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Al popolo del Brancaccio


La lettera che avremmo distribuito all'assemblea del Brancaccio del 18 novembre

13 Novembre 2017





Care compagne e cari compagni,

la crisi del progetto del Brancaccio non è uno spiacevole incidente diplomatico. È l'epilogo annunciato dell'equivoco politico su cui si basava. La pretesa di costruire «una sinistra che non c'é», ma senza rompere con quella che c'è. La pretesa di una radicale discontinuità di metodi e programmi, ma “nel rispetto della Costituzione” e della proprietà. La pretesa di una svolta sociale, ma senza riferimento di classe e senza rottura con il capitale. Dentro la cornice di questo equivoco tutti i gruppi dirigenti della sinistra riformista hanno svolto la propria parte in commedia. Bersani e D'Alema hanno usato il Brancaccio come canale di ricomposizione con Sinistra Italiana. Sinistra Italiana l'ha usato come strumento di pressione anti-Pisapia per stringere l'accordo con Bersani e D'Alema. Maurizio Acerbo l'ha usato come strumento di pressione su Sinistra Italiana, rimuovendo la pregiudiziale anti D'Alema (vedi Sicilia), ma chiedendo adeguate “garanzie”. Montanari e Falcone hanno fatto i vigili del traffico, finendo travolti.

Ma ora la realtà ha strappato il sipario della finzione scenica. Bersani, D'Alema, Fratoianni e Civati (con la iniziale copertura di Montanari e Falcone) propongono al popolo del Brancaccio di accettare il pacchetto completo di un accordo annunciato, attorno alla figura civica di Piero Grasso: dentro la prospettiva di un “nuovo” centrosinistra liberato da Renzi, e con l'esplicita disponibilità di Massimo D'Alema a sostenere un eventuale “governo del Presidente”. È esattamente la prospettiva contro cui tanta parte del popolo del Brancaccio si era giustamente mobilitato.
Su un altro versante, Maurizio Acerbo e il gruppo dirigente del PRC rivendicano di aver rimosso la preclusione verso Bersani e D'Alema, ma rifiutano il fatto compiuto, lamentano un mancato coinvolgimento, chiedono «coerenza» con l'appello originario del Brancaccio. Così facendo non fanno che riproporre l'equivoco di fondo del civismo progressista su cui si fondava quell'appello. Senza un bilancio dell'esperienza di Rifondazione (vedi Ingroia e Rivoluzione Civile), senza un progetto alternativo classista. E per di più continuando ad appellarsi all'”esempio” di Tsipras e Melenchon: una somma confusa di riformismo europeista e sovranista, unita dal richiamo sacrale alla Costituzione borghese pattuita nel 1948 tra De Gasperi e Togliatti. Sarebbe questa l'alternativa proposta da una lista eventuale tra PRC ed Eurostop?


LA VERITÀ VA DETTA TUTTA 

Occorre fare un bilancio vero, e definire un'alternativa reale: dalla parte dei lavoratori e contro il capitalismo, senza reticenze e ambiguità.

È vero: D'Alema e Bersani hanno gestito politiche liberiste e reazionarie, sino a votare in anni recenti la legge Fornero e persino il Jobs Act. La stessa idea di una lista unitaria della sinistra col personale politico che l'ha distrutta (per servire il grande capitale) doveva essere respinta in radice, non sostenuta o avallata (da tutti).
Ma la verità va detta per intero. Perché una verità incompleta diventa una oggettiva falsità.

La verità è che le politiche liberiste e reazionarie varate dai governi di centrosinistra non le hanno votate e gestite i soli D'Alema e Bersani. Le hanno votate e gestite anche i gruppi dirigenti della sinistra cosiddetta radicale. Il famigerato Pacchetto Treu, con l'introduzione del lavoro interinale, fu varato dal primo governo Prodi (1996/98), col sostegno di Bertinotti, Ferrero, Vendola, Rizzo. Così come il record delle privatizzazioni in Europa e i CPT per gli immigrati. La più grande detassazione dei profitti di banche e imprese degli ultimi decenni (riduzione dell'IRES dal 34 al 27,5%) fu realizzata nel 2007 dal secondo governo Prodi, in cui sedeva da ministro Paolo Ferrero. Così per l'aumento delle spese militari e il finanziamento delle missioni di guerra.

I due governi Prodi (1996/98 e 2006/2008), con queste politiche, hanno occupato complessivamente cinque anni di governo negli ultimi venti anni, la durata di una legislatura. Dobbiamo cancellarli da un bilancio politico, come non fossero esistiti? Non si dica (per chi lo dice) che sono stati “errori”. Sono stati crimini sociali e politici. Se dobbiamo rompere con chi ha contribuito a distruggere la credibilità della sinistra, questo criterio non dovrebbe forse valere per tutti?


PASSATO E FUTURO 
Si dirà che tutto questo riguarda il passato e che ora dobbiamo guardare al futuro. Ma è falso. Il bilancio del passato riguarda proprio il futuro. Senza un bilancio del passato ci si condanna infatti a riviverlo.

L'appello originario del Brancaccio rivendica una lunga serie di obiettivi sociali e democratici (difesa del lavoro, progressività fiscale, protezione dei migranti, rifiuto della guerra...). Tutti nobili intenti. Ma questi intenti non figuravano forse regolarmente in tutti i programmi di tutte le sinistre (Rifondazione, SEL, Tsipras, Lula...) spesso oltretutto in termini più radicali? Perché allora si sono realizzate, una volta al governo, politiche opposte?

La verità è che accettare il sistema capitalista e ambire a governarlo significa gestire la sua miseria, al di là di ogni promessa. Lo spazio riformistico fu possibile nel dopoguerra quando c'era il boom ed esisteva l'URSS. Dopo la restaurazione del capitalismo in Russia (per mano della burocrazia stalinista) e l'irrompere della grande crisi, il capitalismo si riprende ovunque quanto era stato costretto a concedere. Dentro l'euro e fuori dall'euro, e con i governi di ogni colore. Cosa dimostra oggi l'esperienza di Syriza in Grecia, se non questo? Si promettevano riforme sociali, si è realizzata la continuità della troika. Non diversamente va in Portogallo dove Partito Comunista e Bloco De Esquerda votano una finanziaria che taglia del 30% gli investimenti pubblici. La realtà è che i gruppi dirigenti della sinistra non hanno altro orizzonte che il governo “progressista” del capitalismo, nonostante e contro l'esperienza della storia. Per questo condannano il proprio popolo a passare di sconfitta in sconfitta, ogni volta nel nome del “nuovo” e sempre ripetendo il “vecchio”.


PER UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA.
PER UNA SINISTRA DI CLASSE E RIVOLUZIONARIA 


La “sinistra che non c'è ancora” può essere solo una sinistra rivoluzionaria.
Non una generica sinistra “civica” di cittadini progressisti. Né una sinistra che metta insieme sovranismi nazionalisti e costituzioni borghesi. Ma una sinistra di classe, schierata sempre e dovunque dalla parte dei lavoratori, impegnata nella unificazione delle loro lotte e resistenze sociali, a partire dalle rivendicazioni più semplici; ma soprattutto impegnata a ricondurre ogni lotta di opposizione e di resistenza all'unica prospettiva di alternativa vera: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro organizzazione e la loro forza, che rompa col capitalismo e riorganizzi da cima a fondo la società.

Nessuno dei nobili intenti di miglioramento sociale, democratico, ambientale, elencati dal Brancaccio o da Acerbo può essere realizzato nel rispetto del capitalismo. La riduzione dell'orario di lavoro a 30 ore a parità di paga può essere perseguita solo rompendo frontalmente con un padronato che allunga ovunque orari e sfruttamento. La lotta all'evasione fiscale è inseparabile dalla lotta per la nazionalizzazione delle banche (vero tempio della grande evasione), senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori. L'investimento massiccio in risanamento ambientale e servizi non è possibile senza l'abolizione del debito pubblico verso le banche e le compagnie di assicurazione, che oggi intascano 80 miliardi l'anno di soli interessi.

Si invoca l'applicazione della Costituzione. Ma la realizzazione degli enunciati progressivi della Costituzione è inseparabile dalla rottura con quel sistema capitalista che questa costituzione (borghese) protegge. È forse possibile realizzare “il diritto al lavoro, alla casa, alla salute, alla dignità sociale” - come recita l'articolo 3 - continuando a rispettare la proprietà privata delle grandi industrie e delle banche, di quella casta dorata del capitale finanziario che concentra nelle proprie mani tutto il potere reale?

Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, imposto da una rivoluzione sociale, può realizzare misure di svolta e consentire una democrazia vera.

Certo, la coscienza dei lavoratori e degli sfruttati è lontana dal comprendere questa verità e prospettiva. Tanto più dopo essere stata demoralizzata e confusa dai gruppi dirigenti fallimentari della sinistra. Ma questa è una ragione in più per lavorare controcorrente nel ricostruire la coscienza di classe e anticapitalista che manca, organizzando innanzitutto attorno a questa prospettiva i settori più avanzati della classe lavoratrice.

Questa è la prospettiva per cui in ogni caso si batte il Partito Comunista dei Lavoratori. Una prospettiva che vogliamo sia presente e riconoscibile, nelle forme possibili, alla prossime elezioni politiche.
Partito Comunista dei Lavoratori