Registrazione dell'iniziativa di formazione interna del PCL, svoltasi il 4 dicembre 2023 sulla piattaforma ZOOM.
Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...
Antonio è stato fra i fondatori del nostro partito nel 2006, e tra i fondatori della nostra sezione. Il suo impegno per anni è stato rivolto alla battaglia sindacale nella CGIL scuola e alla costruzione della sezione di Arezzo.
Antonio è stato un compagno molto amato nel partito, apprezzato per la semplicità con cui affrontava le questioni, per l’impegno e per la grande innata simpatia. Il suo senso dell’umorismo discreto lo rendeva un compagno di viaggio ideale.
Amava la vita, la convivialità, il mare, e i suoi figli.
Per tanti di noi è stato un fratello con cui confidarsi e un compagno di battute e di momenti sereni, con lui abbiamo condiviso lotte e manifestazioni.
Negli ultimi anni era ritornato nella sua Puglia, verso il suo mare che amava tanto, alla ricerca di un luogo dove trascorrere gli anni della pensione. Nonostante questo è stato protagonista di un lavoro davvero esemplare di costruzione del partito in quella regione, svolto alla sua maniera, con la semplicità e la gentilezza che erano i suoi tratti caratteriali più evidenti, sempre in punta di piedi.
Ci manchi e ci mancherai tantissimo, Antonio. Grazie per quello che ci hai dato, ne faremo buon uso.
Uccisi dall’incapacità di accoglienza da parte di una UE che per altro, lo vediamo bene in questi giorni nel conflitto mediorientale e altrettanto nel continente africano, è pienamente implicata e corresponsabile dello stato di guerra e fame che attanaglia le enormi masse popolari dalle cui file partono masse di diseredati nella speranza di un qualche futuro per la propria vita e per i propri cari.
Da questo punto di vista la differenza tra richiedente asilo, profugo e migrante economico non ha alcuna importanza se non a giustificare politiche repressive sobillate dall’estrema destra.
La stampa borghese definisce il Patto un accettabile compromesso. Per gli interessi imperialisti dei paesi UE è certamente così. Dal punto di vista dei migranti, in massima parte rappresentati da proletari e classi popolari, la realtà è ben diversa.
Questo Patto legittima la chiusura delle frontiere europee al flusso dei migranti (Frontex), con il corollario di terribili tragedie, come quella del 3 ottobre del 2013 sulle coste di Lampedusa in cui morirono 368 persone, o quella più recente sulla spiaggia di Cutro in cui hanno perso la vita oltre 100 migranti.
Riduce la possibilità umanitaria di soccorso in mare, mettendo in preventivo altre migliaia di morti, mentre la UE d’altra parte sostiene le azioni dei suoi Stati membri impegnati in politiche giudiziarie repressive nei confronti di chi presta soccorso e sostegno umanitario (vedi il caso Lucano in Italia).
Limita la possibilità di esigere il diritto d’asilo legalizzandone le violazioni da parte dei singoli Stati, e favorendo le espulsioni rapide verso i paesi considerati “sicuri” come la Tunisia, dove il presidente Saied ha avviato da tempo una campagna di stampo razzista di internamento nei confronti dei migranti, o verso paesi i cui governi ricevono finanziamenti dalla UE che vengono destinati tra l’altro anche al mantenimento di autentici lager per migranti, come in Libia.
Favorisce l’apertura di nuovi centri di detenzione anche tramite patti indegni, come quello recentemente stipulato tra Meloni e Rama. Il recente scandalo del CPR di via Corelli a Milano ha rivelato impietosamente le condizioni inumane nelle quali vengono detenuti uomini donne e bambini colpevoli solo di cercare condizioni di vita accettabili.
Limita fortemente, infine, i cosiddetti movimenti secondari, negando così il diritto a recarsi verso la meta desiderata una volta entrati nel territorio della UE.
Questo Patto è stato eufemisticamente definito un compresso. In realtà si tratta di un atto di guerra verso quelle masse di diseredati in fuga dalle condizioni politiche ed economiche create dallo scambio diseguale e dalla politica di potenza dei paesi imperialisti della UE, in Africa e in Medio Oriente.
L’Europa, che si vanta di essere la culla del diritto, ha così ucciso il bambino. Lo testimonia anche la legge di riforma dell’immigrazione da poco approvata in Francia con il plauso della destra lepeniana, che rappresenta una stretta persecutoria e razzista nei confronti di immigrati e richiedenti asilo.
Tutto ciò accade mentre la popolazione europea invecchia rapidamente ed è in una forte decrescita demografica. Soprattutto in Italia, dove ogni anno la popolazione diminuisce di oltre 100000 unità.
I media borghesi, dai liberali a quelli della destra, ne approfittano per chiamare in causa l’insostenibilità dell’attuale sistema pensionistico e annunciare nuovi aumenti dell’età pensionabile e riduzione degli assegni.
Invece è evidente che questo gap potrebbe essere facilmente e proficuamente superato da politiche di accoglienza che consentissero tutti gli anni ad alcuni milioni di persone di venire a vivere e a lavorare in UE.
Ma allora perché la borghesia non adotta misure politiche che vadano in questa direzione?
Non possiamo completamente escludere che la realtà dei fatti presenti il proprio conto, per cui i governi borghesi siano costretti a un orientamento di maggior apertura sul tema immigrazione. Tuttavia, una ragione strutturale milita contro tali soluzioni: la necessità insopprimibile per il capitalismo imperialista europeo di alimentare la rapina sociale a danno del proletariato, quello proprio e quello internazionale, tramite il dirottamento delle risorse destinate al welfare state pubblico.
Questa rapina stringe al collo i cordoni della borsa per i proletari a tutto vantaggio di enormi svalutazioni fiscali, commesse, appalti e in generale largo pascolo di profitti per le grandi concentrazioni capitalistiche, che così ricavano annualmente utili miliardari da distribuire ai propri azionisti. La rapina sociale è talmente intersecata con il metodo di estrazione del profitto da parte del capitale contemporaneo da non poter essere messa in discussione, seppur timidamente, pena il crollo del sistema capitalistico stesso.
Nello stesso tempo le lavoratrici e i lavoratori migranti, tenuti ai margini della vita sociale in situazioni di povertà e scarsa assistenza, possono essere costretti a subire condizioni di sfruttamento feroce soprattutto in quei settori industriali “straccioni” a maggior tasso di profittabilità, come l’agro-zootecnico (braccianti), il logistico (riders), l’edile, il turistico (gli stagionali), ecc.
Per questo la soluzione dell’”arcano problema” dell’immigrazione deve risiedere nella lotta per un’alternativa di governo e di società.
Solo il governo delle lavoratrici e dei lavoratori può avere nel suo programma misure per una vasta e strutturata accoglienza dei migranti senza fare speciose distinzioni tra migranti “politici” ed “economici”. Solo l’avvio dell’edificazione socialista e dell’esproprio degli immensi capitali detenuti da pochissime e spesso anonime mani può fornire le risorse per finanziare questa accoglienza e in generale tutte le misure di previdenza ed assistenza sociale.
Solo la prospettiva della rivoluzione mondiale con la distruzione di tutti gli imperialismi può consentire, con una equa ripartizione delle risorse tra tutti i paesi del mondo, la fine di quelle condizioni di vita inaccettabili, guerre, fame, sfruttamento, cambiamenti climatici, che spingono centinaia di milioni di persone a lasciare la propria terra.
Il Partito Comunista dei Lavoratori, sezione dell’Opposizione Trotskista Internazionale, è impegnato quotidianamente a costruire in Italia e a livello internazionale questa prospettiva.
Per sapere come acquistare la rivista del PCL scrivi a info@pclavoratori.it, in chat alla nostra pagina Facebook ufficiale o contatta la sezione a te più vicina
In questo numero:
Per una Palestina libera, laica e socialista in una Federazione socialista del Medio Oriente
Tesi sulla questione palestinese
Risoluzione sulla Palestina. Adottata dal Comitato di Coordinamento Internazionale dell'Opposizione Trotskista Internazionale
Al fianco della resistenza palestinese - Federico Bacchiocchi
La situazione politica italiana a un anno dall’insediamento del governo Meloni - Marco Ferrando
A ottant'anni dalla morte di Pietro Tresso (Blasco) - Franco Grisolia
L'Opposizione di sinistra 1923-1933 - Eugenio Gemmo
Prosperity Guardian: questo è il nome della missione militare promossa dall'imperialismo USA nel Mar Rosso, contro gli attacchi del regime yemenita alle navi israeliane o che trafficano con Israele. La sua bandiera è la “difesa della libertà del commercio internazionale”. In realtà l'unica “libertà” che si vuole tutelare è la libertà dello Stato sionista. La libertà del genocidio della popolazione di Gaza, e del terrore antipalestinese in Cisgiordania.
Certo, c'entrano anche, nella partita, interessi commerciali e finanziari. Gli attacchi houthi alle navi israeliane o che trafficano con Israele hanno indotto 55 navi commerciali a sostituire il canale di Suez con la circumnavigazione dell'Africa, gli oneri delle compagnie assicurative stanno salendo, i noleggi portuali diventano più costosi, il prezzo del petrolio può aumentare.
Tutto ciò che disturba la quotidianità degli affari è una insidia per i capitalisti e per gli Stati che li tutelano. Ma tutto questo è il portato indiretto dello sterminio in atto contro il popolo di Gaza e di Palestina. Gli stessi Stati imperialisti, a partire dagli USA, che sostengono il massacro sionista mirano a tutelare la sua impunità minacciando la guerra contro chi la contrasta. Questa è la ragione prima della missione.
L'imperialismo italiano, fedele alleato d'Israele, è coinvolto nell'operazione, al pari del Regno Unito, del Canada, della Francia, dell'Olanda... e del governo “progressista” e “di sinistra” di Spagna.
Il ministro Crosetto sta negoziando le regole d'ingaggio del coinvolgimento italiano. Semplice difesa militare dei mercantili insidiati o anche potere di bombardamento diretto dello Yemen? Quel che è sicuro è la partecipazione italiana alla missione, senza neppure la formalità di un mandato parlamentare. Secondo Crosetto si tratterebbe semplicemente di appoggiarsi al mandato già conferito per la missione antipirateria nei mari del Medio Oriente. Ma chiunque capisce che qui la pirateria non c'entra nulla. Il governo Meloni sta predisponendo semplicemente una diretta partecipazione italiana a una missione di guerra contro un paese arabo, quali che siano le sue modalità operative.
Semplice sudditanza italiana agli USA? No, è anche un duplice interesse nazionale italiano.
Innanzitutto un interesse strategico: il governo Meloni sta usando la sponda americana per allargare il proprio raggio d'azione in Medio Oriente e in Africa (Piano Mattei) in aperta concorrenza con la Francia. Per questo vuole restare nel gorgo senza lasciare spazi indebiti agli imperialismi rivali.
In secondo luogo un interesse diretto dei capitalisti italiani e del mondo degli affari coinvolti. Lo afferma candidamente il ministro Crosetto: «Rispondendo a una precisa richiesta di tutela degli interessi nazionali pervenuta dai nostri armatori, abbiamo deciso di spostare nel Mar Rosso una delle nostre unità navali...». Più chiaro di cosi! I palestinesi crepino pure purché i “nostri” armatori siano tutelati.
La verità è che l'Italia viene coinvolta in una azione di guerra, su mandato dei suoi armatori, a tutela dello Stato sionista, contro il popolo palestinese.
È necessario portare nella mobilitazione a difesa della Palestina la parola d'ordine del No alla missione nel Mar Rosso. No a una missione internazionale imperialista e filosionista. No alla partecipazione italiana alla missione.
La stampa borghese internazionale esalta il cosiddetto accordo storico siglato al COP28 a Dubai. Sono gli stessi toni trionfali con cui sono state salutate a suo tempo tutte le conferenze internazionali su clima, a partire dalla conferenza di Kyoto del 1997 per arrivare a quella di Madrid del 2019. Ma ciò non ha né impedito né ostacolato la deriva ambientale del mondo nel corso degli ultimi trent'anni. Gli impegni formali delle diplomazie sono carta straccia. Ciò che conta è la materialità degli interessi in gioco. Il linguaggio cifrato delle diplomazie è solo la registrazione indiretta della partita vera.
Peraltro nel caso di COP28 persino il linguaggio formale dell'accordo raggiunto fa strage di illusioni. Si nega l'abbandono dei fossili (“phase out”) a favore di un generico ”allontanamento progressivo” (“transitioning away”) per tutelare innanzitutto le petromonarchie. Si allude a futuribili sistemi di cattura e stoccaggio della Co2 per legittimare la continuità della produzione di energia sporca. Si lodano i cosiddetti combustibili di transizione per tutelare la produzione di gas. Scompare ogni cenno alla rapida chiusura del carbone. Si staglia l'obiettivo delle emissioni zero nel 2050 senza verifiche intermedie. Quanto al fondo per risarcire i paesi danneggiati dalla transizione (loss damage), lo si riduce alla cifra irrisoria di qualche centinaio di milioni. Il nulla. Anche se si volesse valutare l'accordo in base al testo scritto approvato, sarebbe davvero difficile presentarlo come vittoria dell'ambiente.
Ma non è il testo a spiegare la realtà, è invece la realtà a decodificare il testo. La realtà è molto semplice nella sua brutalità. Tutte le principali potenze imperialiste del pianeta, in lotta tra loro per spartirsi il mondo, stanno programmando grandi investimenti nelle energie fossili. Gli Stati Uniti hanno programmato nel marzo 2023 enormi investimenti nella produzione di GNL (gas naturale liquefatto) da esportazione, per un totale di 450 miliardi di metri cubi all'anno, e il più grande progetto petrolifero in Alaska (ConocoPhillips), con una capacità produttiva di 180000 barili al giorno sino alla fine degli anni venti. La Cina ha programmato un incremento del 56% della produzione nazionale di gas tra il 2020 e il 2030, e del 13% tra il 2030 e il 2050, mentre apre tre grandi miniere di carbone di cui è primo consumatore al mondo. La Russia ha programmato un aumento del 53% della produzione di carbone, e del 32% della produzione di gas da qui al 2035. Mentre su un altro piano, il governo brasiliano di Lula, salutato come progressista dalle sinistre riformiste di tutto il mondo, prevede un aumento del 63% della produzione petrolifera e del 124% della produzione di gas. Intanto l'ENI, fiore all'occhiello dell'imperialismo italiano, ha accresciuto il portafoglio risorse di 750 milioni di barili di petrolio nel solo 2022...
Quanto al mito di una Unione Europea “ambientalista”, è sufficiente un documento pubblicato dalla BCE (Il Sole 24 ore, 7 dicembre) costretto a constatare lo scarto tra la propaganda “verde” delle banche e il loro finanziamento massiccio degli investimenti inquinanti. Un campione di 109 grandi gruppi bancari dell'area euro, dove «le banche che più si presentano attente alle sfide ambientali sono anche quelle che prestano di più... alle industrie con alte emissioni di carbonio». Il greenwashing non è dunque un ricorso marginale, ma una pratica corrente del capitale finanziario d'Europa: quello che regge i governi imperialisti del vecchio continente, quello che chiede di tagliare sanità e pensioni per incassare gli interessi sui titoli di Stato acquistati.
La verità è che futuro dell'umanità non rientra nei bilanci del capitale. Secondo Mario Tozzi «mettendo a confronto i dati relativi agli investimenti in petrolio, gas e carbone con gli scenari di incremento della temperatura» siamo già oggi ben oltre lo scenario dell'aumento di temperatura dell'1,5%. «Se l'attuale progressione non muta andiamo verso un aumento del 2,7%» dichiara a La Stampa (14 dicembre). Con tutte le conseguenze che ne derivano.
Il sistema capitalista non è riformabile. Le illusioni su un possibile “capitalismo verde” sono smentite una dopo l'altra dall'esperienza dei fatti. Solo una prospettiva di rivoluzione sociale su scala internazionale può venire a capo del problema e invertire la rotta. Solo l'azione di massa della classe lavoratrice e della giovane generazione può realizzare tale prospettiva. Costruire controcorrente questa consapevolezza è l'azione quotidiana del nostro partito.
Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria
solidarietà alle compagne e ai compagni di Plat, CUA e ai manifestanti
aggrediti dalla polizia mentre si opponevano allo sgombero di un appartamento
occupato da una famiglia e uno stabile occupato dagli studenti per uso
abitativo temporaneo.
Sono mesi che gli studenti manifestano in tutte le città
universitarie italiane per denunciare il caro affitto che pregiudica il diritto
allo studio,
Bologna ha migliaia di case sfitte di proprietà di enti
pubblici o partecipati e decine di migliaia di appartamenti privati vuoti.
I meccanismi di gentrificazione del centro cittadino e la
speculazione turistica hanno fatto schizzare in alto il costo degli affitti,
favorite da piattaforme come Airbnb e dall’uso massiccio da parte dei
proprietari della formula dell’affitto breve.
Accanto ai piccoli proprietari che dietro suggerimento di
agenzie interessate, cercano di trarre il massimo profitto dalle proprie case,
vi sono padroni di grandi proprietà immobiliari, quali enti pubblici, costruttori,
aziende e la Chiesa, che speculano tenendo alti i costi degli affitti e
favorendo le piattaforme speculative come Airbnb
Un problema enorme e discusso a livello locale così come a
livello nazionale. Ma al momento l’unica soluzione sembra l’uso della forza
contro chi cerca di sfuggire da situazione di indigenza o di marginalizzazione mettendo
in pratica tramite un’occupazione il diritto alla casa. Il diritto borghese
alla rendita e al profitto cozza ancora una volta contro l’elementare diritto
delle persone ad avere un tetto.
La prepotenza capitalistica, pubblica e privata deve essere
rovesciata da una forza eguale e contraria.
La forza di milioni di salariati, studenti e classi popolari.
Potremmo limitarci a guardare la vicenda da un'angolazione, per così dire, antropologica, in riferimento alle caratteristiche della persona. Trasformismo spregiudicato, ambizioni istituzionali debordanti, estrema spregiudicatezza manovriera, assenza teorizzata di principi, posture misogine evidenti... Sono tutti ingredienti di un sottotraccia “culturale” che ha sorretto l'incessante peregrinazione di Marco Rizzo nell'arco di trent'anni: prima da dirigente di Rifondazione Comunista il sostegno al governo Prodi e alle sue peggiori misure antioperaie (lavoro interinale, record di privatizzazioni, campi di detenzione per i migranti...) al fianco di Bertinotti, Cossutta, Ferrero; poi la scissione a destra di Rifondazione a fianco di Cossutta e Diliberto con la fondazione del Partito dei Comunisti Italiani, per sostenere i governi D'Alema e Amato (inclusi i bombardamenti NATO su Belgrado); poi il pubblico e ostentato sostegno a Romano Prodi quale presidente della Commissione Europea nelle vesti di capogruppo del PdCI ,a Strasburgo; poi la rottura col PdCI di Diliberto in reazione alla propria marginalizzazione di ruolo e la nascita di Comunisti-Sinistra Popolare (poi Partito Comunista); poi la riverniciatura a sinistra del proprio profilo pubblico con l'improvvisa conversione a un apparente ultrasinistrismo (“sinistra e destra pari sono”, rifiuto di ogni unità d'azione a sinistra); infine la deriva rossobruna con la rottura di ogni (formale) riferimento di classe, nel nome del “popolo” e dell'interesse nazionale. Ognuna di queste stagioni ha pescato nella vocazione avventuriera del soggetto. Uno, nessuno, centomila, così è se vi pare. A caccia di una telecamera o di un taccuino purchessia.
Eppure una lettura esclusivamente antropologica risulterebbe riduttiva. Il fenomeno rossobruno va al di là di Marco Rizzo e dei confini nazionali. Lo testimonia la recente scissione a destra di Die Linke in Germania da parte di Sara Wagenknecht. nel nome del respingimento dei migranti e di un'apertura all'estrema destra di AfD. Lo rivela più in generale lo slittamento campista a sostegno dell'imperialismo russo e cinese di settori significativi dell'ambiente stalinista internazionale in diversi paesi e continenti. Ovviamente non tutta l'area campista approda nel rossobrunismo. Ma certo quest'ultimo attecchisce per lo più proprio all'interno dell'area campista, dentro una cultura che rimuove ogni argine classista nel nome del primato della geopolitica. Ne è un esempio la cosiddetta Piattaforma mondiale antimperialista, un'area internazionale di matrice stalinista che aggrega diversi soggetti rossobruni, da Vanguardia Espanola (che rivendica la colonizzazione spagnola dell'America) al Partito Nazional-Bolscevico di Russia (che esalta lo sciovinismo grande-russo, e naturalmente l'invasione dell'Ucraina).
Non è un caso se è proprio l'ambiente politico culturale di estrazione staliniana a essere maggiormente esposto al fenomeno. Sia perché la traiettoria storica dello stalinismo, nella sua dinamica di svolte e contro svolte, ha più volte incrociato stagioni rossobrune: come in occasione del patto sciagurato fra Hitler e Stalin del 1939-1941, quando l'intero movimento comunista internazionale fu costretto a celebrare la Germania nazista nel nome di comuni valori popolar-nazionali e della comune avversione alle vecchie democrazie plutocratiche. Sia perché da un punto di vista più generale la rottura staliniana con l'internazionalismo proletario nel nome delle “vie nazionali” e delle tradizioni nazionali ha fornito un retroterra culturale, seppur indiretto, alle conversioni più spregiudicate: nel Partito Comunista Francese degli anni '30 il passaggio dallo stalinismo al fascismo di Jacques Doriot nel nome della nazione francese fu paradigmatica. Quando si rompe l'ancoraggio internazionalista ogni deriva diventa possibile.
Potremmo dire che la biografia di Marco Rizzo ha in fondo ricalcato in sedicesimo quella di un Jacques Doriot: dal governismo borghese del fronte popolare all'approdo estremo del rossobrunismo. Evidentemente la mala pianta dello stalinismo non ha cessato di generare figli postumi. La differenza è che un tempo fu tragedia, oggi semplicemente una farsa.
La potenza di fuoco criminale dello Stato sionista contro il popolo palestinese si avvale del contributo italiano. Il 30 ottobre 2023, nei giorni dei primi bombardamenti a tappeto su Gaza, Il gruppo Leonardo SpA, società leader del settore militare tricolore, si accordava con Elbit Systems, azienda israeliana della difesa, per lo sviluppo di un nuovo sistema laser che le truppe possono usare per esplorare le posizioni nemiche e coordinare gli attacchi. L'accordo fa seguito alla cospicua fornitura di elicotteri militari a Israele da parte del gruppo Leonardo avvenuta nella scorsa primavera.
Non si tratta di affari “privati”, per quanto immondi. Il gruppo Leonardo – prima azienda militare in Europa e dodicesima a livello mondiale in fatto di vendita d'armi – è controllato dal “nostro” ministero dell'Economia e delle Finanze, ed anche per questo gode del finanziamento massiccio di Banca Intesa, fiore all'occhiello assieme a Unicredit del sistema bancario italiano. Questo significa che l'imperialismo italiano e il governo Meloni sono pienamente coinvolti nel massacro in corso contro la popolazione di Gaza. Lo sono non solo sul piano politico, col proprio sostegno allo Stato sionista, ma anche di fatto sul piano militare.
L'opposizione alla guerra genocida di Israele richiama dunque più che mai il dovere dell'opposizione all'imperialismo di casa nostra. L'intero movimento operaio e sindacale italiano deve battersi per boicottare ogni traffico e complicità militare col sionismo, unendosi all'azione di boicottaggio intrapreso contro Israele dai settori più avanzati del movimento operaio internazionale.
Dal mese di febbraio nelle carceri dell'Ungheria del regime di Orban è rinchiusa Ilaria Salis, compagna anarchica delle occupazioni del Ticinese, da sempre attiva nelle lotte per il diritto alla casa e nella solidarietà verso detenuti anarchici come Cospito, per aver partecipato secondo l'accusa agli scontri contro neonazisti provenienti da tutta Europa durante una parata organizzata dai neonazisti nostalgici del regime fascista e fortemente antisemita dell'ammiraglio Horthy.
Le ultime notizie provenienti dalla prima lettera che è riuscita a inviare dopo più di sei mesi di detenzione ai suoi avvocati ci parlano di condizioni insopportabili, di celle piene di topi e cimici, di detenute costrette a lavorare per 50 euro al mese e dell'impossibilità per la compagna di accedere anche agli accessori per garantirle il minimo di igiene personale.
Come negli scorsi mesi abbiamo solidarizzato con la battaglia in carcere di Alfredo Cospito, da comunisti internazionalisti non possiamo non auspicare che nasca una mobilitazione in solidarietà in tutto il paese per il rilascio ed il rientro di Ilaria e contro il trasferimento nelle carceri ungheresi di Gabriele Marchesi, l'altro compagno anarchico arrestato a Budapest in quei giorni.
Contro il reazionario regime bonapartista di Orban, che gode del convinto sostegno di partiti di governo come la Lega. Per la libertà delle compagne e dei compagni!