Il cosiddetto governo del cambiamento, dopo il decreto “dignità” e quello “sicurezza”, dopo la chiusura della vicenda ILVA (vedi riquadro) e il lancio di una proposta per Alitalia, ha presentato la sua “finanziaria del popolo”. Questo governo, cioè, ha oramai definito le sue politiche e la sua impronta sul paese. Non è un governo di passaggio. Non è un governo dalla parte del lavoro. È un governo reazionario, con un consenso di massa anche tra le classi subalterne, che sta gestendo la crisi per permettere la ripresa di questo sistema capitalista, sostenendo il padronato e reprimendo il lavoro.
Certo, la sua politica meno restrittiva (la previsione di un indebitamento al 2,4%) è un evidente segno di discontinuità rispetto ai precedenti governi tecnici o del PD. E quindi è in conflitto con BCE e Commissione Europea. Questa politica, però, difende interessi diversi da quelli del lavoro.
Sostiene piccole imprese e capitale italiano: riduce le tasse e le imposte a piccole imprese, professionisti e artigiani (flat tax, Ires e 4.0); prevede un nuovo grande condono (pace fiscale) per chi in questi anni ha evaso ed eluso (spesso ancora piccole imprese, professionisti ed artigiani); programma una ripresa degli investimenti, da realizzare soprattutto attraverso il “partenariato pubblico-privato” (cioè nuove occasioni di utilizzare risorse di tutti/e per fare gli interessi dei padroni); non a caso, infine, riprende e sostiene nuove privatizzazioni (dopo tutti i discorsi sui “prenditori” e la sceneggiata contro i Benetton).
Disciplina il lavoro. Non solo nei dettagli, come introducendo “strumenti biometrici (impronte digitali o iride) per verificare le presenze” (ora tra i pubblici, poi come sempre a tutti/e). Proprio il cuore della sua politica economica, il Reddito di Cittadinanza, è soprattutto uno strumento di controllo per lavoratori e lavoratrici. Infatti, lungi da esser una redistribuzione generalizzata o un salario sociale (una suddivisione del plusvalore collettivo, in chiave disobbediente), è tracciata sul salario di disoccupazione inglese o tedesco (Harz IV): strutture pubbliche e private (i centri per l’impiego) che obbligano a lavori malpagati e monitorano la vita dei singoli (come ha ricordato Di Maio: attenti a comportamenti e spese “immorali”).
Frega lavoratori e lavoratrici. In primo luogo, sulle pensioni. La cosiddetta “quota 100”, che finalmente rivede la Fornero, non solo avrà probabilmente un meccanismo flessibile, ma per far tornare i conti rischia di eliminare il retributivo (tagliando il 10-15% delle pensioni di chi oggi va in pensione) e mantenere il rapporto con la speranza di vita (rischiando di far abbassare i coefficienti e quindi le future pensioni per tutti/e). In secondo luogo, sui contratti. Il celebre Def "del popolo" non ha stanziato un euro a bilancio per i CCNL pubblici: anzi, si scrive che il loro salario continuerà a scendere. Qualcuno pensa che se andrà così, nel privato sarà molto diverso? No, perché si applicherà pienamente l’accordo quadro con Confindustria (vedi riquadro).
Reprime i migranti. Non solo Salvini rivendica e generalizza quello che Minniti aveva silenziosamente iniziato (respingimenti in mare e campi di concentramento in Libia), non solo Lega e 5stelle legittimano le campagne razziste coprendo un’estrema destra violenta ed aggressiva, ma questo governo implementa anche direttamente politiche discriminatorie (da Riace a Monfalcone). Non solo si lascia morire in mare uomini e donne, vecchi e bambini. Non solo si continua a devastare altri paesi per difendere i nostri interessi politici ed economici. Si reprime anche una parte dei lavoratori e delle lavoratrici in questo paese, indebolendo chi è già debole, togliendo diritti e colpendo le condizioni di tutti/e. Come l’art. 25 del decreto Salvini (reato penale per picchettaggio stradale, punibile da 1 a 6 anni, con rimpatrio dei migranti), che attacca le lotte nella logistica, la difesa di diritti e salari per tutti i lavoratori e le lavoratrici di quel settore e non solo.
Si creano ulteriori 70 miliardi di debito, contro il lavoro e le classi popolari. Come sostiene l’agenzia di rating J.P. Morgan “l’impennata dello spread è una opportunità di investimento” (immaginiamo in titoli di stato). Finanziando queste politiche, chi pagherà i costi della crescita del debito? I proletari e la popolazione povera, attraverso i soliti tagli a sanità, scuola e ad agevolazioni fiscali per famiglie di lavoratori.
Questo è il governo giallo-verde, queste le sue scelte. Contro queste politiche, è ora di lottare!
Ilva: un accordo contro il lavoro e contro l’ambiente
L'accordo raggiunto da CGIL-CISL-UIL e USB non tocca infatti i cardini dell’ipotesi Calenda:
- Arcelor Mittal impiegherà solo 10.700 lavoratori (per Genova ci sarà una trattativa a parte), 8.200 dei quali a Taranto. Dovranno sottoscrivere "dimissioni consensuali", rinunciando alla continuità garantita dall'art. 2112 del Cod. civile (cessione di ramo d'azienda) che prevede uguale inquadramento, retribuzione e luogo di lavoro.
- Gli esuberi sono 3.100, ai quali verrà fatta una proposta di esodo incentivato (da 15 mila a 100 mila euro lordi).
- Con la nuova assunzione, si dovrà rinunciare ad intentare qualsiasi causa per malattie o danni causati dal datore di lavoro (art.2087 Cod. civ.), anche per chi accetta l'esodo anticipato.
- Chi non verrà assunto, subito potrà usufruire della cassa integrazione per un periodo massimo di 7 anni.
- Entro otto mesi (con qualche anticipo rispetto Calenda) l'azienda dovrà coprire il 50% del parco minerario.
E’ un cedimento, sul piano dei diritti e della salute. Ormai da tempo questo è un modello di riferimento: esodi incentivati e qualche posto di lavoro in cambio dei diritti, anche quelli fondamentali (come sicurezza e salute). Questo scambio oggi è stato sottoscritto anche da USB. Avrebbero potuto battersi per una soluzione diversa: far saltare questa vendita e lottare per la nazionalizzazione. La FIOM non ci ha mai creduto. USB ha preferito invece lasciare questa parola d’ordine ai cortei del sabato, preferendo firmare l’accordo e chiudere così, senza frizioni con il governo 5 stelle, la vicenda ILVA.
Contro l’accordo quadro sulla contrattazione ed il 10 gennaio, per una pratica sindacale democratica, la difesa dell’autonomia del lavoro.
Lo scorso marzo Cgil Cisl Uil e Confindustria hanno raggiunto l’accordo sugli indirizzi nella contrattazione dei settori industriali. In questo modo, il padronato incassa il risultato dell’ultima stagione contrattuale ed in particolar modo la capitolazione della FIOM nei metalmeccanici. Infatti, l’accordo quadro si caratterizza per tre elementi fondamentali:
Primo. Gli aumenti salariali nei contratti nazionali vengono bloccati sotto l’inflazione, attraverso l’utilizzo dell’indice IPCA (inflazione al netto dei settori energetici), nei contratti di secondo livello vengono legati esclusivamente ad indici variabili (spesso legati a prestazioni individuali, di squadra o di stabilimento), rendendo imprevedibile il salario e facendone strumento di controllo del lavoro.
Secondo. Nel Trattamento economico complessivo (cioè, nel salario), viene compreso una parte non monetaria, ma legata a benefit variabili (sanità e pensioni integrative, buoni acquisto, buoni benzina, ecc). In pratica, utilizzando la defiscalizzazione (cioè risorse pubbliche di tutti/e) per non far sentir la differenza al singolo lavoratore e lavoratrice, viene tagliata silenziosamente una parte di retribuzione (quella indiretta legata agli aumenti, cioè la relativa quota di contributi pensionistici, TFR e tredicesima, pari a circa un terzo di quella complessiva).
Terzo. Viene confermato e rilanciato (dopo 4 anni di silenzio) l’accordo del 10 gennaio sulla rappresentanza. Un accordo che irreggimenta la democrazia sindacale, togliendo diritti ai lavoratori/lavoratrici e trasferendoli alle organizzazioni sindacali (limitazione alla presentazione delle liste e alla titolarità dei delegati/e, vincolo di mandato delle RSU alla sigla di appartenenza, non si prevede obbligatoriamente il voto dei lavoratori e delle lavoratrici per l’approvazione degli accordi). Soprattutto, limita l’agibilità e gli spazi di resistenza sindacale, introducendo il principio della esigibilità per le imprese, limitando persino il diritto di sciopero, con procedure di raffreddamento e la possibilità di sanzionare chi dissente.
Contro questo accordo, la sua implementazione e la sua applicazione, prassi alternative e conflittuali, in grado di far progressivamente saltare ogni ingabbiamento della democrazia sindacale e dell’autonomia di lavoratori e lavoratrici.
RIPRENDERE LE LOTTE, GENERALIZZARE IL CONFLITTO
Contro queste politiche di gestione della crisi, contro l’immobilismo della CGIL e le titubanze di USB, contro ogni interlocuzione con questo governo reazionario, contro ogni irreggimentazione della democrazia sindacale, ricostruiamo nelle lotte una vertenza generale, sosteniamo ogni sciopero e generalizziamo il conflitto
Occorre una svolta vera. Occorre spazzare via ogni illusione nelle politiche di Lega e 5stelle, demagogiche e sovraniste. Seppur diverse da quelle liberali del PD, sono comunque dalla parte dei padroni: difendono piccoli imprenditori e capitali nazionali, non salari e diritti dei lavoratori.
Per questo il Partito comunista dei Lavoratori sostiene pienamente e convintamente lo sciopero generale convocato per il 26 ottobre da diversi sindacati di base (indetto da CUB, S.I. COBAS, SGB, Slai Cobas e USI). Solo una mobilitazione generale può riportare al centro la difesa dei diritti e dei salari. È necessario infatti portare in campo un’opposizione di massa dal versante dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati. Sostenere e diffondere la resistenza contro ogni provvedimento e ogni offensiva dalla parte dei padroni, generalizzare le lotte, unire tutto ciò che l'avversario vuole dividere: privato e pubblico, nord e sud, precari e “stabili”, italiani e immigrati. Ricostruendo nelle lotte una piattaforma generale che tracci un confine chiaro: chi sta con i lavoratori e chi sta con i padroni; facendo ciò anche attraverso assemblee decisionali unitarie di delegati/e fino al livello nazionale in tutti i luoghi di lavoro, in cui il sindacalismo di classe possa fare sentire la sua voce e le sue proposte all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici.
Una piattaforma che, dalla lotta alla precarietà alla redistribuzione generale dell'orario di lavoro a 32 ore, dall'introduzione di un salario minimo intercategoriale di 1500 euro all’abolizione della legge Fornero (in pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro), da un vero salario sociale a disoccupati e giovani in cerca di prima occupazione alla nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende che delocalizzano o licenziano, possa unire la maggioranza della società contro la piccola minoranza di padroni, grandi azionisti e banchieri che oggi detta legge. Tutti i governi, in forme diverse, sono agenti di questa minoranza. Occorre un governo della maggioranza, un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.
L'unica vera alternativa allo stato di cose presente.