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Liberi e Uguali... agli altri?
♠ in Bersani,bombardamento di Belgrado,D'Alema,elezioni politiche 2018,Grasso,Liberi e Uguali,M5S,Mattarella,PC,PD,Potere al Popolo,PRC,Rizzo,Tsipras
La lista Liberi e Uguali si presenta come “la sinistra” rediviva. Curioso. Il suo candidato di punta, Pietro Grasso, è un corpo estraneo alla storia della sinistra. I suoi gruppi dirigenti (D'Alema, Bersani...) sono gli stessi che sciolsero il principale partito della sinistra, il PCI, per legittimare la propria corsa al governo agli occhi del capitale finanziario. I governi di centrosinistra che guidarono negli anni '90 (Prodi, D'Alema, Amato) sono gli stessi che realizzarono la precarizzazione del lavoro, la demolizione del vecchio sistema pensionistico, l'equiparazione tra scuola pubblica e privata, il record delle privatizzazioni in Europa, il bombardamento “umanitario” di Belgrado. I governi che hanno appoggiato in anni recenti (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) sono gli stessi che hanno varato la legge Fornero e distrutto l'articolo 18.
Sarebbe questa la sinistra finalmente scoperta?
Nessuno dica che si tratta di responsabilità del passato e che bisogna guardare al futuro. Perché il progetto futuro di Bersani e D'Alema ricalca di fatto le orme del passato. Non a caso ancor prima del voto Bersani, D'Alema, Grasso hanno candidato pubblicamente LeU ad entrare in un cosiddetto governo del Presidente, a garanzia della governabilità. Garanzia per chi? Per i mercati finanziari, le grandi imprese, le grandi banche, l'establishment europeo. Gli stessi che Bersani e D'Alema hanno servito ossequiosamente negli ultimi decenni. Governo con chi? Con il PD, o con chi Mattarella dovesse indicare, e i numeri parlamentari consentire. “Non lasceremo l'Italia allo sbando”, assicurano compunti. È la continuità di sempre: un personale politico in servizio permanente per la borghesia italiana, che chiede il voto dei lavoratori per prostrarsi ai piedi dei loro avversari.
D'Alema e Bersani hanno un solo vero obiettivo: disfarsi del renzismo che li ha emarginati per ricomporre il vecchio caro centrosinistra. Hanno rotto col PD, dopo aver votato le sue peggiori misure antioperaie, proprio per ricomporre l'alleanza col PD. Senza peraltro escludere neppure il proprio ritorno diretto in un PD liberato da Renzi.
Di più. L'ansia di rientrare nel gioco politico di governo è tale che LeU si lascia aperta ogni porta, inclusa la possibilità di negoziare il governo col reazionario Movimento 5 Stelle. Un partito per ogni governo, questo è LeU.
Sconcertante in questo quadro la capitolazione di Sinistra Italiana (Fratoianni) a Bersani e D'Alema. Dopo aver celebrato il proprio congresso all'insegna del respingimento del centrosinistra, sono finiti a servire la messa annunciata dell'ennesimo centrosinistra, o addirittura di un governo di salute pubblica. Un eterno gioco dell'oca che inganna e colpisce i lavoratori da decenni, e che ha spianato la strada alle destre peggiori.
Perché dunque un lavoratore o una lavoratrice che cerca un reale riferimento a sinistra dovrebbe affidarsi ancora una volta a Bersani e D'Alema, e ai loro reggicoda?
Ma un'alternativa a sinistra di Liberi e Uguali non può essere Potere al Popolo. Non può essere un accrocchio guidato nei fatti da quello stesso PRC che con Bersani e D'Alema ha governato per cinque anni negli ultimi venti, e che oggi rifiuta di rompere col governo Tsipras persino nel momento delle sue leggi antisciopero. Né certo può essere il PC di Marco Rizzo, che nella maggioranza di governo è stato più di ogni altro, prima con Bertinotti poi con Cossutta, votando Pacchetto Treu e guerra nei Balcani.
L'unica vera alternativa è quella che è sempre stata dalla parte dei lavoratori, perché persegue da sempre un progetto di rivoluzione. È l'alternativa di “Per una sinistra rivoluzionaria”, l'unica di cui ci si può fidare.
Nessuno dica che si tratta di responsabilità del passato e che bisogna guardare al futuro. Perché il progetto futuro di Bersani e D'Alema ricalca di fatto le orme del passato. Non a caso ancor prima del voto Bersani, D'Alema, Grasso hanno candidato pubblicamente LeU ad entrare in un cosiddetto governo del Presidente, a garanzia della governabilità. Garanzia per chi? Per i mercati finanziari, le grandi imprese, le grandi banche, l'establishment europeo. Gli stessi che Bersani e D'Alema hanno servito ossequiosamente negli ultimi decenni. Governo con chi? Con il PD, o con chi Mattarella dovesse indicare, e i numeri parlamentari consentire. “Non lasceremo l'Italia allo sbando”, assicurano compunti. È la continuità di sempre: un personale politico in servizio permanente per la borghesia italiana, che chiede il voto dei lavoratori per prostrarsi ai piedi dei loro avversari.
D'Alema e Bersani hanno un solo vero obiettivo: disfarsi del renzismo che li ha emarginati per ricomporre il vecchio caro centrosinistra. Hanno rotto col PD, dopo aver votato le sue peggiori misure antioperaie, proprio per ricomporre l'alleanza col PD. Senza peraltro escludere neppure il proprio ritorno diretto in un PD liberato da Renzi.
Di più. L'ansia di rientrare nel gioco politico di governo è tale che LeU si lascia aperta ogni porta, inclusa la possibilità di negoziare il governo col reazionario Movimento 5 Stelle. Un partito per ogni governo, questo è LeU.
Sconcertante in questo quadro la capitolazione di Sinistra Italiana (Fratoianni) a Bersani e D'Alema. Dopo aver celebrato il proprio congresso all'insegna del respingimento del centrosinistra, sono finiti a servire la messa annunciata dell'ennesimo centrosinistra, o addirittura di un governo di salute pubblica. Un eterno gioco dell'oca che inganna e colpisce i lavoratori da decenni, e che ha spianato la strada alle destre peggiori.
Perché dunque un lavoratore o una lavoratrice che cerca un reale riferimento a sinistra dovrebbe affidarsi ancora una volta a Bersani e D'Alema, e ai loro reggicoda?
Ma un'alternativa a sinistra di Liberi e Uguali non può essere Potere al Popolo. Non può essere un accrocchio guidato nei fatti da quello stesso PRC che con Bersani e D'Alema ha governato per cinque anni negli ultimi venti, e che oggi rifiuta di rompere col governo Tsipras persino nel momento delle sue leggi antisciopero. Né certo può essere il PC di Marco Rizzo, che nella maggioranza di governo è stato più di ogni altro, prima con Bertinotti poi con Cossutta, votando Pacchetto Treu e guerra nei Balcani.
L'unica vera alternativa è quella che è sempre stata dalla parte dei lavoratori, perché persegue da sempre un progetto di rivoluzione. È l'alternativa di “Per una sinistra rivoluzionaria”, l'unica di cui ci si può fidare.
Partito Comunista dei Lavoratori
Al popolo del Brancaccio
♠ in Acerbo,assemblea,Bersani,Brancaccio,Civati,Costituzione,CPT,D'Alema,Falcone,Fratoianni,MDP,Montanari,Pacchetto Treu,PRC,privatizzazioni,Prodi,SI,sinistra di classe,sinistra rivoluzionaria
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La lettera che avremmo distribuito all'assemblea del Brancaccio del 18 novembre
13 Novembre 2017
Care compagne e cari compagni,
la crisi del progetto del Brancaccio non è uno spiacevole incidente diplomatico. È l'epilogo annunciato dell'equivoco politico su cui si basava. La pretesa di costruire «una sinistra che non c'é», ma senza rompere con quella che c'è. La pretesa di una radicale discontinuità di metodi e programmi, ma “nel rispetto della Costituzione” e della proprietà. La pretesa di una svolta sociale, ma senza riferimento di classe e senza rottura con il capitale. Dentro la cornice di questo equivoco tutti i gruppi dirigenti della sinistra riformista hanno svolto la propria parte in commedia. Bersani e D'Alema hanno usato il Brancaccio come canale di ricomposizione con Sinistra Italiana. Sinistra Italiana l'ha usato come strumento di pressione anti-Pisapia per stringere l'accordo con Bersani e D'Alema. Maurizio Acerbo l'ha usato come strumento di pressione su Sinistra Italiana, rimuovendo la pregiudiziale anti D'Alema (vedi Sicilia), ma chiedendo adeguate “garanzie”. Montanari e Falcone hanno fatto i vigili del traffico, finendo travolti.
Ma ora la realtà ha strappato il sipario della finzione scenica. Bersani, D'Alema, Fratoianni e Civati (con la iniziale copertura di Montanari e Falcone) propongono al popolo del Brancaccio di accettare il pacchetto completo di un accordo annunciato, attorno alla figura civica di Piero Grasso: dentro la prospettiva di un “nuovo” centrosinistra liberato da Renzi, e con l'esplicita disponibilità di Massimo D'Alema a sostenere un eventuale “governo del Presidente”. È esattamente la prospettiva contro cui tanta parte del popolo del Brancaccio si era giustamente mobilitato.
Su un altro versante, Maurizio Acerbo e il gruppo dirigente del PRC rivendicano di aver rimosso la preclusione verso Bersani e D'Alema, ma rifiutano il fatto compiuto, lamentano un mancato coinvolgimento, chiedono «coerenza» con l'appello originario del Brancaccio. Così facendo non fanno che riproporre l'equivoco di fondo del civismo progressista su cui si fondava quell'appello. Senza un bilancio dell'esperienza di Rifondazione (vedi Ingroia e Rivoluzione Civile), senza un progetto alternativo classista. E per di più continuando ad appellarsi all'”esempio” di Tsipras e Melenchon: una somma confusa di riformismo europeista e sovranista, unita dal richiamo sacrale alla Costituzione borghese pattuita nel 1948 tra De Gasperi e Togliatti. Sarebbe questa l'alternativa proposta da una lista eventuale tra PRC ed Eurostop?
LA VERITÀ VA DETTA TUTTA
Occorre fare un bilancio vero, e definire un'alternativa reale: dalla parte dei lavoratori e contro il capitalismo, senza reticenze e ambiguità.
È vero: D'Alema e Bersani hanno gestito politiche liberiste e reazionarie, sino a votare in anni recenti la legge Fornero e persino il Jobs Act. La stessa idea di una lista unitaria della sinistra col personale politico che l'ha distrutta (per servire il grande capitale) doveva essere respinta in radice, non sostenuta o avallata (da tutti).
Ma la verità va detta per intero. Perché una verità incompleta diventa una oggettiva falsità.
La verità è che le politiche liberiste e reazionarie varate dai governi di centrosinistra non le hanno votate e gestite i soli D'Alema e Bersani. Le hanno votate e gestite anche i gruppi dirigenti della sinistra cosiddetta radicale. Il famigerato Pacchetto Treu, con l'introduzione del lavoro interinale, fu varato dal primo governo Prodi (1996/98), col sostegno di Bertinotti, Ferrero, Vendola, Rizzo. Così come il record delle privatizzazioni in Europa e i CPT per gli immigrati. La più grande detassazione dei profitti di banche e imprese degli ultimi decenni (riduzione dell'IRES dal 34 al 27,5%) fu realizzata nel 2007 dal secondo governo Prodi, in cui sedeva da ministro Paolo Ferrero. Così per l'aumento delle spese militari e il finanziamento delle missioni di guerra.
I due governi Prodi (1996/98 e 2006/2008), con queste politiche, hanno occupato complessivamente cinque anni di governo negli ultimi venti anni, la durata di una legislatura. Dobbiamo cancellarli da un bilancio politico, come non fossero esistiti? Non si dica (per chi lo dice) che sono stati “errori”. Sono stati crimini sociali e politici. Se dobbiamo rompere con chi ha contribuito a distruggere la credibilità della sinistra, questo criterio non dovrebbe forse valere per tutti?
PASSATO E FUTURO
Si dirà che tutto questo riguarda il passato e che ora dobbiamo guardare al futuro. Ma è falso. Il bilancio del passato riguarda proprio il futuro. Senza un bilancio del passato ci si condanna infatti a riviverlo.
L'appello originario del Brancaccio rivendica una lunga serie di obiettivi sociali e democratici (difesa del lavoro, progressività fiscale, protezione dei migranti, rifiuto della guerra...). Tutti nobili intenti. Ma questi intenti non figuravano forse regolarmente in tutti i programmi di tutte le sinistre (Rifondazione, SEL, Tsipras, Lula...) spesso oltretutto in termini più radicali? Perché allora si sono realizzate, una volta al governo, politiche opposte?
La verità è che accettare il sistema capitalista e ambire a governarlo significa gestire la sua miseria, al di là di ogni promessa. Lo spazio riformistico fu possibile nel dopoguerra quando c'era il boom ed esisteva l'URSS. Dopo la restaurazione del capitalismo in Russia (per mano della burocrazia stalinista) e l'irrompere della grande crisi, il capitalismo si riprende ovunque quanto era stato costretto a concedere. Dentro l'euro e fuori dall'euro, e con i governi di ogni colore. Cosa dimostra oggi l'esperienza di Syriza in Grecia, se non questo? Si promettevano riforme sociali, si è realizzata la continuità della troika. Non diversamente va in Portogallo dove Partito Comunista e Bloco De Esquerda votano una finanziaria che taglia del 30% gli investimenti pubblici. La realtà è che i gruppi dirigenti della sinistra non hanno altro orizzonte che il governo “progressista” del capitalismo, nonostante e contro l'esperienza della storia. Per questo condannano il proprio popolo a passare di sconfitta in sconfitta, ogni volta nel nome del “nuovo” e sempre ripetendo il “vecchio”.
PER UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA.
PER UNA SINISTRA DI CLASSE E RIVOLUZIONARIA
La “sinistra che non c'è ancora” può essere solo una sinistra rivoluzionaria.
Non una generica sinistra “civica” di cittadini progressisti. Né una sinistra che metta insieme sovranismi nazionalisti e costituzioni borghesi. Ma una sinistra di classe, schierata sempre e dovunque dalla parte dei lavoratori, impegnata nella unificazione delle loro lotte e resistenze sociali, a partire dalle rivendicazioni più semplici; ma soprattutto impegnata a ricondurre ogni lotta di opposizione e di resistenza all'unica prospettiva di alternativa vera: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro organizzazione e la loro forza, che rompa col capitalismo e riorganizzi da cima a fondo la società.
Nessuno dei nobili intenti di miglioramento sociale, democratico, ambientale, elencati dal Brancaccio o da Acerbo può essere realizzato nel rispetto del capitalismo. La riduzione dell'orario di lavoro a 30 ore a parità di paga può essere perseguita solo rompendo frontalmente con un padronato che allunga ovunque orari e sfruttamento. La lotta all'evasione fiscale è inseparabile dalla lotta per la nazionalizzazione delle banche (vero tempio della grande evasione), senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori. L'investimento massiccio in risanamento ambientale e servizi non è possibile senza l'abolizione del debito pubblico verso le banche e le compagnie di assicurazione, che oggi intascano 80 miliardi l'anno di soli interessi.
Si invoca l'applicazione della Costituzione. Ma la realizzazione degli enunciati progressivi della Costituzione è inseparabile dalla rottura con quel sistema capitalista che questa costituzione (borghese) protegge. È forse possibile realizzare “il diritto al lavoro, alla casa, alla salute, alla dignità sociale” - come recita l'articolo 3 - continuando a rispettare la proprietà privata delle grandi industrie e delle banche, di quella casta dorata del capitale finanziario che concentra nelle proprie mani tutto il potere reale?
Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, imposto da una rivoluzione sociale, può realizzare misure di svolta e consentire una democrazia vera.
Certo, la coscienza dei lavoratori e degli sfruttati è lontana dal comprendere questa verità e prospettiva. Tanto più dopo essere stata demoralizzata e confusa dai gruppi dirigenti fallimentari della sinistra. Ma questa è una ragione in più per lavorare controcorrente nel ricostruire la coscienza di classe e anticapitalista che manca, organizzando innanzitutto attorno a questa prospettiva i settori più avanzati della classe lavoratrice.
Questa è la prospettiva per cui in ogni caso si batte il Partito Comunista dei Lavoratori. Una prospettiva che vogliamo sia presente e riconoscibile, nelle forme possibili, alla prossime elezioni politiche.
la crisi del progetto del Brancaccio non è uno spiacevole incidente diplomatico. È l'epilogo annunciato dell'equivoco politico su cui si basava. La pretesa di costruire «una sinistra che non c'é», ma senza rompere con quella che c'è. La pretesa di una radicale discontinuità di metodi e programmi, ma “nel rispetto della Costituzione” e della proprietà. La pretesa di una svolta sociale, ma senza riferimento di classe e senza rottura con il capitale. Dentro la cornice di questo equivoco tutti i gruppi dirigenti della sinistra riformista hanno svolto la propria parte in commedia. Bersani e D'Alema hanno usato il Brancaccio come canale di ricomposizione con Sinistra Italiana. Sinistra Italiana l'ha usato come strumento di pressione anti-Pisapia per stringere l'accordo con Bersani e D'Alema. Maurizio Acerbo l'ha usato come strumento di pressione su Sinistra Italiana, rimuovendo la pregiudiziale anti D'Alema (vedi Sicilia), ma chiedendo adeguate “garanzie”. Montanari e Falcone hanno fatto i vigili del traffico, finendo travolti.
Ma ora la realtà ha strappato il sipario della finzione scenica. Bersani, D'Alema, Fratoianni e Civati (con la iniziale copertura di Montanari e Falcone) propongono al popolo del Brancaccio di accettare il pacchetto completo di un accordo annunciato, attorno alla figura civica di Piero Grasso: dentro la prospettiva di un “nuovo” centrosinistra liberato da Renzi, e con l'esplicita disponibilità di Massimo D'Alema a sostenere un eventuale “governo del Presidente”. È esattamente la prospettiva contro cui tanta parte del popolo del Brancaccio si era giustamente mobilitato.
Su un altro versante, Maurizio Acerbo e il gruppo dirigente del PRC rivendicano di aver rimosso la preclusione verso Bersani e D'Alema, ma rifiutano il fatto compiuto, lamentano un mancato coinvolgimento, chiedono «coerenza» con l'appello originario del Brancaccio. Così facendo non fanno che riproporre l'equivoco di fondo del civismo progressista su cui si fondava quell'appello. Senza un bilancio dell'esperienza di Rifondazione (vedi Ingroia e Rivoluzione Civile), senza un progetto alternativo classista. E per di più continuando ad appellarsi all'”esempio” di Tsipras e Melenchon: una somma confusa di riformismo europeista e sovranista, unita dal richiamo sacrale alla Costituzione borghese pattuita nel 1948 tra De Gasperi e Togliatti. Sarebbe questa l'alternativa proposta da una lista eventuale tra PRC ed Eurostop?
LA VERITÀ VA DETTA TUTTA
Occorre fare un bilancio vero, e definire un'alternativa reale: dalla parte dei lavoratori e contro il capitalismo, senza reticenze e ambiguità.
È vero: D'Alema e Bersani hanno gestito politiche liberiste e reazionarie, sino a votare in anni recenti la legge Fornero e persino il Jobs Act. La stessa idea di una lista unitaria della sinistra col personale politico che l'ha distrutta (per servire il grande capitale) doveva essere respinta in radice, non sostenuta o avallata (da tutti).
Ma la verità va detta per intero. Perché una verità incompleta diventa una oggettiva falsità.
La verità è che le politiche liberiste e reazionarie varate dai governi di centrosinistra non le hanno votate e gestite i soli D'Alema e Bersani. Le hanno votate e gestite anche i gruppi dirigenti della sinistra cosiddetta radicale. Il famigerato Pacchetto Treu, con l'introduzione del lavoro interinale, fu varato dal primo governo Prodi (1996/98), col sostegno di Bertinotti, Ferrero, Vendola, Rizzo. Così come il record delle privatizzazioni in Europa e i CPT per gli immigrati. La più grande detassazione dei profitti di banche e imprese degli ultimi decenni (riduzione dell'IRES dal 34 al 27,5%) fu realizzata nel 2007 dal secondo governo Prodi, in cui sedeva da ministro Paolo Ferrero. Così per l'aumento delle spese militari e il finanziamento delle missioni di guerra.
I due governi Prodi (1996/98 e 2006/2008), con queste politiche, hanno occupato complessivamente cinque anni di governo negli ultimi venti anni, la durata di una legislatura. Dobbiamo cancellarli da un bilancio politico, come non fossero esistiti? Non si dica (per chi lo dice) che sono stati “errori”. Sono stati crimini sociali e politici. Se dobbiamo rompere con chi ha contribuito a distruggere la credibilità della sinistra, questo criterio non dovrebbe forse valere per tutti?
PASSATO E FUTURO
Si dirà che tutto questo riguarda il passato e che ora dobbiamo guardare al futuro. Ma è falso. Il bilancio del passato riguarda proprio il futuro. Senza un bilancio del passato ci si condanna infatti a riviverlo.
L'appello originario del Brancaccio rivendica una lunga serie di obiettivi sociali e democratici (difesa del lavoro, progressività fiscale, protezione dei migranti, rifiuto della guerra...). Tutti nobili intenti. Ma questi intenti non figuravano forse regolarmente in tutti i programmi di tutte le sinistre (Rifondazione, SEL, Tsipras, Lula...) spesso oltretutto in termini più radicali? Perché allora si sono realizzate, una volta al governo, politiche opposte?
La verità è che accettare il sistema capitalista e ambire a governarlo significa gestire la sua miseria, al di là di ogni promessa. Lo spazio riformistico fu possibile nel dopoguerra quando c'era il boom ed esisteva l'URSS. Dopo la restaurazione del capitalismo in Russia (per mano della burocrazia stalinista) e l'irrompere della grande crisi, il capitalismo si riprende ovunque quanto era stato costretto a concedere. Dentro l'euro e fuori dall'euro, e con i governi di ogni colore. Cosa dimostra oggi l'esperienza di Syriza in Grecia, se non questo? Si promettevano riforme sociali, si è realizzata la continuità della troika. Non diversamente va in Portogallo dove Partito Comunista e Bloco De Esquerda votano una finanziaria che taglia del 30% gli investimenti pubblici. La realtà è che i gruppi dirigenti della sinistra non hanno altro orizzonte che il governo “progressista” del capitalismo, nonostante e contro l'esperienza della storia. Per questo condannano il proprio popolo a passare di sconfitta in sconfitta, ogni volta nel nome del “nuovo” e sempre ripetendo il “vecchio”.
PER UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA.
PER UNA SINISTRA DI CLASSE E RIVOLUZIONARIA
La “sinistra che non c'è ancora” può essere solo una sinistra rivoluzionaria.
Non una generica sinistra “civica” di cittadini progressisti. Né una sinistra che metta insieme sovranismi nazionalisti e costituzioni borghesi. Ma una sinistra di classe, schierata sempre e dovunque dalla parte dei lavoratori, impegnata nella unificazione delle loro lotte e resistenze sociali, a partire dalle rivendicazioni più semplici; ma soprattutto impegnata a ricondurre ogni lotta di opposizione e di resistenza all'unica prospettiva di alternativa vera: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro organizzazione e la loro forza, che rompa col capitalismo e riorganizzi da cima a fondo la società.
Nessuno dei nobili intenti di miglioramento sociale, democratico, ambientale, elencati dal Brancaccio o da Acerbo può essere realizzato nel rispetto del capitalismo. La riduzione dell'orario di lavoro a 30 ore a parità di paga può essere perseguita solo rompendo frontalmente con un padronato che allunga ovunque orari e sfruttamento. La lotta all'evasione fiscale è inseparabile dalla lotta per la nazionalizzazione delle banche (vero tempio della grande evasione), senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori. L'investimento massiccio in risanamento ambientale e servizi non è possibile senza l'abolizione del debito pubblico verso le banche e le compagnie di assicurazione, che oggi intascano 80 miliardi l'anno di soli interessi.
Si invoca l'applicazione della Costituzione. Ma la realizzazione degli enunciati progressivi della Costituzione è inseparabile dalla rottura con quel sistema capitalista che questa costituzione (borghese) protegge. È forse possibile realizzare “il diritto al lavoro, alla casa, alla salute, alla dignità sociale” - come recita l'articolo 3 - continuando a rispettare la proprietà privata delle grandi industrie e delle banche, di quella casta dorata del capitale finanziario che concentra nelle proprie mani tutto il potere reale?
Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, imposto da una rivoluzione sociale, può realizzare misure di svolta e consentire una democrazia vera.
Certo, la coscienza dei lavoratori e degli sfruttati è lontana dal comprendere questa verità e prospettiva. Tanto più dopo essere stata demoralizzata e confusa dai gruppi dirigenti fallimentari della sinistra. Ma questa è una ragione in più per lavorare controcorrente nel ricostruire la coscienza di classe e anticapitalista che manca, organizzando innanzitutto attorno a questa prospettiva i settori più avanzati della classe lavoratrice.
Questa è la prospettiva per cui in ogni caso si batte il Partito Comunista dei Lavoratori. Una prospettiva che vogliamo sia presente e riconoscibile, nelle forme possibili, alla prossime elezioni politiche.
Partito Comunista dei Lavoratori
La scissione del PD e i movimenti a sinistra
La scissione del Partito Democratico è il fatto nuovo dello scenario politico.
Si tratta di fare una prima valutazione delle ragioni, della natura, delle ricadute politiche di questo evento sia sul versante della situazione politica sia sul versante della geografia della sinistra politica. In attesa di un quadro più definito che consenta i necessari approfondimenti.
La scissione del PD è stata sospinta dalla sconfitta clamorosa del renzismo nel referendum del 4 dicembre. La combinazione dell'indebolimento verticale del renzismo (a partire dalla caduta del governo Renzi) con la ricerca affannosa da parte di Renzi di una reinvestitura plebiscitaria (o per via di una precipitazione elettorale, o per via di una precipitazione congressuale, o per via dell'una e dell'altra insieme) ha sicuramente rappresentato un fattore di innesco della scissione.
Un segretario con pieni poteri sulle candidature, a partire dai capilista, era una minaccia di annientamento della presenza parlamentare della minoranza. Mentre la svolta tendenzialmente proporzionalistica del sistema politico, a seguito della sconfitta referendaria, favorisce lo spazio di rappresentanza di un nuovo soggetto politico. Anche per questo la scissione è figlia del 4 dicembre.
Al di là della contingenza, le fascine della scissione del PD si erano accumulate progressivamente nel tempo. Il renzismo ha scalato prima il PD e poi il governo, in rapidissima successione: portando una svolta plebiscitaria nella stessa gestione del partito, circondandosi di una giovane guardia di fedelissimi selezionata accuratamente negli anni (il partito della Leopolda), emarginando il vecchio gruppo dirigente del PD (la “rottamazione”). La scissione è anche e innanzitutto la replica vendicativa di settori portanti del vecchio gruppo dirigente contro un renzismo usurpatore, da sempre vissuto come corpo estraneo e abusivo. Massimo D'Alema in particolare ha avuto ed ha un ruolo centrale nell'incarnare questo sentimento e nel dargli una traduzione politica.
Le dimensioni della scissione saranno verificate nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Ma è utile investigare i suoi caratteri politici.
GLI SBOCCHI DELLA SCISSIONE
Dal punto di vista della forma di organizzazione, non sembra che la scissione si dia uno sbocco organico “di partito”. La scelta prevalente sembra essere quella di un movimento politico, dal profilo più sfumato e processuale. La stessa gestione politica pubblica della scissione è stata confusa e minimalista nelle motivazioni (divergenze su date e percorso congressuale del PD, invece che su ragioni pubbliche riconoscibili), è stata segnata da divisioni interne (defezione di Emiliano), è apparsa poco determinata nella stessa azione di rottura (più fuoriuscita che vera scissione). Tutto ciò sembra indebolire al piede di partenza la portata dell'operazione e le sue potenzialità di polarizzazione nei territori.
Dal punto di vista della natura politica del nuovo soggetto è presto per esprimere una valutazione compiuta: un nuovo soggetto politico borghese di tipo ulivista (un PD riveduto e corretto) o una sorta di rifondazione socialdemocratica ( “partito del lavoro” legato alla burocrazia CGIL)? La risposta verrà dalla dinamica del processo in atto.
Le principali componenti politiche promotrici della scissione vengono dal campo borghese liberale. Si tratta della componente dalemiana e dell'area bersaniana del PD. La prima, organizzata attorno alla Fondazione Italianieuropei, ebbe un ruolo di traino nella mutazione progressiva dei DS da socialdemocrazia a partito borghese liberale nella seconda metà degli anni '90, guidando la stagione di controriforme sociali del centrosinistra (1996/2001). La seconda, nata dal ceppo del dalemismo, ha diretto il PD nel passaggio cruciale della grande crisi (2009/2013) gestendo il sostegno al governo Monti e alla relativa macelleria sociale. Complessivamente, il personale dirigente dei governi di centrosinistra dell'imperialismo italiano. L'emarginazione dal potere nella stagione del renzismo ha sicuramente indebolito le ascendenze dirette di questo ambiente presso il grande capitale. Ma non ha cancellato le sue radici politiche. Non a caso è la componente che maggiormente insiste nel rivendicare il nuovo soggetto come riedizione dell'Ulivo, e nel ricercare il coinvolgimento di forze e personalità borghesi del mondo cattolico.
A fianco di queste componenti, confluiscono nell'operazione di scissione con un ruolo rilevante soggetti ed aree del PD non dotate per lo più di configurazione propria (mescolati nel tempo con l'area bersaniana), ma che appaiono maggiormente interessati a una sorta di partito (borghese) “del lavoro”. È il caso del governatore toscano Enrico Rossi, con la suggestione del “partito partigiano del lavoro” e del suo (grottesco) richiamo alla rivoluzione socialista (!). È il caso di Guglielmo Epifani, portavoce della minoranza all'ultima Assemblea nazionale del PD, che ha speso non a caso il proprio intervento nel richiamare le ragioni sociali della separazione (Jobs Act, scuola, tasse). Si tratta di ambienti di una virtuale socialdemocrazia, che vedono la questione sociale come lo spazio politico di costruzione del nuovo soggetto. Ovviamente su una linea borghese governista (sostegno a Gentiloni per la legislatura), e con una prospettiva organica di centrosinistra (coalizione di governo col PD, nazionale e locale), ma con una specifica attenzione al rapporto con l'apparato CGIL, col quale ricostruire una relazione privilegiata. Peraltro la frequentazione delle iniziative scissioniste da parte di ambienti d'apparato CGIL è stata significativa e territorialmente diffusa, espressione della domanda di riferimento politico da parte di una burocrazia sindacale da tempo politicamente orfana.
Se la dinamica del nuovo soggetto porterà a uno sbocco borghese o “socialdemocratico” dipenderà da diverse variabili: il quadro compiuto delle componenti costituenti e il loro equilibrio interno, l'evoluzione della situazione politica, l'eventuale rapporto con le dinamiche in atto nella socialdemocrazia europea.
LE RICADUTE IMMEDIATE A SINISTRA
Di certo la nuova formazione è destinata, da subito, a riflettersi sugli assetti della sinistra italiana e sull'evoluzione della sua crisi.
L'operazione Pisapia, d'intesa con Renzi, (Campo progressista) esce spiazzata e indebolita dal nuovo evento. L'ex sindaco di Milano si è candidato a raggruppare un'area di sinistra da coalizzare con Renzi. Per questo chiede una legge elettorale col premio di maggioranza alla coalizione. Per la stessa ragione Pisapia scongiurava una scissione del PD («una sciagura per l'Italia»): non vuole una concorrenza a sinistra che possa cancellargli lo spazio. Ma ora che la scissione è sostanzialmente compiuta, non può che confluire nella nuova formazione o nel suo campo di riferimento, con un ruolo ben più marginale di quello sognato.
Un problema diverso si pone per Sinistra Italiana (SI), che ha appena concluso il proprio congresso. Una componente rilevante di SI (Scotto, Smeriglio, Ferrara) ha già abbandonato il partito alla vigilia del congresso, prima per trattare direttamente con D'Alema, poi per rivolgersi al Campo progressista di Pisapia, infine per confluire nella nuova formazione. Un'altra componente di SI, oggi minoritaria (D'Attorre), ha apertamente rivendicato in congresso la prospettiva di partecipazione alla costituente unitaria del nuovo soggetto, per poi aggregarsi successivamente ad essa. La maggioranza di SI (Fratoianni-Fassina) si è invece attestata per ora su una posizione autonoma: «Non possiamo fonderci con chi sostiene Gentiloni». In realtà vuole capire quale sarà la dinamica della scissione, cerca di non farsi travolgere da una possibile piena, e soprattutto vuole preservare un proprio peso contrattuale in vista di future possibili ricomposizioni. Fratoianni e Vendola hanno già attivato contatti col giro dalemiano, e Fratoianni ha già pubblicamente avanzato una disponibilità a ipotesi di alleanze elettorali (“liste plurali”) col nuovo soggetto in vista delle elezioni politiche.
Lo spazio e il ruolo di SI nel sommovimento politico in atto dipenderà sia dalla natura compiuta del nuovo soggetto (sbocco borghese o "socialdemocratico"), sia dalla consistenza della nuova formazione e dunque dal rapporto di forza che si verrà a determinare tra il nuovo soggetto e SI.
Le ricadute del 4 dicembre sul sistema politico sono appena iniziate. Anche a sinistra.