Mentre i salari sono in picchiata e i tassi dei mutui in rialzo, i profitti delle banche e delle grandi imprese conoscono un'impennata impressionante.
In testa naturalmente i monopoli energetici, a partire da ENI, che accresce del 600% i propri utili. Ma non solo. Unicredit ha registrato il miglior semestre degli ultimi dieci anni, Banca Intesa il miglior risultato dal 2008. Stellantis ha realizzato 8 miliardi di profitto netto nel solo primo semestre 2022, nonostante le difficoltà del mercato automobilistico. Prysmian, Brembo, Campari, Essilux realizzano incrementi degli utili di oltre il 20%. Così il gruppo Mediobanca. Così tutta l'industria bellica, la farmaceutica, l'informatica. Ed anche l'industria alimentare.
Come si spiega questo Eldorado dei profitti? Nel modo più semplice. Da un lato salari schiacciati, precariato dilagante, 90% di nuove assunzioni con contratti a termine e part time involontario, contratti non rinnovati da anni per il 40% del lavoro privato e ampi settori dei dipendenti pubblici (scuola). Dall'altro una montagna di miliardi girati ai padroni in tutti i modi possibili: credito d'imposta, taglio dell'IRAP, miliardi a fondo perduto, copertura con risorse pubbliche del credito bancario alle imprese (per cui se l'impresa non paga è lo Stato che ripaga la banca), ristori à gogo a un numero enorme d'imprese che hanno usato abusivamente la cassa integrazione senza averne bisogno (mentre si apre il safari contro gli abusivi... del reddito di cittadinanza).
Secondo i calcoli degli stessi sindacati, che li citano senza imbarazzo, sono stati versati in due anni sul portafoglio del padronato oltre 170 miliardi di risorse pubbliche. A questo si aggiunge la pratica ormai universale del buy-back: quella per cui gli azionisti comprano in Borsa le proprie azioni per accrescerne il valore e ingrassare i dividendi. Il parassitismo più spudorato.
Se poi aumentano i costi delle materie prime e dell'energia, prima per la ripresa, poi per le strozzature dell'offerta, infine per la guerra e le sanzioni, nessun problema: si aumentano i prezzi delle merci, dei servizi, di tutto.
Di più. Se è ragionevole prevedere che determinati beni rincareranno ulteriormente nella prossima fase, si investe nei titoli di Borsa corrispondenti e si trasferisce il costo dell'investimento sui consumatori. L'inflazione fuori controllo è la risultante di questo gioco.
Naturalmente il gioco rende a una sola condizione: che non aumentino i salari in modo proporzionale. Per cui assistiamo all'inverecondo spettacolo di tutta la stampa padronale, liberale o reazionaria che sia, contro la “rincorsa tra prezzi e salari”, il vero spettro d'autunno. Che è il modo aulico per dire che devono correre solo i prezzi. Esattamente come sta avvenendo. Salvo che poi gli stessi giornali “progressisti” lamentano la crescita delle disuguaglianze e i rischi di una rivolta sociale. La lingua batte sempre dove il dente duole, anche quando è biforcuta.
In questo quadro generale spicca l'assenza di una risposta che sia proporzionale all'attacco. Anzi, di qualsiasi risposta.
Le burocrazie sindacali fanno tappezzeria penosa. L'ultimo incontro col governo dimissionario è un vero pezzo d'antologia. Il governo offre ai lavoratori precari 200 euro una tantum – il nulla – mentre nega persino il rinnovo di questa miseria ai lavoratori già “beneficiati”. Cancella anche il pannicello della tassa del 25% sugli extraprofitti dei monopoli energetici, visto che questi avevano aggrottato le ciglia. Annuncia un taglio del 2% del cuneo fiscale sui salari, che significa scaricare sull'erario pubblico, cioè sui lavoratori, il taglio dei contributi, salvando integralmente i profitti aziendali che non pagano un euro. Ebbene, i segretari confederali sono usciti soddisfatti dall'incontro vantando il positivo interessamento del governo. Salvo poi scoprire, con Landini, di essere stati buggerati e spendere le solite “critiche” platoniche. Una vergogna.
E a sinistra? Un altro spettacolo imbarazzante. Non per la sua divisione, ma per la sua subordinazione in ordine sparso alle forze avversarie (o estranee al lavoro).
Fratoianni si accoda al PD, quindi al confindustriale Calenda, salvo vedersi scaricato all'ultimo miglio e precipitare la crisi del proprio partito. Rizzo fa blocco con destre reazionarie nazionaliste nel nome del rossobrunismo. Rifondazione Comunista si accoda al civico De Magistris (come già ad Ingroia) e propone insistentemente l'alleanza ai Cinque Stelle, che hanno governato contro gli operai per cinque anni firmando decreti infami contro i loro stessi diritti. Potere al Popolo critica la proposta di blocco coi Cinque Stelle ma non mette in discussione l'impianto politico culturale da cui nasce.
Naturalmente tutti parlano di lotte, di ragioni sociali, di diritti ma senza una proposta reale di azione di massa in cui investire unitariamente le proprie forze. La vera speranza di questi gruppi dirigenti non è la sollevazione di massa contro i capitalisti, ma il proprio ritorno in Parlamento. Nella prospettiva un domani di tornare al governo in qualche combinazione cosiddetta progressista. Come già con Prodi, con Tsipras, con Sanchez (Podemos), con Boric... Come con Mélenchon, che fu già ministro di Jospin quando bombardò Belgrado e che oggi rimuove l'uscita dalla NATO per accordarsi col Partito Socialista...
Noi non ci aggreghiamo a questa carovana. In direzione ostinata e contraria, diciamo tanto più oggi che il tema vero e centrale su cui unire nell'azione tutte le forze della sinistra politica e sindacale è la rivolta di classe contro i capitalisti, i loro governi, tutti i loro partiti. Se c'è un momento in cui dopo anni di sacrifici immensi andrebbe detto “basta” è esattamente questo.
Al tempo stesso, una rivolta sociale, dopo decenni di arretramenti e sconfitte, ha bisogno di parole d'ordine. Semplici, dirette, unificanti, capaci di rispondere all'esperienza quotidiana di grandi masse e al tempo stesso di sviluppare la loro coscienza politica indipendente, che è innanzitutto la coscienza della propria forza. Per una grande vertenza generale di 18 milioni di salariati. Innanzitutto.
BLOCCO IMMEDIATO DEI PREZZI ALIMENTARI E DELLE TARIFFE DI GAS, LUCE, BENZINA
I prezzi reali sul carrello aumentano ben più rapidamente di quanto dicano i dati ufficiali. Occorre un controllo operaio e popolare sui prezzi, con la costituzione di un comitato nazionale indipendente di lavoratori e consumatori, e comitati corrispondenti sul territorio. Occorre rivendicare l'abolizione del segreto commerciale e industriale, paravento di mille speculazioni padronali. Nessuna fiducia nei capitalisti, apertura dei libri contabili in ogni azienda.
FORTE AUMENTO SALARIALE, SCALA MOBILE DEI SALARI, SALARIO MINIMO DI 1500 EURO NETTI
I salari italiani sono quelli che in tutta Europa hanno perso di più negli ultimi trent'anni, a esclusivo vantaggio dei profitti. Occorre innanzitutto recuperare il maltolto chiedendo l'aumento generale e immediato di almeno 300 euro netti per tutti i lavoratori e le lavoratrici. Occorre istituire un salario minimo per legge di almeno 12 ore all'ora, 1500 euro netti su scala mensile. Ma non basta. Di fronte a un'inflazione fuori controllo che sta falcidiando le buste paga, va reintrodotta la scala mobile dei salari, conquista storica del movimento operaio, cancellata trent'anni fa. Se c'è, come c'è, la rincorsa dei prezzi, ci vuole un incremento automatico e corrispondente dei salari, privati e pubblici. L'alternativa è la continuità dell'immiserimento progressivo
REQUISIZIONE INTEGRALE DEGLI EXTRAPROFITTI E NAZIONALIZZAZIONE DEI MONOPOLI ENERGETICI, SENZA INDENNIZZO E SOTTO CONTROLLO OPERAIO
Gli extraprofitti delle grandi compagnie energetiche (ENI, ENEL, SNAM, Edison) non hanno precedenti nell'ultimo mezzo secolo. Quaranta miliardi in soli sei mesi nel 2022. Accumulati anche attraverso una cinica speculazione riconosciuta a denti stretti persino dal (loro) ministro Cingolani. Il buffetto fiscale una tantum del 25%, peraltro impugnato legalmente dalle compagnie, è un insulto. L'intera somma degli extraprofitti va requisita, e investita nel blocco delle tariffe. I monopoli energetici vanno nazionalizzati, senza indennizzo (perché se lo sono già preso) e sotto il controllo dei lavoratori: condizione decisiva per pianificare una transizione ecologica vera, a partire dall'investimento massiccio nelle energie rinnovabili, altrimenti impossibile.
PATRIMONIALE STRAORDINARIA DEL 10% SUL 10% PIÙ RICCO
Negli ultimi trent'anni si sono ridotte progressivamente le tasse sui profitti mentre i salariati e in pensionati si caricano sulle proprie spalle oltre l'80% del carico fiscale. Ora basta. Esistono oltre 4000 miliardi di grandi patrimoni, esentasse o progressivamente detassati. Una patrimoniale straordinaria del 10% liberebbe la cifra imponente di 400 miliardi, da destinare alla sanità pubblica, alla scuola, al risanamento ambientale, ai lavori di bonifica, alla riparazione della rete idrica ridotta ormai a un colabrodo... È il caso di dire “paghi chi non ha mai pagato!”
CANCELLAZIONE DEL DEBITO PUBBLICO VERSO LE BANCHE E LORO NAZIONALIZZAZIONE SENZA INDENNIZZO PER I GRANDI AZIONISTI
La zavorra del debito pubblico è sempre più insopportabile. Lo stesso Stato che detassa i capitalisti si finanzia vendendo titoli alle banche e ripagandole con 70-80 miliardi di euro ogni anno di soli interessi. Sono soldi ricavati dal taglio della sanità, della scuola, delle pensioni, del lavoro. Un trasferimento di ricchezza nel portafoglio del capitale finanziario che è tanto più insopportabile di fronte ai suoi profitti da favola e alla sua cronica evasione fiscale. Questa corvée va cancellata. Il debito pubblico verso le banche va ripudiato. Una rivendicazione tanto più necessaria di fronte ai piani annunciati di ripagamento del nuovo enorme indebitamento pubblico, nazionale e continentale, accumulato negli anni della pandemia. Quanto alle banche, vanno nazionalizzate e unificate in una unica grande banca pubblica da porre al servizio di un piano di nuovo lavoro e investimenti sociali.
A chi obiettasse che questo programma è eccessivamente radicale rispondiamo che è tanto radicale quanto la politica quotidiana dei capitalisti. A chi obietta che i rapporti di forza attuali non consentono di realizzarlo rispondiamo che un programma per la ribellione di massa aiuta anche a ribaltare i rapporti di forza. A chi obietta che la coscienza dei lavoratori è oggi troppo arretrata per sostenere simili rivendicazioni rispondiamo che occorre lavorare ad elevare quella coscienza all'altezza delle necessità obiettive, e non confonderla con le solite utopie riformiste, o peggio con intossicazioni rossobrune. A chi obietta che oggi nessun governo realizzerà mai quel programma, rispondiamo che è vero: per questo ci battiamo per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro forza e sulla loro organizzazione.
Questo è il punto decisivo. Solo una prospettiva di rivoluzione può indicare una vera svolta. Far maturare questa consapevolezza tra gli sfruttati è sempre molto difficile ma è l'unica via. Ed è anche l'unica via per strappare risultati concreti, seppure parziali. Perché tanto più oggi solo la paura di una sollevazione può indurre la borghesia a fare concessioni. Solo la minaccia di una rivoluzione può strappare riforme. La sola supplica di “riforme” resta lettera morta, come dimostra l'ultimo trentennio.
La borghesia italiana non ha certo paura del risultato elettorale del 25 settembre. Userà come sempre i vincitori. Troverà come sempre una combinazione parlamentare e istituzionale, fosse pure instabile e malferma, per gestire la propria politica.
L'unico evento che preoccupa realmente il capitale è l'insubordinazione delle masse. Le burocrazie sindacali lo sanno e si offrono preventivamente come salvagente. Le sinistre riformiste a loro volta presentano le proprie ricette progressiste per “riconciliare istituzioni e popolo” (De Magistris) a difesa delle istituzioni stesse. I comunisti rivoluzionari fanno l'opposto: costruiscono tra i lavoratori, controcorrente, una coscienza rivoluzionaria contro la borghesia e le sue istituzioni, approfondiscono da un versante anticapitalista la linea di frattura tra masse e Stato. Che è anche l'unico modo di evitare che quella frattura possa essere capitalizzata dal populismo reazionario.
È questa la linea che proponiamo in ogni ambito dell'avanguardia, in ogni movimento, in ogni sindacato, in ogni conflitto di classe e di massa. Per il più ampio fronte unitario di lotta di tutte le organizzazioni del movimento operaio. È la linea d'intervento del PCL, quando possibile, anche dalla tribuna delle elezioni borghesi. La normativa antidemocratica che prevede una montagna di firme autenticate in pochi giorni d'agosto, dispensando dall'onere i partiti borghesi, ostacola pesantemente e molto spesso preclude questa possibilità. Ma in ogni caso presenteremo ovunque questo programma e agiremo in funzione di esso. Perché questo è un programma per l'azione. Le elezioni passano, la lotta di classe resta. Solo una rivoluzione può cambiare le cose. Occorre costruire un partito rivoluzionario che sappia sviluppare controcorrente questa consapevolezza.