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Il passo del gambero del governo truffa

Il 27 settembre, esattamente due mesi fa, il vicepremier Luigi Di Maio annunciava l'«abolizione della povertà» dai balconi di Palazzo Chigi, mentre il suo sodale-concorrente Matteo Salvini prometteva l'abolizione della Legge Fornero, opponendo alla UE il fatidico, e già sentito, “me ne frego”. 

Due mesi dopo, il contrordine. Dopo la bocciatura della Commissione Europea, dopo l'impennata dei tassi di interesse sui titoli di Stato combinata con la diserzione delle aste, dopo le pressioni del capitale finanziario e di Confindustria, il governo SalviMaio pone all'ordine del giorno la “rimodulazione” della manovra economica. Il termine è aulico, la sostanza inequivoca: "quota 100" e reddito di cittadinanza saranno entrambe oggetto di revisione. 
Intendiamoci, né la Lega né il M5S possono ammainare di colpo le rispettive bandiere, tanto più alla vigilia delle elezioni europee. La confezione d'immagine sarà dunque il più possibile salvaguardata. Ma sotto la confezione, il contenuto della merce sarà ulteriormente svuotato e impoverito, nella direzione richiesta dal capitale finanziario. Il gambero allunga il suo passo, naturalmente all'indietro. 


C'ERA UNA VOLTA L'ABOLIZIONE DELLA FORNERO

L'abolizione della famigerata legge Fornero è durata solamente per la campagna elettorale. Già il contratto di governo trasformava l'abolizione della Fornero in "quota 100" (somma dell'età anagrafica e contributiva). Poi la stessa “quota 100” ha visto l'introduzione del vincolo dei 38 anni di contributi, ciò che inevitabilmente alza la quota richiesta per centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, con una forte penalizzazione delle donne; e inoltre comporta un'inevitabile riduzione dell'assegno, per via dei minori contributi, per tutti coloro che andranno in pensione anticipatamente rispetto ai 67 anni (il tetto della pensione di vecchiaia stabilito dalla Fornero che resta intatto). 

Ora il nuovo negoziato con la Commissione Europea trascina una nuova corsa al ribasso. Da un lato si rinvia l'entrata in vigore della riforma e si dilatano i tempi di accesso al pensionamento (le cosiddette finestre, tre mesi nel settore privato, sei nel settore pubblico) con l'obiettivo dichiarato di ridurre la spesa. Dall'altro, si mira a ridurre ulteriormente la platea degli interessati, allungando sino a cinque anni il divieto di cumulo con altre fonti di reddito. Lo scopo complessivo dell'operazione è rivelato dal quotidiano di Confindustria: «traghettare da quota 100 ai 41 anni per tutti per il 2023, quando oltre il 65% dei nuovi pensionati avranno un calcolo misto (retributivo più contributivo) e il coefficiente di trasformazione del montante in pensione a 62 anni sarà più penalizzante rendendo naturale il contenimento delle future uscite» (27 novembre). Detto in linguaggio più semplice, si punta a ridurre il ricorso alla pensione anticipata attraverso la deterrenza della “naturale” riduzione degli assegni. In altri termini, una riforma che doveva “abolire” la Fornero punta a spingere i lavoratori il più possibile a “scegliere” di andare in pensione all'età di vecchiaia prevista dalla Fornero. Mentre, in ogni caso, i giovani d'oggi restano condannati dalla riforma a un immutato destino: chi mai maturerà 38 anni di contributi, col precariato dilagante, e a quanto ammonterà una futura pensione interamente contributiva? 


SI CHIAMAVA REDDITO DI CITTADINANZA

Non va diversamente col cosiddetto reddito di cittadinanza. 

Nel 2013 il M5S presentava una proposta di legge che prevedeva di stanziare 17 miliardi l'anno a favore di 9 milioni di poveri, attraverso un reddito minimo di 780 euro al mese. Il famoso contratto di governo recepiva questa proposta di legge, aggiungendovi la pensione di cittadinanza per i pensionati poveri. 
Poi il disegno di legge di bilancio presentato dal governo, ed oggi all'esame della Camera, ha dimezzato al piede di partenza la proposta di legge originaria: i fondi stanziati passano da 17 a 9 miliardi, la platea dei destinatari passa da 9 milioni a 5 milioni. Più precisamente, in base all'indicatore della ricchezza familiare (Isee), assunto come parametro di riferimento della povertà assoluta, si tratterebbe di 1.800.000 famiglie cui destinare mediamente 370 euro al mese. 
La riduzione di cifra e platea si è combinata non a caso con una progressiva moltiplicazione di vincoli: obbligo di otto ore settimanali di lavoro gratuito presso il comune, obbligo di partecipazione a corsi di formazione, obbligo di accettazione, entro il limite di tre, delle offerte di lavoro (anche precarie, e dalla seconda offerta senza limiti distanza geografica dalla residenza), esclusione degli stranieri con meno di cinque anni di residenza. Di fatto, un incentivo al lavoro precario, nella logica della concorrenza al ribasso dei salari. 

Ora il negoziato con la UE, combinato con le pressioni di Lega e Confindustria, comporta un ulteriore passo indietro. Da un lato si sposta in avanti la data di partenza del reddito (di tre mesi, probabilmente) e si parla di una sua durata sperimentale di 18 mensilità. Dall'altro, si trasforma il reddito in un incentivo per l'impresa o per l'agenzia interinale che assume il disoccupato: tre mensilità intascate dall'impresa o dall'agenzia (Di Maio), o addirittura l'intera corresponsione all'impresa dei sussidi previsti (proposta di Armando Siri, Lega). Così, dopo i 18 miliardi di sgravi contributivi regalati da Renzi per tre anni alle imprese, queste verrebbero a intascare in tutto o in parte la posta equivalente del reddito “di cittadinanza”. È l'ennesima forma di assistenza alle imprese nel nome della lotta alla povertà. Il Sole 24 Ore del 27 marzo plaude alla nuova offerta: “Reddito di cittadinanza, sgravi alle aziende”, titola festoso. Così il presidente di 4.Manager Stefano Cuzzilla: «Se confermato è un cambio di passo positivo a favore delle politiche attive che auspichiamo siano ulteriormente incentivate». I padroni sentono l'inconfondibile profumo dei soldi, e non si sbagliano. 


UN GOVERNO DEI CAPITALISTI COL CONSENSO (SINORA) DELLE LORO VITTIME

Vedremo in corso d'opera lo sbocco del negoziato con la Commissione Europea e all'interno dello stesso governo. Ma la direzione di marcia è tracciata. Il “governo del cambiamento” è la finzione scenica di un governo truffa. Si cambia tutto per non cambiare nulla. Si continua a detassare le imprese, mentre i salariati reggono sulle proprie spalle l'80% del carico fiscale. Si continua a pagare il debito pubblico alle banche, con tassi di interesse oltretutto in crescita, riducendo a elemosina le concessioni sociali. 
Siamo in presenza di un governo dei capitalisti con sembianze mutate. Un governo che continua a ingrassare i padroni col consenso (sinora) delle sue vittime. Fino a quando?
Partito Comunista dei Lavoratori

Solidarietà a Ri-Maflow e al compagno Massimo Lettieri

Ordine del giorno del Comitato Centrale del PCL

25 Novembre 2018
Il Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori esprime la totale solidarietà ai compagni dell'occupazione dello stabile dell'ex fabbrica metalmeccanica Maflow, di Trezzano sul Naviglio.
Se lo Stato e la magistratura hanno messo in mostra fin da subito la propria sudditanza alle logiche del mercato e agli interessi del capitale, opponendo ogni sorta di ostacolo possibile al progetto e allo sforzo dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte, fino all'arresto vessatorio del presidente della neonata cooperativa Massimo Lettieri – cui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza, oggi questo attacco viene spinto fino alla minaccia di sgombero dello stabile in data 28 novembre 2018.
Il Comitato Centrale del PCL si impegna a sostenere attivamente la resistenza allo sgombero e ribadisce la propria solidarietà all'occupazione e al compagno Massimo Lettieri, così come a tutte le altre occupazioni e resistenze alle dismissioni industriali. Invitiamo a sostenere economicamente l'attività colpita dalle misure giudiziarie finalizzate a stroncare gli sforzi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Vengano processati ed arrestati i padroni, che hanno delocalizzato e costretto alla fame e all'occupazione i lavoratori e le lavoratrici, requisendo loro proprietà e beni al fine di finanziare la ripresa di un'attività produttiva.
Venga nazionalizzato sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici tutto il progetto, al fine di regolarizzare e fornire dei finanziamenti e permessi necessari l'attività lavorativa.
Venga immediatamente liberato e vengano fatte decadere immediatamente tutte le accuse nei confronti del compagno Massimo Lettieri.
Partito Comunista dei Lavoratori

PER UN MONDO SENZA FRONTIERE E SFRUTTAMENTO

PER UN'ALTERNATIVA SOCIALISTA

Il Partito comunista dei lavoratori parteciperà ai presidi indetti il 26 novembre dalle organizzazioni sindacali di base CUB, SGB, SI COBAS e USI davanti alle prefetture contro il Decreto sicurezza 
A Bologna il presidio è indetto da SGB alle ore 12 in Piazza Roosvelt:
https://www.sindacatosgb.it/it/ter/emilia
Di seguito il testo del volantino che distribuiremo










Nessuno si aspettava l'inquisizione spagnola!

Il 24 novembre tutte e tutti in piazza!

23 Novembre 2018
Testo del volantino che verrà distribuito al corteo di Non Una di Meno
Nessuno si aspettava l'inquisizione spagnola. Eppure le politiche clericali, familiste e discriminatorie del governo giallo-verde nei confronti delle donne, dei minori, così come delle persone LGBT evidenziano il trionfo del peggior oscurantismo religioso.
Dall'attacco alla salute sessuale delle donne e alla 194 alla nuova santificazione della famiglia patriarcale e nazionalpopolare attraverso i “premi di maternità” dal retrogusto fascista, passando per la delegittimazione dei centri antiviolenza e dei consultori, ma anche attraverso il Disegno di legge Pillon, che concepisce i figli come “proprietà” dei genitori e non come soggetti di diritto, e che castiga le donne che vogliono abbandonare i (tanti) mariti violenti o comunque le scoraggia – anche attraverso il ricatto economico – dal desiderio di iniziare una nuova vita, rendendo l'esperienza della separazione e del divorzio macchinosa, economicamente dispendiosa e dolorosa.

Dopo anni di denunce e battaglie per far emergere la realtà della violenza domestica, e dopo altrettante mobilitazioni portate avanti per costruire gli strumenti di difesa e di autonomia delle donne e dei minori, è evidente che la politica del governo giallo-verde è quella di spazzare via le conquiste del movimento femminista e di far tornare a essere la violenza maschile sulle donne e sui figli un affare privato, di cui non si deve parlare, non si deve sapere, e che comunque non può divenire un “pretesto” per mettere in discussione l'istituto familiare e la subalternità femminile alla famiglia.

Questo perché la sacra famiglia è innanzitutto un supplente di quel welfare che lo Stato non intende più garantire alle classi popolari e lavoratrici per poter abbassare le tasse ai capitalisti e pagare il debito delle banche, ma è anche il terreno della costruzione dell'egemonia della Chiesa cattolica, ossia della più grande monarchia assoluta esistente al mondo, corresponsabile di genocidi nella lunga storia dell'umanità, alleata dei regimi fascisti (da Mussolini a Franco a Pinochet), coinvolta su scala planetaria nella pratica o copertura della pedofilia criminale sino alle più alte sfere; quella che ha il coraggio di chiamare assassine le donne che interrompono la propria gravidanza, e sicari i medici che le aiutano.

Le sfide che hanno di fronte a sé le donne e tutti i soggetti oppressi della società sono grandi. Per questo è necessaria la costruzione di un fronte vasto che unifichi il movimento delle donne, la rete dei centri antiviolenza, tutte le associazioni democratiche e antifasciste, le organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici per costruire un'opposizione a questo governo e alle sue politiche reazionarie.
Ma è anche necessario prendere atto che non ci sarà alcuna liberazione delle donne che non preveda la messa in discussione dei privilegi politici ed economici della Chiesa cattolica in Italia come nel mondo: per questo rivendichiamo l’abolizione unilaterale del Concordato fra Vaticano e Stato, l’esproprio senza indennizzo di tutte le grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche, e in definitiva l’abolizione di tutti i privilegi fiscali, giuridici, normativi, assicurati alla Chiesa cattolica, a partire dalla truffa dell’8 per mille e dall’insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica.
Partito comunista dei lavoratori - sezione di Roma

Le ruspe a cinque stelle di Salvini

Il ministro degli Interni e la sindaca di Roma si disputano il controllo dell'Urbe ma si accordano contro i migranti. Le ruspe di questa mattina contro il Baobab di Roma, con centinaia di migranti gettati su una strada, hanno avuto l'imprimatur di entrambi. “Nessuno spazio di illegalità sarà più tollerato”, ha tuonato via facebook il ruspante Matteo Salvini. Una concezione della legalità a proprio uso e consumo. I suoi amici fascisti di CasaPound, sostenitori dichiarati del suo governo, possono tranquillamente continuare ad occupare interi palazzi nel centro di Roma a due passi da stazione Termini, ma gli immigrati non possono disporre neppure di tende di fortuna. Neppure gli immigrati “regolari”, già coperti dalla protezione umanitaria, che ora il Decreto sicurezza espelle dagli SPRAR, e che avevano trovato in questi giorni un rifugio proprio presso il Baobab. Tutti in strada, si arrangi chi può, nel nome della legge e dell'ordine. Lo stesso ordine che offre condoni su condoni ai grandi evasori fiscali; lo stesso che benedice il licenziamento di una lavoratrice Ikea, dopo vent'anni di lavoro, colpevole di aver violato la “disciplina aziendale” per provvedere al proprio figlio disabile.
Quest'ordine non è riformabile. È un mondo capovolto che si appoggia sulla testa. Solo una rivoluzione può rimetterlo in piedi.
Partito Comunista dei Lavoratori

Contro il ddl Pillon e le politiche reazionarie del governo!

In questo ultimo anno la destra cattolica e quella fascista si sono fatte molto più spavalde, e certamente l'insediamento del nuovo governo Salvini-Di Maio si è rivelato per loro un terreno proficuo per fare affari d'oro sulla pelle delle donne.
Solo nelle ultime settimane a Verona la giunta leghista, con i voti anche della capogruppo del PD, ha approvato una delibera in cui si dichiara Verona “città a favore della vita” e si promuovono fondi da destinare ad associazioni cattoliche antiabortiste. La stessa operazione è stata tentata sia a Milano che a Roma, dove tra l'altro la giunta grillina guidata da Virginia Raggi sta portando avanti da più di un anno una guerra senza quartiere ai centri antiviolenza, ai consultori e alle case delle donne.
Lo stesso neoministro leghista della “famiglia e disabilità” Lorenzo Fontana è attivo insieme ai fascisti di Forza Nuova nel Comitato No 194, che ha l'evidente obiettivo di abolire attraverso un referendum la legge 194, e di ottenere l'applicazione di condanne fino agli 8 anni di carcere sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza che per i medici che la praticano.
Dal canto suo Papa Francesco, da vero galantuomo compassionevole qual è, per mostrare la riconoscenza della Chiesa cattolica per la piega assunta dai partiti di governo, ha pensato bene di dire che abortire è come assoldare un sicario.

Il nuovo governo non si limita però solo a discriminare o togliere autonomia alle donne nelle scelte che riguardano la propria salute sessuale, ma attacca anche il loro legittimo diritto all'autodeterminazione in senso più ampio.
Il governo Salvini-Di Maio, espressione più autentica della piccola e media borghesia bigotta e rancorosa, ha fatto della difesa della proprietà privata in tutte le sfere della società il suo principale asse politico. In questo senso, la torsione familista in chiave nazionalpopolare e patriarcale è il principio alla base della recente proposta di legge in materia di separazione, divorzio e affido dei minori promossa dal leghista Simone Pillon, fondatore del Family Day.
Il ddl Pillon infatti, perseguendo un astratto principio di “equiparazione” dei compiti genitoriali, introduce alcune proposte irrazionali e discriminatorie sia per le donne che per i minori. Innanzitutto obbliga i coniugi con figli che avviano il percorso di separazione a ricorrere obbligatoriamente e a proprie spese a un “mediatore familiare”, una figura pseudoprofessionale molto nebulosa di cui non si capiscono quali sarebbero i compiti e le competenze. Già solo questo primo aspetto mette in evidenza la natura classista di questa riforma, poiché i soggetti economicamente deboli non sarebbero in grado di coprire le spese del “mediatore”. Inoltre, la mediazione obbligatoria non tutela in alcun modo le donne che scappano da una situazione di abuso domestico, anzi le espone ulteriormente alla violenza dei partner.
Il ddl Pillon inoltre prevede la cancellazione degli assegni familiari e introduce il mantenimento diretto dei figli, non tenendo nuovamente conto del fatto che la disparità economica fra uomini e donne è un fatto reale, e che si è ulteriormente acuito in dieci anni di crisi economica.
Questo disegno di legge inoltre è controverso e problematico anche dal punto di vista dei minori, poiché concepisce i figli come “proprietà”, oggetti e non soggetti di diritto, beni materiali da spartire equamente fra i genitori. Infatti il concetto di bigenitorialità e la doppia domiciliazione ledono il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità, e all’espressione delle loro esigenze e volontà, riportando la genitorialità all'idea di potestà sui figli anziché a quella di responsabilità.
Infine, se viene introdotto il concetto di alienazione parentale, il minore perde di fatto il diritto di esprimersi in merito al proprio benessere e alla propria autodeterminazione e tutela; così se viene manifestato il rifiuto palese a vedere o vivere con uno dei due genitori da parte del figlio, per Pillon ciò è avvenuto poiché c'è stata manipolazione del minore da parte dell'altro genitore, e la legge interviene invertendo il domicilio e il figlio viene obbligato a trasferirsi proprio in casa del genitore che ha rifiutato di vedere. Sembra inequivocabilmente che il ddl Pillon voglia castigare le donne che vogliono abbandonare i (tanti) mariti violenti, o comunque scoraggiarle dal desiderio di iniziare una nuova vita, rendendo l'esperienza della separazione e del divorzio macchinosa, economicamente dispendiosa e dolorosa.

Questa idea reazionaria di figli come “proprietà” non si manifesta solo nella legislazione in materia familiare.
Proprio Pillon, lo scorso marzo, aveva attaccato pubblicamente alcune iniziative didattiche promosse nelle scuole di Brescia, additandole come stregoneria: «Nelle scuole della mia Brescia, dopo il Gender, sono arrivati a imporre la stregoneria, ovviamente all'insaputa dei genitori» (1).
Anche Radio Maria e la stampa cattolica avevano sguaiatamente sostenuto e rilanciato le preoccupazioni di Pillon. In realtà con “stregoneria” veniva additato un normalissimo progetto interculturale promosso dalla biblioteca civica e finanziato dal comune, in cui venivano raccontate fiabe e racconti dal mondo.
Ma l'aspetto più significativo e simbolicamente violento di questa vicenda è contenuto in un passaggio dell'intervento del senatore leghista che è stato di fatto ignorato dai media ma che è emblematico della sua cultura della proprietà privata dei figli: «Appena insediato farò un'interrogazione parlamentare su questa vergognosa vicenda, perché è la Costituzione a garantire il diritto dei genitori, e solo dei genitori, a educare i figli». Al di là dei toni macchiettistici, il principio per cui bisogna garantire il "diritto dei genitori, e solo dei genitori, a educare i propri figli" è estremamente reazionario e perfettamente in linea con il progetto di smantellamento della scuola pubblica che da ormai vent'anni viene portato avanti. Se è solo un diritto dei genitori l'educazione dei figli, come possiamo porci nei confronti di quelle famiglie che ad esempio segregano in casa la figlia adolescente perché non accettano il fatto che sia lesbica? (2)

Dunque, dopo anni di denunce e battaglie del movimento femminista per far emergere la realtà della violenza domestica e dopo altrettante mobilitazioni portate avanti per costruire gli strumenti di difesa e di autonomia delle donne e dei minori, è evidente che la politica del governo giallo-verde è quella di spazzare via le conquiste del movimento delle donne e di far tornare a essere la violenza maschile sulle donne e sui figli “un affare privato”, di cui non si deve parlare, non si deve sapere, e che comunque non può divenire un “pretesto” per mettere in discussione l'istituto familiare e la subalternità femminile alla famiglia.
Infatti, mentre si tagliano milioni di euro alla scuola pubblica, alla sanità e allo stato sociale in generale per poter finanziare la detassazione dei padroni e coprire il debito delle banche, la “manovra del popolo” prevede che alle famiglie che generano il terzo figlio venga regalato un pezzo di terra. È evidentemente un ritorno grottesco al premio di maternità di stampo fascista, orpello ideologico al fatto che è proprio la donna in ultima istanza a essere chiamata – e costretta – a fare da supplente di quel welfare pubblico che lo Stato non intende più garantire. La famiglia viene messa – per lo meno ideologicamente – al di sopra di tutto, soprattutto della libertà e del benessere delle donne e dei figli.




(1) http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/03/14/news/dopo-il-gender-e-allarme-streghe-la-battaglia-del-neosenatore-leghista-nelle-scuole-1.319535 .

(2) http://www.today.it/citta/ragazza-17-anni-lesbica-segregata-casa-roma-gay-center.html .
Chiara Mazzanti

Santi privilegi, governo genuflesso

La Corte di Giustizia Europea ha sentenziato che lo Stato italiano dovrà recuperare enormi arretrati sulla vecchia imposta comunale relativa ai beni ecclesiastici (scuole, cliniche, alberghi, strutture turistiche...). Qualcosa che oscilla tra i 4 e i 5 miliardi.

Si tratta di privilegi scandalosi, garantiti dai famigerati Concordati e soprattutto codificati da tutti i governi capitalistici, gli stessi che in questi decenni hanno imposto ai lavoratori lacrime e sangue con la benedizione del clero. Il governo Amato, nel mentre picconava pensioni e risparmi, decretava l'esenzione fiscale per i beni del clero (1992). Il governo Berlusconi, che tagliava otto miliardi alla scuola pubblica, confermava la loro esenzione totale (2005). Il governo Prodi (Rifondazione Comunista inclusa) sanciva che l'esenzione avrebbe riguardato solo “gli edifici adibiti ad attività non esclusivamente commerciali” (2007), laddove l'avverbio “esclusivamente” serviva alla Chiesa per mantenere l'esenzione per una miriade di proprietà finalizzate al lucro ma provviste di una cappella. Una truffa. Oggi le scuole cattoliche di ogni ordine e grado (8800) che hanno rette inferiori ai settemila euro sono esentate da IMU e TARI. Lo stesso vale per le strutture sanitarie assistenziali cattoliche (ambulatori, ospedali, case di cura...) che sono convenzionate con la struttura sanitaria nazionale. Per non parlare degli alberghi ecclesiastici (uno su quattro a Roma) che al 50% non versano un euro di IMU. Si potrebbe continuare.

E ora? Ora assistiamo all'imbarazzato mutismo di tutti gli attori politici di fronte alla sentenza europea. Per applicare la sentenza della Corte Europea sarebbe necessaria una legge. Ma chi vuole intestarsi questa legge, o anche solo la sua proposta? Nessuno.

I vecchi partiti liberali di centrosinistra e centrodestra, organicamente legati al capitale, e dunque anche al Vaticano, se ne guardano bene. Il loro europeismo si arresta di fronte alla Chiesa. I nuovi partiti borghesi populisti oggi al governo fanno lo stesso. Altro che “governo del cambiamento”! Il M5S ha pubblicamente dichiarato che ha da tempo archiviato la pratica (“se ne occupava in passato il senatore Perilli, che ora non sta trattando alcun provvedimento inerente alla sentenza”). Come dire un conto l'opposizione, un conto il governo. La Lega ha dichiarato che la sentenza europea è un'operazione “contro l'Italia, perché sanno benissimo che non potremo chiedere alla Chiesa quelle cifre”. Del resto, chi poteva attendersi il contrario? Il premier Conte ardente fedele di Padre Pio; Di Maio reverente verso le lacrime di San Gennaro; Salvini impugnatore di crocifissi durante i comizi, potrebbero mai entrare in collisione con la Chiesa? Non si tratta peraltro di convinzioni individuali, religiose o meno. Si tratta dei legami materiali tra il capitale finanziario con cui i partiti borghesi - di ogni colore - governano e il fiorente capitalismo ecclesiastico che del capitale finanziario internazionale è parte integrante e inseparabile.

La sentenza europea può forse servire a Bruxelles nel negoziato in corso col governo italiano sulle politiche di bilancio. Di certo non servirà per incassare i soldi evasi dalla Chiesa.

La verità è che solo la classe lavoratrice può porre nel proprio programma la totale abolizione dei privilegi clericali, perché è l'unica classe che può rovesciare il capitale, e dunque il capitalismo ecclesiastico. Partiti borghesi e populisti stanno tutti dall'altra parte della barricata, compreso il governo “del popolo”, più che mai genuflesso all'Altare.
8 novembre 2018
Partito Comunista dei Lavoratori

10 NOVEMBRE MANIFESTAZIONE NAZIONALE

Sabato, 10 Novembre 2018 alle ore 14.00 - Piazza della Repubblica ROMA

È il momento di reagire, mobilitarsi e unirsi contro gli attacchi del governo, a cui Minniti ha aperto la strada, contro l’escalation razzista e il decreto Salvini che attacca la libertà di tutte e tutti. 
– Per il ritiro immediato del Decreto immigrazione e sicurezza varato dal governo. NO al disegno di legge Pillon. 
– Accoglienza e regolarizzazione per tutti e tutte. 
– Solidarietà e libertà per Mimmo Lucano! Giù le mani da Riace e dalle ONG. 
– Contro l’esclusione sociale. 
– No ai respingimenti, alle espulsioni, agli sgomberi. 
– Contro il razzismo dilagante, la minaccia fascista, la violenza sulle donne, l’omofobia e ogni tipo di discriminazione. 


Il Partito Comunista dei Lavoratori parteciperà alla manifestazione.

7 NOVEMBRE 1944: PORTA LAME. LA BATTAGLIA DI IERI PER UNA LOTTA CHE CONTINUA OGGI


Il 7 novembre celebriamo a Bologna la battaglia di Porta Lame, una delle più grandi battaglie partigiane in una città europea durante la II guerra mondiale.
 Il 7 novembre è anche la ricorrenza storica della Rivoluzione d’ ottobre a cui guardavano i partigiani rossi che componevano la 7 G.A.P. e le Brigate Garibaldi, le formazioni che diedero battaglia quel giorno nella speranza di far insorgere tutta Bologna contro fascisti e nazisti.
Nell’immediato era necessario sconfiggere militarmente le forze fasciste repubblichine e i nazisti, ma i partigiani di estrazione proletaria non volevano limitarsi a questo. Non volevano il ritorno del vecchio regime monarchico liberale, nel cui alveo e con la cui complicità era nata la violenza fascista finanziata dal grande padronato industriale  e dalla grande proprietà terriera. Insomma volevano farla finita per sempre allora e per il futuro con ogni forma di fascismo e con la dittatura dei padroni.
La storia purtroppo ci ha consegnato un esito diverso: al riparo di una costituzione “antifascista” lo stato borghese ha realizzato la propria continuità nelle istituzioni, nelle leggi e perfino nelle persone del regime fascista. E’ stato riedificato il capitalismo che con le sue smanie imperialiste aveva aizzato il fascismo, le conquiste coloniali fino alla guerra mondiale. Il sogno socialista dei partigiani rossi si è infranto perché è stato tradito dalle direzioni opportuniste dei principali partiti della sinistra, il PCI e il PSI, interessati a garantire il potere dei capitalisti pur di avere un giorno la speranza di andare al governo.
Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti i sinceri antifascisti: il governo Lega-Cinquestelle riecheggia nei proclami xenofobi e nei provvedimenti di stampo nazionalista e “sovranista” (“prima gli italiani”) i grandi proclami del ventennio fascista. Nel Paese, le sparate di Salvini spandono i mefitici miasmi razzisti tra le classi popolari, come allora contro le popolazioni africane (guerra in Libia e in Etiopia) e gli ebrei (leggi razziali). I diritti dei lavoratori sono compressi, i salari impoveriti, mentre la borghesia possidente continua a godere di sgravi fiscali e condoni. Infine questo terreno è fertile per la crescita militante delle formazioni neofasciste e neonaziste come Casapound e Forza Nuova impegnate nel sviluppo di una violenta campagna contro i migranti, i centri sociali e gli attivisti della sinistra.
La lotta, dunque, deve continuare.
La lotta deve continuare dal versante della classe lavoratrice e dei ceti popolari, gli unici interessati a cambiare l’ordine sociale da cui continuamente scaturiscono le organizzazioni fasciste.
La lotta partigiana di ieri si ricollega alla necessità della lotta antifascista e antirazzista di oggi. 

Tutti a Roma sabato 10 novembre!

MANIFESTAZIONE ANTIRAZZISTA
SABATO 10 NOVEMBRE ORE 14 – ROMA
Info.: 3391636764


FB Antifascismo di classe


Il nostro 7 novembre

Organizzazioni e partiti che hanno rimosso dal proprio programma la Rivoluzione d'ottobre le riservano generalmente ogni 7 novembre una dedica rituale e retorica spesso infarcita di falsificazioni storiche. Per noi vale esattamente l'opposto. Noi cerchiamo di far vivere la Rivoluzione d'ottobre nella nostra politica di ogni giorno, immettendo la tensione verso il fine in ogni battaglia quotidiana: sul terreno sindacale, femminile, studentesco, antirazzista, antifascista, internazionalista. Perché solo il rovesciamento dello Stato borghese, la conquista proletaria del potere, il governo dei lavoratori e delle lavoratrici, possono dare prospettiva a tutte le rivendicazioni e ragioni delle masse oppresse e sfruttate. Oggi come un secolo fa.

Il 7 novembre non è dunque per noi una memoria ma un programma. È a questo programma che vogliamo riservare una memoria.

È una memoria particolare. Riguarda la pulsione internazionale della rivoluzione bolscevica, il suo concepirsi come inizio della rivoluzione mondiale e in funzione di essa. È questo l'aspetto del bolscevismo che più è stato rimosso. Anche per questo ci pare importante rievocarlo.


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Il primo atto dell'insurrezione bolscevica di novembre consistette nell'ordine impartito a tutti i comitati di compagnia e di reggimento e di armata sul fronte russo di dare inizio alla fraternizzazione con i tedeschi, di concludere immediati trattati di armistizio provvisorio con le unità militari schierate sull'altro lato del fronte.

La notte dell'8 novembre, al Congresso dei Soviet, Lenin lesse il decreto per la pace:

«Nell'indirizzare questa proposta di pace ai governi e ai popoli di tutti i paesi belligeranti, il governo operaio e contadino di Russia si rivolge in particolare agli operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell'umanità [...]: alll'Inghilterra, alla Francia, alla Germania. Gli operai di questi paesi hanno reso i più grandi servigi alla causa del progresso e del socialismo: il movimento cartista in Inghilterra, le rivoluzioni portate avanti in successione dal proletariato francese, l'eroica lotta in Germania contro le leggi eccezionali antisocialiste e il lavoro lungo e ostinato [...] per la creazione di organizzazioni proletarie. [...] Questi esempi ci danno la garanzia che gli operai di questi paesi comprenderanno il loro compito, che consiste nel liberare l'umanità dagli orrori della guerra. Questi stessi operai ci aiuteranno nella nostra lotta per la pace e per la liberazione di tutte le classi lavoratrici dalla schiavitù e dallo sfruttamento nel mondo intero.»

Parallelamente fu lanciato un appello ai soldati tedeschi, stampato in milioni di copie, e non soltanto fatto passare clandestinamente da una parte all'altra del fronte, ma lanciato dagli aeroplani sul territorio della Germania:

«Soldati, fratelli, il 25 ottobre (secondo il vecchio calendario) gli operai e i soldati di San Pietroburgo hanno rovesciato il governo imperialista di Kerenskij e consegnato tutto il potere nelle mani dei soviet dei delegati degli operai, dei soldati, dei contadini. Il nuovo governo [...] ha avuto la fiducia del Congresso panrusso dei soviet. [...] Il nostro programma [...] comprende un'offerta di pace democratica immediata [...], il passaggio senza indennizzo di tutta la terra ai contadini [...], il controllo operaio sulla produzione e le attività industriali [...] Consideriamo nostro compito rivolgerci a voi in particolare in quanto appartenete a un paese che si trova alla testa della coalizione imperialista contro la Russia su un fronte tanto esteso.
Soldati, fratelli, vi chiediamo di schierarvi dalla parte del socialismo con tutte le vostre forze nella lotta per una pace immediata, perché questo è l'unico mezzo per assicurare una pace equa e duratura alle classi lavoratrici di tutti i paesi, e per sanare le ferite che l'attuale guerra criminale, la più criminale della storia, ha inflitto all'umanità.
»

Questo proclama fu accompagnato dall'”Appello alle masse lavoratrici e sfruttate di tutti i paesi”, tradotto in tutte le lingue.

Centinaia di migliaia di prigionieri e disertori tedeschi presentarono domanda di cittadinanza - immediatamente accolta - alla nuova Repubblica sovietica. A migliaia si arruolarono nell'Armata Rossa. Saranno i prigionieri tedeschi e austriaci a opporre la più efficace resistenza agli eserciti imperiali di Germania e Austria che avanzavano in Russia dopo Brest-Litovsk. Il primo maggio 1918, mentre assisteva alla parata a Mosca, l'ambasciatore tedesco, Conte Von Mirbach, trasalì alla vista di una compagnia di soldati tedeschi in marcia con le truppe sovietiche, sotto striscioni rossi coperti di scritte rivoluzionarie nella propria lingua.

Il governo tedesco, scandalizzato, ammonì il potere dei soviet che la propaganda rivoluzionaria costituiva una violazione dell'armistizio e dei negoziati di pace. Ma il governo dei soviet che pure aveva un drammatico bisogno di una pace immediata e per questo trattava, approvò il 23 dicembre la seguente risoluzione:

«In considerazione del fatto che il potere sovietico è basato sul principio della solidarietà internazionale del proletariato e sulla fratellanza dei lavoratori di tutte le nazioni, e che la lotta contro la guerra e contro l'imperialismo può avere successo solo se condotta su scala internazionale, il Consiglio dei Commissari del Popolo ritiene necessario venire in aiuto della corrente della sinistra internazionale del movimento operaio di tutti i paesi, con tutti i mezzi possibili, incluso lo stanziamento di fondi, indipendentemente dal fatto che tali paesi siano in guerra con la Russia o siano ad essa alleati o si dichiarano neutrali. A questo scopo il Consiglio dei Commissari del Popolo decide lo stanziamento della somma di due milioni di rubli [...] per le necessità del movimento operaio internazionale.»

L'Internazionale Comunista sarà costituita nel 1919 al servizio della rivoluzione mondiale, in continuità col programma della rivoluzione d'Ottobre.

Lo stalinismo distruggerà il bolscevismo e l'Internazionale, proprio perché rinnegherà il suo programma. Anche per questo la vera memoria dell'Ottobre è patrimonio del marxismo rivoluzionario, non di altri.
Partito Comunista dei Lavoratori

Dissesto idrogeologico, decine di morti. Un solo responsabile: il profitto

Gli eventi che si sono abbattuti sull'Italia negli ultimi giorni non sono solo “naturali”. Non lo sono i cambiamenti climatici planetari, legati al lungo ciclo delle energie fossili, che oggi si riversano con mareggiate anomale sulle coste liguri, con venti mai visti sulle montagne del bellunese, con straripamenti più intensi e frequenti di fiumi e torrenti. Non lo sono soprattutto le decine di morti che questi eventi hanno prodotto.

“Ogni volta dobbiamo lamentare con le stesse parole le stesse tragedie”, recita ipocrita la stampa borghese. Qualche intervista, qualche inchiesta, la rituale invocazione al governo di turno di misure risolutive. E il governo di turno annuncia ogni volta mirabolanti investimenti, riorganizzazione della protezione civile, rigore ambientale. Un mare di chiacchiere, in attesa della tragedia successiva.

La verità è che queste tragedie hanno un solo responsabile: la società capitalista, la dittatura del profitto. La stessa che ha minato il Ponte Morandi, la stessa che dissesta il territorio italiano.

Il suolo italiano è divorato dalla speculazione edilizia come nessun altro paese. Otto metri quadri al secondo con una demografia zero. Senza edilizia popolare ma con sette milioni di appartamenti sfitti. L'abusivismo che inghiotte intere regioni (Campania, Sicilia) è legato a questa realtà. Si delega ai comuni l'onere del risanamento nello stesso momento in cui li si priva con i Patti di Stabilità delle risorse minime necessarie. I comuni (tutti) ricorrono all'urbanistica contrattata per incassare gli oneri di urbanizzazione, e così si affidano ai costruttori che dettano loro piani regolatori a immagine e somiglianza dei propri interessi. Lo stesso vale per la manutenzione dei fiumi, spesso assegnata alle Province. La Legge Delrio e l'abolizione delle Province ha cancellato l'intera manutenzione dei fiumi minori, quelli più incustoditi, privi di argini, causa spesso dei maggiori disastri. Mentre il taglio delle spese operato da ogni legge finanziaria ha colpito anche la Protezione Civile e ha cancellato di fatto il Corpo Forestale incorporandolo ai Carabinieri (decreto legislativo del 19 agosto 2016). Il fatto che il “governo del cambiamento” abbia affidato a un ex ufficiale dei carabinieri, Sergio Costa, il ministero dell'ambiente è il risvolto grottesco di questa politica, per nulla “cambiata”.

Peraltro proprio la Legge di stabilità del governo SalviMaio ne è la conferma. Riassetto idrogeologico, messa in sicurezza antisismica di edifici pubblici e privati, bonifiche ambientali, sono capitoli assenti. Il ministro degli interni attribuisce addirittura la colpa dei disastri all'«ambientalismo da salotto», mentre allarga la maglia dei condoni e taglia ai comuni un altro miliardo, in linea con le finanziarie precedenti. Sarebbe questo il “cambiamento”?

Il ministro dell'ambiente annuncia ora trafelato che sarà destinato alla messa in sicurezza del territorio un miliardo di euro in tre anni. Ma è il nulla: il nulla rispetto al disastro, il nulla a maggior ragione per il risanamento. Che sia il nulla lo conferma involontariamente lo stesso Salvini quando dichiara che per il riassetto idrogeologico sarebbero necessari 40 miliardi, cifra in realtà molto sottostimata. Ma soprattutto lo conferma il Politecnico di Milano, che ha studiato seriamente la materia: per la sola messa in sicurezza degli edifici in muratura servirebbero 36 miliardi; per intervenire sulle strutture in calcestruzzo armato realizzate prima del 1971 il costo salirebbe a 46 miliardi, 56 comprendendo gli edifici in cemento armato; se il lavoro fosse esteso a tutti i comuni si arriverebbe alla cifra di 870 miliardi.

La questione è in realtà strutturale e interroga la natura stessa della società capitalista.

Andiamo al sodo. Perché si tagliano i fondi ai comuni, si taglia sulla Protezione Civile, si elimina il Corpo Forestale, non si destina nulla per il risanamento ambientale? Perché si continuano ad abbassare le tasse sui profitti, come avviene ovunque sul mercato mondiale in omaggio alla concorrenza spietata tra gli Stati capitalisti (all'interno della stessa UE) per attrarre gli investimenti privati. Perché si continua a pagare l'enorme debito pubblico alle banche (prevalentemente italiane) e alle grandi compagnie di assicurazione che hanno investito nei titoli di Stato, e che incassano di soli interessi tra i 70 e gli 80 miliardi ogni anno. Sono peraltro le stesse ragioni per cui si tagliano le spese per la scuola, per la sanità, per i servizi sociali. Oggi come ieri. "Prima gli italiani" significa prima i capitalisti e le banche italiane, poi tutto il resto. E il resto possono essere solo elemosine, per di più centellinate col contagocce.

La verità è che per rimettere in sesto il territorio occorrono risorse enormi che il capitalismo reale non può reperire. Occorre abolire il debito pubblico verso le banche e una tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti, finanziando un grande piano di opere sociali e lavori pubblici, che potrebbe dare lavoro a milioni di disoccupati, immigrati inclusi. Occorre nazionalizzare la grande industria edilizia e le industrie a questa collegate, come l'industria del cemento, che è in mano alla criminalità. Occorre un controllo pubblico sulle leve fondamentali della produzione e del credito, a partire dalla nazionalizzazione delle banche. Senza queste misure si resta in attesa della prossima tragedia, e dell'ennesimo coro della pubblica ipocrisia.

Ma sono misure che solo un governo dei lavoratori può prendere, e solo una rivoluzione può realizzare.
6 Novembre 2018
Partito Comunista dei Lavoratori

C'è del marcio in Vaticano. Nel silenzio di tutti

La triste vicenda di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, due ragazze sequestrate e sparite nel lontano 1983, è tornato alle cronache in questi giorni a seguito del ritrovamento di scheletri ed ossa sotto il pavimento di un palazzo del Vaticano. Al di là degli accertamenti in corso, che avranno (?) i loro sviluppi, va denunciato il retroterra della vicenda, infinitamente più grande. Una vicenda che coinvolge lo IOR - Istituto per le Opere di Religione, la grande banca della Chiesa - con i suoi traffici e relazioni criminali.

Tutti i grandi scandali finanziari italiani hanno coinvolto direttamente lo IOR. Non è un caso. Lo IOR non è una banca qualsiasi. Gli accordi tra il Vaticano e lo Stato italiano consentono allo IOR una operatività di banca offshore, fuori da ogni controllo. Lo IOR assicura assoluta impunità. L'articolo 11 dei Patti Lateranensi afferma infatti: “Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano”. I dirigenti dello IOR non possono dunque essere né indagati né arrestati, né processati in Italia. Lo IOR non può essere perquisito, i telefoni non possono essere intercettati, i dipendenti nemmeno interrogati. Se un qualsiasi altro Stato avvia una rogatoria allo Stato vaticano, la “Santa Sede” non è neppure tenuta a rispondere, perché il Vaticano è l'unico paese in Europa a non aver mai firmato alcuna convenzione giudiziaria con gli altri Paesi del continente. A ciò si aggiunge che i conti dello IOR non possono essere soggetti a tassazione, come sancito dall'articolo 2 dello Statuto della banca.
Un paradiso fiscale dichiaratamente fuori legge. L'unico Paradiso reale che la Chiesa può garantire.

Che c'entra tutto questo con criminalità e delitti? C'entra eccome. La totale opacità dello IOR, per usare un eufemismo, ha fatto della Banca vaticana la principale lavanderia di denaro sporco. Qui sono passati i grandi scandali, dallo scandalo Eninmont al crack Ambrosiano. Qui sono passati i delitti, dall'avvelenamento di Sindona all'impiccagione di Calvi. Qui, guarda caso, investiva il proprio denaro la famigerata banda della Magliana, che dominava Roma negli anni '80 (rapine, racket, sequestri, omicidi). Ecco il punto. Il capo della banda criminale della Magliana era un certo Renato De Pedis, il boss dei boss. La pratica corrente prevedeva che De Pedis investisse i denari del crimine presso lo IOR in cambio di un altissimo tasso di interesse, sino al 20%. Lo IOR incassava e restituiva, come in una normale bisca. Solo che il crack imprevisto del Banco Ambrosiano, banca “cattolica” in sinergia con lo IOR, buttò all'aria nel 1983 tanta parte dei soldi investiti da De Pedis. Ne seguì un duro contrasto, in cui De Pedis pretese dallo IOR la restituzione del malloppo (interessi inclusi). Secondo la testimonianza di Sabrina Morandi, amante di De Pedis, il rapimento di Emanuela Orlandi, cittadina del Vaticano, da parte della banda della Magliana fece parte parte della “trattativa” tra la banda e lo IOR. La ragazza sarebbe stata assassinata, a negoziato concluso, perché testimone scomodo e imbarazzante per tutti. In compenso il bandito De Pedis può riposare in pace presso la Basilica di Sant'Apollinare assieme a principi, santi e cardinali di prim'ordine. Evidentemente nell'accordo la degna sepoltura era inclusa. La Chiesa, si sa, è misericordiosa con i peccatori, soprattutto se sono suoi clienti, anche se criminali.

Una vicenda di cronaca nera getta dunque un fascio di luce sulla realtà della Chiesa. Un settore del capitalismo in formato ecclesiastico che proprio per questo coinvolge la Chiesa in tutto il peggio che il capitale dispensa, inclusi i delitti. Impressiona il silenzio su questa realtà non solo dei borghesi liberali alla Scalfari, incantati da Papa Francesco, ma anche e soprattutto di quelle sinistre cosiddette radicali che hanno cercato più volte nel nuovo papato una propria legittimazione, salvo trovarsi di fronte alla denuncia papale dell'aborto quale genocidio nazista. È l'ennesima conferma che solo una sinistra anticapitalista e rivoluzionaria può essere coerentemente anticlericale e laica, e chiamare le cose con il loro nome.
Partito Comunista dei Lavoratori

Grande Guerra, grande menzogna nazionalista

Nel tripudio sovranista e nazionalista che segna lo scenario italiano, le peggiori destre reazionarie celebrano il 4 novembre come cemento dell'unità nazionale. CasaPound e Forza Nuova sfilano in parate militari inneggiando al "riscatto dell'Italia". Fratelli d'Italia propone di abrogare il 25 aprile a favore del 4 novembre quale simbolo della nazione. La Lega salviniana, archiviata la Padania, coltiva attentamente le relazioni con questi ambienti intestandosi la difesa dei sacri confini contro i nuovi invasori migranti.
Ma lo sciovinismo non abbraccia le sole forze reazionarie. Il liberale Corriere della Sera (2 novembre) ospita con grande evidenza una lunga intervista del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito italiano, Salvatore Farina, intrisa del più becero patriottismo. «Noi dell'Esercito andremo nelle scuole a spiegare con filmati dell'epoca cosa avvenne nella Grande Guerra... I giovani devono conoscere... i valori morali dei nostri nonni e i loro sacrifici per compiere l'ultimo atto del Risorgimento». Segue l'esaltazione di D'Annunzio (che “umiliò gli austriaci”) e l'apologia degli appelli del Generale Diaz ai soldati (“tenete bene a mente che strappando il suolo al nemico, ognuno di voi protegge la sua terra, la sua casa, la sua famiglia”).

Ma l'ingresso dell'Italia in guerra non ebbe nulla a che vedere con la difesa della terra e delle case dei contadini, e neppure col Risorgimento. L'Italia entrò nella Grande Guerra per precise mire annessionistiche e coloniali. Non è una supposizione, è un fatto incontestabile documentato dal Patto di Londra del 26 aprile 1915; il Patto stipulato tra l'Italia, la Francia, la Gran Bretagna e la Russia zarista. Un patto che avrebbe dovuto rimanere segreto, e che invece fu reso pubblico dal governo di Lenin e di Trotsky dopo la vittoria della rivoluzione bolscevica. Un patto tra briganti per la spartizione di zone d'influenza, basi militari, possedimenti coloniali, all'insaputa dei popoli coinvolti nella guerra, trasformati unicamente in carne da cannone.

Il Patto assegnava ad esempio all'Italia, in caso di vittoria, il Sud Tirolo, e la sua popolazione austriaca; un terzo della Dalmazia, a vantaggio dell'egemonia italiana sull'Adriatico; le basi militari di Valona in Albania e la concessione come protettorato italiano della parte centrale dell'Albania stessa, che pure era uno Stato indipendente; il bacino carbonifero di Adalia in Turchia e il controllo sulle isole del Dodecanneso, nella logica di spartizione dell'Impero Ottomano; la conferma della sovranità italiana sulla Libia e il diritto di partecipazione italiana alla spartizione delle colonie tedesche.
Cosa ha a che vedere tutto questo col Risorgimento e l'unità d'Italia? Assolutamente nulla. Ha molto a che vedere invece con le ambizioni (poi frustrate) di un imperialismo italiano “straccione” (Lenin) che voleva conquistare il proprio posto a tavola nella spartizione del bottino di guerra. Una guerra che costò complessivamente oltre 10 milioni di morti, per lo più operai e contadini, e tra questi 650.000 soldati italiani.

Per questo il 4 novembre non abbiamo alcuna vittoria da celebrare, ma semmai un grande crimine da denunciare. Con le stesse parole di un canto di protesta - tra i tanti - che allora si levò nelle trincee: «...Traditori signori ufficiali che la guerra l'avete voluta, scannatori di carne venduta e rovina della gioventù».

Partito Comunista dei Lavoratori

In Brasile gli stalinisti ripropongono il fronte popolare

Poi dicono che stalinismo e trotskismo riguardano solo il passato...
In Brasile sono operanti due partiti comunisti di osservanza stalinista. Il Partito Comunista del Brasile (Partido Comunista do Brasil), formatosi negli anni '60 in appoggio alla Cina di Mao, e il Partito Comunista Brasiliano (Partido Comunista Brasileiro), fedele all'ortodossia staliniana di Mosca.

Il primo, che si vuole a sinistra rispetto al secondo, ha partecipato organicamente con tanto di ministri ai governi Lula, e ha sostenuto apertamente il governo Rousseff; in altri termini ha fatto da stampella al governo di fronte popolare che tradendo le aspettative dei lavoratori ha spianato la strada alla reazione portando al potere Bolsonaro.
Il secondo ruppe con Lula, anche per reazione al coinvolgimento governativo del rivale maoista. Ma ora, nel nuovo scenario, rilancia alla grande il vecchio canovaccio del “fronte popolare democratico”, raccomandando sia aperto «anche alle forze liberali» (risoluzione del 28/10) (1). In altri termini ripropone dall'opposizione, per di più declinandola a destra, la prospettiva del governo borghese “progressista”, la stessa che ha condotto al disastro.

Intendiamoci. È del tutto evidente che di fronte alla svolta a destra del Brasile è necessario rivendicare il fronte unico di classe e di massa di tutte le forze del movimento operaio e popolare, capace di coniugare la difesa dei diritti democratici con le ragioni di classe del lavoro, in una prospettiva anticapitalista. Ma il fronte popolare indica una politica opposta: la subordinazione del movimento operaio all'alleanza coi partiti borghesi liberali. Un'alleanza che legando le mani ai lavoratori finisce col pregiudicare le stesse rivendicazioni democratiche conseguenti, e/o la lotta di massa per realizzarle.

Nessuna meraviglia: entrambi questi partiti si rifanno alla svolta del VII Congresso dell'Internazionale Comunista stalinizzata (1935, relazione Dimitrov) che inaugurò il corso governista dei partiti comunisti nel mondo. Lo stesso che avrebbe tagliato le gambe alla rivoluzione spagnola (1936-'39), subordinandola alla coalizione con la borghesia, e aprendo la strada al franchismo. Da allora il governismo coi liberali “contro la destra” di turno ha segnato il Dna dei partiti stalinisti, ogni volta con gli stessi risultati.

La storia, come si vede, si ripete, seppur in forme nuove. La prima volta in tragedia, la seconda in farsa. Per l'appunto.



(1) https://pcb.org.br/portal2/21233/organizar-a-resistencia-e-unir-as-forcas-populares-democraticas-e-patrioticas-contra-o-fascismo/

Partito Comunista dei Lavoratori

La Madre e la Terra. La nuova vecchia etica di Stato dei gialloverdi

Sbaglia chi pensa che la “manovra del popolo” si occupi solo di scelte economiche. La sua ambizione è più grande: contribuire a fondare la nuova etica della famiglia, meglio naturalmente se pastorale. L'assegnazione di qualche ettaro di terra alla famiglia che genera il terzo figlio è sotto questo profilo esemplare. Si tratta del premio maternità, secondo la tradizione littoria.
La “manovra del popolo” non si occupa di asili nido accessibili, servizi sociali adeguati, tempi di lavoro compatibili, salari decenti. Dovendo abbassare le tasse ai ricchi e pagare il debito alle banche non trova soldi per queste quisquilie. In compenso premia la donna madre che offre alla patria il terzo bebè con un pezzo di terra alla famiglia. Sublime. La Madre e la Terra, simboli della nuova cultura patriarcale nazionalpopolare tanto cara al ministro Fontana.

Il volto reazionario del nuovo governo non poteva trovare un'espressione più autentica e grottesca.

 
Partito Comunista dei Lavoratori

Ilva: i nuovi padroni presentano il conto

FIOM, FIM, UILM, USB avevano appena magnificato l'accordo Ilva, che i nuovi padroni di Acelor Mittal hanno subito presentato il conto agli operai. A Taranto le liste delle migliaia di lavoratori che finiranno in cassa integrazione a zero sono state definite con un criterio apertamente antisindacale. Finiscono fuori dalla fabbrica tutti i lavoratori e le lavoratrici che negli anni si erano segnalati per posizioni conflittuali nei confronti dell'azienda. È stato buttato fuori dai cancelli chi aveva lottato per condizioni di sicurezza sul lavoro e sulla salute indipendentemente da ogni altro criterio (anzianità, figli a carico...). La gerarchia dei capetti aziendali si è ingraziata la nuova proprietà fornendole la lista degli operai da espellere, e i nuovi padroni hanno fatto subito capire che in fabbrica da ora tirerà un'altra aria: ordine e disciplina senza fiatare.
Salito in groppa all'accordo gentilmente concesso dai sindacati, ora Di Maio dovrà spiegare in Puglia non solo il voltafaccia sulla TAP ma anche le rivalse antioperaie dei padroni cui ha svenduto Ilva. Di certo la battaglia contro i nuovi padroni, per la nazionalizzazione della fabbrica, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, indica ancora una volta l'unica possibile soluzione di svolta della questione Ilva.

Partito Comunista dei Lavoratori