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Per una sinistra rivoluzionaria

Una lista anticapitalista, rivoluzionaria, comunista, classista, internazionalista

30 Novembre 2017
ll capitalismo internazionale ed europeo prosegue la propria offensiva contro le condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice e della maggioranza della società. Un'offensiva che dura decenni, dentro la zona euro e fuori di essa. Un'offensiva condotta da tutti i governi e da tutti i partiti di governo, incluso quel governo Tsipras di Syriza-Anel che tutte le sinistre "riformiste" italiane ed europee continuano a sostenere acriticamente. È la riprova che il riformismo non è in grado di dare risposte alla crisi del capitalismo e quindi si subordina agli interessi delle classi dominanti e alla continuità dei sacrifici.

In Italia, come nel resto d’Europa, questa subordinazione al capitale delle sinistre riformiste, politiche e sindacali, ha prodotto negli anni e decenni lo smantellamento progressivo delle conquiste dei lavoratori.

La necessità dunque di un’altra sinistra, che si batta per la rottura con le compatibilità capitaliste in contrapposizione ad ogni illusione riformista, è riproposta tanto più oggi dall'intera situazione politica e sociale.
In questa prospettiva il Partito Comunista dei Lavoratori e Sinistra Classe Rivoluzione si propongono di dar vita, per le prossime elezioni politiche, ad una lista
anticapitalista, rivoluzionaria, comunista, classista e internazionalista.

Una lista che lotti contro l’austerità, contro l’Unione Europea capitalista e per un programma di trasformazione rivoluzionaria della società, l’unico che può indicare una via d’uscita alla grande maggioranza della popolazione attanagliata da dieci anni di crisi di questo sistema.

Una lista che ponga al centro la classe operaia come soggetto sfruttato e motore di un progetto di trasformazione; e attorno ad essa le necessità di lavoratori e lavoratrici, disoccupati, precari, immigrati, oppressi, donne, omosessuali e lesbiche, generi e minoranze discriminate contro gli interessi di capitalisti e banche, gerarchie ecclesiastiche, organizzazioni criminali, partiti padronali, governi e istituzioni dell'Europa borghese.

Una lista che riconduca quei bisogni ad un programma di rivendicazioni che ponga la prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici: attraverso l'opposizione alle privatizzazioni e per le nazionalizzazioni sotto controllo dei lavoratori; la cancellazione delle leggi sulla precarietà – dal pacchetto Treu al Jobs Act - e di smantellamento della previdenza sociale e pensionistica; la riduzione netta dell'orario di lavoro a parità di salario; un dignitoso salario ai disoccupati e a chi è in cerca di prima occupazione; un piano nazionale di lavoro per case popolari e rinnovamento edilizio, riqualificazione del territorio rinnovamento e potenziamento delle infrastrutture - in contrasto alle grandi opere speculative - e dei servizi pubblici universali e gratuiti - scuola, trasporto, sanità, servizi etc.; la nazionalizzazione delle banche e di tutti gli istituti di credito, l’annullamento del debito pubblico verso di esse e la rottura con i vincoli del Fiscal Compact; il pieno accesso al permesso di soggiorno per i migranti, la rottura del ricatto permesso lavoro per un sistema di accoglienza fondato sui pieni diritti sociali, economici e civili e l'apertura di canali umanitari; l'opposizione alle guerre imperialiste; l'esproprio senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori delle aziende controllate dai grandi capitali multinazionali e dalla borghesia nazionale.

Una lista internazionalista, che assuma l'interesse generale del movimento operaio internazionale, fuori e contro ogni forma di sovranismo; che si batta per i diritti di autodeterminazione di ogni nazionalità oppressa; che ponga la prospettiva dell'unificazione dell'Europa in una federazione di stati socialisti.
Attorno a questi assi generali - classisti, comunisti, internazionalisti - produrremo a breve un testo programmatico compiuto.

Quello che appare evidente di fronte allo scenario della divisione, manovre e confusione a sinistra è che la nostra si configurerà come l’unica lista basata su un reale programma anticapitalista e rivoluzionario, in contrapposizione a programmi riformisti di destra e di sinistra, al massimo antiliberisti, mai anticapitalisti, presentati per di più da quelle forze di sinistra che in passato hanno collaborato con i governi di centrosinistra.

Dall’inizio della crisi abbiamo visto una serie di governi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) responsabili delle peggiori politiche di massacro sociale di questi decenni, a cui hanno collaborato tanto la destra quanto il centrosinistra, comprese quelle forze che dopo aver rotto all’ultimo minuto vogliono presentarsi come la sinistra in questo paese. Il tutto con la colpevole complicità delle burocrazie sindacali.
È necessario affermare il punto di vista di classe anche contro la demagogia agitata dal Movimento 5 Stelle che oggi mostra sempre più chiaramente il suo volto liberista e anti-immigrati, strutturalmente ostile a riconoscere le istanze della classe lavoratrice e degli sfruttati in generale.

Anche per questo riteniamo assolutamente necessario che ci sia, anche sul terreno elettorale, la voce di quelle organizzazioni politiche che, uniche, non hanno mai tradito gli sfruttati e gli oppressi, i loro bisogni, le loro prospettive di reale liberazione.
Per questo noi invitiamo tutti i e le militanti e attivisti realmente di sinistra ad unirsi a noi in questa iniziativa.
Come invitiamo tutti e tutte gli e le sfruttati ed oppressi ad appoggiarci col loro voto così come nelle lotte.
Partito Comunista dei Lavoratori - Sinistra Classe Rivoluzione

Lettera aperta alla Lista Popolare (Je so' pazzo)

Per una sinistra rivoluzionaria

Care compagne e cari compagni,

non mettiamo certo in discussione la volontà di tanti di voi di lottare per un'alternativa di società. Una volontà che ci vede impegnati, non a caso, in molte lotte comuni.
Semplicemente, non crediamo che questa volontà possa trovare espressione nella “Lista Popolare” che è stata preannunciata, nelle basi politiche su cui viene fondata, nei partiti che ad essa partecipano.


RIFORMA SOCIALE O RIVOLUZIONE? 

Il capitalismo è un sistema fallito. Non basta contrapporsi alle “politiche liberiste”, occorre battersi per il rovesciamento del capitalismo. Si dirà che non si può partire da un programma rivoluzionario ma da rivendicazioni concrete. Vero. Ma non esiste oggi una sola rivendicazione concreta che non confligga col capitale e non reclami il suo rovesciamento.
Non puoi batterti per la ripartizione del lavoro - con una riduzione generale dell'orario a parità di paga - senza mettere in discussione un sistema capitalista che ovunque aumenta orari e sfruttamento.
Non puoi difendere i posti di lavoro sotto attacco dei capitalisti senza rivendicare la nazionalizzazione delle aziende che licenziano.
Non puoi batterti per un sistema pensionistico a ripartizione, per la restituzione del maltolto in sanità e istruzione, per un salario dignitoso ai disoccupati, senza abolire il gigantesco debito pubblico verso le banche.
Non puoi realizzare una autentica patrimoniale sulle grandi ricchezze finanziarie e immobiliari senza nazionalizzare le banche, tempio della grande evasione di patrimoni e profitti...

Chi dice il contrario rinuncia alle rivendicazioni “concrete”, o a una lotta seria per realizzarle. Oppure si candida a realizzare un programma... esattamente opposto in cambio di poltrone. Cosa sta facendo da due anni il governo Tsipras, applaudito da tutte le sinistre riformiste di casa nostra e non solo? Anche Tsipras sventolava un programma di rivendicazioni “concrete” (il programma di Salonicco). Ma poi ha realizzato il programma della troika. In Italia Rifondazione Comunista ha presentato ad ogni elezione un programma di “rivendicazioni concrete” (i famosi programmi dei primi 100 giorni). Ma in due governi Prodi di centrosinistra, per la durata complessiva di cinque anni (1996-98 e 2006-2008) ha votato pacchetto Treu, privatizzazioni, tagli sociali, missioni di guerra, e per finire una enorme detassazione dei profitti di banche e imprese (Ires dal 34% al 27,5%). Paolo Ferrero era ministro, e Maurizio Acerbo un parlamentare che lo sosteneva.

Sono incidenti di percorso? No. Sono l'esito obbligato di una sinistra riformista che non ha altro orizzonte che il governo del capitalismo. Ogni volta, a parole, per riformarlo. Ogni volta inchinandosi alle sue controriforme. È accaduto a tutte le latitudini: col Partito Comunista Sudafricano, col Partito Comunista Cileno, col Partito Comunista Portoghese, tutti a suo tempo “oppositori”, tutti finiti nei governi del capitale o a loro sostegno.

È la riprova che solo la lotta per per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può dare prospettiva alle lotte degli sfruttati. Perché solo un governo che rompa col capitalismo può realizzare misure sociali di svolta. E oltretutto solo una lotta radicale, unitaria, di massa, può metter paura ai padroni e costringerli a fare concessioni. La lotta per la rivoluzione sociale è l'unica che può strappare riforme, tanto più in tempi di crisi. L'alternativa è la continuità della miseria, sotto l'ombra di belle frasi.


CLASSE OPERAIA O CIVISMO PROGRESSISTA? 

La rivoluzione anticapitalista interessa tutte le domande di cambiamento (sociali, democratiche, ambientali, di genere...). Ma richiama la centralità della classe operaia, nel suo conflitto col capitale.

Questo riferimento è stato da tempo rimosso. Le stesse sinistre riformiste che hanno ciclicamente tradito i lavoratori, li hanno rimpiazzati coi “cittadini” progressisti. Le alleanze con Ingroia e Di Pietro, la subordinazione a Barbara Spinelli, la cultura civica del Brancaccio avevano e hanno questo retroterra, a esclusivo beneficio del populismo reazionario a 5 Stelle. Lo stesso appoggio a De Magistris che si atteggia a capo del popolo ma privatizza le municipalizzate, ne è il riflesso. Una lista che rivendica “il potere del popolo” non ripropone forse, in forme più radicali, il medesimo equivoco?

Anche la Costituzione del 1948 rivendica la «sovranità del popolo». Eppure qualunque sfruttato sperimenta ogni giorno che il vero sovrano è il capitale. “Noi però chiediamo che la Costituzione venga applicata!” si obietta. Bene. Ma come puoi applicare le solenni promesse sul “diritto al lavoro”, “alla salute”, “alla casa”, senza rompere con quel diritto di proprietà che la stessa Costituzione (borghese) tutela? O qualcuno pensa davvero che quei diritti di carta possano diventare reali senza espropriare i capitalisti e i banchieri?

Solo rovesciando la dittatura capitalista, solo realizzando il potere dei lavoratori, fondato su loro forme di autorganizzazione democratica e di massa, è possibile garantire i diritti reali alla maggioranza della società. Non c'è potere del popolo senza potere operaio. È la verità sancita un secolo fa dalla Rivoluzione d'ottobre.

Costruire in ogni lotta la coscienza di questa verità non dovrebbe essere il compito elementare di un'avanguardia?


INTERNAZIONALISMO O SOVRANISMO? 


Una prospettiva di classe anticapitalista o è internazionalista o non è.

I proletari non hanno patria. Questa verità elementare è stata cancellata e capovolta da tutte le sinistre riformiste. O in nome delle illusioni sulla Unione Europea del capitale da “riformare”. O in nome della “sovranità nazionale”. Come quando un anno fa Eurostop e PCI - oggi compartecipi della Lista Popolare - andarono a protestare davanti all'Ambasciata tedesca rivendicando la sovranità dell'Italia (...imperialista). Nella lotta tra potenze grandi e piccole per la spartizione dei mercati, queste impostazioni subordinano i lavoratori alla “propria” borghesia contro i lavoratori di altri paesi, allargando la breccia dei populismi reazionari e xenofobi tra gli sfruttati.

È necessario fare l'opposto. Unire la classe che il capitale vuole dividere. Battersi per unificare l'Europa su basi socialiste. Difendere il diritto di autodeterminazione di ogni nazione oppressa (catalani, baschi, irlandesi...). Saldare in un unico fronte le lotte degli sfruttati di ogni paese, al di là di ogni frontiera nazionale.


PER UNA LISTA CLASSISTA, RIVOLUZIONARIA, INTERNAZIONALISTA 
Vogliamo che questo programma e questa politica - classista, rivoluzionaria, internazionalista - sia presente, con la sua autonoma riconoscibilità, alle prossime elezioni politiche, nell'interesse dei lavoratori e di tutti gli oppressi. Il Partito Comunista dei Lavoratori e Sinistra Classe Rivoluzione garantiranno, insieme, questa presenza, e si appellano a tutta l'avanguardia. Per una sinistra che rompa col capitale. Per una sinistra rivoluzionaria.
Partito Comunista dei Lavoratori

6/12/2017- ore 18: PRESENTAZIONE DEL LIBRO CENTO ANNI


 (http://www.redstarpress.it/index.php/catalogo/product/view/2/63) Interrogando i cento anni che separano l’oggi dai fatti del 1917, Marco Ferrando indaga il cammino e l’evoluzione della lotta di classe, riflettendo sulle sue conquiste come sulle sue sconfitte all’interno di un libro unico nel suo genere: una storia sociale e politica completamente dedicata al movimento dei lavoratori di tutto il mondo che, malgrado il trascorrere del tempo, continua a non avere nulla da perdere. A parte, s’intende, le proprie catene (in collaborazione con il Partito Comunista dei Lavoratori).

MERCOLEDI’ 6 DICEMBRE - ORE 18

SALA CONS.PORTO – VIA DELLO SCALO, 21

Saranno presenti l’autore

Marco Ferrando – portavoce nazionale PCL


Massimo Betti – esecutivo nazionale SGB

Lottiamo contro la violenza sulle donne, contro il capitalismo e il patriarcato!

Testo del volantino distribuito in occasione della mobilitazione del 25 novembre contro la violenza sulle donne

La vita delle donne è fatta spesso di violenza quotidiana: dalle pressioni psicologiche all’interno della famiglia e della società a violenze fisiche gravissime come lo stupro e il femminicidio. Il clima sociale, la concezione dei rapporti interpersonali, il sostrato ideologico e la struttura stessa della società compongono il quadro in cui maturano le condizioni per questi atti.
 
In una società dove è normale sfruttare, è ovvio imporre alla vita altrui i ritmi che richiede il capitalismo, dove tutto deve “rendere”. Dove tutto frutta a pochi un profitto sempre più alto.
 
Tutti i giorni nei luoghi di lavoro lo vediamo con costanza: i nostri salari sono complessivamente inferiori a quelli degli uomini che svolgono le stesse mansioni, i padroni, piccoli o grandi che siano e altrettanto i dirigenti, si sentono liberi di poter commentare volgarmente il nostro modo di vestire, di parlare e di vivere, spesso siamo soggette a molestie e aggressioni sessuali che violenze, il cui scopo è umiliarci, tenerci a bada, reprimerci, annullarci.  La nostra oppressione è funzionale a questa realtà gerarchica, che si costruisce attorno alla proprietà.
 
L’oppressione non si limita a luoghi di lavoro: ogni giorno anche nei rapporti familiari ci può accadere di doverci destreggiare nel tentativo di dimostrare la validità di quanto diciamo e facciamo.  La concezione familista lega la nostra vita alla procreazione e alla vita di coppia; il silenzio ormai orrendo sul quotidiano doppio lavoro che svolgiamo per organizzare la vita delle nostre famiglie, nel mito della rinascita della paternità e della sussidiarietà, rende possibile renderci più "produttive".  Mentre si decretano tagli a tutti quei servizi e strumenti che lo stato dovrebbe garantire a chi si trova in situazioni di grande disagio (incluse disabilità o difficoltà psicologiche), tutti i governi di ogni colore mettono mano alla materia previdenziale, decretando che le donne possono essere pari agli uomini, solo quando si tratta di perdere diritti, come ad esempio l'aumento dell'età pensionabile a 67 anni per spremere lavoratori e lavoratrici fino all'ultima goccia, senza oltretutto tenere conto del peso del lavoro di cura che grava sulle nostre spalle, e senza che alcun organismo di pari opportunità vi contrapponga la dura realtà. La battaglia per i diritti delle donne diviene centrale per l'emancipazione di tutti.
 
L’oppressione riguarda tutte le donne, ma sono quelle delle classi sfruttate a pagarne più duramente il prezzo. Contro la retorica delle pari opportunità, del welfare aziendale, dei bonus familiari, non vi sono vie di fuga per le donne che non lavorano e quindi non possono permettersi di fare scelte di emancipazione dalle situazioni peggiori. Anche le lavoratrici devono affrontare tutte le difficoltà di questa realtà al giorno d’oggi: precariato, ricatti, molestie, per tenersi il posto di lavoro, nessuna garanzia per il futuro, povertà odierna.
 
Mentre noi lottiamo contro questa violenza quotidiana che può anche diventare efferata, tutto nella società in questa fase va contro la nostra emancipazione: sarà necessario essere presenti con costanza in tutte le istanze di lotta, proiettandole in una prospettiva anticapitalista, contro la violenza sessista, come contro quella razzista - contro i piani governativi e del padronato che tolgono il lavoro a tutti, e prima di tutto a noi - contro i ripetuti attacchi della Chiesa alla nostra autonomia.

Lottare contro la violenza sulle donne significa rivendicare:

- L’annullamento delle leggi di precarizzazione del lavoro, a cominciare dal Jobs Act, che ci espongono ai ricatti sociali e sessuali, dalla perdita del lavoro per la maternità, alle molestie sessuali: vogliamo il ripristino totale dell’art. 18 e la sua estensione a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, la ripartizione del lavoro esistente fra tutti e tutte con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga.

- Un salario garantito a chi è in cerca di occupazione, contro ogni forma di reddito di autodeterminazione o di cittadinanza, che slegato dalla condizione lavorativa non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori probabilità di rinchiudere le donne nell’ambiente domestico.

- La cancellazione delle controriforme sulle pensioni, che erodono i nostri tempi di vita, e il ritorno al sistema pensionistico retributivo.

- L’eliminazione dei tagli ai servizi sociali legati alla cura e della pratica della sussidiarietà privata, che aggravano sulle spalle delle donne i carichi del lavoro di cura. La prospettiva deve essere quella della socializzazione del lavoro di cura.

- L’eliminazione di tutte le leggi securitarie che legittimano la violazione dei diritti delle donne migranti e di fatto le pratiche di violenza diffusa nei loro confronti.

- La ricostituzione dei consultori pubblici per le donne, gestiti dalle utenti e dalle tecniche, per un controllo delle decisioni sul nostro corpo nelle nostre mani: vogliamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza e il libero e gratuito accesso all’interruzione di gravidanza e alla contraccezione.

- Vivere libere dall’oscurantismo religioso, liberate cioè dai privilegi e dal potere reazionario della Chiesa cattolica e della CEI: aboliamo il Concordato! Basta 8x1000! Basta insegnamento religioso nella scuola pubblica! 


Se vogliamo che qualcosa cambi, tutto deve cambiare. Non sarà sufficiente lottare per cambiare la “natura” degli uomini: è questa società di sfruttamento e diseguaglianza che non ci vedrà mai libere.
Il patriarcato e il capitalismo, fondati sulla nostra oppressione, possono essere rovesciati solo congiuntamente, dalla rivoluzione.

Solo con il rovesciamento della società divisa in classi e l’abbattimento del patriarcato, solo in una società socialista può esserci una vera liberazione delle donne e di tutte le minoranze oppresse.

Antipatriarcali, anticlericali, anticapitaliste!
Partito Comunista dei Lavoratori

Continuare la mobilitazione per ottenere la libertà di Fabio!

Il compagno Fabio Vettorel è ancora in carcere, in fermo preventivo, dal 7 luglio 2017. Senza veri capi di accusa, senza nulla di concreto in mano, solo per il fatto di esser stato lì ad Amburgo a manifestare contro i diretti esecutori delle politiche lacrime e sangue che rispondono agli interessi delle classi padronali, che attanagliano le masse popolari d’Italia, d’Europa e del mondo intero. Il caso di Fabio, così platealmente ingiusto, ormai è diventato qualcosa di imbarazzante pure per i settori liberali della borghesia. Ma è proprio questa la giustizia e la democrazia dei poteri forti, degli stati "democratici", dei padroni. II caso è arrivato nelle pagine dei principali quotidiani nazionali ed internazionali, oltre che nelle televisioni.

Come Partito Comunista dei Lavoratori abbiamo sin dal primo giorno solidarizzato con Fabio e con gli altri attivisti arrestati, chiedendone l'immediato rilascio senza alcuna pena da scontare e senza nessun capo d’imputazione accollato. Noi prendiamo le difese di qualsiasi compagno e attivista che si trovi sotto i colpi della repressione dello Stato, sia italiano che germanico o altro. Perché per noi è una questione di classe, e di lotta di classe. Con le nostre forze abbiamo partecipato a tutti i presidi in difesa di questi compagni, abbiamo lanciato dalle pagine del nostro sito comunicati e appelli per smascherare l’azione del governo. Non ci fermiamo.

Saremo presenti al presidio di venerdì 24 novembre in piazza Duomo a Belluno, pur non condividendo l'appello firmato da molti - dal PRC al PD, dall'ANPI al M5S - (ma non da noi) perché legittimante questa architettura giuridica di classe e questo stato "democratico", e raccoglie figure politiche reazionarie, antipopolari e antioperaie, come il M5S e il PD con i quali non può esser fatto nessun fronte.
Al contempo rilanciamo quindi con urgenza a tutta la sinistra politica, sindacale, sociale e di movimento la necessità di una grande e forte azione congiunta contro le politiche di repressione del Governo (politiche di Minniti), e denunciando la sua immobilità nel caso Vettorel. In questo senso crediamo di essere fedeli anche al messaggio e allo spirito trasmessi da Fabio dal carcere, uno spirito combattivo, anticapitalista e di grande coraggio.
Saremmo presenti anche al corteo di sabato 2 dicembre a Feltre, lanciato dal Postaz. Sempre per chiedere la libertà di Fabio, senza pene.

Fuori i compagni dalle galere!

«Probabilmente lor signori pensano che la repressione fermerà la nostra sete di libertà. La nostra volontà di costruire un mondo migliore. Ebbene, essi si illudono.» (Fabio Vettorel, dal carcere)
Partito Comunista dei Lavoratori

Né la pioggia né le cariche…


13 Novembre 2017
Oggi i lavoratori ex Ferrari e i lavoratori LB hanno iniziato il proprio presidio di protesta alle 5.00 del mattino davanti alla Marcegaglia di Ravenna, tra raffiche di vento e pioggia incessante. I lavoratori ex Ferrari stanno ancora attendendo l’impiego promesso in sede di accordo il 31 agosto e stanno assistendo con rabbia alla loro sostituzione con altri operai. I 15 rimasti si trovano nella paradossale situazione di essere licenziati non perché il lavoro non ci sia, ma per pura volontà politica. Per rappresaglia e per punizione. E nella completa indifferenza delle istituzioni del territorio, guidate da quegli stessi partiti che hanno varato le più nefaste riforme antioperaie e filopadronali. Sulla loro pelle e su quella delle loro famiglie si consuma un brutale atto di crudeltà padronale: il loro reintegro servirebbe da esempio agli altri lavoratori, starebbe a significare che con la lotta e la solidarietà operaia si ottengono dei risultati. E questo, chiaramente, per il padronato è inammissibile.

Eppure, nonostante tutto, la lotta si è estesa, e la solidarietà tra i lavoratori continua: gli appartenenti alla cooperativa LB hanno avuto la forza di denunciare tramite il loro sindacato SGB la situazione terribile che stanno vivendo, fatta di pasti consumati a terra, cambio dei vestiti nei piazzali, mancata garanzia del diritto ai permessi e alle ferie, nemmeno per le cure mediche.

Davanti all’indisponibilità al dialogo delle aziende coinvolte, in primis Marcegaglia, i lavoratori non hanno potuto far altro che tentare un blocco merci respinto dalla celere in assetto antisommossa. Questa è la ricetta del padronato quando si chiedono salario e diritti. Questa è la reazione quando si chiede il rispetto dei patti e persino delle più basilari condizioni di sicurezza, salute e lavoro.

Noi del Partito Comunista dei Lavoratori, con le sezioni Romagna e Bologna, siamo accanto ai lavoratori ex Ferrari ed LB-Coop in ogni iniziativa di lotta presente e futura.
È fondamentale unire le rivendicazioni e le vertenze dei lavoratori dello stesso stabilimento, a prescindere dalle diverse condizioni a cui operano, e unire ogni vertenza a una rete di vertenze territoriali: è necessario che i lavoratori prendano coscienza che uniti sono più forti, che non esistono lavoratori intoccabili, che l’attacco senza precedenti ai loro diritti toccherà tutti prima o poi.

A questi attacchi crescenti, ingiustificati se non per la sete di profitto dei padroni, si può solo rispondere con la lotta.
Partito Comunista dei Lavoratori - sezione Romagna
http://www.resistere.net/

Soldi ai capitalisti, pagati dai lavoratori


Respingiamo la Legge di stabilità! Occorre un vero sciopero generale!


13 Novembre 2017
Testo del volantino nazionale a cura del Partito Comunista dei Lavoratori
La “nuova” legge di stabilità varata dal governo Gentiloni-Renzi conferma la linea di anni e decenni: regali fiscali ai padroni pagati dai lavoratori.

Un governo che ha già stanziato 20 miliardi a favore delle banche destina altri miliardi a favore dei capitalisti sotto forma di decontribuzioni, superammortamenti, iperammortamenti...
“Sono incentivi ad assunzioni e investimenti”, dichiarano. Falso. I fatti dimostrano che la pioggia di miliardi già regalati ai padroni col Jobs Act non ha moltiplicato i posti di lavoro, ma il precariato e la ricattabilità dei nuovi assunti. L'unico risultato delle regalie ai capitalisti è stato il gonfiamento dei loro profitti. La nuova finanziaria Gentiloni prevede non a caso che dal 2019 scatti una imposta sul reddito d'impresa, calcolata separatamente, equiparata all'IRES (24%) e dunque ulteriormente ribassata. Nuovi miliardi ai padroni. Mentre ogni anno si continua a pagare 70 miliardi di soli interessi sul debito pubblico alle banche rapinatrici che lo comprano.

Chi paga il conto di tutto questo bengodi? I lavoratori, i precari, i disoccupati. Innanzitutto con l'aumento progressivo e scandaloso dell'età pensionabile. Poi con la polverizzazione dei contratti dei lavoratori pubblici. Poi col taglio dei trasferimenti pubblici ai comuni. Poi col definanziamento progressivo della sanità pubblica, che vede calare di un miliardo l'anno il fondo sanitario nazionale rispetto al suo fabbisogno, mentre undici milioni di persone non sono più in grado di curarsi. Per di più i capitalisti fanno del taglio al welfare pubblico un'ulteriore occasione di lucro grazie al business del nuovo “welfare aziendale”: meno salario in busta paga, meno tasse. Una partita di giro senza fine in cui vince solo il profitto a spese del lavoro.

Perché accade tutto questo? “Perché i lavoratori sono deboli”, dice l'opinione borghese progressista. Falso. I lavoratori salariati in Italia sono 17 milioni. Questa sarebbe “debolezza”? La verità è che la forza enorme di 17 milioni di proletari viene congelata, frammentata, dispersa da una burocrazia sindacale che non fa nulla, e che spesso negozia coi loro padroni il peggioramento della condizione dei lavoratori, moltiplicando di fatto rassegnazione e sfiducia, terreno di pascolo ideale per le campagne xenofobe di Lega e M5S, leva ulteriore di divisione tra gli sfruttati.

Questo scandalo deve finire. È necessario unire i lavoratori del settore pubblico e privato in un vero sciopero generale che getti sul piatto della bilancia la forza del lavoro. A partire dall'obiettivo unificante della cancellazione della legge Fornero, dell'abbassamento dell'età pensionabile, della riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di paga. Il lavoro che c'è sia ripartito tra tutti in modo che nessuno sia privato del lavoro. Si esproprino le aziende che licenziano, ponendole sotto il controllo dei lavoratori. Si definisca un grande piano di nuovo lavoro, a partire dal riassetto del territorio, finanziandolo con l'abolizione del debito pubblico verso le banche e la nazionalizzazione delle banche. Paghi chi non ha mai pagato!

Il tempo della ritirata deve finire. Solo una lotta radicale e di massa può strappare risultati e aprire la via di un'alternativa politica vera. Quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro forza e la loro organizzazione. Un governo che liberi la società dalla prigione del capitalismo, un sistema sociale fallito.
Partito Comunista dei Lavoratori

Al popolo del Brancaccio


La lettera che avremmo distribuito all'assemblea del Brancaccio del 18 novembre

13 Novembre 2017





Care compagne e cari compagni,

la crisi del progetto del Brancaccio non è uno spiacevole incidente diplomatico. È l'epilogo annunciato dell'equivoco politico su cui si basava. La pretesa di costruire «una sinistra che non c'é», ma senza rompere con quella che c'è. La pretesa di una radicale discontinuità di metodi e programmi, ma “nel rispetto della Costituzione” e della proprietà. La pretesa di una svolta sociale, ma senza riferimento di classe e senza rottura con il capitale. Dentro la cornice di questo equivoco tutti i gruppi dirigenti della sinistra riformista hanno svolto la propria parte in commedia. Bersani e D'Alema hanno usato il Brancaccio come canale di ricomposizione con Sinistra Italiana. Sinistra Italiana l'ha usato come strumento di pressione anti-Pisapia per stringere l'accordo con Bersani e D'Alema. Maurizio Acerbo l'ha usato come strumento di pressione su Sinistra Italiana, rimuovendo la pregiudiziale anti D'Alema (vedi Sicilia), ma chiedendo adeguate “garanzie”. Montanari e Falcone hanno fatto i vigili del traffico, finendo travolti.

Ma ora la realtà ha strappato il sipario della finzione scenica. Bersani, D'Alema, Fratoianni e Civati (con la iniziale copertura di Montanari e Falcone) propongono al popolo del Brancaccio di accettare il pacchetto completo di un accordo annunciato, attorno alla figura civica di Piero Grasso: dentro la prospettiva di un “nuovo” centrosinistra liberato da Renzi, e con l'esplicita disponibilità di Massimo D'Alema a sostenere un eventuale “governo del Presidente”. È esattamente la prospettiva contro cui tanta parte del popolo del Brancaccio si era giustamente mobilitato.
Su un altro versante, Maurizio Acerbo e il gruppo dirigente del PRC rivendicano di aver rimosso la preclusione verso Bersani e D'Alema, ma rifiutano il fatto compiuto, lamentano un mancato coinvolgimento, chiedono «coerenza» con l'appello originario del Brancaccio. Così facendo non fanno che riproporre l'equivoco di fondo del civismo progressista su cui si fondava quell'appello. Senza un bilancio dell'esperienza di Rifondazione (vedi Ingroia e Rivoluzione Civile), senza un progetto alternativo classista. E per di più continuando ad appellarsi all'”esempio” di Tsipras e Melenchon: una somma confusa di riformismo europeista e sovranista, unita dal richiamo sacrale alla Costituzione borghese pattuita nel 1948 tra De Gasperi e Togliatti. Sarebbe questa l'alternativa proposta da una lista eventuale tra PRC ed Eurostop?


LA VERITÀ VA DETTA TUTTA 

Occorre fare un bilancio vero, e definire un'alternativa reale: dalla parte dei lavoratori e contro il capitalismo, senza reticenze e ambiguità.

È vero: D'Alema e Bersani hanno gestito politiche liberiste e reazionarie, sino a votare in anni recenti la legge Fornero e persino il Jobs Act. La stessa idea di una lista unitaria della sinistra col personale politico che l'ha distrutta (per servire il grande capitale) doveva essere respinta in radice, non sostenuta o avallata (da tutti).
Ma la verità va detta per intero. Perché una verità incompleta diventa una oggettiva falsità.

La verità è che le politiche liberiste e reazionarie varate dai governi di centrosinistra non le hanno votate e gestite i soli D'Alema e Bersani. Le hanno votate e gestite anche i gruppi dirigenti della sinistra cosiddetta radicale. Il famigerato Pacchetto Treu, con l'introduzione del lavoro interinale, fu varato dal primo governo Prodi (1996/98), col sostegno di Bertinotti, Ferrero, Vendola, Rizzo. Così come il record delle privatizzazioni in Europa e i CPT per gli immigrati. La più grande detassazione dei profitti di banche e imprese degli ultimi decenni (riduzione dell'IRES dal 34 al 27,5%) fu realizzata nel 2007 dal secondo governo Prodi, in cui sedeva da ministro Paolo Ferrero. Così per l'aumento delle spese militari e il finanziamento delle missioni di guerra.

I due governi Prodi (1996/98 e 2006/2008), con queste politiche, hanno occupato complessivamente cinque anni di governo negli ultimi venti anni, la durata di una legislatura. Dobbiamo cancellarli da un bilancio politico, come non fossero esistiti? Non si dica (per chi lo dice) che sono stati “errori”. Sono stati crimini sociali e politici. Se dobbiamo rompere con chi ha contribuito a distruggere la credibilità della sinistra, questo criterio non dovrebbe forse valere per tutti?


PASSATO E FUTURO 
Si dirà che tutto questo riguarda il passato e che ora dobbiamo guardare al futuro. Ma è falso. Il bilancio del passato riguarda proprio il futuro. Senza un bilancio del passato ci si condanna infatti a riviverlo.

L'appello originario del Brancaccio rivendica una lunga serie di obiettivi sociali e democratici (difesa del lavoro, progressività fiscale, protezione dei migranti, rifiuto della guerra...). Tutti nobili intenti. Ma questi intenti non figuravano forse regolarmente in tutti i programmi di tutte le sinistre (Rifondazione, SEL, Tsipras, Lula...) spesso oltretutto in termini più radicali? Perché allora si sono realizzate, una volta al governo, politiche opposte?

La verità è che accettare il sistema capitalista e ambire a governarlo significa gestire la sua miseria, al di là di ogni promessa. Lo spazio riformistico fu possibile nel dopoguerra quando c'era il boom ed esisteva l'URSS. Dopo la restaurazione del capitalismo in Russia (per mano della burocrazia stalinista) e l'irrompere della grande crisi, il capitalismo si riprende ovunque quanto era stato costretto a concedere. Dentro l'euro e fuori dall'euro, e con i governi di ogni colore. Cosa dimostra oggi l'esperienza di Syriza in Grecia, se non questo? Si promettevano riforme sociali, si è realizzata la continuità della troika. Non diversamente va in Portogallo dove Partito Comunista e Bloco De Esquerda votano una finanziaria che taglia del 30% gli investimenti pubblici. La realtà è che i gruppi dirigenti della sinistra non hanno altro orizzonte che il governo “progressista” del capitalismo, nonostante e contro l'esperienza della storia. Per questo condannano il proprio popolo a passare di sconfitta in sconfitta, ogni volta nel nome del “nuovo” e sempre ripetendo il “vecchio”.


PER UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA.
PER UNA SINISTRA DI CLASSE E RIVOLUZIONARIA 


La “sinistra che non c'è ancora” può essere solo una sinistra rivoluzionaria.
Non una generica sinistra “civica” di cittadini progressisti. Né una sinistra che metta insieme sovranismi nazionalisti e costituzioni borghesi. Ma una sinistra di classe, schierata sempre e dovunque dalla parte dei lavoratori, impegnata nella unificazione delle loro lotte e resistenze sociali, a partire dalle rivendicazioni più semplici; ma soprattutto impegnata a ricondurre ogni lotta di opposizione e di resistenza all'unica prospettiva di alternativa vera: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro organizzazione e la loro forza, che rompa col capitalismo e riorganizzi da cima a fondo la società.

Nessuno dei nobili intenti di miglioramento sociale, democratico, ambientale, elencati dal Brancaccio o da Acerbo può essere realizzato nel rispetto del capitalismo. La riduzione dell'orario di lavoro a 30 ore a parità di paga può essere perseguita solo rompendo frontalmente con un padronato che allunga ovunque orari e sfruttamento. La lotta all'evasione fiscale è inseparabile dalla lotta per la nazionalizzazione delle banche (vero tempio della grande evasione), senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori. L'investimento massiccio in risanamento ambientale e servizi non è possibile senza l'abolizione del debito pubblico verso le banche e le compagnie di assicurazione, che oggi intascano 80 miliardi l'anno di soli interessi.

Si invoca l'applicazione della Costituzione. Ma la realizzazione degli enunciati progressivi della Costituzione è inseparabile dalla rottura con quel sistema capitalista che questa costituzione (borghese) protegge. È forse possibile realizzare “il diritto al lavoro, alla casa, alla salute, alla dignità sociale” - come recita l'articolo 3 - continuando a rispettare la proprietà privata delle grandi industrie e delle banche, di quella casta dorata del capitale finanziario che concentra nelle proprie mani tutto il potere reale?

Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, imposto da una rivoluzione sociale, può realizzare misure di svolta e consentire una democrazia vera.

Certo, la coscienza dei lavoratori e degli sfruttati è lontana dal comprendere questa verità e prospettiva. Tanto più dopo essere stata demoralizzata e confusa dai gruppi dirigenti fallimentari della sinistra. Ma questa è una ragione in più per lavorare controcorrente nel ricostruire la coscienza di classe e anticapitalista che manca, organizzando innanzitutto attorno a questa prospettiva i settori più avanzati della classe lavoratrice.

Questa è la prospettiva per cui in ogni caso si batte il Partito Comunista dei Lavoratori. Una prospettiva che vogliamo sia presente e riconoscibile, nelle forme possibili, alla prossime elezioni politiche.
Partito Comunista dei Lavoratori

È uscito il nuovo numero di Unità di Classe



In questo numero:

11 Novembre 2017
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Editoriale - Marco Ferrando

Giù le mani dalla Catalogna!

Il bonapartismo di guerra, il governo Negrin nella Spagna del '37 - Vincenzo Cimmino

Speciale Ottobre

La rivoluzione bolscevica per le rivoluzioni di oggi - Michele Terra

La premesse della rivoluzione ed il partito bolscevico - Natale Azzaretto

La rivoluzione d'Ottobre e le donne - Chiara Mazzanti

Illuminazioni alla fermata dell'autobus - Cristiano Armati

Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale - V. I. Lenin

La rivoluzione contro il capitale - Antonio Gramsci

Spazio letterario

Il vento fischia ancora, prefazione a Cento Anni (M. Ferrando) - a cura di Michele Terra

I quattro anni che cambiarono il mondo (Virgilia Pili)

Mare nero (Alessio Lega). Musica e parole per rivoluzionari
Partito Comunista dei Lavoratori

Il groviglio politico italiano

Il risultato delle elezioni regionali siciliane è di per sé inequivocabile. La coalizione di centrodestra conquista la maggioranza relativa, il M5S manca il successo atteso ma registra un consolidamento, la coalizione tra PD e Alfano conosce una pesante sconfitta annunciata, il blocco MDP-SI-PRC supera la soglia di sbarramento ma non raggiunge le percentuali sperate.

Al di là delle specificità regionali, questo risultato d'insieme assume una valenza politica nazionale.

Il renzismo ha totalmente fallito, e da tempo, i due obiettivi strategici su cui puntava: lo sfondamento nel blocco sociale di centrodestra grazie all'attacco frontale al lavoro (Jobs Act), e l'incursione nell'elettorato grillino grazie alle pose concorrenziali populiste (critica di Bankitalia, critica della UE, promesse a futura memoria su tasse e pensioni...). Questo fallimento non si traduce nell'immediata caduta della segreteria Renzi, perché il segretario dispone di una maggioranza autosufficiente nella Direzione Nazionale del PD, e perché la nuova legge elettorale approvata gli mette in mano il pieno controllo sulle prossime liste elettorali del partito. Ma certo la crisi del renzismo consuma in Sicilia un nuovo capitolo del proprio romanzo, con effetti sull'insieme del quadro politico. Per la prima volta si delinea la possibilità di una competizione diretta tra centrodestra e M5S per il primato nazionale, che releghi il PD in terza posizione.

Gli stati maggiori del PD, in apprensione per il proprio futuro, premono su Renzi perché lavori a ricomporre una coalizione competitiva per le prossime elezioni politiche. Renzi stesso per rimanere in sella mima la disponibilità all'apertura. Ma apertura in quale direzione? Sulla sua destra, il partito di Alfano è letteralmente esploso dopo il mancato ingresso nel parlamento siciliano, e in ogni caso il suo apporto elettorale sarebbe insignificante se non negativo. Sulla sua sinistra, Pisapia è evaporato nel nulla (...da cui in realtà non si era mai scostato), mentre MDP, che già registra gli effetti di una scissione tardiva e disastrosamente gestita, non sembra disponibile al suicidio definitivo facendo blocco con Renzi nel momento della sua disfatta: prima di una ricomposizione (annunciata) col PD vuole vedere il cadavere del suo segretario. In questo quadro tutto sembra precipitare verso la disfatta definitiva del renzismo.

Ma a favore di quale prospettiva? M5S e centrodestra giocano alla contrapposizione diretta l'uno contro l'altro per beneficiare di un bipolarismo simulato, e accrescere le difficoltà del PD. Il M5S gioca a presentarsi come l'unica vera alternativa a Berlusconi, puntando a capitalizzare una quota crescente di elettorato PD nel nome del voto utile contro la rimonta della destra. Berlusconi all'opposto gioca a presentarsi come l'unico vero argine al populismo del M5S nel nome della governabilità contro l'”avventura”, con la significativa benedizione di Angela Merkel e del PPE. Entrambi usano la contrapposizione bipolare come leva di polarizzazione elettorale e di possibile sfondamento.

Ma un conto è la simulazione, un conto la realtà. L'assetto politico generale resta ancora al momento tripolare, e dentro l'assetto tripolare né il M5S né il centrodestra sembrano in grado di conquistare la maggioranza dei seggi nel prossimo Parlamento. Un simile sbocco richiederebbe infatti, con la nuova legge elettorale, la conquista del 45% dei voti sul livello proporzionale, e parallelamente del 70% dei voti al livello maggioritario dei collegi (calcoli di D'Alimonte). Una combinazione difficilmente raggiungibile, proibitiva per il PD, improbabile per centrodestra e M5S. Anche nel caso di un ipotetico crollo del PD nei collegi tradizionali di centro Italia (per l'effetto di una presenza concorrenziale a sinistra), la contesa tra centrodestra e M5S tenderebbe infatti a sancire un relativo equilibrio, non uno sfondamento unilaterale.

Resta l'ipotesi di scuola di un governo PD-Forza Italia per lo scenario post-voto. È un'ipotesi sicuramente contemplata dagli stati maggiori dei due partiti, e dal commentario di retroscena del giornalismo borghese. Ma presenta due problemi rilevanti.
Il primo è numerico. Nessuna proiezione dei sondaggi attuali indica una possibile maggioranza parlamentare PD-Forza Italia nelle due Camere. La crisi del PD, e l'accresciuta forza contrattuale della Lega nella spartizione con FI dei collegi del Nord, rende oggi ancor più difficile un simile esito.
Il secondo problema è politico. Un governo PD-Forza Italia non solo implicherebbe lo sfascio delle rispettive coalizioni elettorali, ma innescherebbe una dinamica destabilizzante in entrambi i partiti e nel rapporto coi rispettivi elettorati. Sia nel PD, esposto più che mai alla crisi di rigetto del renzismo; sia in Forza Italia, dove buona parte degli eletti nei collegi del Nord dovrebbe rompere quel patto con la Lega che ha reso possibile la propria elezione.
A differenza che in Germania, dove un governo di unità nazionale tra CDU e SPD aveva spalle relativamente larghe, un governo PD-FI, se anche fosse numericamente possibile, sarebbe solo un ulteriore capitolo del processo di decomposizione degli equilibri borghesi.

È un caso che già si pensi all'eventuale ricorso a nuove elezioni nel caso di un prossimo parlamento ingovernabile?

La crisi italiana si avvita. I padroni non sono mai stati tanto forti nei luoghi di lavoro, ma faticano a tradurre questa forza in un equilibrio politico-istituzionale stabile, mentre debito pubblico e crisi bancaria misurano un nodo irrisolto, senza punti di paragone nei paesi imperialistici europei. L'Italia è e resta dunque un anello debole dell'unione capitalistica europea. Ma solo l'irruzione di un'azione di massa del movimento operaio sul terreno della lotta di classe può entrare nel varco di questa contraddizione e aprire una prospettiva politica nuova per gli sfruttati.
Partito Comunista dei Lavoratori

Unire la lotta dei lavoratori Ilva!

Il Partito Comunista dei Lavoratori sostiene pienamente la scelta dei lavoratori Ilva di occupare gli stabilimenti di Cornigliano a difesa dell'accordo di programma del 2005.

Come i fatti dimostrano, i nuovi acquirenti Arcelor Mittal e Marcegaglia non hanno alcuna intenzione di rispettare i precedenti accordi sindacali. E non si tratta solo dei lavoratori genovesi. L'intero negoziato nazionale si muove sul piano inclinato della manomissione dei diritti. Ai lavoratori di tutti gli stabilimenti Ilva si chiede non solo di scegliere tra il mantenimento dei livelli salariali e il taglio drastico dei posti di lavoro - un'alternativa già di per sé inaccettabile - ma di subire la riassunzione dei lavoratori rimasti con il cosiddetto contratto a tutele crescenti, cioè la licenziabilità senza giusta causa. Dopo aver recitato una finta intransigenza a fini d'immagine, Calenda e Gentiloni vogliono ora rassicurare la nuova proprietà sui vantaggi dell'affare. Per questo chiedono ai lavoratori di rientrare nei ranghi e subire in silenzio. “Altrimenti si mette a rischio il negoziato” dichiara il MISE, col pronto accodamento di FIM e UILM. Ma è proprio questo negoziato che è una partita a perdere per i lavoratori!

È necessario costruire una unità di lotta tra i lavoratori di tutti gli stabilimenti Ilva per bloccare ogni svendita dei diritti operai, e ogni tentativo di dividere i lavoratori di Genova dai lavoratori degli altri stabilimenti della fabbrica. L'esperienza dei fatti dimostra una volta di più che nell'attuale panorama della sovrapproduzione mondiale di acciaio non ci sono in circolazione possibili acquirenti generosi tra i capitalisti della siderurgia. Tutti i capitalisti del settore, quale che sia la loro nazionalità e provenienza, si contendono le fette di mercato abbattendo lavoro e diritti.

Solo una nazionalizzazione dell'Ilva e dell'intera siderurgia, senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori, può tutelare salario lavoro diritti salute. È l'ora di unire i lavoratori dell'Ilva attorno a questa rivendicazione di svolta. È ora di assumere la consapevolezza che il capitalismo sa offrire solo sacrifici e miseria agli operai. Solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro forza e sulla loro organizzazione, può realizzare una vera alternativa.
Partito Comunista dei Lavoratori

La capitolazione grottesca del nazionalismo borghese catalano

A tre soli giorni dalla dichiarazione formale di indipendenza della Repubblica di Catalogna, le forze nazionaliste borghesi hanno abbandonato in fretta e furia la propria creatura. Nessuna indicazione concreta sull'organizzazione della resistenza popolare alle misure di Madrid. Nessuna difesa fosse pure formale del governo della Generalitat. Nessuna prospettiva se non quella di partecipare alle elezioni convocate dalla monarchia spagnola contro la Repubblica catalana. Una resa grottesca. Perdipiù senza contropartite come mostra la continuità della stretta repressiva della magistratura spagnola contro la “sedizione” e i suoi “responsabili”.

Questa resa non è casuale. L'indipendentismo borghese ha avuto più paura della resistenza popolare contro Madrid che della repressione di Madrid contro l'indipendenza. I partiti borghesi indipendentisti sono stati strangolati dalle proprie illusioni, figlie della loro natura sociale. Prima del referendum del primo Ottobre avevano sperato nel negoziato con il governo spagnolo. Dopo il referendum avevano supplicato una mediazione europea. Una volta smentite ( inevitabilmente) tutte le loro aspettative, hanno sentito franare il terreno sotto i piedi, spaventati dal proprio coraggio. La fuga di 1800 imprese catalane ha trasformato il loro spavento in panico. Hanno cercato in extremis di concordare con Rajoy una sorta di salvacondotto che consentisse loro di salvare la faccia, ma invano. Alla fine, dopo infinite giravolte, hanno regalato alla base di massa del movimento indipendentista il feticcio di una dichiarazione di indipendenza in cui erano i primi a non credere, nel mentre già preparavano la propria fuga a Bruxelles. La fuga innanzitutto dalle proprie responsabilità.

I festeggiamenti di massa a sostegno dell'indipendenza sono rimasti dal mattino dopo senza guida e senza prospettiva, proprio nel momento del massimo dispiegamento dell'iniziativa politica di Rajoy. Una iniziativa intelligente. Rapida convocazione di nuove elezioni in Catalogna, costruzione di una contro mobilitazione unionista ( con tanto di gagliardetti franchisti), recupero del controllo diretto, morbidamente gestito, degli apparati statali catalani ( Mossos), volontà di evitare incidenti polizieschi che possano rianimare una massa indipendentista disorientata e stordita. L'obiettivo è l'annientamento dell'indipendenza e la ricostruzione del proprio dominio sulla Catalogna. Da consegnare alla futura memoria di baschi e galiziani, e al plauso dell'Unione Europea.

Le sinistre catalane e spagnole con ruoli diversi sono parte della deriva in atto: i vertici di Podemos e Izquierda Unida con il loro pronto rifiuto di riconoscere la Repubblica Catalana, e dunque la valenza democratica progressiva del movimento che l'ha sostenuta; la Cup catalana con le proprie illusioni sul “patto con Puidgemont” e il nazionalismo borghese, sino all'allineamento (probabile) alla partecipazione alle elezioni convocate da Rajoy. Su entrambi i lati il nazionalismo borghese non ha dovuto misurarsi con un progetto alternativo nel movimento independentista. Per questo ha potuto consumare un tradimento annunciato in modo relativamente indolore, a tutto vantaggio del governo reazionario di Madrid.

Vedremo se si produrranno nei prossimi giorni fatti nuovi. Ma la dinamica che oggi si sta dispiegando è la vittoria della reazione spagnola. E' la riprova, una volta di più, che le ragioni democratiche delle nazionalità oppresse non possono essere difese dal nazionalismo borghese. Ma solo dalla classe lavoratrice e da una direzione di classe alternativa.
Partito Comunista dei Lavoratori

Dalla parte dei lavoratori dell'Ilva

Occupazione, nazionalizzazione e sciopero generale!

Testo del volantino distribuito allo sciopero dei lavoratori ILVA.

Com'era prevedibile la vendita dell'Ilva al miglior offerente si traduce in un attacco pesante ai lavoratori: 6.000 operai in esubero. Questo è il conto presentato dal gruppo Arcelor Mittal, vincitore della gara d'acquisto. Gli stessi operai sfruttati per decenni e falcidiati dai tumori si vedono ora minacciati dalla privazione del lavoro. I licenziamenti come “risarcimento” delle morti. Se poi i sindacati vorranno ridurre gli “esuberi”, dovranno accettare l'abbattimento dei salari, ha aggiunto a mezza bocca la nuova proprietà. Non è tutto. I nuovi padroni offrono la miseria di appena 25 milioni per investire in “salute, sicurezza, ambiente” (un terzo di quanto ha offerto la cordata dei pescecani concorrenti di Acciaitalia) dopo aver già incassato come condizione preliminare d'acquisto l'esonero da ogni controversia legale in fatto di tutela ambientale. Mentre annunciano che la sola copertura dei parchi minerari (da cui si alzano le polveri che uccidono i lavoratori tarantini) richiederà ben cinque anni, contro i due previsti dal piano ambientale originario. Insomma: lavoro e salute sono incompatibili con il profitto.

Il principio di realtà è l'interesse del padrone. Le sue vittime se ne facciano una ragione. Peraltro non si tratta di un caso particolare. In tutto il mondo l'enorme sovrapproduzione siderurgica trascina un attacco frontale ai posti di lavoro, dentro una selvaggia concorrenza per la spartizione del mercato. Anche in Europa. Non a caso l'Antitrust europeo ha già notificato al gruppo Arcelor il rischio che la sua acquisizione dell'Ilva possa configurare una posizione dominante incompatibile con le regole della concorrenza nella UE. Arcelor ha replicato che se necessario rinuncerà ad alcune produzioni: tagliando posti di lavoro in Polonia, in Germania, in Francia, in Lussemburgo. L'attacco al lavoro degli operai dell'Ilva è parte dunque di questo scenario globale.

Per questa stessa ragione, la difesa del lavoro e della salute degli operai dell'Ilva richiede una soluzione anticapitalista. Era chiaro sin dall'inizio che nessun nuovo capitalista acquirente avrebbe garantito lavoro e salute. La riduzione dei posti di lavoro e degli investimenti ambientali era al contrario il terreno stesso della gara d'acquisto. Gli acquirenti comprano in funzione del massimo profitto, e il massimo profitto richiede l'abbattimento del “costo” del lavoro e dei “costi” ambientali. L'offerta Arcelor che in prima battuta era stata accettata e premiata dal governo Gentiloni e dal ministro Calenda, quali piazzisti del capitale, poi bloccata dalla forza dei lavoratori in sciopero, non può essere accettata dagli operai dell'Ilva.

Il PCL sostiene da sempre incondizionatamente la lotta dei lavoratori dell'Ilva, come la lotta di Genova di un anno fa.

Occorre una opposizione di massa che unisca i lavoratori dei diversi stabilimenti Ilva, contro ogni logica mirata a dividerli, una opposizione di lotta radicale quanto radicale è l'attacco del padrone.

Occorre ricondurre l'azione di lotta all'unica soluzione che possa garantire la difesa del lavoro e della salute degli operai: quella della nazionalizzazione dell'Ilva, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, combinata con l’esproprio di tutti i capitali dei Riva.

Fuori da questa prospettiva, come i fatti dimostrano, si prepara solamente il peggio.

Serve quindi un vero sciopero generale e ad oltranza, sostenuto da casse di resistenza, che unifichi, a partire dall’ILVA, tutte le lotte in campo e che dia l’avvio a una lotta prolungata contro il governo e il padronato: licenziamenti di massa, chiusure di fabbriche, Jobs act, riforma Fornero meritano una risposta adeguata e di classe.

Bisogna portare in questa lotta, come in ogni lotta, la prospettiva politica del governo dei lavoratori. L'unica vera alternativa. L'unica che possa riorganizzare la società dalle sue fondamenta, rovesciando la dittatura del profitto.
Partito Comunista dei Lavoratori