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Fabio e Maria liberi subito!

Libertà per tutti gli arrestati! Alessandro, Orazio, Emiliano e Riccardo liberi subito!

28 Luglio 2017
In solidarietà e per la scarcerazione di Maria, Fabio e di tutti i compagni arrestati, si è tenuto un presidio davanti all'ambasciata tedesca a Venezia. Questo è il testo del volantino distribuito in occasione dal PCL
I compagni veneti Maria e Fabio sono in stato di arresto da settimane, e con loro ci sono anche i compagni Alessandro, Orazio, Emiliano e Riccardo.
Fermati e poi reclusi per il solo fatto di aver partecipato contro i potenti del mondo alle favolose giornate anti-G20 ad Amburgo.

Ad oggi non c’è alcuna intenzione da parte del tribunale ordinario di istruire i processi in tempi brevi, e con la scusa del pericolo di fuga la procura ha impedito ogni richiesta di rilascio su cauzione e di arresti domiciliari potendo così allungare i tempi della detenzione preventiva fino a sei mesi.

La repressione dello Stato tedesco, che non è riuscito, impedendo lo svolgimento delle proteste, a fermare questa fresca ondata rivoluzionaria, ora mostra tutta la sua violenza contro i compagni arrestati.

Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la massima solidarietà e vicinanza a Fabio e Maria e a tutti i compagni colpiti dalla repressione, detenuti per aver espresso la libertà di poter manifestare contro i potenti che sono a custodia del sistema capitalistico, e ne chiede l'immediata liberazione senza capi di imputazione e pene.

Questi arresti sono l’evidenza lampante che l’illusione “democratica” si smaschera appena qualcuno mette in dubbio l'attuale gerarchia sociale.

Il Partito Comunista dei Lavoratori denuncia al contempo che il governo italiano ad oggi nulla ha fatto per aiutare gli arrestati, lasciando così in mano allo Stato tedesco la libertà di agire in maniera repressiva nei confronti di sei italiani.

Tutto questo è scandaloso!

Il Partito Comunista dei Lavoratori invita tutte le forze della sinistra politica e di movimento a unirsi in una protesta generale contro il governo italiano, reo di essere complice dello Stato capitalista repressivo tedesco.

Solo una rottura rivoluzionaria, attraverso un processo di sollevazione di massa diretto dalla classe lavoratrice, potrà portare alla sconfitta di questo sistema economico fatto di barbarie e repressione.

Contro la repressione degli Stati, contro il capitalismo e l'imperialismo, solidarietà internazionalista!

Libertà per tutti i compagni e compagne!
Partito Comunista dei Lavoratori

L'armata tricolore verso la Libia

«Pronta un'armata con navi, aerei e droni per fermare le partenze dei migranti». Così il Corriere della Sera annuncia con squillo di fanfare la nuova impresa di Libia.

I dettagli forniti dalla stampa più accreditata presso il ministero della Difesa sono molto istruttivi. Prevedono l'invio di una flotta militare guidata da una nave comando, seguita da cinque navi leggere, e accompagnata da aerei ed elicotteri, per un totale di mille uomini in divisa. La flotta dovrebbe entrare per la prima volta in acque libiche coordinando l'intervento della guardia costiera locale per intercettare, bloccare, respingere sotto costa i barconi di migranti, prima che entrino nelle acque internazionali. I migranti, letteralmente sequestrati, verrebbero poi “trasferiti a terra” e internati nei campi libici, dove “i richiedenti asilo” dovrebbero inoltrare le proprie richieste.

Il cinismo regna sovrano. Lo scopo evidente della missione militare è impedire con la forza il diritto di fuga dalla fame e dalle guerre provocate dalle rapine imperialistiche, segregando in fetide galere centinaia di migliaia di persone disperate, già provate da violenze indicibili, e ora date nuovamente in pasto a vessazioni, torture e stupri. Il richiamo al controllo dell'ONU è pietoso. È come sempre la coperta diplomatica e rassicurante offerta alla opinione pubblica democratica per coprire le peggiori nefandezze. L'ipocrisia sulla natura “umanitaria” della missione è svelata dalle regole d'ingaggio richieste dal governo italiano. Infatti verrà utilizzato il cosiddetto modello SOFA (Status Of Forces Agreement) della Nato, che ha lo scopo di «concedere ai militari presenti nei Paesi ospiti la massima immunità possibile dalle leggi locali» (Corriere 27/7). Questo significa una cosa sola: il diritto dei militari occupanti a delinquere impunemente, in mare e in terra.

Non è casuale peraltro il modello esemplare indicato: quello della cosiddetta missione Alba del 1997 contro la “invasione albanese". Il Corriere la esalta perché «riuscì a frenare il flusso migratorio dalla Albania alla Puglia». In realtà la fuga dall'Albania continuò sino ai primi anni 2000. In compenso le navi militari tricolori speronarono e affondarono nel Mare di Otranto la barcarola albanese Kater i Rades, assassinando 108 persone. Un crimine tuttora impunito, e persino rimosso a sinistra come non fosse avvenuto. Governava Romano Prodi, con l'appoggio di Bertinotti, Cossutta, Ferrero, Rizzo. Si vuole oggi rinverdire quelle gesta nel mare di Libia?

Il calendario della missione militare non è casuale, e non riguarda solo la partita migranti. La missione italiana è annunciata il giorno dopo l'incontro a Parigi del presidente francese Macron con al-Sarraj e il generale Haftar. Un incontro funzionale a rilanciare l'imperialismo francese quale forza egemone in Nord Africa, a tutela della presenza della Total in Cirenaica, e del controllo sulla fascia del Sahel (Niger, Mali, Ciad). L'imperialismo italiano, già in forte contrasto con gli interessi francesi su altri fronti (cantieristica), non è disposto a subire in silenzio. Dopo essersi accorto di essere salito sul cavallo sbagliato (al-Sarraj), mentre i francesi cavalcavano il vincente Haftar (col sostegno interessato di Egitto e Russia), il governo italiano ora cerca rimedio allestendo una propria diretta presenza militare sul campo a supporto degli interessi di Eni e del proprio ruolo negoziale in Nord Africa e sui confini del Niger: là dove passano le carovane tormentate dei migranti che Minniti vuole bloccare alla partenza. La pioggia di miliardi promessa dalla UE ai diversi governi africani interessati serve non solo a ingrassare le corrotte polizie locali e a dissodare il terreno per nuovi investimenti rapina (sotto la bandiera dell'“aiutiamoli a casa loro”), ma anche a coprire il braccio di ferro tra imperialismo francese e imperialismo italiano per l'egemonia nel Nord Africa.

I migranti e le loro sofferenze sono dunque ostaggio di una partita più grande tra le vecchie potenze coloniali. Anche per questo la mobilitazione contro la missione italiana non può muovere solo da un versante “democratico” a tutela dei migranti e dei loro diritti. Deve muovere anche da un'aperta denuncia degli interessi dell'imperialismo, innanzitutto del nostro imperialismo. Quello che piace a tanti improvvisati sovranisti (magari di sinistra), e che invece resta per noi, come un secolo fa, il nemico principale.
Marco Ferrando

Il successo di Alexis Tsipras: la fame dei lavoratori greci

Il governo Syriza festeggia il ritorno della Grecia sui mercati

26 Luglio 2017
«Un successo assoluto»: così Alexis Tsipras ha salutato il ritorno della Grecia sul mercato dei capitali.

Di cosa si tratta? Si tratta del fatto che il governo greco è tornato a emettere bond sul mercato finanziario. Esattamente bond a cinque anni, che gli hanno fruttato tre miliardi di euro. Più di metà della somma raccolta è giunta dai vecchi creditori della Grecia, cioè dagli Stati e banche imperialiste che hanno affamato quel paese. A vendere i bond (in gergo si chiama “gestire il collocamento”) hanno pensato guarda caso sei grandi banche internazionali appositamente incaricate dal governo ellenico (BNP Paribas, Citigroup Global Markets, Goldman Sachs, Merril Lynch, Deutsche Bank, HSBC), le quali in parte hanno comprato direttamente i titoli greci, in parte li hanno piazzati ad altri acquirenti. Il tutto naturalmente in cambio di un rendimento (interesse sul debito) notevolmente elevato: 4,26 %. Per fare un raffronto i titoli italiani, grazie agli investimenti della BCE, sono oggi scambiati con un rendimento dello 0,80%.

Prima domanda: perché i creditori imperialisti sono tornati a comprare i titoli greci? Perché Tsipras si è sufficientemente prostrato in questi due anni a tutte le richieste degli strozzini della troika per guadagnarsi una medaglia di affidabilità. Seconda domanda: perché rendimenti tanto elevati sulle nuove emissioni? Perché il capitale finanziario conosce bene il collasso dell'economia greca (crollo del 25% del pil, debito al 180%) - prodotto della sua stessa rapina - e dunque si cautela (da perfetto strozzino) con alti interessi... a loro volta volàno di nuovo debito, in una spirale senza fine. L'unica cosa chiara è che a pagare il conto sono chiamati come sempre i lavoratori, i disoccupati, la popolazione povera di Grecia. Gli stessi che hanno retto sulle proprie spalle la bancarotta del capitalismo greco e gli effetti della crisi mondiale.

Mentre la sinistra riformista continua a benedire Tsipras, il Sole 24 Ore ha commentato con cinica soddisfazione: «...Un ex giovane comunista come Tsipras si è convertito dalla politica suicida di collisione con la UE alla stagione di austerità e riforme strutturali» (26 luglio). È un bilancio di verità: l'unico assoluto successo di Tsipras è il successo dei creditori imperialisti.
Partito Comunista dei Lavoratori

Dietro siccità e incendi il fallimento del capitale

Gli intellettuali borghesi accusano i marxisti con bonaria sufficienza di pregiudizio ideologico verso il capitalismo. In realtà manifestano, in forma capovolta, il proprio pregiudizio ideologico. Lo dimostrano i fatti più semplici.

L'Italia (ma non solo, vedi Portogallo e USA) è investita in queste settimane da una straordinaria siccità, un dilagare degli incendi, una gravissima carenza d'acqua. Sono fenomeni non casuali. Le stesse commissioni di studio dell'ONU prevedevano già nel 2007 che “...le emissioni di CO2 e di metano porteranno siccità frequenti e prolungate con rischi d'incendio... Il problema dell'acqua aumenterà nell'Europa centrale e meridionale, dove i flussi estivi potrebbero ridursi dell'80%”. Testuale. Dunque i fenomeni riflettono indirettamente la distorsione di un modello economico fondato sul primato delle energie fossili, a sua volta dettato dalle ragioni di profitto. Di cosa parliamo se non del capitalismo?

Il punto è che il capitale non solo è incapace di intervenire sui problemi a monte che esso stesso crea, ma aggrava i loro effetti anche a valle. Il caso italiano è emblematico. I soli interventi di emergenza per spegnere gli incendi si confrontano col taglio drastico degli investimenti nella protezione civile realizzato da tutte le leggi finanziarie dell'ultimo decennio (dalle finanziarie di Prodi a quelle di Renzi). Parallelamente le aziende dell'acqua sempre più concentrate e privatizzate, e con tariffe sempre più esose, preferiscono distribuire i lauti dividendi agli azionisti piuttosto che investire nella riparazione delle tubature. Il fatto che l'incuria delle tubature disperda il 40% dell'acqua (il 44% a Roma) non è un problema degli azionisti. Che semmai provvederanno a reclamare l'aumento delle bollette per i consumatori. Mentre Stato e comuni (azionisti complici delle SPA dell'acqua) piangono ogni giorno sull'assenza di risorse pubbliche per la rete idrica e la protezione civile, quando pagano complessivamente alle banche quasi cento miliardi l'anno di soli interessi sul debito, e poi destinano altri venti miliardi a favore del “risanamento” di quelle stesse banche.

Questa è la realtà del capitalismo. Un mondo capovolto. Un sistema irrazionale e parassitario, capace di ingrassare il portafoglio degli azionisti ma incapace di risolvere persino il problema dell'acqua e del fuoco. Le sinistre cosiddette realiste che pensano di “riformare” il capitale, e di renderlo umano ed ecologico, vendono truffe, che servono loro unicamente per prenotare assessorati o ministeri al fianco dei partiti borghesi.
L'unica soluzione realista è il rovesciamento del capitalismo e la riorganizzazione della società dalle sue fondamenta. Solo un governo dei lavoratori può espropriare le aziende SPA che sfruttano l'acqua per ragioni di profitto, investire risorse massicce nella riparazione della rete idrica e nel risanamento ambientale, fare del risanamento del territorio la leva di un grande piano di lavori pubblici, capace oltretutto di creare milioni di nuovi posti di lavoro per lavoratori italiani e immigrati. Dove si prendono i soldi? Abolendo il debito pubblico verso le banche e nazionalizzando le banche, senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori. Ciò che solo un governo dei lavoratori può fare.

Questa è l'unica soluzione possibile. Il resto è chiacchiera e inganno.
Partito Comunista dei Lavoratori

Altri miliardi dello Stato per salvare le banche e garantire profitti

Concentrazione e centralizzazione di capitali con le tasche dei contribuenti e dei lavoratori

Mentre continuano le politiche di lacrime e sangue per i lavoratori e gli sfruttati, in tutto si regalano alle banche oltre 42 miliardi di euro e si consente di spalmare sulla collettività attraverso i meccanismi finanziari altri 26 miliardi di euro in titoli spazzatura. Questa è la volta di una doppia operazione MPS-banche venete, con il regalo di enormi capitali a Intesa San Paolo e lo scarico su collettività e lavoratori i costi del salvataggio e delle ristrutturazioni

Mentre continuano le politiche di lacrime e sangue per i lavoratori, i precari, i disoccupati e i migranti (causa di ogni male), la parte più consistente dei responsabili di questa crisi gode degli sforzi dello Stato e dei governi per poter forzare le regole europee e strappare la possibilità di salvare le tasche dei capitali finanziari e industriali.
Così, dopo gli oltre 37 miliardi di euro pubblici, tra garanzie, investimenti e acquisti di titoli tossici, per salvare le banche venete e garantire gratuitamente a Intesa San Paolo miliardi e miliardi di profitti e depositi, arriva la formalizzazione dell’operazione di salvataggio pubblico del Monte dei Paschi di Siena.

Altri 5,4 miliardi di euro pubblici per assumersi le perdite e 26,1 miliardi di titoli tossici spalmati sul mercato e su piccoli azionisti, diffusi tramite vari passaggi che prevedono il coinvolgimento del fondo finanziario Atlante2. Quest’ultimo, infatti, mostra come l’operazione banche venete e quella MPS siano strettamente collegate. Le lunghe trattative per cercare di non scontentare nessuna grande cordata di capitali si concludono con la scelta di accollare allo Stato, con una bad bank, i titoli tossici di quelle banche, regalare profitti e capitali a Intesa San Paolo, così Atlante2 - non più costretto ad occuparsi dei titoli tossici delle banche del Nord-est - può investire nella cartolarizzazione delle sofferenze di MPS, permettendo così allo Stato di divenire azionista di maggioranza fino a che tutta l’operazione di ristrutturazione non sarà conclusa. Solo allora verrà il momento per regalare nuovamente ai capitali privati un nuovo gioiellino che ha scaricato i costi del suo salvataggio sulla collettività.

Tra questi costi del programma di ristrutturazione di MPS - e nella stampa borghese vi si accenna sapientemente solo sottovoce – vi sono almeno 5.000 esuberi – posti di lavoro in meno, in qualsiasi modo si ottengano - e il taglio del 30% delle filiali con una bella aggressione al “costo e ai ritmi del lavoro”.

Ma non finisce qui. Tutte queste operazioni aprono lo scenario di un altro effetto domino. Perché appena si concluderà il cambio del pannolino alle venete e a MPS, si aprirà un nuovo caso di “necessaria ripulitura”. Quello delle Casse di Cesena, Rimini e S. Miniato che devono essere acquisite da Cariparma e Crédit Agricole Italia. Ovviamente i capitalisti coraggiosi si sentono sicuri di acquistare il tutto dopo che altri, principalmente lo Stato, si occupino di eliminare tutti i rischi e i titoli tossici “in eccesso” per altri due miliardi di NPL. L’ipotesi principale e preferita dai capitali finanziari, infatti, rimane quella sperimentata con Intesa San Paolo: una bella bad bank pubblica che si assorba debiti, sofferenze e titoli tossici per garantire profitti e accumulazione di capitali ai nuovi acquirenti.
Insomma, lo Stato mette a nuovo i pacchetti di capitali e mercato finanziario per fornirli senza rischi e complicazioni a cordate di capitali che possono migliorare i propri posizionamenti nelle classifiche del potere economico.
Nel frattempo continua la solfa del debito pubblico e della necessità di tagliare servizi, welfare, assistenza sociale e quant’altro, così come si pone come impensabile nel sistema del “libero mercato” l’intervento dello Stato per far pagare a industriali, banchieri e capitali privati di ogni sorta il costo del sistema che garantisce loro profitti, ricchezze e potere.

Lo Stato come capitalista collettivo e comitato d’affari della borghesia mostra sempre più il suo vero volto, ed è dovere di ogni sfruttato non accettare supinamente simili soprusi, simili dimostrazioni del disinteresse totale verso chi realmente produce e suda con le proprie sofferenze l’intero apparato produttivo, organizzativo e distributivo della società. Solo unendosi in una lotta generale per rivendicare condizioni di vita dignitose, salari adeguati e diritti sociali, economici e politici uguali per tutti si potranno mettere in discussione questi meccanismi. Solo battendosi per la nazionalizzazione di tutte le banche e istituti di credito in un’unica banca pubblica e gestita direttamente dai lavoratori e dall’intera società attraverso il governo dei lavoratori e delle lavoratrici, si potrà dare un indirizzo diverso alle politiche di uscita dalla crisi economica oppure gli sfruttati rimarranno sfruttati e gli sfruttatori sempre più ricchi e potenti.
Partito Comunista dei Lavoratori

COMUNICATO STAMPA: Dopo lo sgombero di Via Gandusio. Una nuova fase della lotta per la casa.

Ormai non sappiamo più che aggiungere,oltre a quello che abbiamo già detto e scritto,sulle politiche antipopolari(oseremmo dire liberticide)che contraddistinguono la giunta Merola 2.
La concezione di fondo è quella trita e ritrita del PD nazionale:se hai i soldi per permetterti servizi a pagamento "vai in carrozza",come si suol dire,altrimenti...sono fatti tuoi. Al peggioramento generale di tutto il welfare,c'è da aggiungere il NULLA ASSOLUTO dal punto di vista delle politiche sulla casa,anzi,se possibile,un PEGGIORAMENTO sensibile,se contiamo il fatto che Merola riesce a espellere dalle case popolari anche chi ha un contratto regolare.

L'ultima "prodezza" dell'ineffabile Sindaco,attraverso il cane da guardia ACER,è stata la sgombero delle palazzine di via Gandusio:certo,necessitano di lavori di ristrutturazione da decenni(come chiedono da tempo anche gli ex- inquilini),visto che cadono a pezzi,ma le soluzioni trovate per ricollocare le alcune decine di famiglie sbattute fuori di casa all'alba da centinaia di poliziotti,senza neanche il tempo di raccogliere i pochi beni affettivi rimasti negli alloggi,sono tutte di fortuna.

In questa occasione le cosiddette forze dell'ordine sono state protagoniste di un episodio gravissimo:la distruzione di tutte le porte dei locali del Circolo ARCI Guernelli(evidentemente considerato colpevole di aver ospitato le riun ioni dell'Associazione Sindacale Pugno Chiuso)e l'ammanco di alcune casse di bibite. Ciò è successo mentre gli stabili erano sotto il controllo della polizia,quindi stavolta non possono essere attribuite responsabilità ai "soliti autonomi" o "vandali" che dir si voglia.

Naturalmente,la "normalizzazione" di via Gandusio non significherà la fine della lotta per la casa,perchè quando un problema esiste oggettivamente,non scompare neanche se si attua una feroce repressione. Le case occupate(ex Telecom,Via De Maria,Via Stalingrado,Mura di Porta Galliera,Via Zanardi,Via Gandusio)sono state tutte disoccupate brutalmente,anche se per quanto riguarda via Gandusio il discorso è diverso,visto che trattasi di case popolari assegnate a coloro che oggi vengono sbattuti fuori. Il fatto è che se non si inquadra la lotta per ottenere alloggi a edilizia convenzionata per tutti i nuclei familiari che ne hanno bisogno con una più generale lotta nei luoghi di lavoro che veda protagonisti i lavoratori,se non si lega cioè la lotta per condizioni migliori di lavoro e salari più alti a quella per lo stato sociale(che è salario differito),difficilmente si riuscirà ad avere successo.

Con lo sgombero di Via Gandusio è terminata una fase della lotta per la casa,ora se ne può iniziare un'altra,con più maturità alle spalle!

La pericolosa crescita di CasaPound

L'emersione di una forza reazionaria nella crisi della coscienza di classe

Nel contesto di sempre maggior crisi politica degli apparati tradizionali della borghesia nazionale, in un brodo generale di clamoroso crollo e disgregazione della coscienza di classe, si sviluppano in maniera sempre più massiccia i populismi in grado di mascherare da riscossa bonapartistica una fase di aggressione reazionaria alle condizioni degli sfruttati. Così si rafforzano i tre principali populismi (renziano, salviniano e grillino) proprio mentre si consuma la depoliticizzazione delle masse e della politica istituzionale stessa.
In un contesto come questo, un’avanguardia militante reazionaria e neofascista come CasaPound, cavalcando proprio il leitmotiv di questa fase storica, ossia l’invasione dei migranti unito alla crisi delle masse proletarie autoctone, riesce a capitalizzare una parte del dissenso più radicale all’establishment politico, raccogliendo consensi tanto tra la piccola-borghesia quanto tra il proletariato e il sottoproletariato, soprattutto nella sua componente più giovanile.

Ordine, disciplina, pulizia, cameratismo, identità nazionale e razziale, contrapposizione al capitale finanziario e all’Europa “cosmopolita” in quanto sua espressione e programma, nazionalismo e intervento dello Stato per garantire agli italiani un welfare selettivo. Questi i cavalli di battaglia di un’organizzazione che serve tanto nella militarizzazione dello scontro con le sempre più isolate organizzazioni della sinistra - militante e rivoluzionaria o più genericamente antagonista - quanto nella canalizzazione della rabbia popolare in una guerra tra poveri utile a dividere ulteriormente la classe di fronte al padronato.

E’ così che questa organizzazione, a questa tornata elettorale amministrativa, può permettersi di rivendicare un intervento diffuso ed un consenso in netta crescita: la lista della Tartaruga ha presentato un proprio candidato autonomo in oltre 13 comuni oltre i 1.500 abitanti confermando nuovi ingressi in consigli comunali oltre ai già ottenuti seggi a Bolzano, Isernia, Lamezia Terme, Grosseto e Cologno Monzese. Il dato politico si aggira sempre al di sopra dell’un per cento dei consensi confermando una propria quota di rappresentatività: 1,79% a Parma; 1,72% a Frosinone (2,02% al candidato); 1,47% per il candidato a Gaeta; 1,34% a Pistoia; 1,21% per la candidata a L’Aquila; 1,21% a LaSpezia; 1,15% a Cuneo; 1,02% per il candidato a Lecce, 1,03% a Verona. A questi vanno aggiunti i due notevoli risultati: il 4,81% dei voti a Todi, in provincia di Perugia, e lo strabiliante risultato del 4,92% della lista e del 7,84 per il candidato a Lucca, raggiungendo il terzo posizionamento dopo le coalizioni di centrodestra e centrosinistra e sopra al Movimento5Stelle.

Questo segnale non deve cogliere impreparati i rivoluzionari e i comunisti, così come tutti i proletari, e di conseguenza non va sottovalutato. La fase di rafforzamento di queste organizzazioni non può che essere un segnale negativo, soprattutto quando riescono a radicarsi e legittimarsi nello scenario politico nazionale mettendo piede anche nelle città che hanno sempre vissuto di una certa rendita sull’ antifascismo. Oggi, nonostante non rappresentino ancora una minaccia per il movimento operaio, sicuramente non più del generico populismo reazionario e xenofobo, sono il germoglio di un’arma sempre pronta a riaffacciarsi e a svolgere il suo ruolo antioperaio, di braccio armato informale della borghesia, protetto e coperto dalle istituzioni repressive dello Stato – le forze dell’ordine e la magistratura – e spesso in affari con branche della criminalità organizzata di stampo mafioso, sempre grate alla propaganda razzista che garantisce il mantenimento di un’enorme massa di migranti in uno status di umani privi di diritti e tutele, quindi facilmente reclutabili dalla malavita o utilizzabili come fonte di guadagno e merce-lavoro a basso costo.

Solo con una politica di classe, rivoluzionaria e anticapitalista, in grado di rimettere al centro gli interessi di tutta la classe lavoratrice e di tutti gli emarginati e gli oppressi, ci si potrà contrapporre a queste organizzazioni reazionarie, impedendogli di far leva sulle divisioni nazionali, etniche e razziali per indebolirci contro il capitale e la borghesia. Solo l’unità di tutti gli sfruttati contro gli sfruttatori può contrastare l’ondata populistica, reazionaria e barbarica che soffia in tutta Europa.
Partito Comunista dei Lavoratori

Ius soli, ius culturae e ius sanguinis: una disputa reazionaria

Il capitalismo è caduto nella più grande crisi economica del secondo dopoguerra. Questa crisi si è manifestata in tutti i paesi imperialisti in misura più o meno grave. L’Italia ne è stata colpita duramente. 
Le piaghe sociali che la crisi del capitalismo porta con se si sono manifestate tutte nel nostro paese: disoccupazione di massa, impoverimento dei lavoratori, enorme aumento della disuguaglianza sociale e perdita di diritti.
La classe dei capitalisti non offre soluzioni progressive a questi drammi sociali. Da una parte ciò provoca la cosiddetta crisi di governabilità del sistema politico investito dal generale discredito, dall’altra produce di risulta lo sviluppo del populismo reazionario in tutte le sue varianti; renzismo, grillismo e salvinismo.

Intendiamoci: il populismo reazionario è un prodotto politico della borghesia al potere e si candida al governo in nome degli interessi del grande capitale. Ma la sua crescita al tempo stesso è la risultante della crisi delle forme tradizionali della politica borghese e un modo per cercare di risolverla surrogandola.
In questo momento per recuperare consenso tra le masse popolari, sempre più lontane dalle istituzioni della repubblica borghese, il populismo reazionario, impossibilitato a proporre soluzioni ai drammi sociali più sopra descritti (perché ogni soluzione è incompatibile con il capitalismo nell’era della sua crisi), costruisce il proprio radicamento sulle politiche securitarie (da ultimo il decreto Minniti-Orlando) e la lotta ai migranti. L’intento è scatenare la guerra tra poveri, ossia tra frazioni sempre più impoverite e ricattabili del proletariato, e speculare sulla crescita di sentimenti razzisti che questa guerra alimenta tra i lavoratori e le classi popolari. Questo non avviene secondo un piano prestabilito ma è la manifestazione plastica e naturale del carattere regressivo della politica borghese in generale.

La polemica di palazzo intorno alla recente discussione parlamentare sulla legge per lo Ius soli ne dà una dimostrazione eloquente.
La destra fa il suo mestiere. “Giovedì nero” titolava il Manifesto del 16 giugno riferendosi ai fatti del giorno prima quando dentro il parlamento i deputati leghisti approfittavano della visibilità mediatica per fare un po’ di bagarre razzista e “assaltare” i banchi del governo, e fuori a due passi da Montecitorio i fascisti di CasaPound facevano a spintoni con la polizia, uniti gli uni e gli altri per difender il medievale “Ius sanguinis” e protestare contro l’invasione dei barbari ”migranti” a cui la legge sullo Ius soli in discussione in quelle ore avrebbe aperto le porte.
Razzisti e fascisti oggi trovano la strada spianata per fare propaganda e costruire le proprie organizzazioni sulla xenofobia e il razzismo diffuso a piene mani tra le classi popolari sovente con la complicità della grancassa mediatica. Il pericolo per la classe lavoratrice è gravissimo. Invece di perdersi in mille rivoli di discussione e dialogo democratico con chi deve essere solo combattuto, sarebbe della massima urgenza organizzare la propria autodifesa contro il revanscismo fascista e razzista. Infatti sono ormai episodi di cronaca quotidiana le violenze intimidatorie contro i migranti che costituiscono una parte importante e crescente della classe lavoratrice italiana.

Nello stesso giorno i grillini ritiravano il proprio voto favorevole, precedentemente dichiarato, al progetto di legge e d’altra parte la sindaca Raggi si scagliava contro i campi rom e la quota di accoglienza già concordata con il Governo per Roma. Nel frattempo Grillo, un comico che fa sempre meno ridere, in un delirio di luoghi comuni razzisti rispolverava il mito dei nomadi che chiedono l’elemosina ma girano in Mercedes e leggi ottocentesche contro l’accattonaggio nella metropolitana.
La strategia è chiara: recuperare consensi alla propria destra. Non resta che registrare una volta di più, se ce ne fosse bisogno, il carattere compiutamente reazionario del grillismo. Altro che amici dei lavoratori e delle democrazia!

Dall'altra parte, dalla parte del governo, il PD di Renzi si erge apparentemente a campione dei diritti. Si dice pronto a dare battaglia fino in fondo, fino a porre la fiducia, pur di difendere il diritto alla cittadinanza.
I posteri avranno da domandarsi: fu vera gloria?. In realtà nel provvedimento di legge in discussione non c'è traccia di un effettivo diritto di cittadinanza per i bambini e i giovani italiani nati da famiglie con origini straniere. Tanto è vero che i commentatori, un po' ipocritamente, parlano di Ius soli “temperato” e del cosiddetto “Ius culturae”. Quindi, sembrerebbero dire: cari razzisti, leghisti e fascisti, state tranquilli perché il percorso per un'effettiva cittadinanza con i diritti annessi sarà ancora pieno di ostacoli.

La pezza appare in effetti peggiore dello sbrego. Andiamo a vedere cosa succede:
Lo Ius soli “temperato” presente nella legge presentata al Senato prevede che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno cinque anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno proviene da un paese no UE, deve aderire ad altri tre parametri: deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
Non è finita.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto ius culturae, e passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

Insomma, a questi giovani italiani un po' speciali si chiede di apprendere la nostra “cultura”.
Qui già si sente un po' il puzzo se non del vecchio colonialismo per lo meno di un certo imperialismo, visto che evidentemente il governo vuol chiedere loro di assoggettarsi ad una cultura implicitamente ritenuta superiore. Quella stessa cultura superiore che consente ai paesi occidentali, in altre parole i grandi paesi imperialisti, di ritenersi paesi civili di contro alla barbarie del resto del mondo e di giustificare così guerre umanitarie, interventi di polizia internazionale e via bombardando. Non ultimo di spargere terrore in tutto il mondo in nome della lotta... al terrorismo.
Ma la faccenda assume un aspetto addirittura grottesco solo che si consideri che ad imporre lo ius culturae è un governo espressione di forze politiche, come il PD, che hanno dato con la cosiddetta riforma della Buona scuola il loro onesto contributo nello smantellamento pluriennale del sistema scolastico italiano. Questo forse ha qualche attinenza con gli spaventosi dati sull'analfabetismo di ritorno che colpisce il popolo italiano: il 70% degli italiani non è in grado di capire un testo appena letto o appena ascoltato. Verrebbe da dire che stando allo "ius culturae” il 70% degli italiani non supererebbe il test per essere cittadino italiano!

Non si può che concludere che tutta la discussione intorno a questa vicenda poggia sul piano inclinato di una disputa reazionaria. È il massimo che ci si possa attendere nella democrazia borghese, oggi ribattezzata liberal democrazia, dove, per dio, i cittadini hanno bensì tutti i diritti (si fa per dire...) ma non tutti possono essere cittadini!
Vale la pena citare qui, in conclusione, oggi nel suo centenario, quella che fu una conquista della Rivoluzione d'Ottobre, che tra le altre cose, contro l'ipocrisia dei regimi borghesi proclamò solennemente negli articoli 20 e 21 della Costituzione del 1918:

«Articolo 20.
Ispirandosi al principio della solidarietà fra il proletariato di tutte le nazioni, la Repubblica Sovietica Federativa Socialista Russa assegna tutti i diritti politici propri dei cittadini russi agli stranieri che risiedono nel territorio della Repubblica russa per lavorare e che appartengono alla classe lavoratrice o a quella dei contadini più poveri che non sfruttano il lavoro altrui: ed autorizza i Soviet locali a riconoscere agli stranieri tali diritti di cittadinanza russi, senza alcuno ostacolo formale.
Articolo 21.
La Repubblica Sovietica Federativa Socialista Russa riconosce il diritto d’asilo a tutti gli stranieri sottoposti a persecuzione per crimini politici e religiosi.»
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FIAT, sciopero ad oltranza in Serbia

L'astuzia della storia batte Marchionne

Nel 2008 la FIAT apriva un proprio stabilimento in Serbia comperando il vecchio stabilimento della Zavstava in Kragujevac. L'acquisto è stato un grande affare, una joint venture con il governo serbo, che detiene ancora il 33% delle quote. Governo che ha investito 200 milioni - più altri 500 milioni della Banca Europea - e ha concesso agevolazioni fiscali per 10.000 euro per ogni posto di lavoro creato; per non contare il salario medio degli operai serbi, che con i suoi 300 euro è ben al di sotto della media nazionale. In cambio di queste condizioni favolose per il capitale del Lingotto, la promessa di produrre 300.000 unità all'anno nello stabilimento serbo, grazie alla produzione della Punto, della Cinquecento e di una (allora) “nuova city car che FIAT sta progettando”.

Cosa ne è stato di queste premesse? Una semplice illusione! L'azienda, che aveva dato speranze alla borghesia italiana, tanto che il Sole 24 Ore titolava nel luglio del 2010 "FIAT in Serbia: trentamila posti", ha disilluso tutte le attese. I 30.000 posti sognati si sono fermati ad uno zero mancante (3.668), con l'ulteriore aggrevante di 1.000 esuberi nel 2016; dei tre modelli promessi è rimasta solo la Cinquecento; delle previste 300.000 unità annue prodotte in Serbia, se ne sono prodotte solo 90.000.

Fino a qui nulla di particolare, trattasi semplicemente della cronaca di una delle tante rapine sociali da parte del capitale, in questo caso della Fiat Chrysler. Però all'improvviso irrompe nella scena un fattore inaspettato - pure se si tratta anche in questo caso di un fattore comune nella storia degli ultimi cinquecento anni - ossia la lotta di classe, la lotta dei lavoratori salariati in difesa dei propri interessi contro gli interessi (inconciliabili) degli industriali e dei bachieri. Perché 2.000 dei circa 2.500 dipendenti della FIAT in Serbia stanno scioperando da più di una settimana (a partire del 26 giugno) rivendicando aumenti salariali del 20%, il pagamento degli straordinari e dei bonus di produzione, il rispetto dei diritti sindacali e lo stop dei licenziamenti - anche se il sindacato Samolstani, fortemente legato al governo nazionalista, tenta di utilizzare lo sciopero e il malcontento degli operai per scoraggiare la FIAT a rinnovare il contratto, dando spazio alla Volkswagen, cosa che gioverebbe al governo.

L'astuzia della storia ha battuto Marchionne! Chi è andato a produrre in Serbia per poter fare ultraprofitti grazie alle condizioni di lavoro pessime, con salari miseri, senza diritti e tutele sindacali, affronta uno sciopero ad oltranza per conquistare diritti e tutele sindacali e per aumentare i salari. Chi è andato a produrre in Serbia sperando di superare così la propria crisi economica, conseguenza della crisi generale del capitalismo, smette progressivamente di produrre in Serbia per l'approfondirsi della propria crisi di vendite, e della crisi del capitalismo mondiale ed europeo.
Come si vede, le regole generali del capitalismo e della lotta di classe sono più forti delle manovre e dei magheggi di questo o quell'altro capitalista. In questo quadro è particolarmente positivo che delegati e lavoratori della FIAT in Italia abbiano espresso la loro solidarietà con la lotta dei lavoratori serbi. Questa lotta deve essere l'esempio per i lavoratori italiani, dimostrando che solo una lotta dura, fatta di scioperi ad oltranza ed occupazioni, può portare a casa risultati concreti - come è già successo con i lavoratori della Marelli in Serbia, che hanno conquistato aumenti salariali dopo cinque giorni di sciopero, al quale si sono ispirati i lavoratori FIAT.

Per questo, il Partito Comunista dei Lavoratori esprime tutta la propria solidarietà ai lavoratori serbi, e chiama tutti i sindacati e i lavoratori della FIAT a seguirne l'esempio.
Michele Amura