Dopo tre anni di instancabile guerriglia interna, l'ex ministro Ferrero non è riuscito a detronizzare il segretario Acerbo. Il segretario è sopravvissuto alla guerra ma non ha recuperato il controllo reale del partito. Se la posta in gioco del congresso era il controllo di ciò che resta del PRC, nessuno dei due schieramenti può cantare vittoria.
Ma non è questo l'aspetto che a noi interessa. Ci interessa invece esaminare il contenuto politico delle due posizioni a confronto. Due posizioni diversamente subalterne, accomunate da una inossidabile logica riformista. E al tempo stesso due posizioni che faticano nel quadro politico attuale a ritagliarsi uno sbocco politico reale, al di là delle retoriche di accompagnamento.
Il documento congressuale di maggioranza (Acerbo) si fonda su una precisa opzione politica: la volontà di ricomporre la relazione con il centrosinistra, in funzione di una prospettiva di governo borghese. È il richiamo nostalgico della foresta. Il tentativo di uscire dall'isolamento ritornando nella “politica che conta”.
Il riferimento esplicito alle esperienze di governo, passate e presenti, di diversi partiti della sinistra europea, da Syriza a Podemos, non è casuale. Questo è il vero contenuto della posizione di maggioranza. Naturalmente questo contenuto è avviluppato dalle immancabili rassicurazioni formali: “non intendiamo entrare nel campo largo, che vuole essere un'alleanza senza principi e programma, costruita solo su una generica opposizione alla destra... noi proponiamo al contrario punti dirimenti di programma...», ecc. ecc. In realtà è il solito vecchio canovaccio retorico del condizionamento programmatico a sinistra di PDS, DS, PD, evocato per quasi quindici anni da Fausto Bertinotti (con la sola opposizione della sinistra rivoluzionaria interna da cui nascerà il PCL) per motivare la propria prospettiva governista.
Prospettiva governista che ha coinvolto ciclicamente il PRC nelle politiche antioperaie e autodistruttive dei due governi Prodi. Nel primo caso (1996-1998), in maggioranza di governo, votando l'introduzione del lavoro interinale, il record europeo delle privatizzazioni, i campi di detenzione amministrativa per i migranti (legge Turco-Napolitano). Nel secondo caso (2006-2008), questa volta all'interno del governo, votando l'abbattimento delle tasse sui profitti di imprese e banche (IRES, dal 34% al 27,5%!), l'aumento delle spese per la Difesa, il sostegno alle missioni militari.
Sono politiche che hanno colpito i lavoratori e le lavoratrici, spianando la strada all'influenza reazionaria nelle loro file. Sono le politiche che distrussero il PRC come riferimento di massa, precipitando la sua crisi rovinosa.
La vera differenza è che allora il PRC aveva una rendita di posizione negoziale per candidarsi a sinistra del centrosinistra. Oggi quello spazio è presidiato da Sinistra Italiana. Pertanto l'unica possibilità reale di questa opzione politica è sperare di aggregarsi a Fratoianni come ultima eventuale ruota del carro. A questo si riduce la Rifondazione Comunista?
Il documento di minoranza di Paolo Ferrero contesta formalmente la ricomposizione col centrosinistra, la denuncia come capitolazione, e nello slancio critico giunge persino a riconoscere che la crisi del PRC non inizia col congresso di Chianciano del 2008 ma con le scelte di governo precedenti. Salvo rimuovere lo spiacevole dettaglio che il ministro di Rifondazione nel governo Prodi era proprio... Paolo Ferrero. Cioè colui che più di ogni altro si spese per la scelta governista del partito in contrapposizione alla sinistra rivoluzionaria del PRC; colui che più di ogni altro difese tra il 2006 e il 2008 la propria permanenza nel governo, contro l'ipotesi di un passaggio al sostegno esterno, ventilata dall'allora segretario Franco Giordano.
È un caso che il documento di minoranza rimuova totalmente la materialità delle scelte antioperaie dei due governi Prodi? Il bilancio di quella stagione viene ridotto all'eufemismo della impermeabilità del centrosinistra alle proposte riformatrici del PRC. Che è il modo di assolvere la permeabilità del PRC di Ferrero alle politiche controriformatrici del centrosinistra borghese.
La proposta “alternativa” del documento di minoranza è indicativa. La sintesi è che bisognerebbe «fare come Mélenchon»: prima capovolgere i rapporti di forza con la socialdemocrazia, grazie ad una politica autonoma, e poi ricomporre l'alleanza sotto la propria egemonia e candidarsi a governare come sinistra-centro.
Al di là di ogni principio di realtà (e delle profonde differenze con lo scenario francese), il governo del capitalismo resta dunque la bussola strategica di Ferrero. L'alfa e l'omega. La stella cometa, insensibile ad ogni lezione dell'esperienza. «Fare come Mélenchon» è la versione attuale del «fare come Tsipras». Salvo ignorare che il governo Tsipras, idolatrato a suo tempo da tutta la sinistra “radicale”, ha gestito le politiche antioperaie della troika contro la propria base sociale, e contro la domanda di svolta che ne aveva sospinto l'ascesa. E che Melenchon, già ministro di Jospin, ha un programma riformista simile a quello originario di Tsipras, prima che la sua esperienza di governo ne rovesciasse brutalmente il segno.
La verità è che oggi, dentro la crisi capitalistica e la polarizzazione dello scontro interimperialista, non c'è più lo spazio storico del riformismo, nonostante le illusioni dell'ex ministro Ferrero.
Ma l'aspetto più sconcertante del documento alternativo è la esaltazione dei BRICS, sino alla rivendicazione della adesione dell'Italia ai BRICS. Invece della doverosa contrapposizione a tutti gli imperialismi, vecchi e nuovi, nel nome dell'interesse internazionale della classe lavoratrice e dei popoli oppressi, si rivendica il sostegno ad uno dei due poli imperialisti contro l'altro, nel nome del multipolarismo e della lotta contro la guerra. Ma le dinamiche di guerra non sono forse sospinte proprio dalla presenza di diversi poli imperialisti, gli uni contro gli altri armati, che si disputano la spartizione del pianeta? Il multipolarismo imperialista è esattamente l'attuale geografia del mondo. La lotta contro la guerra o è la lotta contro tutti gli imperialismi, e a difesa di tutti i popoli da questi oppressi, o non è. Dire che l'imperialismo cinese e russo sono fattore progressivo e di pace significa capitolare alla loro propaganda imperialista, speculare alla propaganda dell'imperialismo NATO di casa nostra.
La verità è che il documento alternativo strizza l'occhio a Potere al Popolo, e anche per questo si sintonizza sull'impostazione campista del suo gruppo dirigente (Rete dei Comunisti). Salvo tacere, in un documento tutto imperniato sulla lotta alla guerra, che Mélenchon vota l'invio di armi all'Ucraina (ben al di là del giusto sostegno all'Ucraina contro l'imperialismo russo, e dunque del suo diritto ad usarle). E che Unione Popolare, con Potere al Popolo, è sepolta da anni. Non sarà Ferrero a resuscitarla. Tanto più avendo perso il congresso.
In conclusione. Siamo stati ripetutamente accusati di muovere una critica al PRC basata sul passato. Ma senza un bilancio onesto del passato come è possibile tracciare una nuova via? Peraltro è stato proprio il passato a dominare, in forma diretta o indiretta, il confronto interno al congresso del PRC. Il nodo del rapporto col centrosinistra, la questione strategica del governo, l'esperienza della sinistra europea richiamano inevitabilmente il tema del bilancio. Semplicemente, il congresso ci ha detto una volta di più che chi non impara dalla storia è destinata a ripeterla. Magari in formato ridotto e residuale, come speranza del proprio immaginario.
La verità è che Rifondazione Comunista è da tempo una sopravvivenza postuma. La Rifondazione Comunista quale riferimento largo e riconoscibile da ampi settori di classe e di avanguardia morì diciannove anni fa tra le braccia di Prodi. I gruppi dirigenti di ciò che è rimasto di quel partito appaiono prigionieri del suo passato, incapaci sia di elaborare il lutto che di rimontare la china del loro disastro.
Ai militanti coerentemente comunisti del PRC che non vogliono restare sotto le macerie del proprio partito, e che al tempo stesso non si rassegnano alla passivizzazione e alla resa, proponiamo di costruire insieme, controcorrente, il Partito Comunista dei Lavoratori, sulle basi di principio del marxismo rivoluzionario. Le uniche basi che non si piegano come canne al vento. Le uniche basi che possono armare un reale progetto anticapitalista, sul terreno nazionale e internazionale.