesia aveva puntato sull'incontro tra M5S e il PD, in funzione di una “costituzionalizzazione” del M5S quale nuovo possibile baricentro politico, sotto la spinta e il controllo del Partito Democratico. L'operazione, difficile in termini di numeri parlamentari, è stata affossata dal renzismo, preoccupato di preservare il proprio controllo sul PD e in ogni caso la propria rendita politica di posizione. Il nuovo governo è nato dal fallimento di quella operazione. La sua composizione è interamente affidata a forze politiche estranee al tradizionale centro borghese. La mediazione politica e programmatica tra loro intercorsa ha proceduto per sommatoria delle rispettive promesse elettorali, senza il filtro politico diretto del grande capitale.
La guida del governo (Giuseppe Conte) è la risultante posticcia del loro equilibrio.
La Presidenza della Repubblica cerca di porsi come una sorta di contrappeso istituzionale delle forze populiste in rappresentanza del grande capitale, e sotto la pressione degli ambienti UE. Il lavoro di controbilanciamento agisce su piani diversi e complementari: limatura e contenimento delle spinte più populiste sul terreno del programma, in funzione della tenuta del quadro UE e della collocazione internazionale dell'imperialismo italiano; controllo su ministeri strategici, o condizionamento attivo delle relative nomine, a presidio di questa collocazione (Esteri, Economia); pressione sul nuovo premier per investirlo di un ruolo autonomo rispetto alla maggioranza politica di cui è espressione.
Ma la dinamica di questi mesi ha dimostrato che il margine di manovra di cui Mattarella dispone è obiettivamente limitato dal quadro politico e dall'assenza di alternative disponibili. Ciò che ha esposto la stessa Presidenza della Repubblica a dinamiche di crisi istituzionale.
L'Italia è l'unico paese imperialista della UE sotto il controllo di un esecutivo populista, sullo sfondo della crisi e decomposizione del centro politico borghese. Ciò rappresenta un fattore critico sia per il capitalismo italiano in un contesto negoziale difficile sul terreno europeo (negoziazione del bilancio comunitario e dell'unione bancaria, alla viglia dell'annunciata ritirata del Quantitative Easing da parte della BCE); sia per le ricadute del caso italiano sugli assetti malfermi dell'Unione (spinta del gruppo di Visegrad; irrigidimento olandese sulle politiche di bilancio; contraddizioni interne all'asse franco tedesco; diversificazione delle reazioni al trumpismo...).
In questo quadro generale è maturato il posizionamento critico e diffidente di Confindustria, CEI e grande stampa borghese verso il nuovo governo. La stessa apertura manifestata a suo tempo verso il M5S è al momento congelata.
IL PROFILO REAZIONARIO DEL NUOVO GOVERNO
Il contratto di governo del nuovo esecutivo pentaleghista ha un timbro di destra sociale.
Per un verso configura elementi redistributivi (cosiddetto reddito di cittadinanza, revisione della legge Fornero, salario minimo orario) combinati con elementi statalisti (potenziamento della CDP, banca pubblica per gli investimenti, rafforzamento del Tesoro nelle partecipate...), con un liberismo radicale sul piano fiscale (cosiddetta flat tax) a favore del padronato e delle grandi ricchezze, con la preservazione delle leggi di precarizzazione del lavoro (reintroduzione dei voucher), seppur combinate con qualche loro temperamento (cancellazione annunciata del decreto Poletti).
Dall'altro prevede una politica iperreazionaria sul terreno dell'ordine pubblico, delle misure securitarie, della legislazione giudiziaria e carceraria, e soprattutto della immigrazione (segregazione e respingimento di 500.000 migranti; discriminazione etnica per gli stessi immigrati “regolari”, in fatto di reddito e asili).
Mentre la somma degli elementi reazionari Di M5S e Lega (giustizialismo e xenofobia) ha massimizzato il timbro politico reazionario del programma, la somma delle promesse sociali ai rispettivi blocchi elettorali (reddito di cittadinanza, revisione della legge Fornero, flat tax) cozza coi parametri tradizionali sul terreno delle politiche economiche.
Di certo la suddivisione degli incarichi ministeriali (Salvini agli Interni, Di Maio a Lavoro e Sviluppo economico unificati) è funzionale alla gestione propagandistica delle rispettive bandiere e al rapporto con i rispettivi blocchi sociali.
L'aspetto più evidente del programma economico è l'assenza delle coperture. Tutte le voci di copertura sono indeterminate o rimandano ad una trattativa in sede UE che si scontra con spazi negoziali obiettivamente ridotti e in ogni caso massimamente incerti. Questa contraddizione è il portato obbligato dell'accordo M5S-Lega, e ne misura al tempo stesso la difficoltà di gestione. La prossima Legge finanziaria sarà il primo serio banco di prova di questa difficoltà annunciata.
Il governo cercherà di mascherare la difficoltà di gestione delle proprie promesse sociali con due strumenti principali. Il primo è la diluizione nel tempo dell'applicazione del programma attraverso la sua proiezione sulla legislatura. Il secondo è il ricorso parallelo alle misure “esemplari” sul terreno dell'ordine pubblico (migranti) e demagogiche (vitalizi), utili ai riflettori e alla tenuta del consenso, come leva di compensazione delle difficoltà sociali.
Il ministero degli Interni nelle mani della Lega segnerà in ogni caso un nuovo livello della campagna reazionaria, in particolare contro i migranti. L'apertura delle organizzazioni fasciste (CasaPound) al nuovo governo si pone in una logica di inserimento e cavalcamento del nuovo contesto ai fini del proprio radicamento sociale e organizzazione militante.
LE PROSPETTIVE DEL NUOVO SCENARIO POLITICO
Il nuovo governo e la sua dinamica incideranno sull'evoluzione dell'intero scenario politico. Tre sono le possibili ipotesi di prospettiva.
La prima è quella di una dinamica di crisi relativamente rapida della nuova esperienza di governo (esplosione delle contraddizioni sulla prossima Legge finanziaria, dissoluzione della coalizione entro l'anno). In questo caso si delineerebbero probabilmente elezioni politiche anticipate all'inizio del 2019, con la possibile ricomposizione dello schieramento di centrodestra.
La seconda è una dinamica di crisi egualmente rapida, ma gestita di comune accordo dalla maggioranza M5S-Lega in chiave populista, anti-UE e antiestablishment (“non vogliono che governiamo”, “ci vogliono imporre nuova austerità che noi rifiutiamo”, ecc.): in questo caso le elezioni politiche anticipate vedrebbero l'esordio di un blocco populista unificato alla ricerca di un proprio rilancio e di un nuovo accumulo di forze.
La terza ipotesi è quella di una relativa stabilizzazione dell'attuale quadro politico di governo (tenuta della coalizione, contenimento gestito delle sue contraddizioni, consolidamento del punto di equilibrio interno all'asse populista). È un'ipotesi di non facile realizzazione, ma che non può essere esclusa. Potrebbe capitalizzare la crisi profonda di consenso del vecchio establishment, l'assenza di alternative politiche praticabili, la capacità di attrazione anche in sede parlamentare di nuovi apporti trasformisti (in particolare da FI), l'arretramento profondo del movimento operaio. È un'ipotesi oggi considerata dal gruppo dirigente attuale di M5S, quale via praticabile per la stabilizzazione di un proprio ruolo di governo e l'inserimento profondo nell'apparato di Stato borghese; ed è apertamente considerata dal gruppo dirigente salviniano della Lega, che certo cerca di preservare una possibile via di fuga in direzione della ricomposizione del centrodestra, ma vuole prioritariamente verificare sul campo il possibile investimento di prospettiva nel blocco con il M5S. Lo sganciamento di Salvini da Berlusconi muove da questa ricerca. L'opposizione di FI muove dal tentativo di ostruirla. Mentre l'avvicinamento di Fratelli d'Italia all'area di governo (astensione sulla fiducia) misura la disarticolazione in atto nel centrodestra.
Certo l'eventuale stabilizzazione di un blocco populista M5S-Lega segnerebbe una ristrutturazione profonda del quadro politico, in direzione di un un nuovo bipolarismo tra blocco populista e partiti dell'establishment, oggi disarticolati e in crisi. E potrebbe influenzare profondamente le stesse dinamiche di classe sul fronte sociale.
UN GOVERNO FORTE DELLA CRISI DELL'OPPOSIZIONE
Il nuovo governo nasce col vento in poppa di un vasto consenso sociale di massa, anche tra i lavoratori salariati.
Le odiose politiche di austerità del passato alimentano attese e illusioni sulle misure sociali annunciate, mentre il posizionamento ostile del capitale finanziario, italiano ed europeo, agisce come fattore di consolidamento del blocco sociale interclassista su cui il governo si appoggia.
Naturalmente le contraddizioni interne a questo blocco sociale saranno esposte all'esperienza di massa del nuovo governo (a partire dalla prossima Finanziaria), alle dinamiche della lotta di classe, e a variabili imprevedibili (possibile ritorno della turbolenza finanziaria). Ma il piede di partenza del nuovo esecutivo sul fronte sociale dispone di un punto di forza.
Il livello iniziale di consenso sociale del nuovo governo presso il lavoro salariato è nettamente superiore a quello che accompagnò il decollo dei governi tradizionali di centrodestra a trazione berlusconiana, mentre l'opposizione politica del popolo della sinistra è indebolita dai processi di ridimensionamento e dispersione che l'attraversano e che l'esito elettorale del 4 marzo ha registrato.
La passività della burocrazia sindacale regala al governo un più ampio spazio di manovra, mentre l'opposizione democratica sul terreno dei diritti civili, volutamente separata dalla questione sociale, ha una bassa incidenza sull'orientamento di massa dei lavoratori e sui rapporti di forza complessivi.
PER UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE E DI MASSA
La costruzione dell'opposizione di classe e di massa contro il nuovo governo è il terreno centrale di intervento e proposta del nostro partito.
A livello di massa, la nostra linea di intervento e proposta deve intrecciare la denuncia del carattere reazionario del governo e il contrasto delle illusioni sociali di cui si circonda.
Ambienti sovranisti della sinistra minimizzano la valenza reazionaria del nuovo governo dentro la rappresentazione dello scontro tra Italia e UE come “contraddizione principale”, mentre ambienti editoriali “progressisti” (Il Fatto Quotidiano) coprono il M5S e il suo blocco con la Lega nel nome della discriminante antiberlusconiana e antirenziana, o a sostegno delle misure giustizialiste e panpenaliste.
In aperto contrasto di queste posizioni, il PCL fa della denuncia della natura reazionaria del governo M5S Lega un'articolazione del proprio intervento controcorrente a livello di massa. In questo contesto assume una valenza particolare la battaglia per la difesa dei migranti e dei loro diritti, per lo sviluppo e generalizzazione della loro mobilitazione (manifestazioni di Napoli e Caserta, iniziativa dei braccianti di Gioia Tauro), e la battaglia di tutela dei diritti civili, delle donne, di tutte le minoranze oppresse (contro le posture omofobe del nuovo Ministro della Famiglia)
Al tempo stesso tanto più oggi la battaglia democratica controcorrente è inseparabile dalla caratterizzazione classista dell'opposizione al governo. Ciò che significa il contrasto di ogni logica di fronte popolare col PD in funzione della contrapposizione alle destre. L'opposizione del PD al nuovo governo muove dagli interessi dell'establishment. Oggi quell'opposizione concorre di fatto alla tenuta e consolidamento del blocco sociale reazionario su cui il governo si regge. Si tratta di impostare e costruire un'opposizione di segno opposto, dal versante della classe lavoratrice e dei suoi interessi sociali. Un'opposizione che miri ad entrare nelle contraddizioni dei blocchi sociali interclassisti, ad aprire ed approfondire una loro linea interna di frattura, a liberare i lavoratori dall'egemonia reazionaria per ricomporre attorno ad essi un blocco sociale alternativo.
Da un lato occorre demistificare il carattere truffaldino delle posture sociali delle destre (a partire dallo scandaloso regalo fiscale alle grandi ricchezze e ai profitti); dall'altro è necessario rilanciare una piattaforma di mobilitazione indipendente della classe lavoratrice che parta da rivendicazioni riconoscibili a livello di massa per volgerle contro governo e padronato:
- Cancellazione del Jobs Act e di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro
- Riduzione generale dell'orario di lavoro a 32 ore pagate 40 per ripartire il lavoro tra tutti
- Abolizione della Legge Fornero, età pensionabile a 60 anni o 35 anni di lavoro, finanziata dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti
- Un vero salario ai disoccupati, finanziato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese private
- Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende che delocalizzano o licenziano
Su questa piattaforma va rivendicata l'apertura di una vera mobilitazione, nella logica della vertenza generale. Per tale ipotesi di vertenza generale resta centrale la nostra storica parola d'ordine dell'assemblea nazionale dei delegati e delle delegate eletti nelle aziende e centralizzati a vari livelli, come strumento di elaborazione democratica della piattaforma e delle forme di lotta.
Il passaggio della prossima Legge di stabilità, lo scontro annunciato sulla vicenda Ilva, possono rappresentare un contesto di rilancio e di articolazione di questa proposta, entro la linea generale del fronte di classe e di massa. La CGIL in particolare va posta di fronte alle sue responsabilità politiche, non solo sindacali.
L'UNITÀ D'AZIONE NELL'AVANGUARDIA
Sul terreno specifico dell'azione politica nell'avanguardia, va ricercata ogni occasione utile di caratterizzazione del profilo classista e internazionalista della nostra politica, anche attraverso il ricorso a momenti di interlocuzione e unità d'azione con altre forze classiste.
Questa unità d'azione non configura logiche di cartello, né rimpiazza la proposta generale e centrale di fronte unico di massa. Punta da un lato a segnare la linea di demarcazione dalle impostazioni populiste di sinistra e/o sovraniste, in un contesto in cui questo elemento di confronto è riproposto in tutta la sua attualità e significato dal nuovo scenario politico; dall'altro a favorire, ove possibile, un allargamento delle nostre relazioni in settori di avanguardia in funzione della costruzione del partito e del suo autonomo programma generale.
Un aspetto specifico del nostro intervento riguarda Potere al Popolo. Potere al Popolo è sopravvissuto all'insuccesso elettorale e prova a consolidarsi. L'orientamento politico dei partiti che lo compongono conferma la confusa sommatoria di culture e programmi diversi, riformisti e centristi (mutualismo popolare aclassista, sovranismo di sinistra, europeismo progressista), coi loro diversi riferimenti internazionali. La postura populista con impronta sociale rimane il tratto dominante. Al tempo stesso attorno a PaP si mantiene un bacino di avanguardia, diversamente assortito, su cui possiamo avere interesse a intervenire con le nostre posizioni indipendenti. Ciò vale in particolare in occasione di iniziative pubbliche di iniziativa e confronto, nella comune opposizione al nuovo governo M5S-Lega.
Bologna, 10 giugno
NUOVO GOVERNO E GRANDE CAPITALE
La soluzione di governo della crisi politica non rappresenta la soluzione preferita dal grande capitale. Dopo il risultato del 4 marzo la grande borghesia aveva puntato sull'incontro tra M5S e il PD, in funzione di una “costituzionalizzazione” del M5S quale nuovo possibile baricentro politico, sotto la spinta e il controllo del Partito Democratico. L'operazione, difficile in termini di numeri parlamentari, è stata affossata dal renzismo, preoccupato di preservare il proprio controllo sul PD e in ogni caso la propria rendita politica di posizione. Il nuovo governo è nato dal fallimento di quella operazione. La sua composizione è interamente affidata a forze politiche estranee al tradizionale centro borghese. La mediazione politica e programmatica tra loro intercorsa ha proceduto per sommatoria delle rispettive promesse elettorali, senza il filtro politico diretto del grande capitale.
La guida del governo (Giuseppe Conte) è la risultante posticcia del loro equilibrio.
La Presidenza della Repubblica cerca di porsi come una sorta di contrappeso istituzionale delle forze populiste in rappresentanza del grande capitale, e sotto la pressione degli ambienti UE. Il lavoro di controbilanciamento agisce su piani diversi e complementari: limatura e contenimento delle spinte più populiste sul terreno del programma, in funzione della tenuta del quadro UE e della collocazione internazionale dell'imperialismo italiano; controllo su ministeri strategici, o condizionamento attivo delle relative nomine, a presidio di questa collocazione (Esteri, Economia); pressione sul nuovo premier per investirlo di un ruolo autonomo rispetto alla maggioranza politica di cui è espressione.
Ma la dinamica di questi mesi ha dimostrato che il margine di manovra di cui Mattarella dispone è obiettivamente limitato dal quadro politico e dall'assenza di alternative disponibili. Ciò che ha esposto la stessa Presidenza della Repubblica a dinamiche di crisi istituzionale.
L'Italia è l'unico paese imperialista della UE sotto il controllo di un esecutivo populista, sullo sfondo della crisi e decomposizione del centro politico borghese. Ciò rappresenta un fattore critico sia per il capitalismo italiano in un contesto negoziale difficile sul terreno europeo (negoziazione del bilancio comunitario e dell'unione bancaria, alla viglia dell'annunciata ritirata del Quantitative Easing da parte della BCE); sia per le ricadute del caso italiano sugli assetti malfermi dell'Unione (spinta del gruppo di Visegrad; irrigidimento olandese sulle politiche di bilancio; contraddizioni interne all'asse franco tedesco; diversificazione delle reazioni al trumpismo...).
In questo quadro generale è maturato il posizionamento critico e diffidente di Confindustria, CEI e grande stampa borghese verso il nuovo governo. La stessa apertura manifestata a suo tempo verso il M5S è al momento congelata.
IL PROFILO REAZIONARIO DEL NUOVO GOVERNO
Il contratto di governo del nuovo esecutivo pentaleghista ha un timbro di destra sociale.
Per un verso configura elementi redistributivi (cosiddetto reddito di cittadinanza, revisione della legge Fornero, salario minimo orario) combinati con elementi statalisti (potenziamento della CDP, banca pubblica per gli investimenti, rafforzamento del Tesoro nelle partecipate...), con un liberismo radicale sul piano fiscale (cosiddetta flat tax) a favore del padronato e delle grandi ricchezze, con la preservazione delle leggi di precarizzazione del lavoro (reintroduzione dei voucher), seppur combinate con qualche loro temperamento (cancellazione annunciata del decreto Poletti).
Dall'altro prevede una politica iperreazionaria sul terreno dell'ordine pubblico, delle misure securitarie, della legislazione giudiziaria e carceraria, e soprattutto della immigrazione (segregazione e respingimento di 500.000 migranti; discriminazione etnica per gli stessi immigrati “regolari”, in fatto di reddito e asili).
Mentre la somma degli elementi reazionari Di M5S e Lega (giustizialismo e xenofobia) ha massimizzato il timbro politico reazionario del programma, la somma delle promesse sociali ai rispettivi blocchi elettorali (reddito di cittadinanza, revisione della legge Fornero, flat tax) cozza coi parametri tradizionali sul terreno delle politiche economiche.
Di certo la suddivisione degli incarichi ministeriali (Salvini agli Interni, Di Maio a Lavoro e Sviluppo economico unificati) è funzionale alla gestione propagandistica delle rispettive bandiere e al rapporto con i rispettivi blocchi sociali.
L'aspetto più evidente del programma economico è l'assenza delle coperture. Tutte le voci di copertura sono indeterminate o rimandano ad una trattativa in sede UE che si scontra con spazi negoziali obiettivamente ridotti e in ogni caso massimamente incerti. Questa contraddizione è il portato obbligato dell'accordo M5S-Lega, e ne misura al tempo stesso la difficoltà di gestione. La prossima Legge finanziaria sarà il primo serio banco di prova di questa difficoltà annunciata.
Il governo cercherà di mascherare la difficoltà di gestione delle proprie promesse sociali con due strumenti principali. Il primo è la diluizione nel tempo dell'applicazione del programma attraverso la sua proiezione sulla legislatura. Il secondo è il ricorso parallelo alle misure “esemplari” sul terreno dell'ordine pubblico (migranti) e demagogiche (vitalizi), utili ai riflettori e alla tenuta del consenso, come leva di compensazione delle difficoltà sociali.
Il ministero degli Interni nelle mani della Lega segnerà in ogni caso un nuovo livello della campagna reazionaria, in particolare contro i migranti. L'apertura delle organizzazioni fasciste (CasaPound) al nuovo governo si pone in una logica di inserimento e cavalcamento del nuovo contesto ai fini del proprio radicamento sociale e organizzazione militante.
LE PROSPETTIVE DEL NUOVO SCENARIO POLITICO
Il nuovo governo e la sua dinamica incideranno sull'evoluzione dell'intero scenario politico. Tre sono le possibili ipotesi di prospettiva.
La prima è quella di una dinamica di crisi relativamente rapida della nuova esperienza di governo (esplosione delle contraddizioni sulla prossima Legge finanziaria, dissoluzione della coalizione entro l'anno). In questo caso si delineerebbero probabilmente elezioni politiche anticipate all'inizio del 2019, con la possibile ricomposizione dello schieramento di centrodestra.
La seconda è una dinamica di crisi egualmente rapida, ma gestita di comune accordo dalla maggioranza M5S-Lega in chiave populista, anti-UE e antiestablishment (“non vogliono che governiamo”, “ci vogliono imporre nuova austerità che noi rifiutiamo”, ecc.): in questo caso le elezioni politiche anticipate vedrebbero l'esordio di un blocco populista unificato alla ricerca di un proprio rilancio e di un nuovo accumulo di forze.
La terza ipotesi è quella di una relativa stabilizzazione dell'attuale quadro politico di governo (tenuta della coalizione, contenimento gestito delle sue contraddizioni, consolidamento del punto di equilibrio interno all'asse populista). È un'ipotesi di non facile realizzazione, ma che non può essere esclusa. Potrebbe capitalizzare la crisi profonda di consenso del vecchio establishment, l'assenza di alternative politiche praticabili, la capacità di attrazione anche in sede parlamentare di nuovi apporti trasformisti (in particolare da FI), l'arretramento profondo del movimento operaio. È un'ipotesi oggi considerata dal gruppo dirigente attuale di M5S, quale via praticabile per la stabilizzazione di un proprio ruolo di governo e l'inserimento profondo nell'apparato di Stato borghese; ed è apertamente considerata dal gruppo dirigente salviniano della Lega, che certo cerca di preservare una possibile via di fuga in direzione della ricomposizione del centrodestra, ma vuole prioritariamente verificare sul campo il possibile investimento di prospettiva nel blocco con il M5S. Lo sganciamento di Salvini da Berlusconi muove da questa ricerca. L'opposizione di FI muove dal tentativo di ostruirla. Mentre l'avvicinamento di Fratelli d'Italia all'area di governo (astensione sulla fiducia) misura la disarticolazione in atto nel centrodestra.
Certo l'eventuale stabilizzazione di un blocco populista M5S-Lega segnerebbe una ristrutturazione profonda del quadro politico, in direzione di un un nuovo bipolarismo tra blocco populista e partiti dell'establishment, oggi disarticolati e in crisi. E potrebbe influenzare profondamente le stesse dinamiche di classe sul fronte sociale.
UN GOVERNO FORTE DELLA CRISI DELL'OPPOSIZIONE
Il nuovo governo nasce col vento in poppa di un vasto consenso sociale di massa, anche tra i lavoratori salariati.
Le odiose politiche di austerità del passato alimentano attese e illusioni sulle misure sociali annunciate, mentre il posizionamento ostile del capitale finanziario, italiano ed europeo, agisce come fattore di consolidamento del blocco sociale interclassista su cui il governo si appoggia.
Naturalmente le contraddizioni interne a questo blocco sociale saranno esposte all'esperienza di massa del nuovo governo (a partire dalla prossima Finanziaria), alle dinamiche della lotta di classe, e a variabili imprevedibili (possibile ritorno della turbolenza finanziaria). Ma il piede di partenza del nuovo esecutivo sul fronte sociale dispone di un punto di forza.
Il livello iniziale di consenso sociale del nuovo governo presso il lavoro salariato è nettamente superiore a quello che accompagnò il decollo dei governi tradizionali di centrodestra a trazione berlusconiana, mentre l'opposizione politica del popolo della sinistra è indebolita dai processi di ridimensionamento e dispersione che l'attraversano e che l'esito elettorale del 4 marzo ha registrato.
La passività della burocrazia sindacale regala al governo un più ampio spazio di manovra, mentre l'opposizione democratica sul terreno dei diritti civili, volutamente separata dalla questione sociale, ha una bassa incidenza sull'orientamento di massa dei lavoratori e sui rapporti di forza complessivi.
PER UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE E DI MASSA
La costruzione dell'opposizione di classe e di massa contro il nuovo governo è il terreno centrale di intervento e proposta del nostro partito.
A livello di massa, la nostra linea di intervento e proposta deve intrecciare la denuncia del carattere reazionario del governo e il contrasto delle illusioni sociali di cui si circonda.
Ambienti sovranisti della sinistra minimizzano la valenza reazionaria del nuovo governo dentro la rappresentazione dello scontro tra Italia e UE come “contraddizione principale”, mentre ambienti editoriali “progressisti” (Il Fatto Quotidiano) coprono il M5S e il suo blocco con la Lega nel nome della discriminante antiberlusconiana e antirenziana, o a sostegno delle misure giustizialiste e panpenaliste.
In aperto contrasto di queste posizioni, il PCL fa della denuncia della natura reazionaria del governo M5S Lega un'articolazione del proprio intervento controcorrente a livello di massa. In questo contesto assume una valenza particolare la battaglia per la difesa dei migranti e dei loro diritti, per lo sviluppo e generalizzazione della loro mobilitazione (manifestazioni di Napoli e Caserta, iniziativa dei braccianti di Gioia Tauro), e la battaglia di tutela dei diritti civili, delle donne, di tutte le minoranze oppresse (contro le posture omofobe del nuovo Ministro della Famiglia)
Al tempo stesso tanto più oggi la battaglia democratica controcorrente è inseparabile dalla caratterizzazione classista dell'opposizione al governo. Ciò che significa il contrasto di ogni logica di fronte popolare col PD in funzione della contrapposizione alle destre. L'opposizione del PD al nuovo governo muove dagli interessi dell'establishment. Oggi quell'opposizione concorre di fatto alla tenuta e consolidamento del blocco sociale reazionario su cui il governo si regge. Si tratta di impostare e costruire un'opposizione di segno opposto, dal versante della classe lavoratrice e dei suoi interessi sociali. Un'opposizione che miri ad entrare nelle contraddizioni dei blocchi sociali interclassisti, ad aprire ed approfondire una loro linea interna di frattura, a liberare i lavoratori dall'egemonia reazionaria per ricomporre attorno ad essi un blocco sociale alternativo.
Da un lato occorre demistificare il carattere truffaldino delle posture sociali delle destre (a partire dallo scandaloso regalo fiscale alle grandi ricchezze e ai profitti); dall'altro è necessario rilanciare una piattaforma di mobilitazione indipendente della classe lavoratrice che parta da rivendicazioni riconoscibili a livello di massa per volgerle contro governo e padronato:
- Cancellazione del Jobs Act e di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro
- Riduzione generale dell'orario di lavoro a 32 ore pagate 40 per ripartire il lavoro tra tutti
- Abolizione della Legge Fornero, età pensionabile a 60 anni o 35 anni di lavoro, finanziata dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti
- Un vero salario ai disoccupati, finanziato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese private
- Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende che delocalizzano o licenziano
Su questa piattaforma va rivendicata l'apertura di una vera mobilitazione, nella logica della vertenza generale. Per tale ipotesi di vertenza generale resta centrale la nostra storica parola d'ordine dell'assemblea nazionale dei delegati e delle delegate eletti nelle aziende e centralizzati a vari livelli, come strumento di elaborazione democratica della piattaforma e delle forme di lotta.
Il passaggio della prossima Legge di stabilità, lo scontro annunciato sulla vicenda Ilva, possono rappresentare un contesto di rilancio e di articolazione di questa proposta, entro la linea generale del fronte di classe e di massa. La CGIL in particolare va posta di fronte alle sue responsabilità politiche, non solo sindacali.
L'UNITÀ D'AZIONE NELL'AVANGUARDIA
Sul terreno specifico dell'azione politica nell'avanguardia, va ricercata ogni occasione utile di caratterizzazione del profilo classista e internazionalista della nostra politica, anche attraverso il ricorso a momenti di interlocuzione e unità d'azione con altre forze classiste.
Questa unità d'azione non configura logiche di cartello, né rimpiazza la proposta generale e centrale di fronte unico di massa. Punta da un lato a segnare la linea di demarcazione dalle impostazioni populiste di sinistra e/o sovraniste, in un contesto in cui questo elemento di confronto è riproposto in tutta la sua attualità e significato dal nuovo scenario politico; dall'altro a favorire, ove possibile, un allargamento delle nostre relazioni in settori di avanguardia in funzione della costruzione del partito e del suo autonomo programma generale.
Un aspetto specifico del nostro intervento riguarda Potere al Popolo. Potere al Popolo è sopravvissuto all'insuccesso elettorale e prova a consolidarsi. L'orientamento politico dei partiti che lo compongono conferma la confusa sommatoria di culture e programmi diversi, riformisti e centristi (mutualismo popolare aclassista, sovranismo di sinistra, europeismo progressista), coi loro diversi riferimenti internazionali. La postura populista con impronta sociale rimane il tratto dominante. Al tempo stesso attorno a PaP si mantiene un bacino di avanguardia, diversamente assortito, su cui possiamo avere interesse a intervenire con le nostre posizioni indipendenti. Ciò vale in particolare in occasione di iniziative pubbliche di iniziativa e confronto, nella comune opposizione al nuovo governo M5S-Lega.
Bologna, 10 giugno
Partito Comunista dei Lavoratori
Prima gli sfruttati! La campagna contro gli immigrati è contro di te
♠ in "Prima gli italiani","prima gli sfruttati",clandestini,Di Maio,Europa socialista,flat tax,legge Bossi-Fini,Macron,respingimenti,Salvini,sfruttamento
“Prima gli italiani” è la bandiera di Salvini, con Di Maio complice.
Richiama facile consenso ma è una truffa contro di te. Serve a distogliere il tuo sguardo da chi ti sfrutta per indirizzarlo contro altri sfruttati. Perché il tuo vero nemico non è l'immigrato, è il padrone che ti toglie il lavoro, che ti paga un salario da fame, che ti costringe a orari massacranti, oppure il banchiere che ti impicca a un mutuo che vale una vita. Guarda caso sono gli stessi capitalisti cui Salvini e Di Maio regalano la Flat tax mettendola sul tuo conto. Altre decine di miliardi regalati ai padroni, pagati inevitabilmente coi tagli alla sanità, ai servizi, al lavoro (come hanno fatto i governi del PD). Gli italiani che vengono “prima” sono loro, non sei tu. Tu sei quello che paga. Per loro non è mai finita la pacchia, per te non c'è mai stata.
“Cacciamo 500.000 clandestini”, grida Salvini.
Ma i “clandestini” sono quelli che la legge Bossi-Fini ha reso tali. Perché magari hanno perso il lavoro, e dunque il permesso di soggiorno. Perché senza permesso sono sfruttabili senza tutele e senza limiti, a esclusivo vantaggio dei profitti. Perché anche centinaia di migliaia di immigrati regolari, nei campi o nei cantieri, vengono costretti a 12 ore di lavoro per un euro all'ora dalla sola paura di perdere il lavoro, e dunque il permesso. E per questo sono usati a loro volta come arma di ricatto contro i lavoratori italiani. Regolarizzare gli immigrati, cancellare la Bossi-Fini, è dunque nel tuo interesse, non in quello del tuo padrone. A uguale lavoro, uguali diritti!
“Gli immigrati arrivano in troppi, dobbiamo respingerli”.
La verità è che troppi sono i giovani, le donne, i bambini, costretti a fuggire da guerre e saccheggi che da sempre i capitalisti di casa nostra portano a casa loro, a caccia di petrolio, litio, cobalto, espropriando terre e corrompendo governi. In tutta la storia dell'umanità nessuna legge per quanto dura ha mai arrestato la fuga dalla fame e dalla morte. Se 34.000 morti nel Mediterraneo non sono stati sufficienti ad arrestare i flussi, quale legge sarà mai “sufficiente”? L'unico vero effetto degli sbarramenti è aumentare le pene dei migranti. Come quelle inflitte dalle milizie libiche nei campi lager finanziati da Minniti (coi soldi tuoi) col plauso di Salvini. Lo stesso che oggi vorrebbe pagare nuovi campi di concentramento in Libia. Questa è la vera complicità coi trafficanti, a tue spese.
“L'Europa ci ha lasciato soli e ora ci fa la morale”.
La verità è che nessun governo europeo può fare la morale a nessuno. Ognuno di loro vuole continuare a saccheggiare l'Africa (sgomitando con gli alleati concorrenti) e al tempo stesso respinge l'esodo che quel saccheggio produce. Ognuno dichiara principi umanitari, ma solo quando si tratta della frontiera altrui. Ognuno sventola la propria bandiera nazionale, Macron contro Salvini, Salvini contro Macron, i migranti presi come ostaggio: in realtà ognuno cerca di raccattare consenso tra i propri salariati per amministrare gli interessi dei propri capitalisti. Parlano della tua “sovranità”, ma è la sovranità del capitale contro di te. In ogni paese e sotto ogni governo.
C'è allora un solo modo di risolvere la questione dell'immigrazione. Mettere in discussione un regime inumano che la produce e la sfrutta. Quel regime si chiama capitalismo, in Italia, in Francia, in America e ovunque. Invece di farci arruolare dietro le bandiere nazionaliste dei nostri sfruttatori, in una guerra che non ci riguarda e che è fatta contro di noi, è necessario unire in una lotta comune tutti gli sfruttati, di ogni nazione e colore, contro il nemico comune. Per un'Europa socialista.
“Prima gli sfruttati” è ovunque l'unica nostra frontiera.
Richiama facile consenso ma è una truffa contro di te. Serve a distogliere il tuo sguardo da chi ti sfrutta per indirizzarlo contro altri sfruttati. Perché il tuo vero nemico non è l'immigrato, è il padrone che ti toglie il lavoro, che ti paga un salario da fame, che ti costringe a orari massacranti, oppure il banchiere che ti impicca a un mutuo che vale una vita. Guarda caso sono gli stessi capitalisti cui Salvini e Di Maio regalano la Flat tax mettendola sul tuo conto. Altre decine di miliardi regalati ai padroni, pagati inevitabilmente coi tagli alla sanità, ai servizi, al lavoro (come hanno fatto i governi del PD). Gli italiani che vengono “prima” sono loro, non sei tu. Tu sei quello che paga. Per loro non è mai finita la pacchia, per te non c'è mai stata.
“Cacciamo 500.000 clandestini”, grida Salvini.
Ma i “clandestini” sono quelli che la legge Bossi-Fini ha reso tali. Perché magari hanno perso il lavoro, e dunque il permesso di soggiorno. Perché senza permesso sono sfruttabili senza tutele e senza limiti, a esclusivo vantaggio dei profitti. Perché anche centinaia di migliaia di immigrati regolari, nei campi o nei cantieri, vengono costretti a 12 ore di lavoro per un euro all'ora dalla sola paura di perdere il lavoro, e dunque il permesso. E per questo sono usati a loro volta come arma di ricatto contro i lavoratori italiani. Regolarizzare gli immigrati, cancellare la Bossi-Fini, è dunque nel tuo interesse, non in quello del tuo padrone. A uguale lavoro, uguali diritti!
“Gli immigrati arrivano in troppi, dobbiamo respingerli”.
La verità è che troppi sono i giovani, le donne, i bambini, costretti a fuggire da guerre e saccheggi che da sempre i capitalisti di casa nostra portano a casa loro, a caccia di petrolio, litio, cobalto, espropriando terre e corrompendo governi. In tutta la storia dell'umanità nessuna legge per quanto dura ha mai arrestato la fuga dalla fame e dalla morte. Se 34.000 morti nel Mediterraneo non sono stati sufficienti ad arrestare i flussi, quale legge sarà mai “sufficiente”? L'unico vero effetto degli sbarramenti è aumentare le pene dei migranti. Come quelle inflitte dalle milizie libiche nei campi lager finanziati da Minniti (coi soldi tuoi) col plauso di Salvini. Lo stesso che oggi vorrebbe pagare nuovi campi di concentramento in Libia. Questa è la vera complicità coi trafficanti, a tue spese.
“L'Europa ci ha lasciato soli e ora ci fa la morale”.
La verità è che nessun governo europeo può fare la morale a nessuno. Ognuno di loro vuole continuare a saccheggiare l'Africa (sgomitando con gli alleati concorrenti) e al tempo stesso respinge l'esodo che quel saccheggio produce. Ognuno dichiara principi umanitari, ma solo quando si tratta della frontiera altrui. Ognuno sventola la propria bandiera nazionale, Macron contro Salvini, Salvini contro Macron, i migranti presi come ostaggio: in realtà ognuno cerca di raccattare consenso tra i propri salariati per amministrare gli interessi dei propri capitalisti. Parlano della tua “sovranità”, ma è la sovranità del capitale contro di te. In ogni paese e sotto ogni governo.
C'è allora un solo modo di risolvere la questione dell'immigrazione. Mettere in discussione un regime inumano che la produce e la sfrutta. Quel regime si chiama capitalismo, in Italia, in Francia, in America e ovunque. Invece di farci arruolare dietro le bandiere nazionaliste dei nostri sfruttatori, in una guerra che non ci riguarda e che è fatta contro di noi, è necessario unire in una lotta comune tutti gli sfruttati, di ogni nazione e colore, contro il nemico comune. Per un'Europa socialista.
“Prima gli sfruttati” è ovunque l'unica nostra frontiera.
Partito Comunista dei Lavoratori
Non ci tireremo indietro! Sostieni lo sciopero dei lavoratori delle poste
21 Giugno 2018
Siamo nel 92° dipartimento, a Parigi, in Francia, area periferica dove le sedi delle grandi multinazionali della Défense e i ricchi centri finanziari oscurano i progetti e la città dei ceti poveri e della classe operaia. Qui 150 lavoratori delle poste sono in sciopero dal 26 marzo. Lo sciopero iniziò contro il licenziamento discriminatorio del delegato sindacale Gaël Quirante, e crebbe con rivendicazioni contro la distruzione del lavoro, la precarizzazione, il peggioramento delle condizioni e dei carichi di lavoro.
Lo sciopero è stato indetto ad oltranza, e le implacabili direzioni dell'azienda hanno iniziato a non pagare gli stipendi. Gli scioperanti spiegano perché hanno bisogno del vostro sostegno.
Il video è stato girato il 30 maggio, il 13 giugno lo sciopero non era ancora terminato.
AIUTIAMOLI A VINCERE! DONATE AL FONDO PER LO SCIOPERO: https:/www.lepotcommun.fr/pot/kgmfkl66.
Gli assegni (indicando sul retro la causale "solitarietà con gli scioperanti") vanno inviati a: SUD POSTE 92 - 5, Rue Jean Bonal - 92220 LA GARENNE - COLOMBES - FRANCE
Lo sciopero è stato indetto ad oltranza, e le implacabili direzioni dell'azienda hanno iniziato a non pagare gli stipendi. Gli scioperanti spiegano perché hanno bisogno del vostro sostegno.
Il video è stato girato il 30 maggio, il 13 giugno lo sciopero non era ancora terminato.
AIUTIAMOLI A VINCERE! DONATE AL FONDO PER LO SCIOPERO: https:/www.lepotcommun.fr/pot/kgmfkl66.
Gli assegni (indicando sul retro la causale "solitarietà con gli scioperanti") vanno inviati a: SUD POSTE 92 - 5, Rue Jean Bonal - 92220 LA GARENNE - COLOMBES - FRANCE
«Non ci tireremo indietro! Sostieni lo sciopero dei lavoratori delle poste»
Cosa significa «è finita la pacchia»
♠ in "è finita la pacchia",agguato nel casertano,braccianti,Carmagnola,fascismo,migranti,razzismo,Rosarno,Salvini,sinistra,sovranismo
Due rifugiati del Mali nel casertano sono stati presi a fucilate al grido di “Salvini, Salvini”.
Contemporaneamente, a Carmagnola, presso Torino, una sindaca leghista ha fatto abbattere con la ruspa una casa abusiva di rom, con la gioia del Ministro degli Interni che ha twittato festante: “Dalle parole ai fatti”.
Sono episodi tra loro diversi, ma non sono cronaca. Sono il sintomo di un clima politico nuovo.“È finita la pacchia” in bocca al nuovo Ministro degli Interni non è semplicemente un messaggio elettorale. Sicuramente è anche quello, ma non è solo quello. È anche un messaggio capace di trascinamento sui sentimenti collettivi di settori reazionari, un incoraggiamento di fatto alla loro azione diretta. I peggiori bassifondi dell'umore popolare si sentono legittimati dai vertici dello Stato. Sentimenti vili di odio, magari in passato contenuti a fatica, si sentono oggi liberati. Non siamo ai pogrom, fortunatamente; ma siamo alla miccia d'innesco di dinamiche irrazionali ad altissimo rischio. Gli episodi sono ancora circoscritti, ma il loro numero aumenta. Del resto, nessuna muraglia cinese separa i sentimenti dall'azione. Le organizzazioni fasciste investiranno proprio su questa linea di frontiera giocando apertamente allo scavalco.
Tutto ciò rende ancor più nauseante la posizione di quegli ambienti sovranisti della sinistra che spalleggiano il nuovo governo, lo assumono come interlocutore, ne magnificano la “dinamica”: o con toni e argomenti estetizzanti di marca dannunziana, o addirittura nel nome del marxismo (!).
Un secolo fa alcuni ambienti di provenienza socialista e sindacalista furono incantati dal fascismo ed aderirono alle sue suggestioni. L'”Italia proletaria” contro le “plutocrazie europee” fu la bandiera di questo incantamento. Oggi, in ben altro contesto, il mito fasullo di un'Italia del Popolo contro l'élite mondialista ed europeista tende a riproporre riflessi condizionati potenzialmente simili in alcuni ambienti intellettuali, politici, sindacali di una sinistra in disarmo.
Come dice il vecchio adagio, la prima volta fu tragedia, la seconda fu farsa. Ma anche una farsa può essere carica alla lunga di effetti tragici, ben oltre le intenzioni degli attori.
Di certo il PCL si pone controcorrente dal lato opposto della barricata, contro il governo leghista a cinque stelle. Non dalla parte del PD di Minniti e dell' Unione Europea dei capitalisti, ma dalla parte dei braccianti in lotta contro la dittatura dei loro padroni, dei caporali e dei loro sgherri, per la ricomposizione di un fronte di massa che unisca lavoratori italiani e migranti attorno a una piattaforma comune. È la proposta portata il 16 giugno alla manifestazione di Roma. È la proposta che porteremo alla manifestazione del 23 giugno a Rosarno. “Prima gli sfruttati”, quale che sia il colore della pelle, è oggi più di ieri la parola d'ordine centrale nella contrapposizione alla reazione.
Contemporaneamente, a Carmagnola, presso Torino, una sindaca leghista ha fatto abbattere con la ruspa una casa abusiva di rom, con la gioia del Ministro degli Interni che ha twittato festante: “Dalle parole ai fatti”.
Sono episodi tra loro diversi, ma non sono cronaca. Sono il sintomo di un clima politico nuovo.“È finita la pacchia” in bocca al nuovo Ministro degli Interni non è semplicemente un messaggio elettorale. Sicuramente è anche quello, ma non è solo quello. È anche un messaggio capace di trascinamento sui sentimenti collettivi di settori reazionari, un incoraggiamento di fatto alla loro azione diretta. I peggiori bassifondi dell'umore popolare si sentono legittimati dai vertici dello Stato. Sentimenti vili di odio, magari in passato contenuti a fatica, si sentono oggi liberati. Non siamo ai pogrom, fortunatamente; ma siamo alla miccia d'innesco di dinamiche irrazionali ad altissimo rischio. Gli episodi sono ancora circoscritti, ma il loro numero aumenta. Del resto, nessuna muraglia cinese separa i sentimenti dall'azione. Le organizzazioni fasciste investiranno proprio su questa linea di frontiera giocando apertamente allo scavalco.
Tutto ciò rende ancor più nauseante la posizione di quegli ambienti sovranisti della sinistra che spalleggiano il nuovo governo, lo assumono come interlocutore, ne magnificano la “dinamica”: o con toni e argomenti estetizzanti di marca dannunziana, o addirittura nel nome del marxismo (!).
Un secolo fa alcuni ambienti di provenienza socialista e sindacalista furono incantati dal fascismo ed aderirono alle sue suggestioni. L'”Italia proletaria” contro le “plutocrazie europee” fu la bandiera di questo incantamento. Oggi, in ben altro contesto, il mito fasullo di un'Italia del Popolo contro l'élite mondialista ed europeista tende a riproporre riflessi condizionati potenzialmente simili in alcuni ambienti intellettuali, politici, sindacali di una sinistra in disarmo.
Come dice il vecchio adagio, la prima volta fu tragedia, la seconda fu farsa. Ma anche una farsa può essere carica alla lunga di effetti tragici, ben oltre le intenzioni degli attori.
Di certo il PCL si pone controcorrente dal lato opposto della barricata, contro il governo leghista a cinque stelle. Non dalla parte del PD di Minniti e dell' Unione Europea dei capitalisti, ma dalla parte dei braccianti in lotta contro la dittatura dei loro padroni, dei caporali e dei loro sgherri, per la ricomposizione di un fronte di massa che unisca lavoratori italiani e migranti attorno a una piattaforma comune. È la proposta portata il 16 giugno alla manifestazione di Roma. È la proposta che porteremo alla manifestazione del 23 giugno a Rosarno. “Prima gli sfruttati”, quale che sia il colore della pelle, è oggi più di ieri la parola d'ordine centrale nella contrapposizione alla reazione.
Partito Comunista dei Lavoratori
L'invasione a casa loro
♠ in "aiutiamoli a casa loro",Africa,auto elettriche,Cina,Congo,Corno d'Africa,Costa D'Avorio,Etiopia,fame,imperialismo,migrazioni,Niger,ONU,Programma alimentare monidiale,Sub-sahara
La corsa al grande affare dell'auto elettrica sospinge la concorrenza tra gli Stati imperialisti per l'accaparramento delle materie prime che la riguardano: litio e cobalto in primo luogo, ma anche rame e nickel. Negli ultimi due anni per effetto dell'accresciuta domanda il prezzo di litio e cobalto è più che triplicato; quello di rame e nickel segue a ruota. I profitti delle compagnie vanno alle stelle. Le aziende capitalistiche del settore minerario, dopo anni di crisi, sembrano vivere una seconda giovinezza. La Cina in particolare non bada a spese per dominare ogni fase della filiera produttiva delle batterie dell'auto futura, nella previsione che essa diventerà un fenomeno di massa e dunque un grande mercato della competizione mondiale.
L'Africa è oggi il principale teatro della corsa al cosiddetto “oro bianco” (litio).
In Congo, in Niger, in Costa d'Avorio centinaia di aziende minerarie europee e cinesi moltiplicano gli investimenti estrattivi comprando a prezzi stracciati i terreni e sfruttando per dodici ore al giorno i nuovi proletari espulsi dalle campagne. Lo sfruttamento dei bambini nelle miniere del Congo raggiunge tali livelli di orrore e di cinismo da superare abbondantemente in crudeltà la prima rivoluzione industriale in Gran Bretagna. I governi dell'Africa subsahariana sono asserviti alle grandi compagnie minerarie e si contendono i loro favori con offerte fiscali a tasso zero e un buon numero di mazzette. Gli Stati imperialisti e i loro apparati diplomatici, sgomitando gli uni contro gli altri, amministrano gli affari delle proprie aziende, facendo da intermediari. I cosiddetti aiuti allo sviluppo dell'Africa servono a oliare l'ingranaggio di questa rapina. I corpi militari delle innumerevoli missioni (prossima quella italiana in Niger) sono arma di pressione negoziale sul campo.
Analoga rapina in Corno d'Africa, con interessi diversi. L'Etiopia ne è l'epicentro. Qui si sta sviluppando un gigantesco comparto di supersfruttamento dell'industria tessile. Tutti i grandi marchi internazionali del settore - americani, europei, cinesi - si sono gettati sull'enorme disponibilità di manodopera a basso costo, senza protezione sindacale, soprattutto femminile. I soli investimenti cinesi occuperanno a breve due milioni di lavoratori e lavoratrici etiopi. I grandi marchi italiani investono qui come in Bangladesh. L'intera filiera internazionale del fast fashion si è data appuntamento in Etiopia, per apparecchiarvi la produzione a basso costo consentita da salari da fame e orari di lavoro senza limite. La rivista Business Week racconta dei corsi lampo di cinque giorni per “imparare la disciplina” cui vengono sottoposti i giovani arruolati nel lavoro industriale che provengono dalle campagne. I loro nuovi padroni sono spesso coloro che hanno espropriato la loro terra, con l'aiuto delle autorità locali.
Naturalmente gli uffici di statistica parlano entusiasti del miracolo africano, snocciolando l'aumento del Pil dei paesi coinvolti (il Pil della Costa D'Avorio è cresciuto l'anno scorso dell'8%). Ma chi pensa che questo significhi sviluppo dell'Africa tenga bene a mente questo dato: fame e malnutrizione conoscono oggi una nuova impennata proprio nel continente nero, per candida ammissione della stessa agenzia umanitaria delle Nazioni Unite (Le Monde, 12 giugno). «Ogni volta che la fame cresce dell'1%, le migrazioni crescono del 2%» afferma, dati alla mano, David Beasley, direttore del cosiddetto Programma alimentare mondiale, che confessa così inconsapevolmente il proprio annunciato fallimento (e l'ipocrisia delle Nazioni Unite).
Cosa resta allora di fronte a ciò delle campagne reazionarie sull'”aiutiamoli a casa loro”?
La verità capovolge l'attuale senso comune. Sono i capitalisti di “casa nostra” a invadere “casa loro”, a saccheggiare le loro risorse, espropriare le loro terre, sfruttare le loro braccia, arruolarli nelle proprie guerre. Le grandi migrazioni dall'Africa sono anche la fuga da questa rapina e dai suoi effetti. Recidere le radici dell'immigrazione significa restituire ai popoli africani la loro casa oggi occupata abusivamente dai nostri padroni. Gli stessi che “in casa nostra” tagliano salari, lavoro, pensione, salute, per ingrassare i propri profitti.
I padroni europei, americani e cinesi non devono esibire permessi di soggiorno, carte in regola, diritti di cittadinanza, per accamparsi in Africa. A loro basta il potere della propria ricchezza e la forza militare dei propri Stati: gli stessi strumenti che hanno usato in forme diverse nelle lunghe stagioni dello schiavismo e del colonialismo. Per questo la rivoluzione sociale contro il capitale è l'unica vera soluzione storica del dramma migratorio. In Europa, in Africa, ovunque.
L'Africa è oggi il principale teatro della corsa al cosiddetto “oro bianco” (litio).
In Congo, in Niger, in Costa d'Avorio centinaia di aziende minerarie europee e cinesi moltiplicano gli investimenti estrattivi comprando a prezzi stracciati i terreni e sfruttando per dodici ore al giorno i nuovi proletari espulsi dalle campagne. Lo sfruttamento dei bambini nelle miniere del Congo raggiunge tali livelli di orrore e di cinismo da superare abbondantemente in crudeltà la prima rivoluzione industriale in Gran Bretagna. I governi dell'Africa subsahariana sono asserviti alle grandi compagnie minerarie e si contendono i loro favori con offerte fiscali a tasso zero e un buon numero di mazzette. Gli Stati imperialisti e i loro apparati diplomatici, sgomitando gli uni contro gli altri, amministrano gli affari delle proprie aziende, facendo da intermediari. I cosiddetti aiuti allo sviluppo dell'Africa servono a oliare l'ingranaggio di questa rapina. I corpi militari delle innumerevoli missioni (prossima quella italiana in Niger) sono arma di pressione negoziale sul campo.
Analoga rapina in Corno d'Africa, con interessi diversi. L'Etiopia ne è l'epicentro. Qui si sta sviluppando un gigantesco comparto di supersfruttamento dell'industria tessile. Tutti i grandi marchi internazionali del settore - americani, europei, cinesi - si sono gettati sull'enorme disponibilità di manodopera a basso costo, senza protezione sindacale, soprattutto femminile. I soli investimenti cinesi occuperanno a breve due milioni di lavoratori e lavoratrici etiopi. I grandi marchi italiani investono qui come in Bangladesh. L'intera filiera internazionale del fast fashion si è data appuntamento in Etiopia, per apparecchiarvi la produzione a basso costo consentita da salari da fame e orari di lavoro senza limite. La rivista Business Week racconta dei corsi lampo di cinque giorni per “imparare la disciplina” cui vengono sottoposti i giovani arruolati nel lavoro industriale che provengono dalle campagne. I loro nuovi padroni sono spesso coloro che hanno espropriato la loro terra, con l'aiuto delle autorità locali.
Naturalmente gli uffici di statistica parlano entusiasti del miracolo africano, snocciolando l'aumento del Pil dei paesi coinvolti (il Pil della Costa D'Avorio è cresciuto l'anno scorso dell'8%). Ma chi pensa che questo significhi sviluppo dell'Africa tenga bene a mente questo dato: fame e malnutrizione conoscono oggi una nuova impennata proprio nel continente nero, per candida ammissione della stessa agenzia umanitaria delle Nazioni Unite (Le Monde, 12 giugno). «Ogni volta che la fame cresce dell'1%, le migrazioni crescono del 2%» afferma, dati alla mano, David Beasley, direttore del cosiddetto Programma alimentare mondiale, che confessa così inconsapevolmente il proprio annunciato fallimento (e l'ipocrisia delle Nazioni Unite).
Cosa resta allora di fronte a ciò delle campagne reazionarie sull'”aiutiamoli a casa loro”?
La verità capovolge l'attuale senso comune. Sono i capitalisti di “casa nostra” a invadere “casa loro”, a saccheggiare le loro risorse, espropriare le loro terre, sfruttare le loro braccia, arruolarli nelle proprie guerre. Le grandi migrazioni dall'Africa sono anche la fuga da questa rapina e dai suoi effetti. Recidere le radici dell'immigrazione significa restituire ai popoli africani la loro casa oggi occupata abusivamente dai nostri padroni. Gli stessi che “in casa nostra” tagliano salari, lavoro, pensione, salute, per ingrassare i propri profitti.
I padroni europei, americani e cinesi non devono esibire permessi di soggiorno, carte in regola, diritti di cittadinanza, per accamparsi in Africa. A loro basta il potere della propria ricchezza e la forza militare dei propri Stati: gli stessi strumenti che hanno usato in forme diverse nelle lunghe stagioni dello schiavismo e del colonialismo. Per questo la rivoluzione sociale contro il capitale è l'unica vera soluzione storica del dramma migratorio. In Europa, in Africa, ovunque.
Partito Comunista dei Lavoratori
Papa Francesco con Salvini e Fontana
♠ in aborto legale,anticapitalismo,Argentina,Chiesa,Fontana,Forum delle associazioni familiari,Francesco,Gay Pride,Gigi De Palo,il Manifesto,Irlanda,Papa,patriarcato,Salvini,Vaticano
«L'unica famiglia a immagine di Dio è quella tra un uomo e una donna». «L'aborto è un crimine nazista». Sono il distillato del pensiero di Papa Francesco espresso ieri in occasione dell'incontro in Vaticano con il Forum delle associazioni familiari.
Non è un intervento casuale. Né solo un modo per assecondare il proprio uditorio d'Occasione, come scrive minimizzando il quotidiano Il Manifesto. Il Papa ha voluto intervenire dopo il trionfo della legalizzazione dell'aborto prima in Irlanda e poi in Argentina per alzare la diga contro la laicità e l'espansione dei diritti. La forte polemica dei vescovi argentini contro l'atteggiamento “pilatesco” del presidente Macri nello scontro sul diritto di aborto è un risvolto significativo della posizione papale.
Ma l'intervento del Papa coincide anche con la giornata di mobilitazione del Gay Pride in diverse città italiane, sullo sfondo di uno scenario politico che vede il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana dichiarare candidamente che “le famiglie arcobaleno non esistono”, e che l'”unica famiglia esistente è quella composta dal papà, dalla mamma, dai loro figli”. Ora, paradossalmente, persino Salvini di fronte a dichiarazioni tanto imbarazzanti del proprio ministro le aveva derubricate a mezza bocca, e ipocritamente, a opinioni personali. Il Papa invece non solo le ha riprese, ma le ha solennemente rivendicate in sede pubblica col plauso entusiasta di Gigi De Palo, già assessore alla famiglia della giunta Alemanno.
Questo è il cosiddetto Papa progressista, per anni decantato dalla cultura liberale (Scalfari) come protagonista di un nuovo corso democratico universale della Chiesa, e spesso portato in palma di mano dalle sinistre cosiddette radicali come esempio e riferimento di un altro mondo possibile. Vogliamo ricordare che tutti i partiti del Brancaccio, da Bersani ad Acerbo, un anno fa sottoscrissero un appello che rivendicava Papa Francesco tra i numi tutelari della nuova sinistra da ricostruire?
Ma i fatti hanno la testa più dura delle favole. Il Papa che fa il verso a un ministro omofobo non è un incidente. È il Papa che cavalca la deriva reazionaria che si sta dispiegando in Italia, per le stesse ragioni per cui contrasta il movimento delle donne e le sue vittorie sul piano internazionale. La verità è che la Chiesa è istituzionalmente un baluardo della conservazione mondiale. Lo è dal punto di vista sociale, come parte organica del blocco dominante e del capitalismo mondiale; lo è dal punto di vista ideologico e culturale contro i diritti delle donne e delle minoranza oppresse, a guardia del patriarcato e della sua tradizione millenaria.
È la riprova, una volta di più, che solo una posizione coerentemente anticapitalista può essere coerentemente anticlericale, e dunque coerentemente democratica e antipatriarcale.
Non è un intervento casuale. Né solo un modo per assecondare il proprio uditorio d'Occasione, come scrive minimizzando il quotidiano Il Manifesto. Il Papa ha voluto intervenire dopo il trionfo della legalizzazione dell'aborto prima in Irlanda e poi in Argentina per alzare la diga contro la laicità e l'espansione dei diritti. La forte polemica dei vescovi argentini contro l'atteggiamento “pilatesco” del presidente Macri nello scontro sul diritto di aborto è un risvolto significativo della posizione papale.
Ma l'intervento del Papa coincide anche con la giornata di mobilitazione del Gay Pride in diverse città italiane, sullo sfondo di uno scenario politico che vede il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana dichiarare candidamente che “le famiglie arcobaleno non esistono”, e che l'”unica famiglia esistente è quella composta dal papà, dalla mamma, dai loro figli”. Ora, paradossalmente, persino Salvini di fronte a dichiarazioni tanto imbarazzanti del proprio ministro le aveva derubricate a mezza bocca, e ipocritamente, a opinioni personali. Il Papa invece non solo le ha riprese, ma le ha solennemente rivendicate in sede pubblica col plauso entusiasta di Gigi De Palo, già assessore alla famiglia della giunta Alemanno.
Questo è il cosiddetto Papa progressista, per anni decantato dalla cultura liberale (Scalfari) come protagonista di un nuovo corso democratico universale della Chiesa, e spesso portato in palma di mano dalle sinistre cosiddette radicali come esempio e riferimento di un altro mondo possibile. Vogliamo ricordare che tutti i partiti del Brancaccio, da Bersani ad Acerbo, un anno fa sottoscrissero un appello che rivendicava Papa Francesco tra i numi tutelari della nuova sinistra da ricostruire?
Ma i fatti hanno la testa più dura delle favole. Il Papa che fa il verso a un ministro omofobo non è un incidente. È il Papa che cavalca la deriva reazionaria che si sta dispiegando in Italia, per le stesse ragioni per cui contrasta il movimento delle donne e le sue vittorie sul piano internazionale. La verità è che la Chiesa è istituzionalmente un baluardo della conservazione mondiale. Lo è dal punto di vista sociale, come parte organica del blocco dominante e del capitalismo mondiale; lo è dal punto di vista ideologico e culturale contro i diritti delle donne e delle minoranza oppresse, a guardia del patriarcato e della sua tradizione millenaria.
È la riprova, una volta di più, che solo una posizione coerentemente anticapitalista può essere coerentemente anticlericale, e dunque coerentemente democratica e antipatriarcale.
Partito Comunista dei Lavoratori
Per un movimento LGBT+ antifascista, anticlericale, anticapitalista
Mentre il governo reazionario di Salvini e Di Maio prende forma, assistiamo all'avanzata del peggior trogloditismo poltico omofobo e misogino. La situazione sociale per le persone LGBT+ non naviga in buone acque. Le briciole concesse dal "democristianissimo" Renzi sono solo fumo negli occhi atto a mascherare un disegno conservatore legato al pensiero dominante. La negazione dei diritti è una negazione di dignità.
La liberazione della sessualità e la libera costruzione della propria soggettività sono messe in discussione innanzitutto dalla tremenda crisi economica che da oltre dieci anni ci priva di diritti, salute e speranze; dall'altro l'avanzata dell'oscurantismo religioso e dei loro fedeli alleati fascisti ci impone con violenza – non solo simbolica – modelli eteronormati conservatori, basati sulla subordinazione femminile al ruolo di moglie-madre e l'esaltazione della virilità maschile in chiave nazionalista di cui francamente faremmo volentieri a meno.
Rivendichiamo la piena parità, dignità e libertà declinate in leggi e diritti come il matrimonio egualitario, il riconoscimento delle unioni civili e di fatto nella sua interezza, nonché della genitorialità tanto per i single quanto per le coppie omosessuali. Siamo contro la patologizzazione purtroppo tuttora in atto delle persone trans. Vogliamo una salute realmente pubblica, efficiente e laica sotto controllo sociale e contraccezione sicura e a prezzi popolari. L'autonomia economica e l'accesso ai diritti - a partire dalla rivendicazione della riduzione del'orario di lavoro per tutte e tutti a parità di salario, dal reintegro dell'art. 18 e sua estensione a tutto il mondo del lavoro, all'abolizione del Jobs act – nonché la difesa degli spazi di incontro e autodeterminazione come consultori, centri antiviolenza ecc. sono la migliore ricetta contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.
Il movimento LGBT+ ha davanti a sé una importante sfida: intrecciare le proprie istanze a quelle dell'antifascismo, del mondo del lavoro, degli studenti e dei migranti. Ma oggi più che mai, una affermazione comune di libertà non può non mettere in discussione i privilegi e il ruolo reazionario della Chiesa cattolica in Italia: la rivendicazione dell'abolizione del Concordato e di tutte le regalie che concediamo al Vaticano, a partire dalla truffa dell'8 per mille e dall'insegnamento religioso nella scuola pubblica, deve essere centrale. Una battaglia indiscutibilmente ambiziosa, però l'unica che realisticamente possa garantirci la libertà e i diritti che meritiamo.
La liberazione della sessualità e la libera costruzione della propria soggettività sono messe in discussione innanzitutto dalla tremenda crisi economica che da oltre dieci anni ci priva di diritti, salute e speranze; dall'altro l'avanzata dell'oscurantismo religioso e dei loro fedeli alleati fascisti ci impone con violenza – non solo simbolica – modelli eteronormati conservatori, basati sulla subordinazione femminile al ruolo di moglie-madre e l'esaltazione della virilità maschile in chiave nazionalista di cui francamente faremmo volentieri a meno.
Rivendichiamo la piena parità, dignità e libertà declinate in leggi e diritti come il matrimonio egualitario, il riconoscimento delle unioni civili e di fatto nella sua interezza, nonché della genitorialità tanto per i single quanto per le coppie omosessuali. Siamo contro la patologizzazione purtroppo tuttora in atto delle persone trans. Vogliamo una salute realmente pubblica, efficiente e laica sotto controllo sociale e contraccezione sicura e a prezzi popolari. L'autonomia economica e l'accesso ai diritti - a partire dalla rivendicazione della riduzione del'orario di lavoro per tutte e tutti a parità di salario, dal reintegro dell'art. 18 e sua estensione a tutto il mondo del lavoro, all'abolizione del Jobs act – nonché la difesa degli spazi di incontro e autodeterminazione come consultori, centri antiviolenza ecc. sono la migliore ricetta contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.
Il movimento LGBT+ ha davanti a sé una importante sfida: intrecciare le proprie istanze a quelle dell'antifascismo, del mondo del lavoro, degli studenti e dei migranti. Ma oggi più che mai, una affermazione comune di libertà non può non mettere in discussione i privilegi e il ruolo reazionario della Chiesa cattolica in Italia: la rivendicazione dell'abolizione del Concordato e di tutte le regalie che concediamo al Vaticano, a partire dalla truffa dell'8 per mille e dall'insegnamento religioso nella scuola pubblica, deve essere centrale. Una battaglia indiscutibilmente ambiziosa, però l'unica che realisticamente possa garantirci la libertà e i diritti che meritiamo.
Partito Comunista dei Lavoratori
Genova 30 giugno 2018. Contro fascismo e capitale, prove di fronte unico
♠ in 30 giugno,30 giugno 1960,ANPI,antifascismo,Bucci,Casapound,CGIL,corteo,Forza Nuova,Genova,Genova antifascista,Lega,LGBTQI,M5S,PD,Toti
Il PCL aderisce e promuove l'appello di Genova Antifascista
Il 30 giugno 2018 a Genova ci sarà un grande corteo di massa e di classe promosso dal raggruppamento di cui siamo parte, Genova Antifascista, assieme ad ANPI e CGIL.
Una giornata che lancia la necessità e la prospettiva di un fronte unico di classe e di massa contro il fascismo e contro lo sfruttamento capitalistico, di cui il primo si fa strumento.
Aderiamo e promuoviamo l'appello di Genova Antifascista nella prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici per abbattere definitivamente la barbarie e la reazione!
Una giornata che lancia la necessità e la prospettiva di un fronte unico di classe e di massa contro il fascismo e contro lo sfruttamento capitalistico, di cui il primo si fa strumento.
Aderiamo e promuoviamo l'appello di Genova Antifascista nella prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici per abbattere definitivamente la barbarie e la reazione!
Un lungo e travagliato percorso di costruzione, lotta, discussioni, trattative e dibattiti ha portato l'antifascismo genovese a scendere unitariamente e pluralmente in piazza nel giorno della commemorazione dei celeberrimi e gloriosi fatti del 30 giugno del 1960.
Un parallelo impegnativo, in una fase storica e politica di netto arretramento della coscienza di classe e delle mobilitazioni di massa, di radicamento di una coscienza reazionaria e razzista che trova la sua espressione populista e fintamente antisistema nell'attuale governo Lega-Movimento 5 Stelle, e che si manifesta nella crescita e nel radicamento delle organizzazioni da combattimento della reazione neofascista – CasaPound, Lealtà Azione, Forza Nuova, Generazione Identitaria etc.
Genova Antifascista, il raggruppamento che vede al suo interno differenti anime della sinistra politica radicale, sindacale e di movimento - di cui noi siamo parte integrante - si è fatta promotrice di un percorso di costruzione di una giornata di opposizione alla crescita delle organizzazioni neofasciste, ai connubi e spalleggiamenti reciproci di questi con le giunte Toti e Bucci, alle politiche di questo governo come a quelle dei governi passati, e in particolar modo ai più recenti a guida Partito Democratico – quelli che hanno portato avanti i peggiori attacchi alle condizioni sociali, economiche e di vita di lavoratori, migranti, disoccupati etc.
In questo contesto, però, si è deciso di affrontare la fase di emergenza lanciando la necessità di un fronte unico di massa e di classe, rapportandosi anche con due strutture come la CGIL e l'ANPI, con cui erano emerse, ed esistono tuttora, non poche frizioni in molti passaggi politici cittadini e nazionali per la loro sudditanza alle direttive del PD – il corteo del 3 febbraio 2018 e la sua piattaforma, la giornata di lotta a Macerata, il 25 aprile genovese e le contestazioni al sindaco Bucci e al presidente Toti sul palco della piazza. Le loro burocrazie sono molto distanti dal concetto di antifascismo anticapitalista e coerente, necessario a far fronte a questa ondata reazionaria, ma rimane necessario rapportarsi con la loro base e pretendere il loro impegno in una mobilitazione realmente ampia e plurale per rispondere alla minaccia attuale.
Una sfida politica in cui due grandi anime – altrettanto composite al loro interno – scendono in piazza unitariamente per marciare separate e colpire unite.
Quel che ci preme sottolineare, oltre alla pluralità della giornata, è l'importanza della piattaforma politica sancita da Genova Antifascista per caratterizzare la propria parte di piazza e la propria declinazione di antifascismo. Una piattaforma che consideriamo d'esempio per un antifascismo conseguente, che sappia individuare i nemici di classe di cui fascismo e razzismo si fanno strumento contro i proletari e le masse, che richiami ad un fronte unico di classe e di massa contro le politiche padronali portate avanti da governi di centrosinistra, di centrodestra e da quelli tecnici, che metta quindi in discussione l'impianto capitalista della società come causa dell'attuale barbarie.
Una piattaforma che abbiamo contribuito a costruire e che ci sentiamo di sostenere apertamente, che delinea una demarcazione anche dall'ambiguità della sinistra costituzionalista e delle burocrazie sindacali, che non si spingono oltre ad un formale e commemorativo antifascismo con cui cercare di coprire le proprie responsabilità di fronte alle aggressioni e al disarmo del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, e delle masse oppresse e discriminate.
L'unica nota negativa, che non abbiamo mancato di segnalare nei dibatti e nella costruzione della giornata, è il divieto di poter esprimere le diverse soggettività politiche e partitiche con le proprie bandiere e i propri striscioni. Una scelta che a nostro avviso impoverisce la possibilità di esprimere le differenti anime e caratterizzazioni dell'antifascismo politico.
Ribadiamo, quindi, la nostra piena adesione alla giornata di mobilitazione del 30 giugno 2018, rilanciando l'appuntamento per il concentramento presso la Stazione Marittima, per ripercorrere il percorso del 1960 fino a Piazza De Ferrari.
Un'adesione militante e attiva, come è sempre stata la nostra partecipazione a questo percorso di lotta, sempre più centrale oggi di fronte alla campagna insanguinata contro migranti e profughi di questo nuovo governo giallo-verde.
Un'adesione per ribadire che il fascismo e il capitalismo sono espressioni del dominio della borghesia e del padronato sulla società; sono strumento per lo sfruttamento e l'oppressione di lavoratori e lavoratrici, precari e precarie, immigrati e profughi, donne e comunità LGBTQI, poveri e oppressi; sono strumento per alimentare guerre tra poveri e per alimentare il consenso a politiche imperialistiche e predatorie.
Solo il fronte unico di massa e di classe, sostenuto da uno sciopero generale politico, può contrastare, con la forza di tutti gli oppressi e gli sfruttati, questo dominio e questo potere.
Solo la prospettiva della costruzione del governo dei lavoratori e delle lavoratrici, che ponga la società, le leve centrali dell'economia e della finanza, le aziende e i luoghi di vita sotto il controllo delle organizzazioni autonome della classe lavoratrice, può sconfiggere definitivamente il fascismo e lo sfruttamento.
Solo con la rivoluzione comunista e un nuovo impianto di società, fondato sulla democrazia dei lavoratori e sulla pianificazione della produzione e della distribuzione negli interessi delle masse e della classe lavoratrice, è possibile dare un'alternativa internazionale alla barbarie in cui sta sprofondando la società.
Scenderemo in piazza con uno slogan antifascista chiaro, rivoluzionario, anticapitalista, internazionalista e classista:
Contro fascismo e capitale, governo dei lavoratori e delle lavoratrici!
Qui di seguito la piattaforma politica di Genova Antifascista per il 30 giugno 2018
PER UN 30 GIUGNO ANTIFASCISTA
PER GENERALIZZARE LE LOTTE E COLPIRE UNITI
Il 30 giugno 1960 capitò qualcosa che unì la parte più sana della popolazione: la rivolta contro il congresso fascista a Genova e contro il Governo Tambroni sostenuto dal MSI. Allora capimmo da che parte schierarci e a difesa di quali valori fondamentali. La memoria di quanto successe allora ci serva da esempio anche per l’oggi.
Perché in tutta Italia, come anche a Genova, sono aumentate le provocazioni, le aggressioni, fino all’omicidio, da parte di neofascisti, razzisti, omofobi e xenofobi. Perché si rafforzano le organizzazioni politiche populiste e nazionaliste, che occupano il potere di governi e giunte e forniscono agibilità agli squadristi.
A Genova le giunte di Toti e di Bucci, infatti, hanno legittimato, difeso e/o patrocinato gli atti dei fascisti, si chiamino CasaPound, Forza Nuova o Lealtà Azione.
Nel frattempo la repressione viene usata per colpire chi si oppone alla crescita dei fascismi; chi lotta sul luogo di lavoro; chi lotta nelle mobilitazioni sociali e si oppone alle grandi opere della speculazione, al saccheggio e alla devastazione di interi territori in nome del profitto, alle organizzazioni mafiose e alle politiche di generale aggressione alle condizioni degli sfruttati e di discriminazione degli oppressi: lavoratori e precari, disoccupati, immigrati, donne e identità di genere LGBTQI. Denunce, licenziamenti, multe, processi, daspo urbani, fogli di via sono i principali strumenti usati.
I neofascisti, nel frattempo, alimentano razzismo, xenofobia, omofobia, modelli patriarcali e repressivi, ideologie di guerra, e guerre tra poveri, dove gli unici vincitori sono i ricchi e gli sfruttatori.
Mobilitiamoci per:
– cacciare le organizzazioni fasciste e chiudere i loro covi, dando applicazione alla Costituzione che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, e rispettando la memoria di Genova, unica città liberata dall'insurrezione di lavoratori, abitanti e partigiani e, per questo, medaglia d’oro.
– un lavoro e salari dignitosi e contro lo sfruttamento, le morti e la mancanza di sicurezza; per opporci alla precarietà imposta dai pacchetti Treu al Jobs Act, alla cancellazione dei diritti sindacali e di sciopero, al lavoro gratuito in ogni sua forma – stages, alternanza scuola-lavoro, “volontariato” obbligatorio per rifugiati – e bloccare la chiusura delle aziende.
– contrastare le devastazioni ambientali e dei territori per un piano di contrasto al dissesto idrogeologico e per contrastare la ghettizzazione delle periferie costruendo quartieri e comunità solidali, accoglienti, antirazziste e antifasciste in grado di autogestirsi.
– fermare i tagli e le privatizzazioni di servizi essenziali come la salute, il trasporto, la casa, la scuola e l’università, i servizi sociali. Perché siano pubblici, universali, gratuiti e di qualità, non sottomessi alle regole della concorrenza e del mercato.
– opporci alle politiche oscurantiste che provano ad attaccare ulteriormente il diritto all’aborto, i consultori pubblici, i diritti civili della comunità LGBTQI, delle famiglie arcobaleno e l'autodeterminazione delle donne riaffermando il modello patriarcale dominante.
– combattere la persecuzione dei cosiddetti “reati sociali”, con cui si colpisce chi lotta per i diritti e le necessità di tutti e tutte, mentre è considerato legittimo arricchirsi con sfruttamento, speculazioni, devastazioni, nuove schiavitù. Per un’amnistia generale dei reati sociali.
– combattere il razzismo e la guerra tra poveri, contro le leggi che aggrediscono i diritti di migranti e rifugiati, criminalizzandoli – come la legge Turco-Napolitano, la Bossi-Fini e il decreto Minniti-Orlando, contro i nuovi campi di concentramento in Italia e nel Nord Africa con cui si costruiscono frontiere di morte.
– fermare i venti di guerra a difesa degli interessi imperialistici e predatori di banche e padroni, attraverso la devastazione di intere porzioni di mondo e di umanità – Medio Oriente, Est Europa, Africa. Attacchiamo le nostre stesse classi sfruttatrici, in prima linea in questa spartizione.
– richiedere le dimissioni del sindaco Bucci e del presidente Toti, per quanto già detto nella premessa, e per la loro mancanza di rappresentatività nella popolazione.
Per questo facciamo appello a una mobilitazione unitaria e plurale, in cui tutte le anime dell’antifascismo possano esprimersi nel rispetto reciproco e delle varie differenze. Per un movimento antifascista che promuova il fronte unico di massa e di classe, per colpire uniti la minaccia neofascista e le politiche portate avanti dai mandanti politici degli squadristi: banchieri, padroni, speculatori e partiti di governo.
Per un antifascismo di lotta, di classe, di massa, riprendiamo gli insegnamenti del 30 giugno 1960!
Appuntamento a Genova il 30 giugno 2018 davanti alla Stazione Marittima alle 17:00
Partito Comunista dei Lavoratori
RAZZISMO ISTITUZIONALE E RIABILITAZIONE DEL FASCISMO: IL BIGLIETTO DA VISITA DEL GOVERNO DELLA TERZA REPUBBLICA DI DI MAIO E SALVINI
♠ in Almirante,antifascismo,antirazzismo,Bologna,Casapound,Di Maio,Flavia Lavinia Cassaro,Forza Nuova,governo,Salvini,Soumayla Sacko,Terza Repubblica
Polizia schierata in forze e
munita di mezzi corazzati e cannoni idranti a difesa del comizio dei nazisti di
Forza Nuova a Bologna nel febbraio: una grande manifestazione per impedirla. 4
compagni colpiti dalla repressione della magistratura
L’insegnante Flavia Lavinia
Cassaro licenziata politica per la sua militanza antifascista in una
manifestazione per contestare il comizio di Casapound sempre nel febbraio: il
SAP (Sindacato autonomi di Polizia) applaude
Mozione del consiglio comunale
di Roma proposta dai filofascisti di FdI e votata dal gruppo M5S per intitolare
una strada ad Almirante, storico capo fascista e sottoscrittore del Manifesto
in difesa della Razza
Omicidio del compagno
sindacalista di USB Soumayla Sacko
impegnato da anni nell'organizzazione della lotta dei braccianti della Piana di
Gioa Tauro, in Calabria: silenzio
assordante di Di Maio e Salvini, poi solo uno scarno e ipocrita comunicato di
Conte che costa poco e, spentisi i riflettori, non muterà in nulla le terribili condizioni di
sfruttamento dei braccianti della Piana e di tante altre zone del Paese
Chiusura
dei porti e abbandono in mare dei migranti per i quali il Ministro degli
Interni Salvini (quello più a destra nel secondo dopo guerra) annuncia che “è
finita la pacchia”.
Ci
vuole altro per capire che questo governo è nemico degli antifascisti e antirazzisti
e che le istituzioni “democratiche” (siano della prima, della seconda o terza
repubblica) non sono loro amiche?
E’
necessario rilanciare unitariamente la mobilitazione antifascista e
antirazzista dal versante della classe lavoratrice.
Intanto
esprimiamo la nostra massima solidarietà a tutti gli antifascisti e antirazzisti
colpiti!
Di Maio & Salvini, tangenti e costruttori
♠ in Berdini,Bonafede,Casaleggio,Cassa Depositi e Prestiti,Di Maio,Fraccaro,Grillo,Lanzalone,Lega,M5S,Parnasi,Raggio,Roma,stadio
Il "governo del cambiamento" e lo scandalo di Roma
14 Giugno 2018
“Onesta, onestà” hanno gridato a gran voce i capi pentastellati per incassare i voti.
“Basta Roma ladrona” ha urlato per vent'anni il megafono della Lega.
Oggi la vicenda dello Stadio di Roma fa tabula rasa di tanta candida innocenza.
Il punto non è giudiziario, è politico. Non ci interessa la cronaca minuta dei dettagli, ma l'assoluta evidenza del dato di fondo: lo stretto intreccio tra capitale e governo, non solo a livello capitolino.
Intanto guardiamo i fatti. Un grande costruttore (Luca Parnasi) promuove il progetto del nuovo stadio di Roma a immagine e somiglianza dei propri interessi. Il supermanager di riferimento del M5S (l'avvocato Alfredo Lanzalone) diventa il primo referente del costruttore e del suo progetto edilizio, in cambio di contropartite per il proprio studio legale e della sponsorizzazione all'ingresso in Cassa Depositi e Prestiti. La giunta Raggi è il luogo istituzionale dello scambio: un vero comitato d'affari dell'operazione. Al punto che l'assessore Paolo Berdini, contrario al progetto, viene “dimesso” per sgombrare il campo da ogni ostacolo.
Una vicenda locale, si obietterà, che riguarda la Raggi e il suo destino. Sbagliato. Il costruttore Parnasi è tra i maggiori finanziatori a livello nazionale della Lega di Salvini, oggi ministro degli Interni, tramite il foraggiamento di una sua onlus (“Più voci”). L'avvocato Lanzalone è il principale consulente legale a livello nazionale del M5S, al punto da essere l'estensore del nuovo statuto pentastellato; è il principale reclutatore di nomine in quota M5S per le aziende partecipate e per il sottogoverno; è il grande procacciatore di relazioni per Luigi di Maio - capo politico del M5S, ministro del Lavoro e Vicepresidente del Consiglio - negli ambienti confindustriali e finanziari; è legato direttamente e a doppio filo a Casaleggio e Grillo, e per loro tramite a Bonafede, oggi ministro della Giustizia, e a Fraccaro, oggi ministro dei Rapporti con il Parlamento.
Ciò significa che non solo la sindaca Virginia Raggi, ma anche i massimi vertici del M5S e del governo sono toccati, in forme diverse, dallo scandalo di Roma. Un progetto di stadio sventra-Capitale, offerto al “popolo” per una contropartita elettorale, è diventato una mina vagante di prima grandezza per il governo leghista a cinque stelle.
Vedremo gli sviluppi giudiziari. Ma il significato della vicenda è indubbio. Chi governa il sistema capitalista, a qualsiasi livello, è inevitabilmente coinvolto nelle regole del gioco, corruzione inclusa. Tutta la partita della cosiddetta urbanistica contrattata lega le amministrazioni agli interessi dei costruttori. Tutti i partiti di governo, locali e nazionali, finiscono sul libro paga dei capitalisti, in forma diretta o indiretta, chiara o opaca. È stato così per i partiti tradizionali della Prima e Seconda Repubblica; è così per i nuovi partiti di governo della Terza.
Il fatto che tutto questo accada a pochi giorni dalla nascita del nuovo governo nel nome solenne del cambiamento, misura solo la distanza tra rappresentazione e realtà. I governi cambiano, ma la realtà resta: quella del capitalismo. Quella che «...nessun mutamento di partiti, persone, istituzioni potrà mai cambiare» (Lenin, 1919)
“Basta Roma ladrona” ha urlato per vent'anni il megafono della Lega.
Oggi la vicenda dello Stadio di Roma fa tabula rasa di tanta candida innocenza.
Il punto non è giudiziario, è politico. Non ci interessa la cronaca minuta dei dettagli, ma l'assoluta evidenza del dato di fondo: lo stretto intreccio tra capitale e governo, non solo a livello capitolino.
Intanto guardiamo i fatti. Un grande costruttore (Luca Parnasi) promuove il progetto del nuovo stadio di Roma a immagine e somiglianza dei propri interessi. Il supermanager di riferimento del M5S (l'avvocato Alfredo Lanzalone) diventa il primo referente del costruttore e del suo progetto edilizio, in cambio di contropartite per il proprio studio legale e della sponsorizzazione all'ingresso in Cassa Depositi e Prestiti. La giunta Raggi è il luogo istituzionale dello scambio: un vero comitato d'affari dell'operazione. Al punto che l'assessore Paolo Berdini, contrario al progetto, viene “dimesso” per sgombrare il campo da ogni ostacolo.
Una vicenda locale, si obietterà, che riguarda la Raggi e il suo destino. Sbagliato. Il costruttore Parnasi è tra i maggiori finanziatori a livello nazionale della Lega di Salvini, oggi ministro degli Interni, tramite il foraggiamento di una sua onlus (“Più voci”). L'avvocato Lanzalone è il principale consulente legale a livello nazionale del M5S, al punto da essere l'estensore del nuovo statuto pentastellato; è il principale reclutatore di nomine in quota M5S per le aziende partecipate e per il sottogoverno; è il grande procacciatore di relazioni per Luigi di Maio - capo politico del M5S, ministro del Lavoro e Vicepresidente del Consiglio - negli ambienti confindustriali e finanziari; è legato direttamente e a doppio filo a Casaleggio e Grillo, e per loro tramite a Bonafede, oggi ministro della Giustizia, e a Fraccaro, oggi ministro dei Rapporti con il Parlamento.
Ciò significa che non solo la sindaca Virginia Raggi, ma anche i massimi vertici del M5S e del governo sono toccati, in forme diverse, dallo scandalo di Roma. Un progetto di stadio sventra-Capitale, offerto al “popolo” per una contropartita elettorale, è diventato una mina vagante di prima grandezza per il governo leghista a cinque stelle.
Vedremo gli sviluppi giudiziari. Ma il significato della vicenda è indubbio. Chi governa il sistema capitalista, a qualsiasi livello, è inevitabilmente coinvolto nelle regole del gioco, corruzione inclusa. Tutta la partita della cosiddetta urbanistica contrattata lega le amministrazioni agli interessi dei costruttori. Tutti i partiti di governo, locali e nazionali, finiscono sul libro paga dei capitalisti, in forma diretta o indiretta, chiara o opaca. È stato così per i partiti tradizionali della Prima e Seconda Repubblica; è così per i nuovi partiti di governo della Terza.
Il fatto che tutto questo accada a pochi giorni dalla nascita del nuovo governo nel nome solenne del cambiamento, misura solo la distanza tra rappresentazione e realtà. I governi cambiano, ma la realtà resta: quella del capitalismo. Quella che «...nessun mutamento di partiti, persone, istituzioni potrà mai cambiare» (Lenin, 1919)
Partito Comunista dei Lavoratori
Prove di regime: licenziata Flavia Cassaro
♠ in Casapound,fascismo,Fedeli,Flavia Lavinia Cassaro,licenziamento,magistratura,Meloni,polizia,Renzi,Salvini,SAP
14 Giugno 2018
Il licenziamento dell'insegnante Flavia Lavinia Cassaro per le sue urla in piazza contro la polizia durante una manifestazione antifascista non è un semplice fatto di cronaca, e neppure un ordinaria ingiustizia. È qualcosa di più: il sintomo di un salto di qualità delle politiche reazionarie.
Il provvedimento è una enormità dal punto di vista giuridico. Le accuse contro l'insegnante non riguardano affatto il suo lavoro. I citati “problemi di relazione con i colleghi e con gli alunni che generano tensione e disagio” sono un riferimento del tutto generico, non sono mai stati oggetto di misure disciplinari, e tanto meno configurano un reato. L'insegnante viene licenziata per il solo fatto di aver gridato la propria rabbia contro la polizia che proteggeva il comizio di CasaPound. Più precisamente per il fatto che le sue parole non avrebbero rispettato la “continenza formale”, cioè sarebbero state “eccessive”. Tutelare i fascisti è “continente”, protestare è reato se la protesta si rivolge contro la polizia che li tutela.
Un licenziamento, dunque, per un supposto... eccesso verbale? La verità è che il licenziamento è squisitamente politico. Fu chiesto a reti unificate da Matteo Renzi e dalla ministra Fedeli. Ma soprattutto è stato chiesto da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni, numi tutelari di Polizia e Carabinieri. Non a caso il Sindacato Autonomo di Polizia (SAP), legato a Fratelli d'Italia e soprattutto alla Lega, ha applaudito il licenziamento con parole emblematiche: “Finalmente è stato affermato il principio del rispetto della divisa e delle persone che l'indossano”.
Il nuovo ministro degli Interni Matteo Salvini vede dunque a ragione in questa sentenza l'inaugurazione di un nuovo corso. “È finita la pacchia” non è rivolto solo contro i migranti, ma contro tutti i disturbatori dell'ordine costituito. È la legittimazione preventiva e annunciata della mano pesante, da parte della Polizia e della magistratura. È l'incoraggiamento ai peggiori sentimenti reazionari.
CasaPound esulta per il licenziamento di Lavinia. Noi siamo con lei, per il suo reintegro al lavoro, per un'immediata iniziativa di mobilitazione contro la misura vergognosa che l'ha colpita. Una mobilitazione doverosa da parte di tutte le organizzazioni sindacali e antifasciste.
Il provvedimento è una enormità dal punto di vista giuridico. Le accuse contro l'insegnante non riguardano affatto il suo lavoro. I citati “problemi di relazione con i colleghi e con gli alunni che generano tensione e disagio” sono un riferimento del tutto generico, non sono mai stati oggetto di misure disciplinari, e tanto meno configurano un reato. L'insegnante viene licenziata per il solo fatto di aver gridato la propria rabbia contro la polizia che proteggeva il comizio di CasaPound. Più precisamente per il fatto che le sue parole non avrebbero rispettato la “continenza formale”, cioè sarebbero state “eccessive”. Tutelare i fascisti è “continente”, protestare è reato se la protesta si rivolge contro la polizia che li tutela.
Un licenziamento, dunque, per un supposto... eccesso verbale? La verità è che il licenziamento è squisitamente politico. Fu chiesto a reti unificate da Matteo Renzi e dalla ministra Fedeli. Ma soprattutto è stato chiesto da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni, numi tutelari di Polizia e Carabinieri. Non a caso il Sindacato Autonomo di Polizia (SAP), legato a Fratelli d'Italia e soprattutto alla Lega, ha applaudito il licenziamento con parole emblematiche: “Finalmente è stato affermato il principio del rispetto della divisa e delle persone che l'indossano”.
Il nuovo ministro degli Interni Matteo Salvini vede dunque a ragione in questa sentenza l'inaugurazione di un nuovo corso. “È finita la pacchia” non è rivolto solo contro i migranti, ma contro tutti i disturbatori dell'ordine costituito. È la legittimazione preventiva e annunciata della mano pesante, da parte della Polizia e della magistratura. È l'incoraggiamento ai peggiori sentimenti reazionari.
CasaPound esulta per il licenziamento di Lavinia. Noi siamo con lei, per il suo reintegro al lavoro, per un'immediata iniziativa di mobilitazione contro la misura vergognosa che l'ha colpita. Una mobilitazione doverosa da parte di tutte le organizzazioni sindacali e antifasciste.
Partito Comunista dei Lavoratori
NO AL GOVERNO DEGLI IMBROGLIONI
♠ in Casa Pound,delocalizzazioni,Di Maio,disoccupazione,governo,governo dei lavoratori,imbroglioni,Job Act,nazionalizzazione,pensione,precarietà immigrazione,riduzione orario di lavoro,salario,Salvini,UE
Un governo leghista... a
Cinque Stelle
Il nuovo governo Di Maio-Salvini (Conte è solo un
prestanome) imbroglia i lavoratori e le lavoratrici.
La nostra denuncia non ha niente a che fare con le
“critiche” del PD o dell'Unione Europea, unicamente preoccupati dei conti
pubblici del capitale. La nostra denuncia muove dalle ragioni opposte: quelle
dei lavoratori e di tutti gli sfruttati.
Il nuovo governo tutela innanzitutto la peggiore
eredità di Renzi. Mentre gli operai muoiono sul lavoro anche perchè ricattati
dalla precarietà e dalla cancellazione dei diritti, il nuovo governo non solo
conserva il Job Act e tutte le leggi di
precarizzazione del lavoro, ma reintroduce i famigerati voucher.
Mentre
salgono in Borsa i profitti di grandi imprese e banche, il nuovo governo VUOLE
ABBASSARE la tassa sui profitti al 15%, nel quadro di una riforma fiscale in
cui chi ha di più paga di meno. E' il
più grande regalo fiscale ai padroni dell'intero dopoguerra.
E' vero, si promettono elemosine sul cosiddetto
“reddito di cittadinanza” e pensioni.
Ma il reddito è condizionato all'accettazione di
lavoro precario, 41 anni di contributi sono un miraggio per i giovani dopo una
vita di precariato, si mantiene
l'automatismo delle aspettative di vita per l'età pensionabile a tutela del
capitale finanziario. Ma soprattutto queste stesse promesse non hanno
copertura. Qui sta l'imbroglio. Se vuoi regalare una montagna di soldi ai
padroni, se vuoi continuare a pagare il debito pubblico alle banche, hai
difficoltà a finanziare persino le elemosine che prometti. O le promesse
resteranno tali o saranno messe sul conto dei “beneficiari” con nuovi tagli
sociali. Salvini e Di Maio hanno già pensato alla valvola di sfogo su cui dirottare la
delusione: la campagna odiosa contro gli immigrati. Il piano di segregazione e
cacciata di 500000 immigrati cosiddetti “clandestini”( perchè privati di diritti)
si combina con la discriminazione persino degli immigrati “regolari” in fatto
di asili e sussidi. Una discriminazione esplicitamente etnica. E' un caso che I
FASCISTI di Casa Pound abbiano applaudito al nuovo governo?
Il vero sottotitolo di “Prima gli Italiani” è “prima i
capitalisti E I BANCHIERI”, a spese di tutti gli altri.
E' ora di contrapporre: “ prima i lavoratori, prima le
lavoratrici, e con essi tutti gli sfruttati”.
•
Per la
cancellazione del Job Act e di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro.
• Per la riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di salario, ripartendo il lavoro tra tutti.
• Per la pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro, pagato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti.
• Per un vero salario ai disoccupati e ai giovani in cerca di prima occupazione, pagato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese private.
• Per la riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di salario, ripartendo il lavoro tra tutti.
• Per la pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro, pagato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti.
• Per un vero salario ai disoccupati e ai giovani in cerca di prima occupazione, pagato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese private.
PER UNA
NAZIONALIZZAZIONE SENZA INDENNIZZO (SALVO AI PICCOLI AZIONISTI) E SOTTO IL
CONTROLLO DEI LAVORATORI DI TUTTE LE AZIENDE CHE DELOCALIZZANO O LICENZIANO.
Solo una mobilitazione generale per queste
rivendicazioni può unificare 17 milioni di lavoratori salariati e attorno ad
essi l'esercito dei disoccupati. Solo la rottura col capitalismo, solo
l'abolizione del debito pubblico verso le banche usuraie e la loro
nazionalizzazione senza indennizzo (salvo i piccoli azionisti e col rispetto
dei depositi dei risparmiatori) può dare prospettiva a questa mobilitazione.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Il governo giallo-verde dichiara guerra ai migranti
♠ in Acquarius,Bossi-Fini.,chiusura porti,fronte unico,governo,Lega,M5S,migranti,Minniti-Orlando,ONG,Sacko,Salvini,USB
Costruiamo il fronte unico di classe e di massa contro il razzismo e lo sfruttamento
La vicenda della nave Aquarius segna un balzo in avanti delle politiche di aggressione ai diritti di rifugiati e migranti poveri dei governi italiani. Le vite di esseri umani senza alcuna speranza, oltre a quella di fuggire da condizioni di miseria, povertà e guerra, sono trasformate in merce per barattare consenso elettorale – in campagne elettorali senza fine – e rapporti di forza tra governi e borghesie in Europa.
Dopo le politiche concentrazionarie e razziste di Minniti e Orlando e del governo PD, ora arriva l'operazione a guida Salvini (Lega)-Toninelli (M5S): chiudere i porti italiani alle ONG condannando a morte centinaia di persone per fame, sete e assenza di cure mediche.
La prima vicenda si sta già consumando in queste ore, con la chiusura dei porti italiani per la nave Aquarius con 629 persone a bordo – di cui 88 donne e 7 incinte, 11 bambini piccoli e 123 minori non accompagnati. Quella nave ha una capacità di trasporto di 550 persone, alla faccia delle vergognose affermazioni di disprezzo delle condizioni umane del ministro delle Infrastrutture Toninelli, secondo cui "su quella nave si sta bene". Si sta talmente bene che mancano le possibilità di medicare e curare persone che hanno subito torture nelle traversate e che sono ustionate da mix di cherosene e acqua di mare. I viveri cominciano a scarseggiare, non sono arrivati rifornimenti e aiuti, e le scorte non basterebbero a raggiungere il porto di Valencia, considerato che il nuovo governo spagnolo di Sanchez ha dato la propria disponibilità ad accogliere i profughi in mare.
Nel frattempo altri migranti sono stati salvati in queste ore da navi militari e pescherecci, al largo della Libia, per un totale di oltre 900 persone, e Salvini ha già annunciato la stessa linea "dura", sulla pelle di questi disperati, per rafforzare la propria posizione politica nel governo italiano e in Europa. Giochi di potere macchiati di sangue e di incitamento al razzismo e alla violenza della guerra tra poveri.
Era prevedibile, infatti, che il governo giallo-verde, in evidente difficoltà per non poter mantenere le sue promesse su misure economiche populistiche - già ampiamente ritrattate rispetto ai proclami iniziali - deviasse tutta l'attenzione sulla guerra ai migranti per mostrarsi forte, compatto e capace di agire sul piano internazionale.
Ieri è toccato al sindacalista dell'USB Sacko – che ha aperto una finestra sulla "pacchia" che sono costretti a subire gli immigrati col lavoro nero, il caporalato, le nuove forme di schiavismo, oggi tocca ai migranti e ai rifugiati su quelle navi, domani toccherà alle enormi masse di proletari e sottoproletari di ogni nazionalità e provenienza, autoctoni o meno.
Se i lavoratori e le lavoratrici non comprendono il legame che unisce le condizioni dei migranti e quelle degli sfruttati e degli oppressi italiani, presto diventeremo tutti carne da macello per i banchetti di padroni, banchieri, sfruttatori e organizzazioni mafiose.
Clandestini, immigrati e italiani sono vittime di una concorrenza al ribasso e di una guerra tra poveri che non fa che indebolirli di fronte alle aggressioni e ai peggioramenti delle condizioni generali, portate avanti da tutti i governi che si sono susseguiti fino ad oggi al potere.
L'unica salvezza è l'unità di tutti i lavoratori e le lavoratrici, di tutti i disoccupati e le disoccupate, di tutte le identità e nazionalità oppresse, contro un sistema che non fa che mietere vittime tra chi è sfruttato, mettendo uno contro l'altro ultimi e penultimi per facilitarsi il lavoro.
Ci appelliamo, quindi, a tutte le forze sindacali, della sinistra e di movimento, che si schierano coerentemente a difesa delle classi sfruttate e oppresse, a lanciare momenti di protesta unitari e plurali con cui condannare le politiche migratorie di questo nuovo governo, a pretendere la riapertura dei porti per il salvataggio dei migranti, per contrastare l'ondata di razzismo alimentata dalle attuali forze politiche al potere, in continuità con quelle precedenti.
Costruiamo il fronte unico di massa e di classe subito!
In queste mobilitazioni è importante la discesa in campo di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici, a partire dai portuali e dai marittimi, e da tutti i settori in cui alta è la presenza di lavoratori di origine straniera, nella prospettiva di uno sciopero generale contro il razzismo e le leggi discriminatorie – dalla Bossi-Fini ai decreti Minniti-Orlando, contro le nuove organizzazioni fasciste e contro il nuovo governo giallo-verde, che ha già cominciato a macchiarsi del sangue dei lavoratori e dei migranti. Una mobilitazione generale che rivendichi un salario minimo intercategoriale a 1500 euro e la ripartizione del lavoro esistente – per lavorare meno e lavorare tutti; la battaglia al precariato con l'abolizione di tutte le leggi dal pacchetto Treu al Jobs Act e la guerra a tutte le forme di lavoro nero e di caporalato; la garanzia di servizi pubblici, gratuiti, universali e di qualità dalla sanità al trasporto, dalla casa all'istruzione.
Dopo le politiche concentrazionarie e razziste di Minniti e Orlando e del governo PD, ora arriva l'operazione a guida Salvini (Lega)-Toninelli (M5S): chiudere i porti italiani alle ONG condannando a morte centinaia di persone per fame, sete e assenza di cure mediche.
La prima vicenda si sta già consumando in queste ore, con la chiusura dei porti italiani per la nave Aquarius con 629 persone a bordo – di cui 88 donne e 7 incinte, 11 bambini piccoli e 123 minori non accompagnati. Quella nave ha una capacità di trasporto di 550 persone, alla faccia delle vergognose affermazioni di disprezzo delle condizioni umane del ministro delle Infrastrutture Toninelli, secondo cui "su quella nave si sta bene". Si sta talmente bene che mancano le possibilità di medicare e curare persone che hanno subito torture nelle traversate e che sono ustionate da mix di cherosene e acqua di mare. I viveri cominciano a scarseggiare, non sono arrivati rifornimenti e aiuti, e le scorte non basterebbero a raggiungere il porto di Valencia, considerato che il nuovo governo spagnolo di Sanchez ha dato la propria disponibilità ad accogliere i profughi in mare.
Nel frattempo altri migranti sono stati salvati in queste ore da navi militari e pescherecci, al largo della Libia, per un totale di oltre 900 persone, e Salvini ha già annunciato la stessa linea "dura", sulla pelle di questi disperati, per rafforzare la propria posizione politica nel governo italiano e in Europa. Giochi di potere macchiati di sangue e di incitamento al razzismo e alla violenza della guerra tra poveri.
Era prevedibile, infatti, che il governo giallo-verde, in evidente difficoltà per non poter mantenere le sue promesse su misure economiche populistiche - già ampiamente ritrattate rispetto ai proclami iniziali - deviasse tutta l'attenzione sulla guerra ai migranti per mostrarsi forte, compatto e capace di agire sul piano internazionale.
Ieri è toccato al sindacalista dell'USB Sacko – che ha aperto una finestra sulla "pacchia" che sono costretti a subire gli immigrati col lavoro nero, il caporalato, le nuove forme di schiavismo, oggi tocca ai migranti e ai rifugiati su quelle navi, domani toccherà alle enormi masse di proletari e sottoproletari di ogni nazionalità e provenienza, autoctoni o meno.
Se i lavoratori e le lavoratrici non comprendono il legame che unisce le condizioni dei migranti e quelle degli sfruttati e degli oppressi italiani, presto diventeremo tutti carne da macello per i banchetti di padroni, banchieri, sfruttatori e organizzazioni mafiose.
Clandestini, immigrati e italiani sono vittime di una concorrenza al ribasso e di una guerra tra poveri che non fa che indebolirli di fronte alle aggressioni e ai peggioramenti delle condizioni generali, portate avanti da tutti i governi che si sono susseguiti fino ad oggi al potere.
L'unica salvezza è l'unità di tutti i lavoratori e le lavoratrici, di tutti i disoccupati e le disoccupate, di tutte le identità e nazionalità oppresse, contro un sistema che non fa che mietere vittime tra chi è sfruttato, mettendo uno contro l'altro ultimi e penultimi per facilitarsi il lavoro.
Ci appelliamo, quindi, a tutte le forze sindacali, della sinistra e di movimento, che si schierano coerentemente a difesa delle classi sfruttate e oppresse, a lanciare momenti di protesta unitari e plurali con cui condannare le politiche migratorie di questo nuovo governo, a pretendere la riapertura dei porti per il salvataggio dei migranti, per contrastare l'ondata di razzismo alimentata dalle attuali forze politiche al potere, in continuità con quelle precedenti.
Costruiamo il fronte unico di massa e di classe subito!
In queste mobilitazioni è importante la discesa in campo di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici, a partire dai portuali e dai marittimi, e da tutti i settori in cui alta è la presenza di lavoratori di origine straniera, nella prospettiva di uno sciopero generale contro il razzismo e le leggi discriminatorie – dalla Bossi-Fini ai decreti Minniti-Orlando, contro le nuove organizzazioni fasciste e contro il nuovo governo giallo-verde, che ha già cominciato a macchiarsi del sangue dei lavoratori e dei migranti. Una mobilitazione generale che rivendichi un salario minimo intercategoriale a 1500 euro e la ripartizione del lavoro esistente – per lavorare meno e lavorare tutti; la battaglia al precariato con l'abolizione di tutte le leggi dal pacchetto Treu al Jobs Act e la guerra a tutte le forme di lavoro nero e di caporalato; la garanzia di servizi pubblici, gratuiti, universali e di qualità dalla sanità al trasporto, dalla casa all'istruzione.
Partito Comunista dei Lavoratori
Di Maio: superministro del cambiamento contro il lavoro
♠ in Conte,controllo fiscale,Di Maio,FCA,governo,governo dei lavoratori,Legge Fornero,Marchionne,migranti Salvini,movimento 5 stelle,razzismo,reddito di cittadinanza
Tutte le ricette contro i lavoratori in salsa giallo-verde: dall'interclassismo alla chiusura dell'Ilva, dal silenzio sugli assassinii razzisti ai regali fiscali per i piccoli padroni
8 Giugno 2018
Luigi Di Maio, il nuovo leader carismatico del Movimento 5 Stelle e dell'affermazione di quell'organizzazione come garante degli interessi della borghesia e della stabilità dei capitali, alla faccia della retorica populisitca antisistema, si è insediato.
Il capo pentastellato ha concentrato nelle sue mani due ministeri chiave come quello del Lavoro e quello dello Sviluppo Economico, per compensare la propria sete di potere insoddisfatta per il mancato raggiungimento della poltrona di Presidente del consiglio.
Ci è voluto poco a far cadere la maschera di "cambiamento" delle politiche sul lavoro del movimento populista e reazionario, e già dalle sue prime parole da superministro si mettono in mostra gli ammorbidimenti rispetto alla campagna elettorale infuocata – ammorbidimento già messo in luce nei vari tentativi di dialogo falliti con le diverse forze politiche, e con i poteri forti italiani e stranieri, per ottenere il controllo del Governo prima del contratto con la Lega.
Non solo l'abolizione del Jobs Act, emblema delle politiche del PD di precarizzazione e aggressione dei diritti e delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, è diventata una "rivisitazione" delle politiche renziane, probabilmente con la reintroduzione dei vergognosi voucher, produttori di precarietà estrema ed escamotage di mascheramento del lavoro nero.
Non solo il reddito di cittadinanza tanto promesso, oltre a essere evidentemente insostenibile rimanendo nelle logiche di gestibilità del sistema capitalistico e di mercato, diventa sempre più un sussidio di povertà e precarizzazione, vincolando una piccola elemosina alla necessità di accettare qualsiasi lavoro venga proposto a qualsiasi condizione esso sia. In poche parole: se sei disoccupato, ancora grazie che ti permettiamo di diventare un eterno precario senza diritti e sotto ricatto perenne di perdere anche quei quattro soldi che prendiamo alla contribuzione generale.
Non solo l'abolizione della Legge Fornero si trasforma in un più gestibile ed accettabile "quota 100", dimenticando tutte le promesse sulle pensioni minime. Anche qui una proposta difficilmente applicabile, sommata alla promessa del reddito di povertà, se non si affronta il nodo della dittatura sistemica del capitale e della finanza e la sua aurea legge del profitto e della concorrenza.
Non solo di fronte alla vicenda strategica dell'Ilva, a cui son legate le vite di migliaia di lavoratori e quelle dei cittadini che ne subiscono l'inquinamento da decenni, sa rispondere con la meravigliosa ricetta, senza capo né coda, del «chiuderemo lo stabilimento di Taranto», magari regalando le tecnologie dismesse ad ArcelorMittal che così può ringraziare e delocalizzare levandosi una bella gatta da pelare, e garantendo una bella massa di disoccupati e l'impoverimento generale di un intero territorio.
Si spinge oltre Di Maio, mettendo in mostra chiaramente da che parte stia il suo schieramento e il suo comando.
Tra le prime cose che afferma, da Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, è la volontà di eliminare qualsiasi misura di controllo fiscale per piccole, medie e grandi imprese. Il tanto agognato tema delle tasse alle imprese deve essere tagliato con l'accetta semplicemente con un «lasciamo in pace gli imprenditori», carta bianca e basta con i controlli, perché d'altronde non sono problemi atavici il nero e l'evasione in un sistema incentrato proprio sulle piccole e medie imprese, le cui mancate entrate ricadono proprio sulla tassazione ai salariati e ai pensionati e colpiscono la sostenibilità di un welfare state in perenne smantellamento.
In fondo il benessere e il profitto di padroni e padroncini, inevitabilmente, porterà ad un maggior benessere anche per i lavoratori e per gli strati più deboli. Dati che vengono ovviamente confermati dagli annuali rapporti sull'aumento dei dividendi, sull'aumento dei profitti, sulla sempre maggior concentrazione di capitali, sul perenne aumento delle forbici di ricchezza tra strati sempre minori di super-ricchi e ricchi, e un enorme massa di lavoratori poveri e in fase di impoverimento. Dati dimostrati anche dai bilanci annuali di tutte le imprese e dalle riorganizzazioni lacrime e sangue, dove amministratori delegati, azionisti e padroni aumentano i loro profitti e dividendi al costo di licenziamenti, casse integrazioni, salari di solidarietà, delocalizzazioni, rinnovi contrattuali che non permettono nemmeno il recupero degli aumenti reali del costo della vita, aumenti dei ritmi a parità di salario, etc.
Il tutto, infatti, si inserisce nel corporativo, e del tutto "nuovo", concetto secondo cui «datore di lavoro e dipendente sono sullo stesso piano. Non devono essere nemici, non devono essere due realtà staccate». Lo vada a dire a tutti i lavoratori di FCA, dell'azienda di quel Marchionne a cui ha teso la mano e che ha idolatrato per i 9 miliardi di investimenti nell'auto elettrica (quando tutti i competitors dell'automotive spendono regolarmente molto di più), colpiti dalle delocalizzazioni, dai salari di solidarietà e dalle casse integrazioni, da un modello contrattuale che li priva di qualsiasi garanzia e da piani industriali che hanno dimezzato i posti di lavoro in Italia in quel settore. Lo vada a dire a tutti i lavoratori e le lavoratrici che sono regolarmente sotto ricatto nel loro posto di lavoro, perché precari o perché vengono loro imposte condizioni di lavoro prive di sicurezza e prive di dignità sotto la minaccia di chiudere baracca e burattini e spostarsi dove tutto costa meno o di assumere chi è messo peggio – con tutto l'esercito di riserva di disoccupati che c'è. Lo vada a dire a tutti i lavoratori delle piccole e medie imprese legate al turismo, alla ristorazione, ai servizi sociali e all'assistenza, che quando hanno un contratto di lavoro sono già fortunati. Lo vada a dire a tutti i lavoratori e le lavoratrici morti o infortunati gravemente perché i loro padroni devono risparmiare sui costi per garantirsi profitti competitivi.
Lavoratori e lavoratrici hanno per necessità interessi contrastanti e opposti a quelle dei loro padroni e dei loro capetti.
Lavoratori e lavoratrici non hanno bisogno di elemosine e di frasi fatte sul "non essere nemici" con chi ogni giorno li sfrutta fino all'ultima goccia di sudore e fino all'ultimo anno in cui le gambe li possono reggere in piedi.
Lavoratori e lavoratrici non hanno bisogno di nuovi imbroglioni per rendersi conto che per garantire profitti e dividendi a chi sta sopra di loro è necessario che a pagare i costi delle crisi economiche, dell'anarchia del libero mercato e della competizione tra padroni siano loro, le proprie famiglie, la propria salute e i propri diritti.
E ora non può più reggere la favola dei sacrifici comuni e dell'unità di intenti nel nome della bandiera italiana e di un nuovo interclassismo a spese della classe lavoratrice e degli oppressi.
Intanto il superministro e vice-premier, nonostante le sue pompose promesse da eterna campagna elettorale, non ha saputo dire una parola sull'omicidio del militante sindacale Soumayla Sacko, giovane ventinovenne ucciso a sangue freddo mentre cercava di recuperare lamiere per i tetti delle baracche in cui sono costretti a vivere i braccianti immigrati sotto il ricatto di 'ndrangheta, caporali, padroni e multinazionali. Non una parola sulla tragica vicenda che si consuma nel clima di odio e caccia all'immigrato alimentata tanto dalla Lega di Salvini quanto dal suo partito e da Di Maio stesso, i principali mandanti. Non una parola sulle condizioni di lavoro e di vita di migliaia di lavoratori come lui nel settore dell'agricoltura, dell'ediliza, del commercio abusivo, del caporalato sempre più diffuso anche in settori come la siderurgia e la cantieristica.
Mentre Di Maio tace, il Presidente del consiglio Conte nei suoi discorsi al parlamento continua a ripetere a pappagallo le promesse scritte sul contratto tra cui la guerra ai migranti e il rinvigorimento delle espulsioni, e Salvini continua a proferire parole di odio e di morte inneggiando a nuovi e maggiori campi di concentramento per chi deve essere espulso o è irregolare. Nella fascia nera della clandestinità, dell'assenza di diritti, del perenne ricatto delle espulsioni e delle retate delle forze dell'ordine, dei permessi di soggiorno fluttuanti, della miseria e dell'emarginazione, prendono vita proprio queste nuove forme di schiavitù in cui la vita di un lavoratore vale meno di una cassetta di pomodori o di una vecchia lamiera abbandonata. Ma il ministro dal sorrisino di bambolotto e dal tweet facile con incerto congiuntivo ha altro a cui pensare.
Alle prime prove questo governo, e il suo superministro Di Maio, farà cadere in maniera sempre più evidente la propria maschera di ennesimo comitato d'affari di padroni e banchieri, con un occhio di riguardo per i piccoli padroncini impauriti dalla globalizzazione e pronti a menare il bastone contro chi sta sotto di loro, sbraitando contro chi sta sopra.
Al governo del cambiamento bisogna contrapporre la rivendicazione del governo dei lavoratori e delle lavoratrici, il solo che possa incarnare incondizionatamente gli interessi delle classi sfruttate e oppresse.
Il solo governo che possa cambiare radicalmente e con una vera rivoluzione le regole del sistema economico e sociale, ponendo al centro le necessità e i bisogni di chi è sempre stato sfruttato, requisendo senza indennizzo tutte le leve dell'economia e della finanza, ponendole sotto il controllo della classe lavoratrice; ridistribuendo il lavoro esistente tra tutti a parità di salario e programmando un piano generale per il rilancio della produzione, della distribuzione equa delle risorse e dei beni, e della fornitura dei servizi essenziali.
Per fare questo è necessario costruire il partito rivoluzionario e comunista, con cui diffondere questa consapevolezza e organizzare la risposta attraverso un fronte unico di classe e di massa che unisca tutti coloro che da questo sistema non hanno che da perdere, e che con la rivoluzione comunista non hanno da perdere che le loro catene.
Il capo pentastellato ha concentrato nelle sue mani due ministeri chiave come quello del Lavoro e quello dello Sviluppo Economico, per compensare la propria sete di potere insoddisfatta per il mancato raggiungimento della poltrona di Presidente del consiglio.
Ci è voluto poco a far cadere la maschera di "cambiamento" delle politiche sul lavoro del movimento populista e reazionario, e già dalle sue prime parole da superministro si mettono in mostra gli ammorbidimenti rispetto alla campagna elettorale infuocata – ammorbidimento già messo in luce nei vari tentativi di dialogo falliti con le diverse forze politiche, e con i poteri forti italiani e stranieri, per ottenere il controllo del Governo prima del contratto con la Lega.
Non solo l'abolizione del Jobs Act, emblema delle politiche del PD di precarizzazione e aggressione dei diritti e delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, è diventata una "rivisitazione" delle politiche renziane, probabilmente con la reintroduzione dei vergognosi voucher, produttori di precarietà estrema ed escamotage di mascheramento del lavoro nero.
Non solo il reddito di cittadinanza tanto promesso, oltre a essere evidentemente insostenibile rimanendo nelle logiche di gestibilità del sistema capitalistico e di mercato, diventa sempre più un sussidio di povertà e precarizzazione, vincolando una piccola elemosina alla necessità di accettare qualsiasi lavoro venga proposto a qualsiasi condizione esso sia. In poche parole: se sei disoccupato, ancora grazie che ti permettiamo di diventare un eterno precario senza diritti e sotto ricatto perenne di perdere anche quei quattro soldi che prendiamo alla contribuzione generale.
Non solo l'abolizione della Legge Fornero si trasforma in un più gestibile ed accettabile "quota 100", dimenticando tutte le promesse sulle pensioni minime. Anche qui una proposta difficilmente applicabile, sommata alla promessa del reddito di povertà, se non si affronta il nodo della dittatura sistemica del capitale e della finanza e la sua aurea legge del profitto e della concorrenza.
Non solo di fronte alla vicenda strategica dell'Ilva, a cui son legate le vite di migliaia di lavoratori e quelle dei cittadini che ne subiscono l'inquinamento da decenni, sa rispondere con la meravigliosa ricetta, senza capo né coda, del «chiuderemo lo stabilimento di Taranto», magari regalando le tecnologie dismesse ad ArcelorMittal che così può ringraziare e delocalizzare levandosi una bella gatta da pelare, e garantendo una bella massa di disoccupati e l'impoverimento generale di un intero territorio.
Si spinge oltre Di Maio, mettendo in mostra chiaramente da che parte stia il suo schieramento e il suo comando.
Tra le prime cose che afferma, da Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, è la volontà di eliminare qualsiasi misura di controllo fiscale per piccole, medie e grandi imprese. Il tanto agognato tema delle tasse alle imprese deve essere tagliato con l'accetta semplicemente con un «lasciamo in pace gli imprenditori», carta bianca e basta con i controlli, perché d'altronde non sono problemi atavici il nero e l'evasione in un sistema incentrato proprio sulle piccole e medie imprese, le cui mancate entrate ricadono proprio sulla tassazione ai salariati e ai pensionati e colpiscono la sostenibilità di un welfare state in perenne smantellamento.
In fondo il benessere e il profitto di padroni e padroncini, inevitabilmente, porterà ad un maggior benessere anche per i lavoratori e per gli strati più deboli. Dati che vengono ovviamente confermati dagli annuali rapporti sull'aumento dei dividendi, sull'aumento dei profitti, sulla sempre maggior concentrazione di capitali, sul perenne aumento delle forbici di ricchezza tra strati sempre minori di super-ricchi e ricchi, e un enorme massa di lavoratori poveri e in fase di impoverimento. Dati dimostrati anche dai bilanci annuali di tutte le imprese e dalle riorganizzazioni lacrime e sangue, dove amministratori delegati, azionisti e padroni aumentano i loro profitti e dividendi al costo di licenziamenti, casse integrazioni, salari di solidarietà, delocalizzazioni, rinnovi contrattuali che non permettono nemmeno il recupero degli aumenti reali del costo della vita, aumenti dei ritmi a parità di salario, etc.
Il tutto, infatti, si inserisce nel corporativo, e del tutto "nuovo", concetto secondo cui «datore di lavoro e dipendente sono sullo stesso piano. Non devono essere nemici, non devono essere due realtà staccate». Lo vada a dire a tutti i lavoratori di FCA, dell'azienda di quel Marchionne a cui ha teso la mano e che ha idolatrato per i 9 miliardi di investimenti nell'auto elettrica (quando tutti i competitors dell'automotive spendono regolarmente molto di più), colpiti dalle delocalizzazioni, dai salari di solidarietà e dalle casse integrazioni, da un modello contrattuale che li priva di qualsiasi garanzia e da piani industriali che hanno dimezzato i posti di lavoro in Italia in quel settore. Lo vada a dire a tutti i lavoratori e le lavoratrici che sono regolarmente sotto ricatto nel loro posto di lavoro, perché precari o perché vengono loro imposte condizioni di lavoro prive di sicurezza e prive di dignità sotto la minaccia di chiudere baracca e burattini e spostarsi dove tutto costa meno o di assumere chi è messo peggio – con tutto l'esercito di riserva di disoccupati che c'è. Lo vada a dire a tutti i lavoratori delle piccole e medie imprese legate al turismo, alla ristorazione, ai servizi sociali e all'assistenza, che quando hanno un contratto di lavoro sono già fortunati. Lo vada a dire a tutti i lavoratori e le lavoratrici morti o infortunati gravemente perché i loro padroni devono risparmiare sui costi per garantirsi profitti competitivi.
Lavoratori e lavoratrici hanno per necessità interessi contrastanti e opposti a quelle dei loro padroni e dei loro capetti.
Lavoratori e lavoratrici non hanno bisogno di elemosine e di frasi fatte sul "non essere nemici" con chi ogni giorno li sfrutta fino all'ultima goccia di sudore e fino all'ultimo anno in cui le gambe li possono reggere in piedi.
Lavoratori e lavoratrici non hanno bisogno di nuovi imbroglioni per rendersi conto che per garantire profitti e dividendi a chi sta sopra di loro è necessario che a pagare i costi delle crisi economiche, dell'anarchia del libero mercato e della competizione tra padroni siano loro, le proprie famiglie, la propria salute e i propri diritti.
E ora non può più reggere la favola dei sacrifici comuni e dell'unità di intenti nel nome della bandiera italiana e di un nuovo interclassismo a spese della classe lavoratrice e degli oppressi.
Intanto il superministro e vice-premier, nonostante le sue pompose promesse da eterna campagna elettorale, non ha saputo dire una parola sull'omicidio del militante sindacale Soumayla Sacko, giovane ventinovenne ucciso a sangue freddo mentre cercava di recuperare lamiere per i tetti delle baracche in cui sono costretti a vivere i braccianti immigrati sotto il ricatto di 'ndrangheta, caporali, padroni e multinazionali. Non una parola sulla tragica vicenda che si consuma nel clima di odio e caccia all'immigrato alimentata tanto dalla Lega di Salvini quanto dal suo partito e da Di Maio stesso, i principali mandanti. Non una parola sulle condizioni di lavoro e di vita di migliaia di lavoratori come lui nel settore dell'agricoltura, dell'ediliza, del commercio abusivo, del caporalato sempre più diffuso anche in settori come la siderurgia e la cantieristica.
Mentre Di Maio tace, il Presidente del consiglio Conte nei suoi discorsi al parlamento continua a ripetere a pappagallo le promesse scritte sul contratto tra cui la guerra ai migranti e il rinvigorimento delle espulsioni, e Salvini continua a proferire parole di odio e di morte inneggiando a nuovi e maggiori campi di concentramento per chi deve essere espulso o è irregolare. Nella fascia nera della clandestinità, dell'assenza di diritti, del perenne ricatto delle espulsioni e delle retate delle forze dell'ordine, dei permessi di soggiorno fluttuanti, della miseria e dell'emarginazione, prendono vita proprio queste nuove forme di schiavitù in cui la vita di un lavoratore vale meno di una cassetta di pomodori o di una vecchia lamiera abbandonata. Ma il ministro dal sorrisino di bambolotto e dal tweet facile con incerto congiuntivo ha altro a cui pensare.
Alle prime prove questo governo, e il suo superministro Di Maio, farà cadere in maniera sempre più evidente la propria maschera di ennesimo comitato d'affari di padroni e banchieri, con un occhio di riguardo per i piccoli padroncini impauriti dalla globalizzazione e pronti a menare il bastone contro chi sta sotto di loro, sbraitando contro chi sta sopra.
Al governo del cambiamento bisogna contrapporre la rivendicazione del governo dei lavoratori e delle lavoratrici, il solo che possa incarnare incondizionatamente gli interessi delle classi sfruttate e oppresse.
Il solo governo che possa cambiare radicalmente e con una vera rivoluzione le regole del sistema economico e sociale, ponendo al centro le necessità e i bisogni di chi è sempre stato sfruttato, requisendo senza indennizzo tutte le leve dell'economia e della finanza, ponendole sotto il controllo della classe lavoratrice; ridistribuendo il lavoro esistente tra tutti a parità di salario e programmando un piano generale per il rilancio della produzione, della distribuzione equa delle risorse e dei beni, e della fornitura dei servizi essenziali.
Per fare questo è necessario costruire il partito rivoluzionario e comunista, con cui diffondere questa consapevolezza e organizzare la risposta attraverso un fronte unico di classe e di massa che unisca tutti coloro che da questo sistema non hanno che da perdere, e che con la rivoluzione comunista non hanno da perdere che le loro catene.