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La nostra cura? Abbattere il capitalismo e spezzare le catene dell’oppressione!

 


25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne e di genere

L'aggravarsi della crisi con il prolungamento della situazione pandemica continua a restituirci uno scenario inquietante.
Nel più ampio contesto internazionale il Covid-19 impatta ancora sull'alto numero di decessi e richiama in alcuni paesi alla necessità di lockdown e restrizioni, non solo per la renitenza al vaccino ma soprattutto per l'incapacità dei sistemi sanitari di far fronte alla situazione, indeboliti da anni di tagli e dal progressivo smantellamento del servizio pubblico. In alcune zone del mondo le popolazioni non hanno ancora avuto la possibilità di accedere alla prima dose di vaccino a causa delle dinamiche concorrenziali mirate al profitto delle case farmaceutiche, che detengono i brevetti su questi farmaci.

Questi due anni hanno mostrato chiaramente come la pandemia abbia colpito i lavoratori e soprattutto le lavoratrici: in Italia nel 2020 si registrava il 21% delle richieste di part-time o flessibilità lavorativa per fronteggiare le difficoltà delle chiusure. Ancora nei primi mesi del 2021 si rimarcava un calo dei posti di lavoro (su 101mila nuovi disoccupati, 99mila erano donne) e un divario salariale crescente a cui si aggiungeva l'aumento dei lavori di cura non retribuiti e l'assenza di un sistema di welfare in grado di offrire soluzioni.
La ripresa nel settembre 2021 segnalata dall'Istat non deve farci illudere: i 59.000 posti di lavoro recuperati sono ovviamente a tempo determinato e i posti occupati dalle donne sono ancora inferiori rispetto ai livelli pre-Covid (370mila occupate in meno).
Gli ultimi provvedimenti del governo Draghi inoltre annullano qualsiasi ipotesi di miglioramento: dopo aver consegnato un lauto bottino ad imprese e sanità privata con i decreti varati in estate, la traiettoria segnata per le pensioni punta al solo calcolo dei contributi, senza tenere conto della parte retributiva, penalizzando dunque i settori più precarizzati della società: donne, giovani e persone con disabilità.
A ciò si aggiunge il “contributo universale per i figli” a partire da marzo 2022, con il quale si punta a sostenere l'aumento demografico, elargendo elemosine in base alla fascia ISEE e al numero di figli per famiglia, senza cercare soluzioni strutturali che puntino a migliorare le condizioni di vita de* lavorator*.
Insomma lo stato borghese non ha soluzioni da offrire per uscire dalla crisi e soprattutto dimostra come in questa lunga fase di recessione non sia possibile trovare soluzioni di miglioramento se non con rivendicazioni inserite in un percorso di lotta su un programma anticapitalista.

Le nostre vite sono quindi segnate dalla violenza, dai suoi tanti volti. A quella economica si somma la violenza subita quotidianamente, frutto di sessismo e di omo-bi-lesbo-transfobia, agita spesso entro le mura domestiche, alle quali siamo espost* per colpa della precarietà e della disoccupazione. La causa principale è la natura del sistema capitalistico ed eterocispatriarcale. Un sistema che vive e si riproduce proprio su queste dinamiche di violenza e sfruttamento. 103 donne uccise solo in Italia, a cui si sommano 5 persone trans e gender diverse e i numerosi episodi di discriminazione e violenza subite nei vari contesti sociali. Questa situazione è fomentata dalla becera propaganda clericale e dei partiti reazionari, in primo luogo Lega e FDI, come dimostrato dall'affossamento del DDL Zan e dai continui attacchi alla salute riproduttiva delle donne.

Donne e persone LGBT*QIA+ migranti hanno pagato il prezzo più alto dell’aggravamento della crisi generato dalla fase pandemica, per la difficoltà di accesso alle cure sanitarie e la maggiore esposizione al Covid-19, e per l’aumento della disoccupazione e della precarietà delle loro condizioni lavorative.

Per rispondere radicalmente alle violenze e alle oppressioni che subiamo sotto ogni aspetto nelle nostre vite, dobbiamo organizzare un fronte che unisca tutte le lotte in corso, da quelle transfemministe a quelle per il lavoro e la difesa dell’ambiente:


• Per la difesa del lavoro: blocco permanente dei licenziamenti e cancellazione di tutte le controriforme del lavoro; cancellazione degli appalti e nazionalizzazione senza indennizzo delle imprese che chiudono, inquinano e delocalizzano, sotto controllo delle lavoratrici e dei lavoratori;

• Contro l'elemosina di Stato, lavorare meno lavorare tutt*: ripartizione del lavoro esistente, con la riduzione dell'orario a 30 ore e con l’introduzione di un salario intercategoriale di 1500 euro; salario garantito in disoccupazione o inoccupazione, contro ogni ipotesi di reddito universale o di autodeterminazione slegato dal lavoro; copertura salariale del 100% in caso di malattia, cassa integrazione, congedi parentali.

• Cancellazione delle controriforme delle pensioni e ritorno al sistema retributivo;

• Servizi sociali (scuola, sanità...) pubblici e sotto il controllo de* lavorator* e dell* utenti per i servizi legati alla cura. La prospettiva deve essere la socializzazione del lavoro di cura, da finanziare con la patrimoniale di almeno il 10% sul 10% più ricco della popolazione e con un sistema di aliquote fortemente progressivo;

• Accesso all'IVG libero, sicuro e gratuito; accesso all’aborto farmacologico; contraccezione gratuita e garantita; abolizione dell’obiezione di coscienza e consultori pubblici e laici; accesso ai consultori anche per le donne T*.

• Contro la violenza e l'oppressione di genere: autorganizzazione della autodifesa femminista e queer; fondi ai centri antiviolenza autogestiti, senza nessun finanziamento a enti privati e case-famiglia religiose;

• Contro la violenza e l'oppressione omo-lesbo-bi-transfobica: per un movimento queer autorganizzato e rivoluzionario in grado di contrastare gli attacchi reazionari, l'invisibilizzazione e il rainbow-washing; contro i trattamenti patologizzanti nei confronti delle persone T*, contro la cancellazione delle soggettività Bi e Pan e anche contro la misoginia, il razzismo e la transfobia dentro la comunità LGBT*QIA+;

• Eliminazione di tutte le leggi securitarie e delle forme di lavoro schiavistico che violano i diritti delle donne immigrate;

• Per il libero amore e la libera sessualità: lotta alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione, contro i Daspo urbani e la criminalizzazione delle prostitute. Abbattimento della famiglia borghese, cellula di riproduzione capitalistica: per nuovi legami basati sull'affetto e la condivisione.

• Per il più ampio fronte di classe, anticapitalista e rivoluzionario, organizzato su scala internazionale, che unisca tutte le lotte per i diritti civili e sociali, per il lavoro, per la tutela dell’ambiente, in una lotta sola!

Solo rovesciando questo sistema basato sul capitalismo e l'etero-cis-patriarcato è possibile spezzare le catene dell'oppressione. Solo la rivoluzione socialista può liberarci dallo sfruttamento e dalla violenza e garantire la nostra piena emancipazione!


ANTIPATRIARCALI, ANTICAPITALIST*, ANTIFASCIST*,

ANTICLERICALI FEMMINIST* RIVOLUZIONARI*


Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere

Contro la transfobia e tutte le oppressioni di genere. Contro la violenza del capitalismo

 


20 novembre, Transgender Day of Remembrance

Il Transgender Day of Remembrance (TDoR) è una delle giornate più importanti ed impegnative del calendario della comunità LGBT*QIA+. Si tratta del momento in cui la comunità si stringe attorno ad una delle sue componenti più esposte e oppresse, la popolazione trans*, per ricordare tutte le vittime di transfobia del mondo e per rivendicare un cambiamento reale nell’esistenza di queste persone.

Solo negli ultimi decenni l’attivismo della comunità T* e dell* solidali ha permesso che si cominciasse a parlare seriamente di transfobia e di lotta ad essa. Secondo il progetto di ricerca, monitoraggio e analisi internazionale Trans Respect versus Transphobia (TvT) “2021 is set to be the deadliest year for trans and gender-diverse people” [il 2021 è destinato a essere l'anno più mortale per le persone trans e gender-diverse]. Questo dato dovrebbe farci riflettere sulla gravità della situazione.

Nel periodo intercorso tra 1° ottobre 2020 e 30 settembre 2021, secondo i dati raccolti da tale progetto, le persone morte per cause riconducibili alla transfobia sono 375 (in percentuale il 7% in più rispetto all’anno precedente quando erano state 350) con un’età media di 30 anni. Guardando allo storico del rilevamento si sono registrate 4042 morti violente a sfondo transfobico nel mondo tra il 1° gennaio 2008 e il 30 settembre 2021. Queste cifre sono sicuramente e ampiamente in difetto a causa delle differenze di trattamento - anche legale e giudiziario - che le persone trans* subiscono nei diversi paesi, dei tanti luoghi in cui è difficile o impossibile effettuare il monitoraggio e la raccolta dei dati necessari, della tendenza da parte di conoscenti o familiari delle vittime di non denunciare i reati transfobici o peggio della loro connivenza in azioni atte ad invisibilizzare l’identità della persona scomparsa (misgendering in atti ufficiali o durante le cerimonie funebri, eccetera…).

Un’analisi più approfondita dei dati mostra come la transfobia sia saldamente intrecciata anche ad altre forme di oppressione e discriminazione, oltre che a determinati contesti sociali e geografici. Infatti, sul totale dei casi di quest’anno, il 96% ha coinvolto donne trans o persone transfemminili dimostrando l’interdipendenza esistente tra oppressione femminile (e i fenomeni correlati quali, per esempio, femminicidi e altre forme di violenza e molestia) e oppressione della comunità LGBT*QIA+ (e in particolar modo delle persone T*); il 70% è avvenuto in America Latina ovvero una delle zone del mondo in cui sono più evidenti il divario socio-economico tra le classi e la rapacità del sistema di sfruttamento capitalistico, il 58% delle vittime mondiali è costituito da sex workers (molt* dell* quali uccis* in situazioni o per cause correlate alla loro condizione). Guardando a due casi circoscritti, possiamo notare come anche xenofobia e razzismo abbiano un ruolo non indifferente nella genesi di crimini transfobici: negli USA l’89% delle vittime totali è costituito da persone di colore e in Europa il 43% da migranti. Infine, non possiamo evitare di ricordare come la condizione di classe abbia un ruolo fondamentale nell’oppressione e molto spesso nella morte delle persone T*. Le difficoltà insormontabili a cui si va incontro nel mondo del lavoro, l’isolamento e l’allontanamento dal proprio contesto sociale che molto spesso segue al coming out, lo smantellamento totale dei sistemi di welfare, l’inesistenza in molti paesi di leggi adeguate alla tutela delle minoranze, l’attuale debolezza delle reti associative e dell’attivismo queer e l’impossibilità di ricevere un adeguato supporto socio-sanitario e psicologico, fanno sì che molt* appartenenti alla comunità si ritrovino in condizioni di completa emarginazione e in contesti di disagio sociale ed economico molto marcati (un certo numero di persone trans*, per esempio, è homeless o vive sotto la soglia di povertà o in condizioni di precarietà assoluta). Tutte condizioni ottime per il maturare di situazioni di rischio potenzialmente mortali.

Il silenzio ipocrita e l’indifferenza che regnano in Italia sul tema nascondono una situazione a dir poco pericolosa e su cui non è possibile sorvolare in una occasione come questa. L’Italia detiene il triste primato di paese con il più alto numero di crimini di matrice transfobica in Europa (42 quelli registrati dal 1° gennaio 2008 al 30 settembre 2020) e nell’ultimo anno qui sono state uccise 5 persone trans* (erano state 7 – il numero più alto in assoluto in tutta Europa - l’anno scorso). Quest’anno il nostro paese ha registrato purtroppo anche la più giovane vittima di transfobia nel mondo, un* student* di 13 anni che si è suicidat* - a causa di frequenti atti di bullismo transfobico avvenuti in ambito scolastico – il 6 giugno scorso a Roma. Nonostante tutto ciò, durante i vari passaggi parlamentari del DDL Zan, si sono registrate diverse dichiarazioni di natura transfobica da parte di esponenti del cosiddetto centrodestra. Forse la più eclatante e assurda è quella secondo cui il riconoscimento delle identità non binarie da parte di una legge provocherebbe il caos nell’impianto giuridico del paese e perciò tale legge deve essere rigettata.

Il problema della transfobia non si può ridurre ad una questione di educazione, ad un fattore puramente culturale che si può risolvere con tanta buona volontà, un po’ di informazione e magari qualche legge dal carattere simbolico, deterrente e punitivo. La transfobia è solamente una delle molte facce, probabilmente una delle peggiori, del sistema capitalista ed eterocispatriarcale. Un sistema costruito, come abbiamo ripetuto molte volte, sulla prevaricazione, la violenza e lo sfruttamento di ogni essere vivente e sulla repressione di qualunque forma di ribellione o semplicemente di vita ritenuta “fuorinorma”. Un sistema che viene protetto e rafforzato dagli ambienti ecclesiastici e clericali – che in nome di una concezione bigotta e reazionaria della società e interessati a conservare la propria egemonia hanno sempre agito per evitare o disinnescare qualsiasi anche minimo avanzamento progressivo – e dai molteplici settori della reazione, più o meno dichiaratamente fascisti e fondamentalisti, a loro volta – come ben sappiamo – semplici strumenti nelle mani di chi detiene il controllo dei rapporti sociali in questa fase storica. L’esistenza delle persone T* (come quella di tutte le persone LGBQIA+, delle donne, delle persone disabili e delle popolazioni razzializzate) non potrà mai essere realmente accolta entro i ristretti orizzonti di questa società e anzi, finché esisterà il sistema attuale, la loro esistenza sarà sempre messa in discussione e minacciata. Come ha dimostrato anche il recentissimo e gravissimo affossamento del DDL Zan, qualunque illusione riformista od opportunista sulla possibilità di ottenere migliori condizioni di vita senza mettere in discussione lo status quo è ormai priva di ogni validità e di ogni razionale fiducia. L’unica via ancora aperta è quella che conduce alla rottura rivoluzionaria dell’esistente e all’abbattimento del capitalismo e conseguentemente dell’eterocispatriarcato e di tutte le altre forme strutturali di oppressione.

È quindi fondamentale e necessario secondo noi rilanciare l’importanza dell’autorganizzazione nelle lotte per i diritti civili e sociali e ribadire l’esigenza dell’autodifesa per il movimento e per la comunità intera. Soltanto il protagonismo unitario e combattivo delle soggettività oppresse – un protagonismo capace anche di costruire reti durature di solidarietà, supporto e tutela - potrà infatti agire tempestivamente e contrastare con successo le offensive reazionarie e clerico-fasciste di chi difende ogni giorno senza alcuna remora l’esistente, ovvero coloro che attentano ogni giorno alla vita di ogni oppress*.

Anche la lotta alla transfobia e alla cisnormatività deve partire dalle piazze, dalle strade, dai luoghi dove le soggettività trans* vivono e agiscono (gli stessi dove di frequente si consumano violenza e discriminazione), evitando inutili ipocrisie (talvolta istituzionali) e vaghi atti simbolici.

Le soggettività trans* hanno diritto, in particolar modo, ad un’esistenza che non debba più passare per le forche caudine della patologizzazione e della medicalizzazione forzata dei loro desideri e dei loro corpi (che in molti contesti sono solamente forme subdole e socialmente accettate di violenza). Inoltre, è ormai evidente come sia necessario distruggere il paradigma del binarismo che imbriglia ogni essere vivente nel binomio essenzialista maschio-femmina togliendo legittimità e visibilità a qualsiasi tipo di identità non binaria e genderqueer. Purtroppo diverse leggi varate nel corso degli ultimi quarant’anni a tutela della popolazione trans* (per esempio la Legge 164/82 sulla rettifica del nome vigente in Italia) hanno un’impostazione di tipo patologizzante e intrinsecamente binaria e talvolta obbligano la persona trans* alla medicalizzazione per ottenere il riconoscimento della propria condizione. Tale impianto legislativo è decisamente arretrato, discriminatorio e ambiguo in fatto di rispetto dei diritti civili e va eliminato al più presto.

La diffusa condizione di sex worker tra le soggettività trans* – dettata molto spesso dalla semplice necessità di sopravvivere all’interno di un sistema sociale che impedisce loro di emergere come soggettività autodeterminate e libere o peggio da ricatti e coercizioni – ci porta anche a ribadire come sia importante, senza porci per questo in modo stigmatizzante ed escludente nei confronti dell* lavorator* sessuali, ottenere un futuro in cui nessun* sia costrett* per sopravvivere a sessualizzare il proprio corpo e quindi a lottare contro l’esclusione dal mondo del lavoro delle soggettività reputate non conformi e più in generale contro le condizioni di precarietà, ipersfruttamento e ricatto economico che il capitalismo impone a tutt* l* sfruttat* in questa fase.

Molte soggettività trans/non-binary (ma più in generale moltissime persone LGBQIA+) sono costrette ad abbandonare il luogo in cui sono nat* (molto spesso per motivi legati proprio alla loro identità di genere o al proprio orientamento sessuale). Quasi sempre l’allontanamento dal paese d’origine non determina però un miglioramento nelle condizioni di vita. Anzi per la maggior parte dei migranti LGBT*QIA+ l’arrivo in un altro paese significa ghettizzazione, xenofobia e razzismo oltre che frequentemente completa emarginazione all’interno della comunità dei propri connazionali. Lo stesso ottenimento dello status di rifugiato LGBT non garantisce alcuna prospettiva di miglioramento della propria esistenza, ma si trasforma molto spesso in un lungo e insidioso percorso burocratico che espone l* richiedente a stress inutili.

È necessario allora lottare per l’abbattimento delle frontiere e per la fine dei fenomeni sistemici di razzismo in un’ottica internazionalista e rivoluzionaria rifiutando anche i rigurgiti xenofobi latenti nella stessa comunità LGBT*QIA+.

Visto quanto accade quotidianamente attorno a noi riteniamo importante che il movimento LGBT*QIA+ riparta da posizioni coerentemente rivoluzionarie e dalla solidarietà con tutte le altre lotte progressive (come già si sta facendo con i movimenti femminista, antirazzista e contro l'abilismo, ma cercando di allargare il campo anche al movimento operaio e a quello ambientalista). Per ottenere questo scopo, oltre a smarcarsi in via definitiva da ogni velleità riformistica, si renderà obbligatorio anche contrastare tutte quelle posizioni, tipiche di una certa parte delle formazioni staliniste e di altre aree sedicenti comuniste, che tendono a sminuire l’importanza dei diritti civili per l’avanzamento delle lotte e che talvolta assumono pose smaccatamente machiste, misogine e omo-lesbo-bi-transfobiche; nonché abbattere tutte quelle posizioni, sì residuali ma a cui non possiamo restare indifferenti, del femminismo essenzialista, incapace di comprendere la questione relativa all’identità di genere, se non addirittura schierato su posizioni assimilabili a quelle dei peggiori movimenti reazionari.

Il nostro obiettivo resta la costruzione di una società socialista, una società senza classi in cui non esistono più sfruttamento ed oppressione e dove ogni soggettività è libera di autodeteminarsi. Per questo lottiamo a fianco di tutt* l* oppress* e contro ogni singolo oppressore.


- Per l’unità e l’autoorganizzazione dei movimenti per i diritti civili in una direzione conseguentemente rivoluzionaria e perciò anticapitalista, femminista, antifascista e anticlericale. Solamente con questa parola d’ordine sarà possibile ottenere un vero cambiamento nelle vite delle donne, delle persone LGBT*QIA+ e delle minoranze razzializzate.

- Per l’autodifesa della comunità LGBT*QIA+. Soltanto rispondendo colpo su colpo sarà possibile ridurre lo straziante stillicidio di vite umane a cui assistiamo ogni anno ed affrontare ad armi pari gli assalti reazionari e clerico-fascisti alle vite e ai diritti delle persone LGBT*QIA+.

- Per il superamento della Legge 164/82 in Italia e di tutte le leggi che patologizzano la vita delle persone trans* e per il pieno diritto all’autodeterminazione di tutt*.

- Per la fine dell’oppressione e della violenza xenofoba e razzista sulle donne, sugli uomini e sulle soggettività LGBT*QIA+ migranti.

- Contro lo stalinismo e l’essenzialismo. Non esiste nessun conflitto e nessuna competizione tra diritti sociali e diritti civili: la lotta per i diritti deve essere portata avanti senza inutili compartimentazioni e privilegi. Non esiste nessuna essenza biologica binaria, standardizzata e insormontabile: le identità trans e gender-diverse sono tutte valide e non sono affatto misogine.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere

La Saga Coffee non si sposta!


Come per Whilpool e GKN, unire le vertenze in difesa del lavoro!

19 Novembre 2021

Nella giornata di ieri siamo andati a Gaggio Montano (BO) ad incontrare i lavoratori e le lavoratrici di Saga Coffee, un azienda del gruppo EVOCA che rischia la chiusura

Sono interessati 220 lavoratori, tra i quali 180 lavoratrici, che rischiano il licenziamento in un territorio già duramente provato dalle drastiche chiusure che negli scorsi anni non hanno interessato solo SAECO, bensì tutto l’indotto che faceva di quella zona nell’Appennino Tosco-Emiliano il polo italiano nella produzione di macchine da caffè. Lamentano il 300% in meno di posti di lavoro in 20 anni.
Dall’inizio dell’anno alcuni lavoratori si sono accorti della sempre minor quantità di merce nei magazzini, e nonostante i padroni millantassero una situazione normale, due settimane fa sono state annunciate la chiusura e la delocalizzazione, ed i conseguenti licenziamenti. Ora si presidia la fabbrica, giorno e notte. Non si lascia entrare nessuno, come nella migliore tradizione operaia, lo slogan è “La Saga Coffee non si sposta!”.
A rendere la vicenda ancora più drammatica è la condizione, che come in tutti i piccoli paesi di montagna, vede intere famiglie a lavorare nella stessa fabbrica, e di fatto tutta la città vive su quello. Non si può pensare che con oltre 200 salari in meno la città possa sopravvivere, e si paventa quindi che lo stesso destino possa toccare ad altri lavoratori, commercianti e artigiani di Gaggio Montano.
Quale soluzione? Come da sempre diciamo, l’unica speranza per vincere è continuare a lottare, contro i padroni e i loro schieramenti politici, unendo le vertenze a tutela dei posti di lavoro, non tante piccole lotte, ma una sola grande vertenza che scuota le fondamenta di questa violenta reazione padronale.


https://youtu.be/QJeZJqqc9hE

https://youtu.be/fMBySPK71ok

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione Romagna

Polonia, la guerra santa contro le donne e le persone LGBTQIA+

 


Cresce la rabbia contro le forze reazionarie in Polonia

Oltre ottanta manifestazioni lungo tutto il territorio polacco, con la partecipazione di migliaia di persone, soprattutto donne, hanno dato corpo alla protesta suscitata dalla morte di Izabela Sajbor, una giovane parrucchiera trentenne, avvenuta il 22 settembre nell'ospedale della contea di Pszczyna.

Secondo quanto è stato denunciato negli ultimi giorni dalla famiglia e dall’avvocata Jolanta Budzowska, la ragazza era stata ricoverata alla ventiduesima settimana di gravidanza per gravi malformazioni del feto e perdita del liquido amniotico. I medici hanno atteso la morte del feto prima di intervenire, rifiutandosi di praticare l’aborto, causando la morte della ragazza per setticemia. Risalta in questo fatto l'assoluto spregio della vita della donna, che resta così ridotta a mero contenitore, a fattrice la cui sopravvivenza è determinata in base a norme ideologiche e reazionarie, fortemente segnate da una cultura religiosa cattolica identitaria e fondamentalista.

Questa tragica vicenda è il risultato dell’ulteriore inasprimento delle leggi antiabortiste dello stato polacco in seguito alla sentenza del Tribunale costituzionale che il 22 ottobre 2020 ha dichiarato incompatibile con la costituzione l’articolo della legge che prevedeva l’interruzione di gravidanza in caso di gravi malformazioni del feto, lasciando nel perimetro della legalità solo il caso di aborto in seguito a violenza sessuale. Una sentenza che aveva già scatenato le proteste e gli scioperi organizzati e lanciati dal movimento Ogolnopolsky Strajk Kobiet (Osk - Sciopero nazionale delle donne, costituitosi nel 2016) contro il governo reazionario, nazionalista, di ispirazione clericale, PIS (Prawo i Spradwiedliwosc, “Diritto e Giustizia”) (1).

Secondo le associazioni che si occupano di tutela dei diritti riproduttivi fino alla sentenza del 2020 oltre il 90% dei circa 1000 aborti legali in Polonia sono stati attribuiti a gravi malformazioni del feto, per cui l’obiettivo del governo è quello di eliminare del tutto la possibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza.

Inoltre, come denuncia Amnesty International sulla scorta di un rapporto del Consiglio d’Europa, sebbene lo stupro sia riconosciuto come motivo previsto dalla legge per ricorrere all’aborto, le donne polacche si scontrano puntualmente con mille difficoltà per ottenere il riconoscimento della gravidanza come conseguenza di un atto di violenza e per accedere alle cure e ai servizi che effettuano l’interruzione di gravidanza.

Secondo il Parlamento europeo negli ultimi 10 mesi solo 300 donne polacche hanno avuto accesso ai servizi per l’aborto, mentre secondo diverse ONG gli aborti clandestini oscillano dal 2016 al 2019, gli anni del maggior irrigidimento della normativa, tra i 100 mila e i 200 mila casi. Una tragica realtà che ha una conseguente ed evidente connotazione di classe, esponendo le donne proletarie, che non hanno la possibilità di andare all’estero per accedere a un aborto legale e sicuro dal punto di vista sanitario, a un grave rischio per la propria salute e per la loro stessa vita.

La politica reazionaria del governo guidato dal PIS è intervenuta anche pesantemente contro gli immigrati, le minoranze religiose e le persone LGBTQIA+.
Negli ultimi due anni, con un particolare impulso a ridosso delle elezioni parlamentari del 2019 e di quelle presidenziali del 2020, la campagna del PIS contro le persone LGBTQIA+ e la presunta “ideologia gender”, come contro la generalità dei diritti civili, considerati dal partito al governo un ostacolo ai valori della società polacca, ha visto un forte sviluppo, anche grazie all’appoggio della Chiesa cattolica, i cui principali esponenti, tra cui l’arcivescovo di Cracovia Marek Jedraszewski, definiscono il movimento LGBT una “piaga arcobaleno”, “neo-marxista” nel suo anelito alla liberazione. Una violenta esternazione a cui ha fatto eco Andrzej Duda, rieletto presidente il 12 luglio 2020, che oltre ad annunciare l’uscita della Polonia dalla Convenzione di Istanbul e promettere un emendamento alla Costituzione per impedire alle coppie omosessuali le adozioni, ha ampiamente dichiarato che le persone LGBTQIA+ non sono esseri umani, ma “ideologia peggiore del comunismo”.

Non solo. Per coprire lo scalpore suscitato dalle rivelazioni contenute in Zabawa w Cowanego (Giocare a nascondino) (2), il secondo film – dopo Tylko nie mów nikomu (Non dirlo a nessuno) (3) – dei fratelli Marek e Thomasz Sekielski sugli abusi sessuali commessi dal clero (è emerso come negli ultimi 30 anni circa 400 sacerdoti abbiano abusato di minori), il Ministero della Giustizia polacco nello scorso anno ha destinato risorse pubbliche al sostegno di una campagna sul settimanale Do Rzeczy in difesa della Chiesa cattolica e delle radici cristiane dell’Europa, contro la “persecuzione dei cristiani” assediati dalla barbarie della sinistra e dell'ideologia LGBT.

Mentre in tutto il paese non esistono forme di riconoscimento per le coppie omosessuali, tra il 2019 e il 2020 oltre ottanta governi locali, concentrati soprattutto nella polonia sudorientale, dove il PIS gode di grande consenso, hanno adottato risoluzioni contro la comunità LGBT e in difesa della famiglia tradizionale, impegnandosi ad astenersi dal fornire assistenza finanziaria alle ONG che lavorano per promuovere la parità di diritti e proclamandosi “liberi dall’ideologia LGBT”. Una operazione che è stata concettualizzata con la definizione di “zone senza LGBT”, sostenuta dalla Chiesa cattolica e propagandata con una campagna promossa dal giornale filogovernativo Gazeta polska, con tanto di adesivi allegati all’edizione settimanale recanti lo slogan “LGBT free zone” (4).

In seguito a questa campagna omo-lesbo-bi-transfobica, i collettivi LGBT hanno organizzato una serie di azioni di protesta.
Il 7 agosto 2020 la carcerazione preventiva dell’attivista Margot Szutowicz (rilasciata solo a fine mese) ha sospinto le azioni dei collettivi LGBT, alimentando quella che è stata definita la Polish Stonewall, brutalmente repressa dalle forze dell’ordine con 48 fermi e l’arresto di numeros* attivist*, che hanno subito percosse, lesioni e molestie sessuali dalla polizia (5).

La campagna “stop LGBT” non si è arrestata. Nel Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, è tuttora depositata una legge di iniziativa popolare (sostenuta da 140 mila firme) che si prefigge di mettere fuori legge i Pride - le manifestazioni per i diritti LGBT – e tutte le esternazioni di orientamenti sessuali e identità di genere non conformi.

I promotori di questa legge sono gli attivisti Kaja Godek e Krzysztof Kasprzak, della fondazione antiabortista Zycie i Rodzin (Vita e Famiglia), già candidati nel 2019 alle europee tra le file del partito di destra KORWiN (Koalicja Odnowy Rzeczypospolitej Wolnosc i Nadzieja - Coalizione per il Rinnovamento della Repubblica, Libertà e Speranza). Non sorprendentemente convinti no vax. Secondo quale fantasiosa teoria? Quella secondo la quale i vaccini sarebbero fatti con resti di feti abortiti, ovviamente… (6).

Nei fatti, prima che nelle proposte di legge, da tempo il sostegno ideologico del partito al governo ha spinto l'estrema destra ad accanirsi con maggiore forza contro le persone LGBT, come è avvenuto recentemente nell’occasione dei Pride del 2021, che sono stati minacciati da diverse contromanifestazioni omofobe.

L’alleanza solida tra Stato e Chiesa cattolica arma la crociata reazionaria contro i diritti delle donne e di tutte le soggettività non conformi alla regola patriarcale, clericale, eteronormata e a sostegno della famiglia nucleare tradizionale, fondamento della struttura sociale capitalistica.

Esattamente come il PIS nel corso del 2020, La Conferenza Episcopale polacca ha attaccato la Convenzione di Istanbul. Sotto accusa sono soprattutto la definizione di identità di genere - quindi il riferimento ai ruoli, ai comportamenti, alle attività che la società attribuisce alle persone secondo il genere - e l’avere indicato la religione e la famiglia tradizionale come cause di violenza contro le donne.

Ancora, in un documento sulle tematiche e sul movimento LGBT (7) la Chiesa polacca alimenta e sostiene ogni tipo di oppressione e delirio oscurantista, contro l’avanzamento dei diritti civili, contro l’educazione sessuale nelle scuole, promuovendo la patologizzazione delle identità di genere, mediante il sostegno a centri di consulenza medica e psicologica per le cosiddette terapie di conversione, un abuso e violenza indicibile sul corpo e la psiche delle persone LGBTQIA+.

Donne e persone lgbt si trovano sotto attacco e in prima linea contro la Chiesa, contro il governo reazionario del PIS - che in questi giorni sta concentrando la sua violenza reazionaria anche contro i profughi al confine bielorusso - e contro l’avanzare dell’estrema destra nazionalista, che con il sostegno delle istituzioni ha organizzato a Varsavia la Marcia dell’Indipendenza, un raduno annuale a cui partecipa tutta l’ultradestra europea (per l’Italia l’immancabile Forza Nuova).

Soltanto il più ampio fronte di classe, anticapitalista e rivoluzionario, organizzato su scala internazionale, può avere la meglio sulle forze fasciste, reazionarie, clericali, in Polonia, come ovunque. Un fronte che unisca tutte le lotte - contro tutte le violenze e oppressioni di genere, per i diritti civili e sociali, per il lavoro, per la tutela dell’ambiente - in una lotta sola contro l’ordine economico da cui derivano tutte le forme di controllo sociale che subiamo, per una società socialista emancipata da abusi e sfruttamento che liberi l’umanità intera.



(1) Vedi Unità di Classe, n. 7, dicembre 2020, pp. 5-6

(2) https://retelabuso.org/2020/05/16/hide-and-seek-film-completo/

(3) https://retelabuso.org/2019/05/19/il-documentario-di-cui-si-parla-un-sacco-in-polonia/

(4) ILGA - Europe’s Annual Review of the Human Rights Situation of Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex People covering events that occurred in Europe and Central Asia between January-December 2020, p. 90

(5) https://www.hrw.org/news/2020/08/12/poland-punishes-lgbt-rights-activist-pretrial-detention

(6) https://wiadomosci.onet.pl/kraj/krzysztof-kasprzak-wraz-z-kaja-godek-stoja-za-projektem-stop-lgbt-kim-jest-kasprzak/92vfy51

(7) https://ita.calameo.com/books/006329419534c12b63f95

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere



Grande successo elettorale del trotskismo argentino

 


Le lezioni di un'esperienza straordinaria

15 Novembre 2021

Il risultato delle elezioni legislative in Argentina del 14 novembre racchiude un grande significato politico.

Il governo peronista di Fernandez-Kirchner (Frente de Todos), dopo due anni di politiche antioperaie, perde 5.200.000 voti. Il centrodestra macrista (Juntos por el Cambio), oggi all'opposizione, si avvantaggia del crollo peronista, ma perde rispetto al 2019 1.700.000 voti (500.000 a Buenos Aires). Il vero vincitore politico delle elezioni è il Frente de Izquierda (FIT), che consegue il 6% su scala nazionale con 1.400.000 voti (di cui oltre 500.000 nella grande Buenos Aires), quarantamila voti in più di quelli riportati nelle elezioni primarie (PASO), con punte del 25% in Jujuy, del 8,19 in Nequen, del 8,53 in Chubut. A questo va aggiunto il risultato riportato in alcune circoscrizioni regionali da due altre organizzazioni trotskiste, Politica Obrera e Nuevo MAS. Complessivamente si può dire che il trotskismo conseguente argentino riporta un risultato storico attorno al 7% dei voti, affermandosi come terza forza su scala nazionale in contrapposizione ai peronisti e alle destre liberali, ed eleggendo quattro deputati nel Parlamento, nonostante il sistema elettorale non realmente proporzionale.

Partito Obrero (PO), Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS), Izquierda Socialista (IS), compongono nel loro insieme la larga maggioranza del FIT (80 percento dei voti nelle elezioni primarie) quali organizzazioni marxiste rivoluzionarie fondatrici del FIT nel 2011. Ad esse si è aggregato elettoralmente il Movimento Socialista de los Trabajadores (MST), su posizioni centriste, dando vita a FIT-U (Unidad). Nelle elezioni del 2019, dopo anni del governo di destra di Macri, il FIT aveva subito un arretramento a vantaggio dell'opposizione peronista. L'esperienza di due anni di governo antioperaio dei peronisti ha ampliato considerevolmente lo spazio e la capacità di attrazione delle organizzazioni del FIT. Ma decisivo è stato l'intervento di massa delle organizzazioni rivoluzionarie, in un paese che ha visto aumentare del 50 percento la povertà assoluta.

Il FIT non è un generico blocco elettorale di sinistra, ma un polo marxista rivoluzionario che si batte per il governo dei lavoratori, sulla base di un programma classista, anticapitalista, internazionalista. La sua campagna elettorale è stata la proiezione del suo intervento politico. Una campagna per il rifiuto di pagare il debito pubblico al capitale finanziario e al FMI, contro una riforma del lavoro mirata ad estendere ulteriormente la precarietà di massa, per l'esproprio sotto controllo operaio delle aziende che licenziano, per la drastica riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga, per un forte aumento generalizzato dei salari a fronte della massiccia svalutazione in corso, per la nazionalizzazione delle banche. Non un programma “per la redistribuzione della ricchezza” ma per il potere dei lavoratori.

Questo programma anticapitalista ha conquistato il voto di un settore crescente della classe operaia, che ha rotto col peronismo e il suo governo per sostenere il trotskismo. Non un “trotskismo” sbiadito e simulato, quale eredità bibliografica e storica, come vediamo anche in Italia in alcune organizzazioni qui presenti. Ma il trotskismo autentico, cioè il programma della rivoluzione socialista. Un trotskismo che si è demarcato rigorosamente in tutta l'America Latina non solo dalla socialdemocrazia (PT brasiliano) e dalle sue succursali del Forum di San Paolo, ma anche dal nazionalismo piccolo-borghese (Chavez, Maduro, Morales) e dal castrismo.

Il risultato elettorale riflette una crescita delle organizzazioni marxiste rivoluzionarie che compongono il FIT sullo sfondo di una stagione di lotte radicali che hanno attraversato l'Argentina. Lotte operaie, come nell'industria della gomma, che hanno visto i trotskisti conquistare sindacati aziendali e di settore sconfiggendo la burocrazia sindacale. Ma anche grandi lotte delle donne per il diritto all'aborto, dei giovani contro la devastazione dell'ambiente, del movimento LGBTQI... Il risultato delle urne non è l'effetto del blocco elettorale in quanto tale, ma il portato di una crescita del radicamento di massa delle organizzazioni trotskiste, a partire dal Partito Obrero, che da solo ha portato in piazza a Buenos Aires trentacinquemila persone: lavoratori, lavoratrici, giovani, disoccupati e gente povera dei comuni della periferia della capitale.

Le sinistre riformiste e centriste di casa nostra, come la loro stampa di riferimento, continueranno a tacere con ogni probabilità sul voto argentino, e magari si lamenteranno della sconfitta del loro amato governo peronista cosiddetto progressista. Ma lo sviluppo del trotskismo conseguente in Argentina è una realtà che parla a tutta l'America Latina e alle avanguardie classiste di tutto il mondo. Dimostra che si può crescere e avanzare in un contesto di radicalizzazione sociale restando sé stessi. Senza annacquare il proprio profilo politico, senza pasticci trasformisti, senza edulcorare la propria battaglia programmatica rivoluzionaria, ma al contrario rivendicandola e presentandola sempre a livello di massa e di avanguardia per quello che è: la lotta per il potere della classe operaia. Come ha dichiarato Romina Del Plá, compagna dirigente del PO eletta nella circoscrizione di Buenos Aires, si tratta ora di investire il risultato elettorale nella lotta per un governo dei lavoratori.

Noi pensiamo che il programma del governo dei lavoratori – lo stesso programma del PCL – possa e debba condurre PO, PTS, IS all'unificazione centralista democratica delle proprie forze in un medesimo partito rivoluzionario in Argentina, al servizio della rifondazione della Quarta Internazionale nel mondo.
Di certo come PCL porteremo l''esperienza straordinaria del trotskismo argentino nella riflessione dell'avanguardia di classe del nostro paese e nel duro lavoro di ricostruzione dell'Internazionale rivoluzionaria.



Partito Comunista dei Lavoratori

Dall'assalto fascista alla sede della CGIL al divieto di manifestare

 


Il governo di Draghi cerca di chiudere il cerchio

Noi sosteniamo convintamente la vaccinazione di massa perché crediamo che la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori venga prima dell’aspirazione egoistica alla propria libertà irresponsabile da parte del borghese piccolo piccolo.

Questa aspirazione reazionaria, farcita di argomentazioni antiscientifiche e utilizzata dai fascisti, non promette nulla di buono alle lavoratrici e ai lavoratori che per la stragrande maggioranza hanno ritenuto giusto e doveroso vaccinarsi, nel rispetto dell’incolumità propria e dei propri compagni di lavoro.

Altrettanto diciamo che la salvezza dello “shopping natalizio”, sacralmente assicurato dagli esponenti del governo, non può valere la negazione del diritto a manifestare contro le politiche antioperaie del governo Draghi.

Se per far ripartire il meccanismo dell’accumulazione capitalistica, che passa come un rullo compressore sopra i corpi delle lavoratrici e dei lavoratori come dimostrato dal tragico stillicidio giornaliero degli incidenti, oltre che dalla massa di contagi, per altro in ripresa, sui luoghi di lavoro, si è costretti a recarsi in tali luoghi tutti i giorni, allora si deve aver assicurato il diritto a manifestare contro le condizioni inumane di lavoro a cui i padroni costringono una parte sempre crescente di operaie e operai.

Gli interessi dell’imperialismo italiano, che non si cura di tutelare effettivamente la salute delle classi popolari, come dimostrano il mancato sostegno al sistema sanitario pubblico, ultima voce del PNRR e per giunta in massima parte destinata a finanziare la sanità privata, e gli scandali svelati dalle inchieste giornalistiche riguardo la gestione del piano pandemico da parte del governo in collusione con le associazioni padronali (vedi il caso della Val Seriana oggetto delle indagini della magistratura), non hanno nulla che vedere con gli interessi della classe lavoratrice.

Il divieto di manifestare, anche se fosse limitato oggi alle settimanali manifestazioni reazionarie dei no-vax, a questo punto è una pura espressione dello stato d’eccezione, ossia semplicemente il disvelamento della dittatura di classe della borghesia, che da domani può usarlo contro il movimento operaio e antagonista, la sinistra, i rivoluzionari.

Solo la costruzione di una grande mobilitazione unitaria della classe lavoratrice, a cominciare dalla proclamazione dello sciopero generale e prolungato, può piegare questa dittatura di classe e aprire una fase nuova in cui la salute e la libertà di 16 milioni di salariati siano effettivamente tutelati.

Partito Comunista dei Lavoratori

EX Saeco: una storia già vista. Come alla Whirlpool. No alla chiusura e no ai licenziamenti.

 


Massima solidarietà alle e ai 220 lavoratrici e lavoratori colpiti dal possibile licenziamento

Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la massima solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori della Ex Saeco di Gaggio Montano

Sono le ennesime vittime di un padrone “prendi i soldi e scappa”.

È la logica del fare profitto con la rapina sociale, quella stessa che i governi borghesi si apprestano sempre a tutelare quando si preoccupano di rendere il Paese “appetibile agli investimenti stranieri”.

Vediamo bene di cosa si tratti: razzie da pirati, null’altro.

Allora alle lavoratrici e ai lavoratori colpiti dalla violenza padronale, e da azionisti che come briganti operano nell’ombra, diciamo le stesse cose che diciamo alle operaie e agli operai della Whirpool.

Non fidatevi di chi cerca di prendervi in giro come il governatore Bonaccini, che oggi dimostra indignazione vi esprime la sua pelosa solidarietà, domani come sempre, dentro il proprio Partito proseguirà il sostegno al governo del banchiere Draghi, quello, per intendersi dello sblocco dei licenziamenti e dell’attacco alle pensioni.

Come abbiamo affermato riguardo alla Whirlpool di Napoli, la soluzione operaia deve essere un’altra:

l'occupazione dell'azienda da parte degli operai e la rivendicazione la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano.

Invece che inseguire un negoziato a perdere in ordine sparso con governo e padroni, i sindacati devono unire le centinaia di vertenze a difesa del lavoro che attraversano l'Italia, per trasformarle in un’unica grande vertenza: per ripartire fra tutti il lavoro che c'è attraverso la riduzione generale dell'orario, a parità di paga.

Queste rivendicazioni non possono e non devono restare isolate; centinaia di delegati di diversa appartenenza sindacale la stanno promuovendo attraverso un appello nazionale.

Il Partito Comunista dei Lavoratori mette tutte le proprie disponibilità al servizio di questa battaglia. Chiede a tutte le organizzazioni sindacali che parlano a nome della classe lavoratrice di farla propria. Chiede a tutti i circuiti di avanguardia di unire nell'azione le proprie forze attorno alla rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio.

Chiede alla sinistra di opposizione del territorio di Bologna di battere un colpo e di dare riscontro all’appello all’unità di azione che le abbiamo rivolto con la nostra “Lettera aperta”

Resta in ogni caso una considerazione di fondo. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può spazzare via la classe degli azionisti parassiti e riorganizzare la società su basi nuove. Solo la lotta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può tutelare il lavoro e fare avanzare gli operai.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Sez. di Bologna

Contro l'infamia dei licenziamenti Whirlpool è l'ora di voltare pagina

 


Solo la nazionalizzazione delle aziende che licenziano, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, può unire gli operai e tutelare i posti di lavoro

La lettera di licenziamento da parte del gruppo Whirlpool conferma il totale cinismo di un'azienda che non si fa scrupolo di gettare i lavoratori e le lavoratrici in mezzo a una strada. La magistratura copre il cinismo padronale, rigettando il ricorso sindacale. Il governo smentisce le sue promesse di cartone, come già i due governi precedenti. Il famoso consorzio sulla mobilità che dovrebbe riassumere i licenziati è rimasto un fantasma, tempo perso per i lavoratori e guadagnato dai padroni Whirlpool, che ora provano a disgregare l'unità degli operai con lo strumento della corruzione economica individuale.

L'operazione Whirlpool va respinta. L'unità tra i lavoratori va salvaguardata, assieme all'enorme patrimonio di lotta accumulato in due anni. Ma si impone un bilancio della linea seguita sinora dalle direzioni sindacali. Prima l'idea di un improbabile “ravvedimento” della proprietà USA, poi la ricerca di un nuovo compratore sul mercato grazie all'interessamento dei governi, infine la fiducia nella magistratura, hanno finito col portare i lavoratori in un vicolo cieco. È necessaria ora una svolta.

Come abbiamo affermato sin dall'inizio di questa vicenda drammatica, c'è una sola possibile soluzione a garanzia del lavoro: la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio dell'azienda Whirlpool. Sia lo Stato a farsi garante del posto di lavoro. Se poi Whirlpool è disposta a spendere 85000 euro per dipendente, li versi allo Stato. Non per liquidare il lavoro, ma per preservarlo. La rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori è l'unico modo di rispondere all'aggressione padronale con una radicalità uguale e contraria. L'unico modo per provare a riaprire la partita. L'unica via per porre il governo, e non solo il padrone, come propria controparte denunciando le sue responsabilità e le sue finzioni da intermediario.

Questa rivendicazione non può e non deve restare isolata; centinaia di delegati di diversa appartenenza sindacale la stanno promuovendo attraverso un appello nazionale. I lavoratori della GKN ultimamente l'hanno fatta propria con una decisione importante e preziosa. Si tratta di fare fronte comune su questa richiesta tra tutte le aziende in lotta per aprire una vertenza nazionale. Non si può più proseguire in ordine sparso, azienda per azienda, se non al prezzo di finire sconfitti, l'uno dopo l'altro, in un calvario che dura ormai da quindici anni. Ora basta. Ora è necessario voltare pagina. Se gli azionisti licenziano gli operai, gli operai hanno diritto di chiedere il licenziamento degli azionisti, e di chiederlo insieme.

Il Partito Comunista dei Lavoratori mette tutte le proprie disponibilità al servizio di questa battaglia. Chiede a tutte le organizzazioni sindacali che parlano a nome della classe lavoratrice di farla propria. Chiede a tutti i circuiti di avanguardia di unire nell'azione le proprie forze attorno alla rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio.

Resta in ogni caso una considerazione di fondo. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può spazzare via la classe degli azionisti parassiti e riorganizzare la società su basi nuove. Solo la lotta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può tutelare il lavoro e fare avanzare gli operai.

Partito Comunista dei Lavoratori

I giovani e le pensioni

 


Le ragioni di uno sciopero generale, vero, unitario, di massa

Governo e Confindustria, col sostegno di tutta la stampa padronale, motivano il ritorno alla “normalità” della legge Fornero con l'interesse delle giovani generazioni. È lo schema collaudato degli ultimi quarant'anni: non potendo raccogliere il consenso sulla barbarie delle proprie misure antioperaie, le motivano con argomenti obliqui. È stato così per la soppressione della scala mobile nel 1992, per la riforma contributiva del sistema pensionistico nel 1995, per la legge Fornero nel 2011, per l'abolizione dell'articolo 18 nel 2014. Come anche per le privatizzazioni industriali e nei servizi. Da quarant'anni a questa parte tutto è stato fatto “per i giovani”. Ma in quarant'anni i giovani sono progressivamente invecchiati, nel mentre venivano spogliati, uno dopo l'altro, di tutti i diritti strappati dalle generazioni precedenti. E ora che sono invecchiati, vengono additati come privilegiati, in debito verso chi? Verso... “i giovani”, naturalmente. Così ricomincia la giostra.

È di nuovo il turno delle pensioni. Dopo l'elemosina di quota 100 – che non cancellava affatto la riforma Fornero – il governo annuncia il ritorno della legge a pieno regime. Ancora una finestrella per 10.000 lavoratori (la quota 102 per il 2022), poi tutti in pensione a 67 anni.
Ma il governo non aveva detto che «è l'ora di dare e non di togliere»? Certo, ma non aveva specificato a quale classe togliere e a quale classe dare. Ora è più chiaro, per chi non avesse capito o chi avesse fatto finta di non capire. Il governo toglie il diritto al riposo a chi ha lavorato quarant'anni, dopo una vita di sacrifici e rinunce. E dà il ricavato al pagamento del debito pubblico, quello che incassano (coi relativi interessi) le grandi banche e compagnie di assicurazione, italiane ed estere, che hanno investito in titoli di Stato. È lo stesso capitale finanziario con cui si indebita l'Unione Europea per finanziare il Recovery Fund. Fondi presi a prestito, a loro volta girati agli industriali e ai banchieri. Il parassitismo finanziario della società borghese è il sole attorno a cui girano i pianeti. Pensioni, sanità, scuola, diritti sono solo il bancomat dei parassiti.

I giovani sono le prime vittime di questa operazione fatta contro i loro padri e nonni. Con un sistema pensionistico contributivo, li attende una pensione da fame dopo una vita di lavoro sempre più precaria, grazie al dilagare dei contratti usa e getta di cui i padroni dispongono a propria scelta come in un supermercato; e sempre più lunga, perché i 67 anni slittano progressivamente verso l'alto col crescere della cosiddetta aspettativa di vita. Laddove l'aspettativa dovesse calare, magari a causa di una pandemia, non cala l'età pensionabile. La scala è solo verso l'alto, mai verso il basso. Il capitale finanziario viene messo al riparo da ogni inconveniente, grazie a questa clausola di garanzia. È l'intera classe lavoratrice che viene chiamata a pagare il conto.

Sono tutte ragioni più che sufficienti per rivendicare uno sciopero generale contro il governo Draghi. Uno sciopero generale vero, unitario, di massa, di tutti i lavoratori e le lavoratrici di ogni settore e categoria. Le burocrazie sindacali che hanno già regalato al governo lo sblocco dei licenziamenti vogliono sventolare bandiera bianca anche sulla Legge Fornero?
Quando nel 2011 la burocrazia CGIL diede il proprio lasciapassare alla legge dietro la copertura penosa di tre ore di sciopero, Maurizio Landini, allora capo della FIOM, disse che era un errore. Cosa vuol fare ora il segretario della CGIL di fronte a un governo che considera la legge Fornero una normalità? Non si ripeta la farsa delle tre ore, o di iniziative territoriali a macchia di leopardo per salvarsi l'anima. È necessaria e urgente una mobilitazione vera, che metta sul campo la forza di milioni di salariati, per cancellare la legge Fornero. Tutti i sindacati di classe dovrebbero incalzare la CGIL mettendo la sua direzione di fronte alle proprie responsabilità. Certo se la CGIL farà ammuina, il fronte unitario di lotta andrà promosso dal basso con tutte le forze disponibili.

L'abolizione della legge Fornero, il diritto alla pensione a 60 anni o dopo 35 anni di lavoro, la cancellazione delle leggi di precarizzazione del lavoro, la ripartizione tra tutti del lavoro esistente attraverso la riduzione dell'orario a 30 ore a parità di salario, sono parte decisiva di una piattaforma generale di lotta contro il governo e il padronato. E vanno combinati con la rivendicazione della cancellazione del debito pubblico verso il capitale finanziario e la conseguente nazionalizzazione delle banche. Solo una grande ripresa della lotta di massa su una piattaforma unificante e indipendente può ribaltare i rapporti di forza e aprire dal basso una stagione nuova. Il posto della giovane generazione è più che mai all'interno di questo fronte.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il capitalismo distrugge l'ambiente, la salute, il lavoro

 


Solo una rivoluzione socialista può salvare il pianeta

Il testo del volantino distribuito a Roma alla manifestazione contro il G20

La realtà del mondo mostra ogni giorno di più la criminalità del profitto. La distruzione degli ecosistemi moltiplica le pandemie. Le multinazionali del farmaco privano la maggioranza dell’umanità del diritto di vaccinazione. La demolizione dei sistemi sanitari pubblici, per pagare il debito alle banche, massimizza le conseguenze mortali del Covid. La crisi sociale riversa i suoi effetti sui salariati con licenziamenti e miseria crescenti. Gli imperialismi vecchi (USA e UE) e nuovi (Cina e Russia) si contendono le spoglie del mondo che saccheggiano, con una nuova corsa agli armamenti e la minaccia di nuove guerre (Taiwan).

I governi capitalisti di ogni colore cercano di mascherare le proprie responsabilità dietro promesse ridicole, sbugiardate dai fatti. Il primo incontro internazionale per “la salvezza del pianeta” si tenne esattamente mezzo secolo fa, con la Conferenza ONU a Stoccolma dal titolo “Una sola Terra” (1972). Ma la Terra ha continuato a rotolare verso il baratro, sotto il peso di una produzione fondata sui fossili e di un capitale finanziario intrecciato con questi, se solo si pensa che il 95% dei fondi attivi delle banche è legato a energia fossile. Altro che “finanza verde ed ecologica”! Anche il caro prezzi che falcidia i salari si spiega così. Da un lato una ripresa capitalistica che continua a consumare carbone, petrolio e gas. Dall’altro la pura speculazione di capitalisti che comprano sul mercato finanziario i diritti di inquinamento, per questo sempre più cari, e scaricano i costi in bolletta. Inquinamento e parassitismo borghese sono due facce della stessa medaglia. È la ragione per cui le banche frenano sulla cosiddetta “transizione verde”. Senza una nazionalizzazione (senza indennizzo) delle banche e dei colossi energetici non vi sarà alcuna svolta ecologica nell’economia. Solo un governo delle lavoratrici e dei lavoratori può realizzare una simile misura. Solo un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, a livello nazionale, europeo, mondiale, può realizzare gli investimenti necessari su larga scala nelle energie rinnovabili secondo un piano di riconversione ambientale, facendone pagare il costo ai capitalisti.

Lo stesso nodo si ripresenta nel fronteggiare la pandemia. Siccome la ricerca scientifica sui vaccini è stata affidata dagli Stati capitalisti alle grandi case farmaceutiche, queste ultime nel 2003 hanno interrotto la ricerca sul coronavirus perché l’epidemia della Sars si era estinta troppo in fretta e non avevano più un interesse di mercato. Decenni di ritardo provocato dal profitto sono stati moltiplicatori di sofferenza e morte. Come non bastasse, gli Stati capitalisti hanno ora garantito agli azionisti del vaccino la segretezza dei contratti, per consentire loro di vendere ai migliori offerenti in giro per il mondo. E questo dopo averli ricoperti d’oro con risorse pubbliche pagate dai lavoratori. Il risultato è che continenti interi, privati del vaccino, diventano a loro volta moltiplicatori della pandemia. L’Unione Europea e tutti i suoi governi, a partire da Draghi, sono stati in prima fila in questa pubblica frode ai danni dell’umanità. Non basta. Gli stessi governi si coprono dietro la vaccinazione di massa – in sé progressiva e indispensabile, contro tutte le idiozie No Vax – per risparmiare sulle misure sanitarie di protezione nei luoghi di lavoro, nella scuola, nei trasporti e continuare a ingrassare la sanità privata.
E basti pensare che in piena pandemia il governo italiano ha destinato alla sanità l’ultima voce di spesa del PNRR, per di più in direzione della sanità privata. Senza contare che i soldi investiti sono presi a debito e andranno ripagati con gli interessi alle banche.

Solo la cancellazione dei brevetti, l’abolizione del segreto commerciale, la nazionalizzazione senza indennizzo dell’industria farmaceutica può consentire la produzione di massa del vaccino e la sua distribuzione su scala mondiale. Solo il raddoppio della spesa sanitaria, finanziato dalla cancellazione del debito verso le banche e da una patrimoniale di almeno il 10% sul 10% più ricco, può avviare una svolta vera. Solo un governo delle lavoratrici e dei lavoratori può realizzare queste misure.

La crisi economica e sociale porta alla stessa conclusione. I capitalisti scaricano sui salariati la crisi del proprio sistema. La Confindustria italiana è in questo senso esemplare. Nell’epicentro della pandemia ha costretto i lavoratori e le lavoratrici ad andare al lavoro senza le minime condizioni di sicurezza, nel mentre buttava in mezzo a una strada un milione di precari. Ora nel nome della ripresa chiede e ottiene lo sblocco dei licenziamenti, il ritorno alla “normalità” della legge Fornero, il peggioramento del già miserabile reddito di cittadinanza perché non ostacoli il super sfruttamento del lavoro. Non solo: chiede la cancellazione dell’IRAP, che finanzia la sanità pubblica, e la detassazione delle rendite finanziarie, il tutto ovviamente a spese degli operai. I licenziamenti a GKN, Whirlpool, Elica, Giannetti, e in decine di altre imprese, sono l’antipasto di ciò che seguirà allo sblocco dei licenziamenti nell’industria tessile. Lo scandalo sta nel fatto che la burocrazia sindacale, invece di contrapporsi al governo e unificare le lotte di resistenza, ha seguito una politica opposta. Sino a regalare ai padroni il diritto di licenziare in cambio di una “raccomandazione”. Una truffa senza ritegno.

Ma a tutto questo ci si può opporre. Come dimostra la lotta esemplare dei lavoratori di GKN, che intreccia le ragioni del lavoro, della riconversione ecologica della produzione, dell’alternativa alla gestione capitalistica della pandemia.

Il ritorno a pieno regime della Legge Fornero non deve passare. È l’ora di uno sciopero generale vero, unitario, di massa, contro il governo Draghi! È necessario unire le lotte di resistenza della classe operaia generalizzando l’esperienza della GKN: costruendo una cassa nazionale di resistenza, occupando le aziende che licenziano, ponendo l’obiettivo della loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio; rivendicando con forza la riduzione dell’orario di lavoro a 30/32 ore a parità di paga.

La classe operaia è l’unica classe che può guidare la maggioranza dell’umanità nel rovesciamento del capitalismo per una soluzione socialista. Per questo è l’unica che può dare un futuro a tutte le domande di vera svolta, nel campo dell’ambiente, della salute, del lavoro. Sviluppare la coscienza di questa necessità è il compito di un partito rivoluzionario. Costruisci con noi questo partito!

Partito Comunista dei Lavoratori