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Lettera aperta alle compagne e ai compagni del PRC

Care compagne, cari compagni,

ci rivolgiamo a voi col rispetto che si deve a compagni e compagne, e dunque con la sincerità che proprio tra compagni è doverosa.

La nostra opinione è che il gruppo dirigente del vostro partito vi abbia nuovamente condotto in una avventura politica rovinosa. L'esperienza di Potere al Popolo e il suo esito, al pari di altre esperienze precedenti in cui nascondere Rifondazione Comunista, rischiano di umiliare la passione politica di migliaia di comunisti, e di provocare l'ennesima dispersione di forze e di energie.

Non vogliamo indugiare più di tanto sulla cronaca del collasso di Potere al Popolo e sul ritiro fuori tempo massimo del PRC. Certo è inevitabile constatare gli aspetti grotteschi della vicenda dell'ultimo anno.


DAL BRANCACCIO A PAP

Un anno fa si cercò la lista unitaria del Brancaccio con Sinistra Italiana e MDP, sino a rimuovere la pregiudiziale iniziale verso D'Alema e Bersani (sarebbe stato sufficiente non si candidassero), ma l'accordo blindato tra MDP e Sinistra Italiana ha tagliato fuori il PRC.

Dunque si è saliti in corsa sul nuovo carro dell'ex Opg, come se nulla fosse avvenuto, chiedendo al corpo militante del PRC di fare da manovalanza nella raccolta di firme di Potere al Popolo sotto l'egemonia degli ex Opg e dell'immagine pubblica di Viola Carofalo, in una campagna elettorale consentita dalla raccolta firme del PRC ma paradossalmente rivolta, in buona misura, “contro i partiti”.

Poi si è avallata e coperta per mesi, di assemblea in assemblea, la retorica movimentista e “antipartito” di ex Opg e dei neosovranisti di Eurostop (“il nuovo modo di fare politica”, “il fare” contrapposto al “dire”, il “nuovo” contrapposto al “vecchio”...), una retorica populista da grillismo sociale che ha fatto leva sull'arretramento della coscienza politica diffusa, che ha rimosso la stessa centralità di classe, e che l'ex Opg ha usato abilmente sin dall'inizio - com'era del tutto evidente - per costruire il proprio partito, a partire dal proprio controllo sugli strumenti web, sulle figure pubbliche, sugli spazi mediatici di PaP. Tutto gentilmente concesso dal PRC.

Infine, dopo aver legittimato un percorso plebiscitario dall'esito annunciato, il gruppo dirigente del PRC si ritira a poche ore dal voto sugli statuti per evitare una disfatta.

Il bilancio è nei fatti: si è trattato di un disastro, politico e d'immagine. Un disastro che chiama in causa responsabilità politiche generali, ben oltre la vicenda in corso.


ARCOBALENO, RIVOLUZIONE CIVILE, POTERE AL POPOLO, “QUARTO POLO”: UN GIROTONDO SENZA FINE 

Conoscete il nostro giudizio politico - che non abbiamo mai nascosto - sul gruppo dirigente del PRC.

Sapete che non possiamo e non vogliamo dimenticare la compromissione del PRC nei governi Prodi, col voto alla detassazione dei profitti, alle missioni militari, ai tagli sociali per pagare il debito alle banche, alla precarizzazione del lavoro (Pacchetto Treu). Non li abbiamo mai derubricati ad “errori”. Perché è impossibile classificare come errore il sostegno all'avversario di classe contro i lavoratori e le lavoratrici.

Ma le responsabilità non finiscono con l'esperienza Prodi, che pure ha costituito il passaggio più grave. Negli anni successivi, il gruppo dirigente del PRC ha trascinato il vostro partito di avventura in avventura: prima nell'aggregazione Arcobaleno, poi nell'abbraccio coi questurini Ingroia e Di Pietro (Rivoluzione Civile), poi nella lista Un'altra Europa con Tsipras attorno alla candidatura liberalprogressista di Barbara Spinelli, infine in Potere al Popolo.
Qual è il tratto comune di tutte queste esperienze tra loro diverse? Il mimetismo politico del PRC. La rinuncia all'autonomia di un riferimento classista e anticapitalista. La ricerca di un proprio nascondimento in aggregazioni segnate comunque, con differenti declinazioni, da un profilo civico, aclassista, populista, genericamente progressista, in ogni caso non comunista.

Né si può dire che oggi questa ricerca sia conclusa. Tanto è vero che nel momento stesso in cui si lascia PaP, prima si chiede agli ex Opg un nuovo accordo nel nome di un ritorno alle origini di PaP, poi si allude di fatto alla prospettiva di un quarto polo con Sinistra Italiana in vista delle elezioni europee. L'ennesimo nascondimento del PRC a braccetto con i vendoliani, ma anche con gli ex PD Fassina e D'Attorre. Quelli che ieri erano parte del governo Letta, e votavano il pareggio di bilancio in Costituzione; ed oggi inneggiano alla riscoperta della patria, nel nome della competizione con la destra.
Altro giro, altro disastro.


ANTILIBERISMO O ANTICAPITALISMO? 

Cosa c'è alla base di questa eterna coazione a ripetere, insensibile ad ogni lezione dell'esperienza? La rinuncia a costruire un partito comunista, di nome e di fatto. E da dove ha origine questa rinuncia? Da un programma generale genericamente antiliberista, e non anticapitalista. Da un programma generale che continua ad alimentare l'illusione di una possibile alternativa progressista all'interno del sistema capitalista. Unire la cosiddetta sinistra antiliberista in uno stesso soggetto politico è stata ed è, non a caso, la bussola di tutte le esperienze trasformiste del PRC, da Rivoluzione Civile a PaP. Ed è un'ipoteca sul futuro. Perché se il riferimento programmatico è semplicemente l'antiliberismo, quale linea di demarcazione può separare il PRC da Fassina e da Sinistra Italiana, al di là della diversità dei percorsi?

Non solo. Una impostazione semplicemente antiliberista diventa inevitabilmente, a determinate condizioni, la foglia di fico del governismo. Tutti i cosiddetti governi “di sinistra” hanno formalmente evocato la polemica antiliberista. Ma si è trattato della copertura ideologica di ben altre politiche. È il caso del governo Tsipras, con cui il gruppo dirigente del vostro partito continua a collaborare dentro la stessa Sinistra Europea, nonostante quel governo abbia massacrato e continui a massacrare la popolazione povera di Grecia per conto della Troika. È il caso del governo portoghese, sostenuto da PC e Bloco de Esquerda, che nell'ultima finanziaria ha tagliato del 30% gli investimenti pubblici per pagare il debito alle banche e rispettare i dettami di UE e BCE. È il caso del governo Sanchez in Spagna, oggi beneficiato dal sostegno di Podemos, che preserva le politiche antimigranti, nega alla Catalogna il diritto di autodeterminazione, preserva il grosso delle controriforme sociali degli ultimi vent'anni, ma che Maurizio Acerbo eleva oggi a riferimento esemplare in Europa.

La verità è che nel quadro della crisi capitalista e della nuova competizione mondiale non esiste uno spazio storico riformista. L'alternativa vera è tra una prospettiva rivoluzionaria e la rassegnazione alle controriforme, magari gestite dai governi “progressisti”.


AZIONE E PROSPETTIVA 

Talvolta si obietta a queste considerazioni affermando il primato dell'azione presente rispetto alla prospettiva futura. Ma sono le prospettive future a condizionare inevitabilmente le scelte politiche presenti. Valga ad esempio l'intervento sindacale: se la prospettiva politica è una alternativa rivoluzionaria, quella prospettiva richiama immediatamente una contrapposizione frontale alle burocrazie sindacali ovunque collocate, per la costruzione di una direzione alternativa del movimento operaio. Se invece la prospettiva è un fantomatico governo progressista, allora non solo si finisce col disperdere la centralità del riferimento classista, ma nello stesso ambito dell'intervento sindacale ci si adatta, in un modo o in un altro, all'accomodamento con le burocrazie. Il fatto che il PRC abbia a lungo avallato l'equivoco del landinismo, e tuttora alimenti aspettative attorno ai vertici della FIOM, è emblematico di un nodo irrisolto. Lo stesso vale per il posizionamento politico interno ad ogni dinamica di movimento.


UNA PROPOSTA DI CONFRONTO

Allora occorre trarre le conclusioni politiche di un bilancio che non si può rimuovere.

Solo un programma classista, anticapitalista, rivoluzionario, su basi nazionali e internazionali, può fondare la necessaria autonomia politica dei comunisti, e orientare un'azione politica coerente. Fuori e contro questo programma si è destinati a ripercorrere ogni volta i sentieri già battuti, in un eterno girotondo senza via d'uscita.

È necessario costruire un partito comunista, di nome e di fatto, estraneo ad ogni suggestione stalinista come ad ogni socialdemocrazia di sinistra. Per questo il Partito Comunista dei Lavoratori intende confrontarsi apertamente con tutti i compagni e le compagne del PRC che, delusi dall'esperienza politica del proprio partito, intendano costruire con noi una prospettiva nuova, coerentemente anticapitalista e rivoluzionaria.
Partito Comunista dei Lavoratori

Renzi, Berlusconi, Salvini, Di Maio: il fronte unico contro i salariati

La campagna elettorale è formalmente agli inizi, ma ha già rivelato la sua cifra: un fronte unico di tutti i partiti dominanti contro i lavoratori salariati. 
Renzi, Berlusconi, Salvini, Di Maio, apparentemente gli uni contro gli altri armati, sono in realtà accomunati da due indirizzi di fondo: una ulteriore riduzione delle tasse per i capitalisti e il rispetto dell'Unione Europea e dei suoi vincoli. La risultante del combinato disposto è una sola: un'ulteriore aggressione al lavoro salariato, privato e pubblico.
Basta semplicemente far di conto, sfrondando la confezione delle parole e andando a guardare qual è la merce.

In fatto di tasse, Renzi rilancia sulle decontribuzioni ai padroni, Berlusconi e Salvini gareggiano su una flat tax la più bassa possibile, Di Maio offre di fatto maggiore libertà di evasione (“basta controlli fiscali”) e abolizione dell'Irap. Ma parliamo in ogni caso di una nuova massiccia detassazione del capitale, in linea con la tendenza degli ultimi trent'anni, e col nuovo corso della politica fiscale sul piano mondiale (riforma fiscale di Trump, May, Macron...).
Anche in fatto di UE, tutti giocano alla “rinegoziazione delle regole” con posture diverse: Renzi offre un allungamento dei tempi del Fiscal Compact, Berlusconi e Salvini si contendono la tutela del made in Italy dalla concorrenza straniera, Di Maio chiede la revisione del tetto di deficit del 3%. Ma tutti sono paladini dell'Unione Europea capitalista, inclusi i sovranisti (ugualmente truffaldini) di ieri. E quindi tutti accettano il pilastro strutturale su cui la UE si fonda: la riduzione progressiva del debito pubblico, attraverso il suo pagamento, a garanzia delle banche creditrici (nazionali ed estere).

Bene. Qual è la risultante annunciata di un'ulteriore e massiccia riduzione delle tasse per i capitalisti, combinata con la prosecuzione del pagamento del debito pubblico (per di più a fronte del prevedibile innalzamento dei tassi di interesse sui titoli a seguito della cessazione della pioggia d'oro della BCE)? È molto semplice: una nuova massiccia aggressione alla voci della spesa sociale, in fatto di pensioni, sanità, istruzione, protezioni sociali. Non c'è altra risposta possibile. Perché anche la logica ha i suoi diritti. Se i capitalisti pagano ancor meno tasse (si calcola dai 40 ai 150 miliardi in meno, a seconda delle proposte in campo) e i banchieri continuano a incassare i 70/80 miliardi annui di soli interessi sul debito (in probabile rialzo), non ci può essere altra fonte di finanziamento che il continuo smantellamento delle tutele sociali. Altro che abolizione della Fornero, come blatera quell'ipocrita di Salvini. Altro che le pensioni di 1000 euro a tutte le casalinghe, come promette Berlusconi (in una logica iperfamilista). Altro che il reddito di cittadinanza a cinque stelle (in cambio della disponibilità al lavoro precario)! Il programma reale dei partiti dominanti è l'opposto di ciò che si annuncia nella televendita elettorale. E persino se una piccola parte di quelle misure venisse simbolicamente abbozzata sarebbe comunque a spese dei lavoratori salariati, il vero bancomat dell'intero sistema capitalista. Quelli che reggono sulla propria schiena l'80% del prelievo fiscale. Quelli che vivono ogni giorno la miseria di uno sfruttamento sempre più intollerabile, a garanzia dei profitti di borsa di grandi azionisti e parassiti, mai tanto prosperi e sempre meno tassati.

Questa truffa a reti unificate va contrastata. Ma lo può fare con le carte in regola solo una sinistra rivoluzionaria. Non una sinistra già compromessa nelle politiche dominanti, che omaggia Tsipras, che si limita all'antiliberismo. Ma una sinistra che si batte per il rovesciamento del capitalismo, per un governo dei lavoratori, per un'alternativa socialista. L'unica reale alternativa.
Partito Comunista dei Lavoratori