Post in evidenza

La confluenza dell'Opposizione Trotskista Internazionale nella Lega Internazionale Socialista

  Avanza l'unità dei marxisti rivoluzionari nel mondo 26 Maggio 2025 English version Il congresso dell'Opposizione Trotskista Intern...

Cerca nel blog per parole chiave

La morte di un Papa

 

mortepapa22 Aprile 2025

English version

Da comunisti non ci associamo al lutto universale, a reti unificate, per la morte di Papa Bergoglio.
In particolare, non concordiamo con la commemorazione estatica della figura di Papa Francesco da parte di tutte le le sinistre cosiddette radicali.

Naturalmente, rispettiamo profondamente la libertà religiosa e i sentimenti dei fedeli. Ma non al prezzo di rinunciare alla verità. La religione, ogni religione, è oppio dei popoli, scriveva Marx. La Chiesa cattolica nel mondo è la principale dispensatrice di questo oppio. Il culto religioso lo celebra. Il Papa, ogni Papa, è a capo del culto. La predica di una vita ultraterrena e della resurrezione della carne favorisce la rassegnazione a una vita terrena di sfruttamento e di oppressione per miliardi di esseri umani. Il richiamo alla carità verso gli umili non solo non cambia l'ordine reale delle cose, ma presuppone la sua conservazione, contro ogni prospettiva di rivoluzione. Attenzione per i poveri? Persino la Chiesa della Controriforma che scatenava la guerra contro le streghe moltiplicò gli ordini caritatevoli e assistenziali a tutela dei poveri, pur di replicare all'insidia del protestantesimo.

Più in generale, la stessa idea di un Dio Padre creatore dell'uomo, negando la figura dell'uomo quale creatore di Dio, lo educa per questa via a un principio di sottomissione. Non a caso la Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola, vide nell'autorità terrena il riflesso di Dio, e nell'obbedienza alla autorità il dovere dell'obbedienza a Dio.
Peraltro, la stessa retorica dell'uguaglianza e della fratellanza tra le “creature di Dio” tradisce puntualmente la propria ipocrisia quando si tratta delle donne, dei gay, delle lesbiche, delle persone transgender. Nel loro insieme, più della metà della specie umana su scala planetaria.
Lo stesso ordine interno alla Chiesa cattolica si fonda peraltro sulla disuguaglianza tra uomini e donne, rigorosamente escluse dal sacerdozio. La negazione del diritto all'aborto, assimilato a un omicidio, la condanna dei medici non obiettori chiamati “sicari”, il parallelo tra armi e contraccettivi in quanto entrambi soppressori della vita, sono tutti concetti pubblicamente espressi da Papa Bergoglio, anche in tempi recenti.

Quanto alla ripulitura della Chiesa cattolica dalla pedofilia, e dalla gigantesca mole di crimini contro bambini e suore a tutte le latitudini del mondo, Bergoglio non è andato al di là della retorica della denuncia. Il quotidiano Domani ha documentato nel 2022 che il Vaticano si è limitato a trasferire in altre diocesi i sacerdoti abusatori, e ha continuato a far pressione sulle vittime perché non rendessero pubblici gli abusi.
In ogni caso, Bergoglio ha confermato la giurisdizione ecclesiastica come unico possibile tribunale per i casi di pedofilia, sottraendoli pertanto alla giustizia ordinaria. Nei fatti, una garanzia di copertura protettiva, contro ogni principio di uguaglianza. I sistemi concordatari fra Stato e Chiesa tutelano peraltro il privilegio della Chiesa anche sotto il profilo giudiziario.

È vero: Papa Bergoglio ha pronunciato in più occasioni parole di denuncia a difesa dei migranti, a tutela della natura, e contro la guerra. Ha cercato su diversi terreni di risollevare l'immagine pubblica della Chiesa dalla sua crisi profonda provando a mettersi in sintonia coi sentimenti progressisti di una parte dell'opinione pubblica e della giovane generazione. Soprattutto ha voluto rispondere alla crisi verticale della popolazione cattolica in Occidente (in particolare in Europa e negli USA), e alla concorrenza crescente dell'islamismo su scala mondiale, con la ricerca di più ampie aree di influenza cattolica nei continenti oppressi, a partire dall'Africa, peraltro senza riuscire a invertire la china. Ma le parole progressiste restano parole, sulla bocca del Papa come sulla bocca dei governanti borghesi “democratici” e “umanitari”. Le parole, svincolate dall'azione, non servono a cambiare la realtà, ma a mascherarla. Peraltro, la stessa parola di Bergoglio è stata ben attenta ad evitare pericolosi equivoci. Parlare della “guerra” e della “pace” come categorie universali ed astratte significa cancellare il confine tra guerre imperialiste degli oppressori e guerre di liberazione degli oppressi. Ciò che tutela in definitiva gli oppressori. Se si denuncia come ignobile il massacro di Gaza, ma si condanna o si ignora la resistenza palestinese, cambia qualcosa per il popolo oppresso? Si risponderà che non rientra nel ruolo di un Papa il pubblico sostegno ad una resistenza. Verissimo. Ma qual è allora esattamente il ruolo del Papa, di ogni Papa? Questo è il punto.

Il ruolo del Papa, di ogni Papa, è inseparabile dalla natura della Chiesa. La Chiesa è un'istituzione reazionaria. Una monarchia teocratica e assolutistica. Il Papa, ogni Papa, in quanto capo della Chiesa, è istituzionalmente un sovrano assoluto che concentra nelle proprie mani ogni potere verso i propri sudditi. La cosiddetta divisione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario), propria delle democrazie borghesi liberali, è estranea alla Chiesa. Il Papa sovrano detiene il controllo degli stessi beni patrimoniali della Chiesa, perché tutte le diverse amministrazioni dei beni ecclesiastici, immobiliari, finanziari, azionari, fanno capo alla somma figura del Pontefice. Le proprietà ecclesiastiche sono immense. Nella sola Italia, la Chiesa ha il primato delle proprietà immobiliari, al netto dei luoghi di culto. Sono proprietà largamente esentate da qualsiasi dovere fiscale. In compenso, le casse dello Stato, a livello centrale e locale, provvedono in varie forme al trasferimento di risorse pubbliche nel portafoglio ecclesiastico, dal pagamento degli insegnanti della religione cattolica agli oneri di ristrutturazione degli immobili della Chiesa.

La Chiesa è a tutti gli effetti capitalismo ecclesiastico. Gli scandali finanziari che la interessano sono un riflesso della sua natura. Ad esempio, recentemente, lo scandalo dell'Obolo di San Pietro ha rivelato che i fondi di beneficenza per i poveri vengono usati per transazioni finanziarie e commerciali della Chiesa nei ricchi quartieri delle metropoli. Qualcuno può seriamente meravigliarsene?

Papa Bergoglio non ha cambiato nulla, perché non poteva cambiar nulla, nella natura materiale della Chiesa. Da buon sovrano, ha provveduto a gestirla. Sicuramente ha provato a cambiare le forme di comunicazione del papato uscendo dalla canonica dottrinaria di Papa Ratzinger a favore di un linguaggio più popolare e diretto. Sicuramente ha puntato a ridimensionare a proprio vantaggio l'equilibrio di potere con la Segreteria di Stato vaticana, facendo della propria relazione col popolo dei credenti un punto di forza nel rapporto con la gerarchia. In questo senso, paradossalmente, Bergoglio ha enfatizzato la natura assolutistica del papato all'interno dell'ordine vaticano. La sua estrazione peronista e gesuitica lo ha sicuramente aiutato nell'operazione.

Resta il nodo di fondo, che va al di là di Bergoglio. Si può presentare la figura di un sovrano assoluto, capo di una monarchia teocratica e capitalistica, come figura di «comunista» (Maurizio Acerbo, Rifondazione Comunista) e «grande rivoluzionario» (dalla Rete dei Comunisti a Il Manifesto)?
Nella subordinazione reverente al papato, nell'incanto per la sua parola, si riflette, in ultima analisi, l'adattamento alla società borghese. Cioè la rinuncia ad ogni prospettiva di rovesciamento dell'ordine reale del mondo. Le ragioni del marxismo rivoluzionario trovano una volta di più la propria conferma.

Marco Ferrando

Contro la repressione, per la lotta di classe

 


Le provocazioni poliziesche contro i manifestanti per la Palestina

13 Aprile 2025

Il 12 aprile si è tenuta a Milano una manifestazione nazionale contro il genocidio in Palestina e contro la guerra. Il corteo, sin da subito, si è dimostrato estremamente partecipato e completamente pacifico.

In questo clima, si è verificata un’ingiustificata carica da parte della polizia nei pressi di Piazza Baiamonti. Una carica a freddo, una pura dimostrazione di forza, mascherata dalla necessità di “fermare dei vandali”. In realtà, i compagni e le compagne fermati sono stati scelti casualmente, indicati nella folla senza alcuna reale motivazione, e portati in questura. Il vero obiettivo era chiaro: intimidire il corteo e ostentare la forza dello Stato.

Non è un caso che la polizia si sia permessa un uso tanto indiscriminato della violenza. È il primo segnale della trasformazione dell’Italia in uno Stato di polizia, portata avanti dal governo Meloni. Né è un caso che tutto ciò sia accaduto poco dopo l’entrata in vigore dei nuovi decreti sicurezza, imposti attraverso l’antidemocratico strumento del decreto legge.

Il governo ha voluto testare la propria forza contro i manifestanti, convinto di spezzare facilmente la resistenza. E invece ha trovato una piazza coesa, determinata, che ha resistito fino all’ultimo, senza paura, respingendo le manovre violente del nemico di classe e portando il corteo fino all’Arco della Pace.

Come Partito Comunista dei Lavoratori condanniamo apertamente le manovre repressive del governo. Esprimiamo la nostra completa solidarietà ai compagni e alle compagne denunciati, e dichiariamo che continueremo a lottare, nonostante la repressione e la violenza dei padroni.

Ai manganelli si risponde con il partito. Alla violenza dello Stato si risponde con la lotta di classe. Ai padroni si risponde con la rivoluzione.

Partito Comunista dei Lavoratori

La guerra commerciale tra imperialismi

 


La svolta di Trump alla prova del protezionismo. L'interesse indipendente della classe operaia internazionale

7 Aprile 2025

English version

Il grande rilancio del protezionismo segna il nuovo corso di Donald Trump. Il ricorso a politiche protezioniste non rappresenta naturalmente un fatto inedito, anche in tempi recenti. Dopo la grande crisi del 2008, e in particolare nell'ultimo decennio, l'innalzamento delle tariffe doganali sulle importazioni è diventato uno strumento diffuso nella concorrenza tra imperialismi. Anche negli USA, dove fu inaugurato dalla prima amministrazione Trump e in larga parte mantenuto, non a caso, dalla successiva amministrazione Biden. Il fatto nuovo, oggi, sta nel rilancio del ricorso protezionista su larga scala, e nel significato politico che questo assume.

Le misure protezioniste varate da Trump nel cosiddetto “giorno della liberazione dell'America” (2 aprile) si estendono alla maggioranza dei settori produttivi nell'intero globo. La loro distribuzione segue un criterio politico, non solo economico. La Cina è sommamente colpita, assieme a larga parte dei mercati asiatici; seguono a ruota le esportazioni europee; la Russia è l'unico paese risparmiato. È il riflesso di una politica di apertura all'imperialismo russo con l'obiettivo della sua separazione dall'imperialismo cinese. Una politica che offre alla Russia il riconoscimento di un ruolo negoziale globale, a scapito degli imperialismi europei, e conferma la Cina come avversario strategico degli USA.


GLI OBIETTIVI ECONOMICI DEL NUOVO CORSO DI TRUMP

Dal punto di vista economico, il nuovo corso protezionista di Trump persegue una combinazione di obiettivi diversi e complementari.

Il primo è riequilibrare la bilancia commerciale, e di riflesso la bilancia dei pagamenti degli USA. Il calcolo dei nuovi dazi in base alle tariffe praticate dai capitalismi concorrenti (con una ritorsione dimezzata a riprova di una presunta “generosità” trumpiana) è arbitrario da un punto di vista economico, perché attribuisce interamente ai dazi subiti la responsabilità dello squilibrio commerciale americano, ma è chiarissimo nella sua finalità: imporre ai capitalismi concorrenti sul mercato americano il costo della loro invadenza, a vantaggio dello Stato americano.

Il secondo obiettivo è riportare negli USA investimenti e produzioni industriali emigrati in Asia e in Europa negli anni della grande espansione della globalizzazione capitalista. “Fare di nuovo l'America grande” è prima di tutto rilanciare il suo ruolo di prima potenza industriale. Imporre dazi alti sulle esportazioni asiatiche ed europee, e promettere al tempo stesso un'ulteriore riduzione della tassazione sui profitti per chi investe negli USA, è un chiaro messaggio ai capitalisti di tutto il mondo: se volete evitare la mannaia dei dazi, per di più guadagnandoci sopra, dovete venire o tornare a produrre in America. L'età dell'oro sarà soprattutto la vostra.

Il terzo obiettivo è quello di massimizzare la pressione internazionale per l'acquisto del debito pubblico statunitense. Possibilmente acquisto di debito a lunghissima scadenza, addirittura centenaria (i cosiddetti “matusalem bond”). Il debito americano verso il resto del mondo ha raggiunto i 23 mila miliardi di dollari. Una mole gigantesca. La sua crescita esponenziale negli ultimi venticinque anni (dal 50% del PIL del 2000 al 125% attuale) è una mina potenziale di grande rilevanza per l'imperialismo USA, e va riportata sotto controllo. Volete evitare la mannaia dei dazi sui vostri prodotti? Comprate titoli di Stato americani per l'eternità, senza pretendere di vederveli ripagati con gli interessi. Trump chiede contropartite «fenomenali» in cambio di una propria (eventuale) indulgenza.


LA REAZIONE DEGLI IMPERIALISMI CONCORRENTI.
I RIFLESSI SULL'ECONOMIA MONDIALE


Gli obiettivi sono chiari, e peraltro dichiarati secondo la logica dell'America First. I loro risultati sono invece del tutto ipotetici, perché esposti a due variabili imprevedibili: la dinamica del negoziato interimperialista e quello dell'economia mondiale.

La prima reazione degli imperialismi concorrenti alla svolta protezionista americana appare diversificata. Gli imperialismi europei temono conseguenze serie per la loro UE: dovendo affrontare parallelamente la guerra dei dazi, l'emarginazione dal negoziato ucraino, l'annunciato disimpegno USA dal teatro europeo, le nuove spese del proprio riarmo.
Le regole europee prevedono che in fatto di relazioni commerciali il potere negoziale sia della Commissione, non dei governi nazionali. Ma ciò scarica sulla UE la contraddizione tra interessi nazionali diversi, tra chi è massimamente esposto sul mercato americano e chi lo è meno, tra chi è più esposto in un settore e chi in un altro, tra chi vuole intestarsi la guida di una replica europea (la Francia) e chi cerca a fatica una relazione privilegiata con Trump (l'Italia). In ogni caso, la forte crescita del peso del commercio internazionale nel PIL della zona d'euro (dal 31% del 1999 al 55% attuale) misura la maggiore esposizione dell'Europa sul fronte della guerra commerciale rispetto ai propri concorrenti. L'economia delle relazioni transatlantiche pesa per ben il 33% del PIL mondiale. Dunque a Bruxelles la parola d'ordine è cercare altri mercati di esportazione, come il Mercosur e il Messico.

La Cina ha invece risposto immediatamente agli USA con una ritorsione immediata e consistente. È la reazione obbligata della grande potenza avversaria. L'imperialismo cinese cerca di trarre un vantaggio politico dalla svolta americana, provando ad offrirsi agli imperialismi europei e persino al Giappone come interlocutore affidabile in quanto garante delle regole del WTO. L'incontro fra i ministri degli Esteri di Cina, Giappone, Corea del Sud attorno al tema delle proprie relazioni commerciali sta in questo quadro. Così come i segnali di fumo tra la Cina e l'Unione Europea: terrorizzata dal rischio di un'invasione di merci cinesi a basso costo sui propri mercati, quale conseguenza del protezionismo USA, ma al tempo stesso interessata ad aprirsi un proprio spazio di manovra capace di rafforzare il proprio potere negoziale con gli USA.
Nelle relazioni interimperialiste, la tradizionale guerra di posizione sembra lasciare il passo ad una sorta di guerra di movimento.

L'aprirsi di una guerra commerciale dispiegata all'insegna del protezionismo può avere un forte impatto sull'economia mondiale. Il mercato globale è la somma dei mercati nazionali e continentali. Se ogni paese o blocco imperialista protegge il proprio mercato con più elevate barriere tariffarie contro i capitalismi rivali, la risultante inevitabile sarà la contrazione del mercato mondiale. Non a caso il tema di una possibile recessione è entrato prepotentemente nel confronto internazionale, e nella stessa dinamica delle Borse mondiali. I ripetuti crolli delle azioni e il calo vistoso del prezzo del petrolio sono sintomi eloquenti della grande paura di una recessione.


L'INCOGNITA SULLA TENUTA DEL BLOCCO SOCIALE DI TRUMP, E I SUOI RIFLESSI SULLA POLITICA MONDIALE

All'interno degli USA il blocco sociale di consenso raccolto da Trump sarà messo alla prova degli effetti del protezionismo. A differenza che in Europa (e a maggior ragione in Italia), l'investimento in azioni di Borsa coinvolge negli USA un ampio settore di aristocrazia operaia e della classe media, un pezzo importante della base sociale del trumpismo. Non a caso Trump si è affrettato a rassicurare la propria base elettorale circa i futuri effetti miracolosi della svolta protezionista. Certo è che il fascino retorico dei suoi annunci dovrà confrontarsi con la dura materialità del portafoglio. Lo stesso ambiente del grande capitale americano, ricollocatosi attorno a Trump, dà segni di nervosismo.

Quel che è certo è che la tenuta di Trump sul versante interno sarà decisiva per la stessa credibilità della sua politica estera. E non solo sul versante economico. L'obiettivo politico-strategico della separazione della Russia dalla Cina dipende dalla tenuta interna del trumpismo. La stabilità politica istituzionale della Cina è infatti ben superiore a quella di Trump, che dovrà affrontare fra due anni il delicato passaggio delle elezioni di medio termine. Il regime di Putin è lusingato e tentato dall'offerta americana di un ruolo mondiale di grande potenza, ma può pensare di cambiare cavallo solo in presenza di garanzie politiche affidabili, a partire dalla tenuta regime trumpiano. È un caso che Trump abbia iniziato ad alludere ad un suo possibile (ma improbabile) terzo mandato, contro i limiti della Costituzione americana?


PER L'INTERESSE INDIPENDENTE DELLA CLASSE OPERAIA INTERNAZIONALE

Il protezionismo ,come sempre, ha e avrà un portato ideologico. Ogni paese e/o blocco imperialista cercherà di arruolare i salariati nella propria guerra commerciale contro gli imperialismi rivali. Trump invoca il sostegno della classe operaia americana contro i «parassiti» europei che hanno truffato l'America. Gli imperialismi europei cercheranno il consenso dei propri operai a possibili ritorsioni contro “l'irresponsabile” amministrazione americana. L'imperialismo cinese rafforzerà il proprio richiamo nazionalista a sostegno della replica protezionista anti-USA. Ovunque si cercherà di contrapporre i salariati ad altri salariati nel nome degli interessi della propria nazione, o schieramento, imperialista.

Ma la classe operaia internazionale non ha alcun interesse a farsi arruolare nelle guerre commerciali tra i capitalisti e i loro Stati. Ha invece interesse a lottare per i propri interessi indipendenti e un'alternativa di società.

Il protezionismo avrà conseguenze sociali per la classe operaia. Trascinerà ovunque un aumento dei prezzi e dunque un erosione dei salari, una diffusa riorganizzazione delle catene produttive, con il taglio di posti di lavoro e di diritti sindacali, una possibile recessione, messa sul conto dei proletari.
La rivendicazione della scala mobile dei salari, della ripartizione del lavoro attraverso la riduzione drastica dell'orario a parità di paga, della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle imprese che chiudono e licenziano, può e deve essere la prima risposta unificante nella tempesta in arrivo: in ogni paese, su scala continentale, su scala mondiale.

Se i capitalisti si fanno la guerra prendendo in ostaggio i propri salariati, i salariati hanno interesse a difendere il proprio interesse comune, al di là di ogni divisione nazionale. L'alternativa al protezionismo non è l'improbabile ritorno al libero scambio della precedente globalizzazione. È l'alternativa al capitalismo, al di là di ogni divisione di frontiera.
Sviluppare la coscienza politica di questa verità rivoluzionaria è il compito dei marxisti rivoluzionari, ad ogni latitudine del mondo.

Partito Comunista dei Lavoratori

LA BUONA CONDOTTA DELLE/DEGLI STUDENT3 CHE OCCUPANO

 









Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la massima solidarietà e vicinanza alle/agli student3 che stanno occupando diverse scuole medie superiori di Bologna.

Le/gli student3 sono oggetto da parte degli organi amministrativi delle scuole di una vera campagna fatta di minacce, denunce e provvedimenti sia amministrativi che sul voto di condotta con la conseguenza del rischio di perdita dell’anno scolastico o l’impossibilità di accedere all’esame di maturità.

È la scuola del ministro Valditara con la sua riforma, quella delle scuole efficienti e competitive nel formare menti obbedienti e di “buona condotta”. Quelle stesse regole a cui tutti i governi che si sono succeduti, di ogni colore politico, sono venuti meno quando hanno messo a repentaglio il diritto allo studio mediante tagli e disinvestimenti nella scuola con la conseguenza di un fortissimo abbandono scolastico.

Invece l3 student3 che scioperano e occupano non solo dimostrano di avere a cuore la scuola ma anche di “fare scuola”. Infatti, stanno dando una dimostrazione di critica e resistenza ossia proprio quello che la scuola dovrebbe insegnare.

Essi stanno costituendo un presidio resistente contro la riforma della scuola del ministro Valditara e le sue misure repressive (condotta>) e reazionarie (studio della Bibbia), contro il progetto autoritario e poliziesco del governo contenuto nel DDL ex1660, il Decreto sicurezza, che reprime le lotte sociali e solletica la parte più retriva della popolazione e delle forze dell’ordine, contro il progetto del cosiddetto “riarmo” europeo, ossia il massiccio aumento delle spese militari a danno dello stato sociale (sanità, scuola ecc.…) ed infine contro la complicità di governo, istituzioni ed enti, tra cui le università cono lo stato sionista responsabile dell’occupazione della Palestina, del genocidio di Gaza e della pulizia etnica sia a Gaza che in Cisgiordania.

Una condotta esemplare e di cui il sistema scolastico dovrebbe essere orgoglioso.

Le/gli student3non possono essere lasciat3 sol3. Occorre innanzitutto riunire intorno a loro tutte le realtà che si stanno battendo per le loro stesse ragioni. Questo però non è sufficiente. Occorre costruire in fronte unico di massa che unisca lavoratrici/ori, student3e tutti i settori oppressi della società a cominciare dal movimento delle donne, su una piattaforma anticapitalista. Solo questa grande forza che si basa sulle organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori, delle studentesse e degli studenti e tutti gli altri settori sociali, puo cambiare i rapporti di forza tra le classi, aprire il varco ad una stagione nuova potenzialmente in grado di condurre ad un’alternativa di società.

Beninteso, nessun governo, di qualsiasi colore politico, fosse pure di “sinistra” può garantire le conquiste sociali e civili che si potrebbero raggiungere in questo modo. Solo un governo di tipo nuovo perché basato sulle organizzazioni di massa e non pencolante nel putrido sistema politico borghese potrebbe assicurare la difesa di queste conquiste: il governo delle lavoratrici e dei lavoratori


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

SEZ. DI BOLOGNA


Birmania e Cina. L'imperialismo in casa d'altri


 Il devastante terremoto che ha investito la Birmania, col suo impressionante numero di vittime e distruzioni, favorisce l'attenzione sul regime militare che la domina, la guerra interna che l'attraversa, le sue relazioni internazionali. Aspetti rimossi molto spesso dall'eurocentrismo di larga parte della sinistra europea, tanto più se di estrazione “campista”.


La Birmania è oggi divisa in due parti distinte. Da un lato le aree controllate dallo spietato regime militare del generale Min Aung Hlaing, emerso dal colpo di Stato del 2021: un regime di tipologia fascista fondato sul terrore; dall'altro le aree conquistate dalla composita resistenza al colpo di stato da parte di diversi gruppi etnici e dalla Forza di Difesa Popolare (PDF), i quali fanno capo al cosiddetto “Governo di unità nazionale”, basato sui parlamentari eletti in opposizione ai militari golpisti. Insomma, da un lato la dittatura militare, dall'altro una coalizione borghese liberale.

L'imperialismo cinese (e il suo alleato russo) svolgono un ruolo centrale in Birmania. A novembre 2024 il generale golpista Min Aung Hlaing ha partecipato in prima fila al vertice dei Paesi del fiume Mekong convocato dalla Cina. A febbraio 2025 è stato ricevuto con tutti gli onori da Putin a Mosca, per incassare dalla Russia jet e droni con cui bombardare la guerriglia. Un bombardamento criminale che non si è fermato neppure nei giorni catastrofici del terremoto.

Soprattutto la Cina è base di appoggio decisiva del regime militare birmano sotto il profilo politico ed economico. Non è un caso. La Birmania si affaccia sul Golfo del Bengala e sul Mare delle Andamane, accedendo direttamente alle rotte marittime dell'Oceano Indiano. Rotte commerciali di alta rilevanza strategica per la Cina, perché le consentono di ridurre la propria dipendenza dallo Stretto di Malacca, collo di bottiglia dei traffici transoceanici conteso da diverse potenze.
Non solo. La Birmania, a dispetto della sconfinata povertà della stragrande maggioranza della sua popolazione, è ricca di risorse: petrolio, legname, pietre preziose, giada (che da sola fa il 50% del PIL birmano), ma anche terre rare. Anche per questo il corridoio economico Cina-Birmania è parte vitale della Via Della Seta, disseminata di oleodotti e gasdotti. Gli investimenti dei grandi monopoli cinesi nelle infrastrutture del paese, in particolare in dighe e porti, hanno accresciuto la dipendenza debitoria della Birmania dalla Cina, e dunque il potere di quest'ultima sulla Birmania.

Tuttavia, nell'ultimo anno il rafforzamento della guerriglia contro la giunta militare, la sua imprevista estensione e consolidamento, il rischio di una saldatura vincente fra l'opposizione liberale alla giunta e gli imperialismi occidentali (USA e UE), hanno molto impensierito Pechino. Da qui una manovra spregiudicata della Cina che da sei mesi combina la continuità del proprio sostegno alla giunta militare con l'avvio di relazioni e aiuti all'opposizione interna. Xi Jinping non vuole trovarsi spiazzato. Vuole preservare ad ogni costo il proprio controllo imperialistico sul paese, quale che sia l'esito – imprevedibile – della guerra civile che l'attraversa.
All'imperialismo cinese poco importa se a governare la Birmania saranno generali golpisti o borghesi liberali. L'essenziale è che il paese resti nell'area di influenza cinese, e non finisca fra le braccia di imperialismi concorrenti.

Per la stessa simmetrica ragione è essenziale ricondurre la coraggiosa mobilitazione popolare contro l'odiosa giunta militare a una prospettiva antimperialista. Alla prospettiva di un governo operaio e contadino: l'unico che possa distruggere dalle fondamenta gli apparati militari golpisti, realizzare una vera riforma agraria, rompere con ogni imperialismo, garantire una vera svolta.

Partito Comunista dei Lavoratori