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Espropriare espropriare espropriare i monopoli dell'energia!

 


Contro la dichiarata evasione fiscale di chi ha realizzato extraprofitti enormi

Dovevano versare 10,4 miliardi sugli oltre 40 miliardi di sovraprofitti realizzati, in base al generoso decreto del governo. Ne hanno trattenuti 9,26, contestando legalmente persino il solo miliardo pagato. In altri termini, una scandalosa evasione fiscale, sotto gli occhi di tutti, nel pieno della drammatica crisi delle bollette. È il caso dei grandi monopoli dell'energia (ENI, ENEL, Snam...), fiori all'occhiello del capitalismo italiano.


Eppure il governo tira avanti come se nulla fosse successo, nonostante si tratti di aziende partecipate dallo Stato. Né la (minima) tassa pare verrà rinnovata. Peraltro nessuno dei partiti borghesi, nessun organo della grande stampa, muove scandalo. Quelli che fanno campagne quotidiane contro il reddito di cittadinanza citando qualche caso di piccolo abuso, tacciono sull'evasione abnorme, pubblica e sfrontata, dei grandi monopoli. Gli stessi grandi monopoli che in varie forme finanziano, guarda caso, i partiti borghesi.

In compenso tutti i partiti dominanti sfornano ricette contro il caro bollette... a spese dei lavoratori. Chi, come nel caso del M5S, chiedendo uno scostamento di bilancio, cioè l'ennesima operazione a debito, da restituire alle banche con i relativi interessi. Chi proponendo il calmieramento delle bollette a carico della fiscalità generale, cioè dei lavoratori e dei pensionati che pagano l'80% delle tasse, nel mentre annuncia la flat tax a vantaggio dei ricchi (Forza Italia e Lega). Chi, come nel caso del PD e di altri, oscillando tra la richiesta di prezzo nazionale amministrato (non si chiarisce quale) e tetto al prezzo del gas a livello europeo, sapendo bene che Germania e Olanda sono contrarie per interesse proprio, e che dunque vi sarà un contenzioso dall'esito incerto.
Notevole il caso della patriota Giorgia Meloni, la quale ha obiettato alla richiesta platonica di un tetto nazionale al prezzo del gas con l'argomento testuale: “È impossibile, sono aziende quotate in Borsa, non sono mica nazionalizzate...”. Non male per la nuova “amica del popolo”.
La risultante certa è una sola: i grandi monopoli continueranno a ingrassare il proprio portafoglio con la complicità di tutti, a partire da Draghi.

Allora tutto il movimento operaio dovrebbe rivendicare prime drastiche misure elementari: bloccare le bollette riportandole ai prezzi di un anno fa; requisire immediatamente tutti i 40 miliardi di extraprofitti realizzati dai grandi monopoli energetici a sostegno del blocco; espropriare i grandi monopoli dell'energia e nazionalizzarli senza indennizzo, sotto il controllo dei lavoratori e dei consumatori. Che è anche la via per avviare una transizione energetica vera.

Senza queste misure di svolta tutto si riduce a chiacchiera e a inganno. Ma battersi per queste misure significa battersi contro tutti partiti borghesi per un governo dei lavoratori, l'unico che può compiutamente realizzarle e ricondurle a una alternativa generale di società.

Partito Comunista dei Lavoratori

Sui fatti di Niscemi e del MUOS. Giustizia per Antonio!

 


La Questura di Caltanissetta denuncia il compagno del PCL e attivista No MUOS Antonio Tralongo

29 Agosto 2022

Il 19 agosto, dopo che sono passati dodici giorni dal corteo No MUOS, è arrivata una chiamata dalla DIGOS ad Antonio Tralongo, compagno palermitano militante del Partito Comunista dei Lavoratori, del Comitato di Base NO MUOS e attivista sindacale della CUB, riguardante “un atto da dover andare a firmare in Questura”.

L’atto in questione è una denuncia ad opera della Questura di Caltanissetta perché il sopracitato compagno è stato responsabile del corteo svoltosi a Niscemi.

Un corteo che, dopo essersi sciolto previa comunicazione, è stato attaccato ingiustificatamente dalla polizia con idranti e lacrimogeni al CS, questi ultimi in teoria vietati dalla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche firmata a Parigi nel 1993.

Dopo qualche giorno dalla liberazione dei sindacalisti di SI Cobas e USB a Piacenza perché annullato il capo d’accusa – ridicolo – di “estorsione di contratti migliorativi”, questo è l’ennesimo atto di repressione delle istituzioni borghesi contro chi rivendica diritti, contro chi ci mette la faccia ogni giorno a proprie spese, perché crede in una società più giusta libera dallo sfruttamento capitalistico.

Ci è chiaro che questa è una denuncia di natura politica, anche perché non c’è nulla su cui ci si possa appigliare se non il fatto di aver svolto un corteo di protesta contro l’esistenza di quella base della Marina americana e di tutti i porti di guerra, contro i rischi che le sue antenne provocano alla popolazione nissena tutta, contro le angherie che subiscono i niscemesi come il non poter usufruire dell’acqua corrente continuativa perché “serve al MUOS”.

Ricordiamo anche le provocazioni nelle giornate preparatorie al campeggio, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo: durante le riunioni in sede privata al presidio del Coordinamento dei Comitati di Base NO MUOS, volanti della polizia si appostavano fuori dal perimetro e riprendevano lo spazio privato e i partecipanti, cercando di carpirne la discussione.

Semmai, viste le circostanze, chi dovrebbero essere denunciati sono l’istituzione “democratica” asservita a Confindustria e gli imperialismi, nazionale ed internazionali.

Questi attacchi, che la nostra classe subisce costantemente, sono la dimostrazione che la democrazia borghese non ha spazio di poter esistere se non per salvaguardare i profitti dei capitalisti, che decuplicano con la guerra, e che noi militanti politici marxisti rivoluzionari stiamo dalla parte giusta della storia: quella che inesorabilmente porterà a disfarsi di questo sistema economico e che stabilirà un governo dei lavoratori su basi anticapitaliste e rivoluzionarie.


ANNULLAMENTO DI DENUNCE, FOGLI DI VIA E ARRESTI PER LE COMPAGNE E I COMPAGNI CHE LOTTANO!

LA LOTTA NON SI PROCESSA. TOCCANO UNO, TOCCANO TUTTI!

CONTRO LA REPRESSIONE UNITÀ DI CLASSE!

Partito Comunista dei Lavoratori - Palermo

La vera natura dell'emergenza bollette

 


La necessaria risposta anticapitalista

26 Agosto 2022

Non è la classe operaia che deve pagare il costo della crisi!

Vogliono far passare il caro bollette come una calamità naturale. Nulla di più falso. Il caro bollette, trainato dal gas, è l'effetto combinato di un'economia capitalistica incardinata sulle energie fossili, dei costi della guerra economica tra imperialismo russo e imperialismi NATO, della speculazione dei grandi monopoli dell'energia, che in Italia hanno incassato 40 miliardi di extraprofitti in soli sei mesi giocando alla Borsa di Amsterdam.

Ora i capitalisti europei e i loro diversi governi non sanno che pesci prendere. Un tetto al prezzo del gas su scala europea, sollecitato dall'Italia, è respinto dalla Germania che teme il blocco completo dei rifornimenti russi e dall'Olanda che vende il gas. Un tetto al prezzo su scala nazionale è osteggiato dai grandi gruppi energetici quotati in Borsa che temono la caduta delle azioni e il crollo dei propri profitti.

Il risultato di questa impasse è che vogliono scaricarla sulla classe operaia. Da un lato battendo cassa presso il governo a carico della fiscalità generale (retta al 90% da salariati e pensionati), dall'altro annunciando “inevitabili” chiusure e cassa integrazione straordinaria a manetta. Siderurgia, vetrerie, ceramiche, alimentare sono in testa a questa valanga annunciata, mentre i salari sono tagliati da un'inflazione fuori controllo senza la minima protezione.

Tutto questo è inaccettabile. Non possono essere ancora una volta i lavoratori e le lavoratrici a pagare i costi di una crisi non provocata da loro ma dalla natura dello stesso sistema che li sfrutta.


Vanno bloccati per legge i licenziamenti. La cassa integrazione, se necessaria, dev'essere a salario pieno pagato dai padroni. Le aziende che licenziano vanno nazionalizzate senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori.

Va imposto il blocco immediato dei prezzi del gas, della luce, della benzina. I monopoli dell'energia vanno nazionalizzati, senza indennizzo. I loro extraprofitti vanno immediatamente e integralmente requisiti per essere investiti nello sviluppo sotto controllo pubblico delle energie rinnovabili.

Va imposto un prezzo amministrato ai beni alimentari di prima necessità, sotto il controllo dei lavoratori e dei consumatori. Occorre un aumento generale dei salari per recuperare il maltolto degli ultimi trent'anni, e va reintrodotta la scala mobile dei salari.

È necessaria una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco. I 400 miliardi così ricavati vanno investiti nel risanamento dell'ambiente, nella riparazione della rete idrica, nel riassetto idrogeologico del territorio.

Va cancellato il debito pubblico verso le banche, che ogni anno sottrae 80 miliardi di soli interessi alla sanità, all'istruzione, alle pensioni, al lavoro. Le banche vanno nazionalizzate senza indennizzo per i grandi azionisti, e poste al servizio di una pianificazione democratica dell'economia. Le risorse così risparmiate vanno investite nella ricostruzione delle protezioni sociali.


“Tutto questo è impossibile” dicono in coro tutti partiti borghesi, e purtroppo le sinistre a essi subalterne. La verità è che è impossibile nel rispetto del capitalismo, di un sistema sociale fallito che vive della rapina del lavoro e del saccheggio della natura. È una ragione in più per dire: solo una rivoluzione può cambiare le cose. Solo un governo dei lavoratori può realizzare una vera alternativa. Solo la lotta per un governo dei lavoratori può strappare cammin facendo risultati parziali.

Costruire la coscienza di questa verità è la ragione d'essere del PCL. Ciò che fa la differenza tra il PCL e ogni altro partito.

Partito Comunista dei Lavoratori

Ondata di scioperi in Gran Bretagna per forti aumenti salariali


Un esempio per la classe operaia italiana

Gli scioperi per il salario ritornano sullo scenario della lotta di classe. Non (ancora) in Italia, ma in altri paesi d'Europa.
In Francia nel mese di giugno, presso alcune aziende dell'industria e legate al settore dei trasporti. Ma soprattutto ora in Gran Bretagna, col quarto sciopero generale in nove compagnie ferroviarie e agitazioni salariali in via di propagazione nella logistica (Amazon), nei porti, nei trasporti urbani, nell'università, nelle telecomunicazioni (British Telecom), nella sanità e nella scuola. La stampa britannica parla dell'“estate del malcontento”. Complessivamente, è la più importante ripresa di scioperi nel paese degli ultimi decenni.

Il panorama sindacale inglese è stato segnato dal ciclone di Margaret Thatcher (1979-1990). Il governo della “lady di ferro” promosse le peggiori leggi antisindacali d'Europa: la massima restrizione del diritto di proclamazione degli scioperi e il divieto per legge degli scioperi di solidarietà. Il governo Cameron in anni recenti ha peggiorato il quadro limitando ulteriormente gli spazi di agibilità sindacale. Le trade unions che ancora nel 1995 registravano 13 milioni di iscritti, ne contano ora poco più di sei milioni. Un dimezzamento della propria forza organizzata.

Ma nulla è per sempre nella lotta di classe. La Brexit aveva promesso alla classe operaia un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro grazie al recupero della cosiddetta sovranità. Ma nessuna delle promesse si è realizzata. Ed anzi il peggioramento della condizione operaia nell'ultimo quinquennio è stato al centro dello scenario pubblico. La crisi del governo Johnson ha avuto come sfondo non solo la gestione disastrosa della pandemia o i costumi personali del premier, ma il logoramento del consenso sociale attorno al governo conservatore.

Ora un'inflazione tra il 9% e il 13%, senza eguali in Europa, ha trasformato il dissenso passivo in una prima reazione di lotta di importanti settori di salariati. Una reazione con riverberi non solo sindacali ma politici.
Lo scontro interno al Partito Conservatore sulla successione a Johnson ha come oggetto la risposta da dare al conflitto sociale, con la favorita Liz Truss che apertamente rivendica l'eredità della Thatcher e annuncia in caso di vittoria il varo di nuove leggi antisciopero che impediscano «al sindacalismo militante di prendere in ostaggio la nazione britannica».
Il Partito Laburista, spiazzato dagli scioperi, non sa bene che pesci prendere. Il leader Keir Starmer, succeduto a Corbyn, ha vietato ai ministri del suo governo ombra di prendere posizione a favore degli scioperanti per guadagnare credibilità agli occhi della City. Ma il partito è scosso. Persino alcuni ministri ombra hanno disobbedito al segretario schierandosi a sostegno dello sciopero dei ferrovieri. Mentre la burocrazia delle trade unions, che pur si oppone alla generalizzazione dello scontro, cerca di usare lo sciopero per rafforzare il proprio peso specifico nel partito.
Di certo la crisi interna al Partito Conservatore, la successione irrisolta ai vertici del governo, e persino il declino della Regina per via dell'età e dei malanni, conferiscono a questa prima ripresa della lotta di classe in Gran Bretagna un'importanza particolare. Non solo sindacale, e non solo per la Gran Bretagna.

Mentre il grosso della sinistra politica italiana vive la campagna elettorale come spazio separato dalla lotta di classe e senza alcuna centralità della rappresentanza del lavoro, noi diciamo che la prima ripresa degli scioperi britannici, l'affacciarsi di agitazioni salariali in Francia, la ripresa del sindacalismo americano valgono di più, in termini di potenzialità di svolta, di ogni altro fattore elettorale o politologico. È sul terreno della lotta di classe, e soprattutto del suo incontro con un programma anticapitalista, che può maturare una prospettiva di vera alternativa.

Così anche in Italia. Giorgia Meloni si è già affrettata a celebrare anzitempo la propria annunciata vittoria elettorale e conquista del governo. Ma non tutto si gioca sul terreno politico istituzionale. Ed ogni soluzione di governo che emergerà dal voto dovrà comunque misurarsi con le incognite dello scontro sociale. La classe operaia italiana ha certo subito un lungo ciclo di arretramenti sociali e delusioni politiche. Ma non è uno scenario irreversibile. Per questo indichiamo gli scioperi britannici come esempio per il proletariato italiano. Solo una ripresa della lotta dei lavoratori attorno a una propria piattaforma unificante può innescare dal basso uno scenario nuovo, scompaginare gli assetti politici esistenti, aprire la breccia di un'alternativa. Il PCL porta e porterà questo tema centrale in ogni battaglia. Anche sul terreno elettorale, dove ne abbiamo la possibilità.

Partito Comunista dei Lavoratori

 

Il Partito Comunista dei Lavoratori presente alle elezioni politiche in Liguria

 


Il Partito Comunista dei Lavoratori sarà presente in Liguria alle elezioni politiche del Senato. Una normativa profondamente antidemocratica ha di fatto precluso la nostra partecipazione al voto della Camera e in altre regioni. Ma in Liguria la particolare tenacia del lavoro militante del partito nella raccolta delle firme necessarie ha consentito la presenza elettorale del PCL. Va da sé che cercheremo di dare a questa presenza una valenza politica esemplare di carattere nazionale.


Il senso della nostra presenza è molto semplice. Siamo l’unico partito comunista di nome e di fatto presente in queste elezioni. L’unico che si richiama apertamente alla classe operaia e che si batte per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. L’unico che rivendica una prospettiva di rivoluzione come unica vera alternativa al capitalismo e alla sua crisi. L’unico che in ogni lotta, in ogni movimento, in ogni sindacato classista, lavora per ricondurre gli obiettivi immediati della lotta alla prospettiva anticapitalista e per sviluppare una coscienza rivoluzionaria tra gli sfruttati. L’unico, non a caso, che non si è mai compromesso nei governi borghesi.

Le altre sinistre presenti al voto o sono subalterne o sono mimetizzate. Sinistra Italiana si è subordinata al PD, il partito di Rizzo ha fatto un blocco rossobruno con destre tricolori, PRC e Potere al Popolo si sono mimetizzate nell’ennesima edizione di una lista civico-progressista dietro la presenza preponderante e totalizzante di De Magistris. Una sorta di lista Ingroia 2.0.

Il PCL non ha ragione di nascondersi o di subordinarsi ad altri. Si presenta per quello che è: dalla parte dei salariati contro il capitale. Contro le sue guerre, la sua devastazione dell’ambiente, la sua distruzione dei diritti sociali. Per l’unica alternativa vera: quella che riorganizza su basi socialiste l’intero ordine della società. Appunto, un partito comunista.

Partito Comunista dei Lavoratori

La dislocazione dei partiti borghesi nella campagna elettorale

 


Il vuoto di rappresentanza autonoma dei salariati

I partiti e gli schieramenti borghesi si scontrano all'arma bianca solo per contendersi la rappresentanza della stessa classe. La classe che hanno servito negli ultimi trent'anni, in alternanza o in collaborazione. Perché hanno governato tutti. Senza eccezioni.


“DONNA, MADRE, CRISTIANA”: LA PATRIOTA DELL'INDUSTRIA MILITARE

Il centrodestra, grande favorito del 25 settembre, ha governato per più di undici anni, con tutti i suoi partiti.

Ha governato naturalmente Berlusconi in primis, che oggi sogna una riforma presidenziale che possa portarlo al Colle. Ha governato più a lungo la Lega, anche a braccetto del M5S, sotto la guida di un Matteo Salvini che cerca di nuovo riparo nel futuro ministero degli interni per recuperare consenso elettorale sulla pelle dei poveracci. Ma ha governato anche la patriota Giorgia Meloni, ministra per la gioventù nell'ultimo esecutivo Berlusconi (2008-2011), quello che ha tagliato 8 miliardi alla scuola pubblica (Gelmini), e più di 10 miliardi al sistema sanitario, per ingrassare sanità privata e pagare il debito alle banche.
Non solo. Meloni ha votato sotto il successivo governo Monti la famigerata riforma Fornero e il pareggio di bilancio in Costituzione (Art 81) dietro indicazione dell'Unione Europea, per garantire il soccorso europeo alle banche italiane. Altro che “amica del popolo”! Peraltro la stessa Giorgia nazionale (“Donna, Madre, Cristiana”) che nel suo recente best seller rivendica «la responsabilità di una storia lunga 70 anni, ereditata da Almirante, Rauti e Fini» (altro che abiure) cerca oggi di rassicurare il capitale finanziario internazionale e professa un inossidabile atlantismo. Il suo patriottismo non è solo ideologia da comizio per la platea di Vox, ma anche difesa dell'industria militare tricolore (di cui l'amico Crosetto è illustre esponente), nella spartizione dei fondi europei e degli equilibri del Mediterraneo. Così il blocco navale anti-immigrati e le pose forcaiole in fatto di ordine pubblico non servono solo a dirottare verso falsi bersagli e nelle forme più odiose la rabbia sociale di ampi strati popolari, raggranellando il consenso da portare in dote alla borghesia, ma anche a lustrare le proprie mostrine agli occhi della Polizia e dei Carabinieri, oggi contesi alla Lega.

Resta un paradosso di fondo: il centrodestra gode del consenso maggioritario dei salariati nel momento stesso in cui annuncia un'incredibile flat tax a vantaggio dei capitalisti (sia essa al 15% o al 23%), messa a carico dei salariati stessi, con l'aumento delle tasse per i lavoratori in caso di flat tax al 23%, e/o col taglio ulteriore delle spese sociali e/o con nuovo indebitamento pubblico. Il paradosso misura il disastro compiuto a sinistra nell'arco di trent'anni.


Il PD DRAGHIANO E LA SUA CRISI. L'IMPOSSIBILE DC DELLA SECONDA REPUBBLICA

Il PD ha ostentato l'identificazione con il draghismo. Cioè con il governo del capitale finanziario nazionale ed europeo al massimo livello di rappresentatività. L'accordo con Calenda, poi disdetto da Calenda, e la successiva candidatura di Carlo Cottarelli, sono la carta identitaria del PD: un partito da sempre candidato a svolgere il ruolo della Democrazia Cristiana nella Seconda Repubblica, senza mai disporre della forza della DC e del contesto d'epoca che la rese possibile. Più precisamente, il ruolo di un partito borghese liberale con influenza di massa quale garante della stabilità. Il PD ha governato sempre negli ultimi dodici anni, con l'unica parentesi del primo governo Conte. Ha avuto tre presidenti del Consiglio (Letta, Renzi, Gentiloni) e le presidenze della Repubblica (Napolitano e Mattarella). Ha fornito un sostegno determinante a Monti e Draghi. È stato a tutti gli effetti il partito del potere, un architrave di sistema.

Il suo programma elettorale rivendica una dopo l'altra le “riforme” raccomandate da Confindustria: ulteriori privatizzazioni (ex Alitalia) sulla pelle dei lavoratori, liberalizzazioni di mercato nei servizi pubblici a vantaggio del capitale (Uber), controllo e gestione dei fondi europei a favore delle imprese, contenimento del debito pubblico a salvaguardia degli equilibri politici nella UE, difesa dei grandi monopoli energetici.
Le pose ambientaliste e sociali mimate da alcuni settori del PD, e dallo stesso Letta dopo la rottura di Calenda, sono solo una cartina fumogena. Basti pensare all'aumento delle spese militari del ministro della difesa Guerini, o alla rivendicazione dell'abolizione dell'IRAP, 13 miliardi sottratti in piena pandemia al finanziamento della sanità pubblica. Mentre persino la minitassa timidamente ventilata sulle successioni superiori ai 5 milioni – in sé assolutamente irrisoria – batte rapidamente in ritirata sotto il fuoco propagandistico della destra.

La verità è che nella storia degli ultimi trent'anni il PDS, poi i DS, infine il PD, è stato l'ariete di sfondamento delle politiche antioperaie. La precarizzazione del lavoro, a partire dal lavoro interinale, ha avuto quella matrice, nel 1997. Lo stesso vale per la deregolamentazione contrattuale, la distruzione dei diritti (prima della scala mobile, poi dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), l'equiparazione tra scuola pubblica e privata, la privatizzazione dell'acqua pubblica, il taglio a sanità e pensioni, le politiche di guerra, a partire dall'aggressione NATO alla Serbia. Sullo stesso terreno democratico vanta gli accordi infami con la Guardia libica per il sequestro e le torture dei migranti (Minniti), su cui oggi si limita a sospendere il giudizio, ed anche le riforme reazionarie della legge elettorale in senso maggioritario.

Se oggi il centrodestra minaccia di conquistare la maggioranza assoluta del Parlamento senza avere la maggioranza assoluta dei voti è grazie alla legge elettorale voluta dal PD. Che poi si presenta come... “barriera” contro la destra. Dopo aver governato con Berlusconi e Salvini e aver spianato la strada a Meloni.


IL MOVIMENTO 5 STELLE. UNO, NESSUNO, CENTOMILA, MA SEMPRE AL SERVIZIO DEL PADRONATO

Il Movimento 5 Stelle cerca di sopravvivere al proprio collasso mimando lo scavalcamento del PD sul terreno sociale. È un'operazione consentita dal profilo draghiano del PD, ma è un'operazione penosa.

Il M5S è stato il principale partito di governo della legislatura uscente, l'unico che ha governato sempre e con tutti. Ha preservato tutte le leggi antioperaie dei governi precedenti, a partire dalla distruzione dell'articolo 18. Ha siglato con Salvini i famigerati decreti sicurezza contro gli immigrati e i diritti di lotta dei lavoratori (criminalizzazione di blocchi stradali, picchetti, occupazioni...). Ha gestito col PD le politiche della pandemia, abbandonando al disastro un servizio sanitario immutato, obbedendo ai diktat criminali di Confindustria contro l'applicazione della zona rossa in Val Brembana, concertando con padronato e burocrazie sindacali la pace sociale nelle fabbriche contro le dinamiche di sciopero (marzo 2020) e in cambio di garanzie finte sulla sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro, aggirate da padroni e prefetture e prive di conseguenze in caso di inosservanza. Infine ha preso parte al governo Draghi e all'enorme operazione a debito, nazionale ed europeo, verso il capitale finanziario. In tutti e tre i governi ha sostenuto l'aumento progressivo delle spese in armamenti.

Le pose dell'ultima ora sul piano sociale non possono ingannare nessuno: la richiesta del salario minimo è stata disattesa in primo luogo dai governi Conte sotto il veto di Confindustria e burocrazia sindacale. Quanto al reddito di cittadinanza, già in partenza assolutamente insufficiente, discriminatorio verso gli immigrati non residenti da almeno dieci anni e penalizzante verso i nuclei familiari più numerosi, è stato ulteriormente riformato in senso peggiorativo dai governi Conte due e Draghi, sotto la pressione delle organizzazioni padronali che vogliono mano libera per sotto salari e sfruttamento.


SINISTRE CORRESPONSABILI E (DIVERSAMENTE) SUBALTERNE.
COSTRUIRE LA RAPPRESENTANZA AUTONOMA DEI SALARIATI


Questo panorama generale non si è affermato per un destino cinico e baro. Vi hanno concorso le responsabilità dei gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale dell'ultimo trentennio. Inclusi i quattro anni di corresponsabilità di governo sotto i due governi Prodi (PRC), e i tre anni aggiuntivi sotto i governi D'Alema e Amato, nel caso di Rizzo. Esperienze che hanno non solo contribuito a colpire la classe operaia ma hanno demolito perciò stesso la credibilità della sinistra come riferimento del lavoro. Acqua passata, si dirà, e invece no. Ciò che oggi accomuna le diverse sinistre che si affacciano al voto è la loro subordinazione diretta o indiretta ai poli borghesi e la rimozione della rappresentanza autonoma dei lavoratori.

Sinistra Italiana si è mostrata disposta a tutto pur di subordinarsi al PD. Persino a subire il suo accordo con Calenda, poi naufragato, e la candidatura di Cottarelli. La difesa ambientale e sociale a braccetto col PD è una contraddizione in termini e la misura dell'ipocrisia. L'argomento di un accordo necessario per battere la destra è risibile persino sul terreno strettamente elettorale, come tutti possono intendere. L'accordo ha invece una valenza tutta politica: Sinistra Italiana si riduce a una corrente esterna del PD, con diritti di libera uscita, come verso il governo Draghi, ma senza alcuna autonomia strategica. E la subordinazione strategica al PD significa subordinazione strategica al grande capitale, italiano ed europeo. Perciò stesso un aiuto alla reazione.

Il Partito Comunista di Rizzo ha portato a conclusione il proprio corso politico rossobruno, a rimorchio di culture reazionarie: in particolare dell'impasto no vax, complottista, putiniano. Difensore della “tradizione”, dei “valori nazionali”, del principio comunitarista, della sacra icona della famiglia. Se Sinistra Italiana si è ridotta a corrente esterna del PD, il PC si è ridotto a corrente esterna del campo reazionario e della sua periferia. Se il gruppo dirigente di Sinistra Italiana ha precipitato la crisi di SI pur di accordarsi col PD, Marco Rizzo non ha esitato a distruggere ciò che resta del suo partito pur di accordarsi alla reazione come ultima ruota del carro. Nel suo caso, il fascino irresistibile dell'avventura personale al di là di ogni barriera di classe ha avuto la meglio su ogni altra considerazione.

Unione Popolare rimpiazza la centralità di classe con le istanze interclassiste della cittadinanza democratica e progressista, lungo il terreno già battuto degli accordi con Di Pietro, Ingroia, Spinelli. La figura centrale e preponderante di De Magistris riassume la fisionomia dell'Unione, non meno dell'insistita proposta di un accordo col M5S. In questa operazione i partiti della sinistra svolgono il ruolo di portatori d'acqua. Il PRC, a dire il vero, con vocazione più sacrificale e subalterna di PaP, ma dentro la comune rimozione della rappresentanza centrale del lavoro e all'inseguimento di un grillismo perduto.

Il vuoto di rappresentanza politica indipendente di diciotto milioni di salariati resta dunque al centro dello scenario politico. Non è certo il PCL che può oggi colmare questo vuoto, e neppure l'alleanza elettorale delle sinistre classiste che pure abbiamo avanzato nel presente contesto e che altri hanno purtroppo declinato. Ma sicuramente il nostro partito porrà al centro della propria azione e proposta questo tema essenziale. In tutte le forme possibili, in ogni sede possibile.

Partito Comunista dei Lavoratori

Ponte Morandi, il processo che non c'è

 


Le lezioni di un crimine borghese

15 Agosto 2022

Quattro anni dopo, inizia il processo per il crollo del ponte Morandi, con la benedizione delle autorità e la loro retorica commossa. Ipocrisia pura. Pagheranno nel migliore dei casi alcuni manager della società Autostrade. Ma è già stata assolta la responsabile vera del crimine: la società borghese e il suo Stato.

Pochi casi come la vicenda del ponte Morandi fanno da cartina al tornasole del capitalismo italiano, e dell'intreccio fra grandi gruppi e apparato statale. Riassumiamo. Le Autostrade furono vendute alla grande famiglia dei Benetton a prezzi stracciati dal primo governo Prodi (sostenuto da un centrosinistra comprensivo di Rifondazione). Era il 1998. Dieci anni dopo, 2008, venne introdotta la clausola aggiuntiva capestro, non a caso secretata, secondo cui se lo Stato avesse mai revocato la concessione avrebbe dovuto risarcire all'azienda i profitti perduti, persino in presenza di colpa grave dell'azienda. E i profitti assicurati ai Benetton, già al piede di partenza della privatizzazione, erano letteralmente d'oro: regime di monopolio, liberalizzazione delle tariffe autostradali, e soprattutto assenza di ogni controllo sulla manutenzione.
Dal 1998 al 2018, per la bellezza di vent'anni, i cosiddetti enti di sorveglianza del Ministero dei Trasporti non hanno mai visto né richiesto un solo rapporto sulla sicurezza del ponte più a rischio d'Italia. Parallelamente, per vent'anni i Benetton finanziavano elettoralmente in misura cospicua tutti i principali partiti, al governo e all'opposizione, come risulta in particolare proprio nell'anno 2008, l'anno della clausola capestro.

I fatti del 14 agosto 2018 erano solo un crimine annunciato. Quarantasei persone assassinate dal profitto.
Tutti all'epoca si strapparono le vesti, mimarono scandalo, annunciarono indagini severe e punizioni esemplari. Il Movimento 5 Stelle e l'appena nominato governo Conte vagheggiarono addirittura la nazionalizzazione delle autostrade, con le smargiassate a uso telecamere dei vari Di Maio, Di Battista, Toninelli. Ma era solo demagogia per gonzi. I Benetton non solo sono fuori dal processo, in quanto si ritiene, singolarmente, che la proprietà azionaria non sia responsabile di ciò che fa o che non fa il suo amministratore delegato. Ma escono dalla vicenda col portafoglio rigonfio. Il 22 maggio 2022 la holding Atlantia (cioè in larga misura i Benetton) ha infatti concluso la vendita di Autostrade alla Cassa Depositi e Prestiti (all'80% del Tesoro) per la bellezza di 8,2 miliardi. Otto virgola due miliardi per una società piena di debiti. In altri termini, la grande famiglia capitalistica che ha incassato per vent'anni i profitti (anche) della mancata manutenzione esce dalla scena del crimine più ricca di prima, grazie all'ennesima donazione di risorse pubbliche da parte di quello Stato che si era presentato moralmente come “parte lesa”. La clausola capestro del 2008 è stata a suo modo rispettata. Il conto sarà presentato agli operai.

L'amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, liquidato con una buonuscita di 13 milioni di euro, viene processato non senza aver prima spostato sui propri conti in Lussemburgo (così sembra) circa sette milioni di euro. Ma non pagherà nessun altro. Non i Benetton. Non i ministri che trafficarono con loro. Non i partiti che li sostennero. Non lo Stato.
Nessuna meraviglia. Non può essere la magistratura borghese a realizzare una giustizia sociale riparativa, ma solo una rivoluzione che liberi la società dalla dittatura dei capitalisti e della loro “democrazia”. Solo un governo dei lavoratori può fare realmente pulizia.

Partito Comunista dei Lavoratori

Mobilitazioni No MUOS in Sicilia


 Nelle giornate dal 5 al 7 agosto a Niscemi si è svolto, presso il presidio del Coordinamento dei Comitati di base No MUOS, un campeggio di formazione e divulgazione politica. Il campeggio si è concentrato sulla questione ambientale e sul certificato inquinamento elettromagnetico causato dalle antenne della Marina americana, sulla militarizzazione del territorio siciliano, italiano ed internazionale, con inoltre una relazione su donne e guerra e la denuncia dello Stato di Israele, dati gli ennesimi risvolti di questi ultimi giorni a Gaza, dove hanno perso la vita dodici civili dopo un raid aereo israeliano.


Il giorno 7 si è svolto il corteo di protesta che, partendo dal presidio permanente dei comitati, ha costeggiato parte del perimetro della base, per poi arrivare al Cancello 1, dove la legittima protesta (il semplice bussare al cancello di ingresso del sito, azione simbolo dei cortei No MUOS) è stata violentemente repressa dalla polizia con l'uso di idranti e lacrimogeni CS.
Azioni aggressive e reazionarie che si innestano nel trend generale di questo periodo storico, dove ogni rivendicazione proletaria viene sistematicamente contrastata con arresti, minacce e azioni di ingiustificata violenza ad opera dei servi del padronato, nazionale e internazionale.
Tali repressioni, che nel caso dei comitati di base No MUOS erano cominciate già con azioni di provocazione nelle riunioni preparatorie al campeggio, sono figlie evidenti degli scenari di guerra internazionali, che vedono i due imperialismi "nostrani", statunitense ed italiano, collaborare in sinergia per rimarcare il proprio dominio capitalistico.

I padroni gioiscono e accumulano sempre più profitti dalla guerra imperialista, ciò a riprova che la guerra di classe non è mai finita. E lo dimostrano gli arresti, le denunce e le perquisizioni che la classe lavoratrice subisce costantemente dagli insaziabili borghesi.

Noi continueremo ad essere attivamente presenti nelle realtà e nelle piazze per ribadire che solo un'alternativa anticapitalista e rivoluzionaria, e quindi un governo dei lavoratori, potrà garantire la vera pace.
Il primo passo è l'unificazione delle lotte e la risposta con uno sciopero generale e di massa.

Smilitarizzazione immediata: fuori la NATO dall'Italia, fuori l'Italia dalla NATO!

Se vuoi la pace, prepara la rivoluzione!

Partito Comunista dei Lavoratori - Sicilia

De Magistris: prime prove di programma

 


Intervistato da Left, il cui sottotitolo propugna niente meno che «un pensiero nuovo a sinistra», De Magistris ha snocciolato in sintesi i principali punti del programma di Unione Popolare.


Left presenta De Magistris quasi come un martire: «chi glielo ha fatto fare di metterci la faccia», di raccogliere «le firme sotto l’ombrellone». L’ego smisurato dell’uomo e l’ambizione sfrenata per la sua carriera sono - è proprio il caso di dirlo visti i riferimenti balneari - insabbiati dal commovente sacrificio strappalacrime dell’ex magistrato per il bene nostro.

Nella prima parte dell’intervista, De Magistris commenta la situazione generale e illustra i grandi valori vagamente retorici della nuova coalizione. Scopriamo così che Unione Popolare è «sostanziata da percorsi e da persone credibili», a differenza dei personaggi dell’ultima legislatura che sarebbero «saltimbanchi» di un «quadretto tragicomico» di capi di partito interessati alle poltrone anziché ai programmi.

Left è molto generosa, perciò a questo punto non domanda per quale motivo De Magistris abbia continuato a cercare un accordo con ben due di questi saltimbanchi, Conte e Fratoianni, addirittura per fare con loro un «terzo polo» che mettesse in pratica quel che «il M5S ha detto ma evidentemente non vuole realizzare». Sono credibili Conte e Fratoianni dopo un’intera legislatura passata il primo al servizio del sistema, e una vita, il secondo, spesa tra l’appoggio al PD e l’opposizione di Sua Maestà? Ha senso aver cercato accordi con loro? E senza scomodare costoro sono credibili Acerbo e tutta la nomenclatura di Rifondazione che, finché sono stati in parlamento, hanno giocato più o meno lo stesso gioco di Conte e Fratoianni? Sta di fatto che se oggi Unione Popolare è un po’ più credibile, par di capire, lo deve non a De Magistris, ma al rifiuto dei due saltimbanchi di allearsi con lui. Siamo quindi sicuri che la marionetta di sé stesso non sia qualcun altro?

In ogni caso la forza di Unione Popolare sta nel suo pacifismo di fondo. Null’altro è dato di sapere sul tema, se non che solo tale compagine può fregiarsi di un simile fiore all’occhiello. Pare chissà quale atto di coraggio anziché il contrario, tacere che l’Ucraina è un paese invaso dall’imperialismo russo armato di bombe atomiche, e che essere contro la guerra, oggi, ha senso solo se si è innanzitutto contro la guerra della Russia. Evidentemente queste verità elementari non interessano a De Magistris, lui è pacifista equidistante, e come è risaputo chi è equidistante tra il debole e il forte, sta di fatto dalla parte del più forte. Infatti De Magistris in nome del pacifismo solidarizza con curdi e palestinesi, ma con gli ucraini nemmeno nominati evidentemente no.

La sola e unica proposta pacifista presente sulla piazza è pure «ambientalista, costituzionalmente orientata, per la giustizia sociale». Che la Costituzione sia orientata per la giustizia sociale è l’eterno ritorno di un mito duro a morire. La verità è che in mezzo ai tanti fronzoli sulla giustizia sociale, la Costituzione contiene ben più corposi articoli a protezione della proprietà privata borghese. Prendere come asse della propria proposta sociale l’architrave su cui si è retta la ricostruzione del capitalismo imperialista italiano dal crollo del fascismo ad oggi non appare proprio come la formula della lungimiranza. Soprattutto se pensiamo a quanti prima di De Magistris non abbiano cavato ragno dal buco strimpellando suppergiù la stessa solfa. Ma tant’è, la nuova sinistra si fa con le stesse identiche chiacchiere della vecchia.

Fin qui il minimalismo della pars destruens, ma Left incalza con la pars costruens«quali sono le vostre proposte?».

Così risponde l’ex magistrato:

«un reddito domestico» per «contrastare la povertà». Una volta la sinistra voleva grandi mense e lavanderie pubbliche eccetera, per sollevare la donna dal lavoro domestico e strapparla così alla clausura casalinga ed famigliare. Oggi De Magistris vuole darle un piccolo reddito per barricarla in cucina e alleviare con un palliativo il suo sfruttamento, magari in omaggio alla femministe piccolo-borghesi, non sia mai che lo votino, visto che loro per prime avanzano simili, rivoluzionarie pretese.

Al reddito domestico va aggiunto «un reddito di cittadinanza». Left sorvola sul fatto che il reddito di cittadinanza già c’è. Sorvoliamo anche noi, perché il problema vero è un altro, prepariamoci però: se già Di Maio aveva abolito la povertà col reddito di cittadinanza, col raddoppio del reddito domestico, De Magistris si appresta a darle cappotto...

Il punto reale è che il reddito di cittadinanza oggi va a circa un milione di persone per poco più di 500 euro di media al mese. Le donne casalinghe in Italia si aggirano sui 7 milioni, in pratica, per modificare la situazione, De Magistris dovrebbe moltiplicare per 7 il reddito di cittadinanza. Quindi stiamo parlando solo di uno spot elettorale, eppure lui definisce il suo programma concreto, non «astrattamente utopistico». Un programma astrattamente utopistico, cioè rivoluzionario, potrebbe anche attuarlo un simile punto (anche se non ne avrebbe alcun bisogno tanto è retrogrado), ma un programma così concreto e realistico che non si azzarda a varcare le colonne d’Ercole della Costituzione capitalista può tranquillamente riporlo nel cassetto dei sogni.

La concretezza del doppio reddito si fa ancora più articolata e profonda in materia di lavoro. Il lavoro bisogna «crearlo», cioè moltiplicarlo. La sinistra in origine voleva dividerselo fino ad azzerarlo – «lavorare meno per lavorare tutti!» era lo slogan. Liberarsi una volta per tutte dello sgobbo era il vecchio scopo, quella nuova non vede l’ora di appiopparcelo, perché «solo con il lavoro c’è emancipazione». Il lavoro nobilita, insomma, pensieri non così distanti da quelli più medioevali dei negrieri delle piantagioni.

La storia della società di classe ci mostra da 5000 anni esattamente l’opposto delle idee finto progressiste di De Magistris. Quel poco di buono che la cosiddetta civiltà ha mostrato rispetto alle altre formazioni sociali, cioè arte, filosofia, scienza, astronomia eccetera, lo deve essenzialmente a una classe di privilegiati che ha potuto emanciparsi fino a far niente tutto il giorno sfruttando il lavoro degli altri. Ci si emancipa liberandosi progressivamente dal lavoro, non incatenandosi per altri cinque anni all’emancipazione modello De Magistris! È così vero che una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, sia giornaliero che di vita (abolizione della Legge Fornero e ripristino dei 35 anni di lavoro per la pensione), al momento non è previsto. Come non è prevista alcuna abolizione di tutte le leggi sul precariato (magari apparirà successivamente, ma è significativo che alla prima intervista sia saltata).

Chi crea il lavoro per De Magistris? Innanzitutto lo stato borghese, prima con l’assunzione del milione di dipendenti pubblici di berlusconiana memoria; poi l’impresa naturalmente, specie se è piccola e media. Il nuovo modo di essere di sinistra non parla solo a dipendenti pubblici e operai ma «anche al vasto mondo dei professionisti, delle partite Iva, dei lavoratori autonomi. Dobbiamo pensare anche alle piccole e medie imprese. Vanno sostenute. Meno burocrazia e più incentivi se creano lavoro e rigenerazione urbana, riqualificazione».

La crisi economica che va avanti dal 2008 è la crisi del capitale piccolo, medio e grande, ma nessuno è stato più colpito di quello piccolo e medio. Più sei grande, meglio ti difendi dalla tempesta. Perciò nessuno più della piccola e media impresa ha dovuto chiudere i battenti, trascinando con sé il mare di disoccupati e precari in più che ci ritroviamo. La piccola, media impresa che, pur senza aver colpa diretta, è il maggior responsabile nei fatti dell’aumento vertiginoso dell’esercito industriale di riserva, è vista da De Magistris come la soluzione al problema da lei stessa creato. Come se fino ad oggi, oltretutto, il capitale di tutte le taglie non avesse avuto sgravi e incentivi da parte dei governi di tutti i colori. Se sgravi e incentivi non han risolto il problema prima, né con Monti né con Renzi né con nessun altro, non lo risolveranno nemmeno ora con De Magistris. Il fatto è che mai come oggi il capitalismo, per un posto di lavoro che “crea”, ne distrugge altri due. Non c’è incentivo o sgravio che, partendo dalla centralità del capitale, possa invertire la rotta. Bisogna immaginare e volere il lavoro libero dal capitale, perché il lavoro non ha bisogno del capitale per essere creato, tanto più che “creare lavoro” è un’espressione empirica, da analfabeti in materia di economia politica. Il capitale infatti non crea mai lavoro, il capitale crea il profitto, cioè sé stesso. Ma la coppia capitale-lavoro è indissolubile per De Magistris, perché la nuova sinistra non vede l’ora di essere trainata dai baristi che non trovano lavoratori (in nero) per colpa del reddito di cittadinanza. E se non li trovano ora col reddito di cittadinanza, chissà quanti posti di lavoro "creeranno" quando De Magistris l'avrà raddoppiato, affiancandogli il futuristico "reddito domestico".

Come finanziare redditi domestici e posti di lavoro come se piovesse nella pubblica amministrazione? Tassando «le grandi rendite finanziarie, quelle degli oligarchi e gli extra profitti delle multinazionali». I profitti normali evidentemente le multinazionali possono tenerseli, così come non è prevista alcuna patrimoniale. Meno ancora è prevista la nazionalizzazione di credito e banche, unica misura che renderebbe davvero possibile la tassazione col contagocce di De Magistris. Anche questa, infatti, diventa impossibile se tutte le leve economiche restano in mano ai privati. In compenso è previsto il salario minimo e l’adeguamento al costo della vita. Un salariato che prenda più di quello che gli serve per arrivare alla fine del mese non è previsto, serve che abbia quel tanto che basta per continuare a fare il salariato tutta la vita.

Null’altro da segnalare del primo schizzo abbozzato di programma, se non qualche parola di rito sull’acqua pubblica, sulle rinnovabili, sulla raccolta differenziata e l’economia circolare, sulla cultura e sul turismo, oltre alla perla sui diritti civili: «Noi non avremo nessun problema ad attuare i diritti civili». E lo dice uno che bacia il sangue di San Gennaro e che, da cattolico fervente, non dice una parola sul necessario esproprio di tutte le proprietà e prebende della Chiesa per attuarne anche solo mezzo.

La radicalità di Unione Popolare al momento è tutta qui. Se abbiamo fatto pelo e contropelo al De Magistris pensiero non è per voler a tutti costi dargli contro. Noi infatti siamo pronti a sostenere anche il più piccolo dei suoi apparenti miglioramenti per i lavoratori. Persino l’improbabile reddito domestico, pur criticandolo, non ci sentiremmo di farlo mancare a casalinghe imprigionate dall’impossibilità di un’alternativa qualunque.

La disamina precisa e millimetrica del programma di De Magistris la facciamo a futura memoria per i nostri critici più accaniti. La parabola di tutti questi tentativi di sinistra interclassista e subalterna segue un canovaccio collaudato. Di norma, specie quando non si ha prospettiva immediata di governo, si parte con un programma molto più robusto per poi diluirlo mano mano che al governo ci si avvicina.

Quello di De Magistris e Unione Popolare parte già molto annacquato perché fin da subito vuole essere «un programma radicale ma di governo». Il nuovo pensiero di sinistra si presenta insomma come la vecchia Rifondazione “di lotta e di governo”. E si sa che tra la lotta e il governo, cioè tra i lavoratori e i padroni, prevalse l’interesse di governo, l’interesse del capitale.

Come mai De Magistris parla di governo, quando anche raggiungere il quorum appare un’impresa molto difficile? Perché qualora avvenga il miracolo, potrebbe essere il nuovo governo ad aver bisogno della stampella dei miracolati. Ecco allora che il profilo basso di Unione Popolare serve a rendere più digeribile l’eventuale tradimento subito dopo le elezioni, quando l’ex magistrato potrebbe correre in soccorso di Letta o di qualcun altro, traghettando tutto il suo partito personale dentro il nuovo carrozzone di larghe intese, lasciando con il cerino in mano chi glielo ha lasciato costruire, conservando stretto per sé il ruolo della serva.

Lorenzo Mortara

Il programma necessario per un nuovo autunno caldo



...che questa volta vada davvero fino in fondo

Mentre i salari sono in picchiata e i tassi dei mutui in rialzo, i profitti delle banche e delle grandi imprese conoscono un'impennata impressionante.
In testa naturalmente i monopoli energetici, a partire da ENI, che accresce del 600% i propri utili. Ma non solo. Unicredit ha registrato il miglior semestre degli ultimi dieci anni, Banca Intesa il miglior risultato dal 2008. Stellantis ha realizzato 8 miliardi di profitto netto nel solo primo semestre 2022, nonostante le difficoltà del mercato automobilistico. Prysmian, Brembo, Campari, Essilux realizzano incrementi degli utili di oltre il 20%. Così il gruppo Mediobanca. Così tutta l'industria bellica, la farmaceutica, l'informatica. Ed anche l'industria alimentare.

Come si spiega questo Eldorado dei profitti? Nel modo più semplice. Da un lato salari schiacciati, precariato dilagante, 90% di nuove assunzioni con contratti a termine e part time involontario, contratti non rinnovati da anni per il 40% del lavoro privato e ampi settori dei dipendenti pubblici (scuola). Dall'altro una montagna di miliardi girati ai padroni in tutti i modi possibili: credito d'imposta, taglio dell'IRAP, miliardi a fondo perduto, copertura con risorse pubbliche del credito bancario alle imprese (per cui se l'impresa non paga è lo Stato che ripaga la banca), ristori à gogo a un numero enorme d'imprese che hanno usato abusivamente la cassa integrazione senza averne bisogno (mentre si apre il safari contro gli abusivi... del reddito di cittadinanza).
Secondo i calcoli degli stessi sindacati, che li citano senza imbarazzo, sono stati versati in due anni sul portafoglio del padronato oltre 170 miliardi di risorse pubbliche. A questo si aggiunge la pratica ormai universale del buy-back: quella per cui gli azionisti comprano in Borsa le proprie azioni per accrescerne il valore e ingrassare i dividendi. Il parassitismo più spudorato.

Se poi aumentano i costi delle materie prime e dell'energia, prima per la ripresa, poi per le strozzature dell'offerta, infine per la guerra e le sanzioni, nessun problema: si aumentano i prezzi delle merci, dei servizi, di tutto.
Di più. Se è ragionevole prevedere che determinati beni rincareranno ulteriormente nella prossima fase, si investe nei titoli di Borsa corrispondenti e si trasferisce il costo dell'investimento sui consumatori. L'inflazione fuori controllo è la risultante di questo gioco.

Naturalmente il gioco rende a una sola condizione: che non aumentino i salari in modo proporzionale. Per cui assistiamo all'inverecondo spettacolo di tutta la stampa padronale, liberale o reazionaria che sia, contro la “rincorsa tra prezzi e salari”, il vero spettro d'autunno. Che è il modo aulico per dire che devono correre solo i prezzi. Esattamente come sta avvenendo. Salvo che poi gli stessi giornali “progressisti” lamentano la crescita delle disuguaglianze e i rischi di una rivolta sociale. La lingua batte sempre dove il dente duole, anche quando è biforcuta.

In questo quadro generale spicca l'assenza di una risposta che sia proporzionale all'attacco. Anzi, di qualsiasi risposta.

Le burocrazie sindacali fanno tappezzeria penosa. L'ultimo incontro col governo dimissionario è un vero pezzo d'antologia. Il governo offre ai lavoratori precari 200 euro una tantum – il nulla – mentre nega persino il rinnovo di questa miseria ai lavoratori già “beneficiati”. Cancella anche il pannicello della tassa del 25% sugli extraprofitti dei monopoli energetici, visto che questi avevano aggrottato le ciglia. Annuncia un taglio del 2% del cuneo fiscale sui salari, che significa scaricare sull'erario pubblico, cioè sui lavoratori, il taglio dei contributi, salvando integralmente i profitti aziendali che non pagano un euro. Ebbene, i segretari confederali sono usciti soddisfatti dall'incontro vantando il positivo interessamento del governo. Salvo poi scoprire, con Landini, di essere stati buggerati e spendere le solite “critiche” platoniche. Una vergogna.

E a sinistra? Un altro spettacolo imbarazzante. Non per la sua divisione, ma per la sua subordinazione in ordine sparso alle forze avversarie (o estranee al lavoro).
Fratoianni si accoda al PD, quindi al confindustriale Calenda, salvo vedersi scaricato all'ultimo miglio e precipitare la crisi del proprio partito. Rizzo fa blocco con destre reazionarie nazionaliste nel nome del rossobrunismo. Rifondazione Comunista si accoda al civico De Magistris (come già ad Ingroia) e propone insistentemente l'alleanza ai Cinque Stelle, che hanno governato contro gli operai per cinque anni firmando decreti infami contro i loro stessi diritti. Potere al Popolo critica la proposta di blocco coi Cinque Stelle ma non mette in discussione l'impianto politico culturale da cui nasce.

Naturalmente tutti parlano di lotte, di ragioni sociali, di diritti ma senza una proposta reale di azione di massa in cui investire unitariamente le proprie forze. La vera speranza di questi gruppi dirigenti non è la sollevazione di massa contro i capitalisti, ma il proprio ritorno in Parlamento. Nella prospettiva un domani di tornare al governo in qualche combinazione cosiddetta progressista. Come già con Prodi, con Tsipras, con Sanchez (Podemos), con Boric... Come con Mélenchon, che fu già ministro di Jospin quando bombardò Belgrado e che oggi rimuove l'uscita dalla NATO per accordarsi col Partito Socialista...

Noi non ci aggreghiamo a questa carovana. In direzione ostinata e contraria, diciamo tanto più oggi che il tema vero e centrale su cui unire nell'azione tutte le forze della sinistra politica e sindacale è la rivolta di classe contro i capitalisti, i loro governi, tutti i loro partiti. Se c'è un momento in cui dopo anni di sacrifici immensi andrebbe detto “basta” è esattamente questo.

Al tempo stesso, una rivolta sociale, dopo decenni di arretramenti e sconfitte, ha bisogno di parole d'ordine. Semplici, dirette, unificanti, capaci di rispondere all'esperienza quotidiana di grandi masse e al tempo stesso di sviluppare la loro coscienza politica indipendente, che è innanzitutto la coscienza della propria forza. Per una grande vertenza generale di 18 milioni di salariati. Innanzitutto.


BLOCCO IMMEDIATO DEI PREZZI ALIMENTARI E DELLE TARIFFE DI GAS, LUCE, BENZINA

I prezzi reali sul carrello aumentano ben più rapidamente di quanto dicano i dati ufficiali. Occorre un controllo operaio e popolare sui prezzi, con la costituzione di un comitato nazionale indipendente di lavoratori e consumatori, e comitati corrispondenti sul territorio. Occorre rivendicare l'abolizione del segreto commerciale e industriale, paravento di mille speculazioni padronali. Nessuna fiducia nei capitalisti, apertura dei libri contabili in ogni azienda.


FORTE AUMENTO SALARIALE, SCALA MOBILE DEI SALARI, SALARIO MINIMO DI 1500 EURO NETTI

I salari italiani sono quelli che in tutta Europa hanno perso di più negli ultimi trent'anni, a esclusivo vantaggio dei profitti. Occorre innanzitutto recuperare il maltolto chiedendo l'aumento generale e immediato di almeno 300 euro netti per tutti i lavoratori e le lavoratrici. Occorre istituire un salario minimo per legge di almeno 12 ore all'ora, 1500 euro netti su scala mensile. Ma non basta. Di fronte a un'inflazione fuori controllo che sta falcidiando le buste paga, va reintrodotta la scala mobile dei salari, conquista storica del movimento operaio, cancellata trent'anni fa. Se c'è, come c'è, la rincorsa dei prezzi, ci vuole un incremento automatico e corrispondente dei salari, privati e pubblici. L'alternativa è la continuità dell'immiserimento progressivo


REQUISIZIONE INTEGRALE DEGLI EXTRAPROFITTI E NAZIONALIZZAZIONE DEI MONOPOLI ENERGETICI, SENZA INDENNIZZO E SOTTO CONTROLLO OPERAIO

Gli extraprofitti delle grandi compagnie energetiche (ENI, ENEL, SNAM, Edison) non hanno precedenti nell'ultimo mezzo secolo. Quaranta miliardi in soli sei mesi nel 2022. Accumulati anche attraverso una cinica speculazione riconosciuta a denti stretti persino dal (loro) ministro Cingolani. Il buffetto fiscale una tantum del 25%, peraltro impugnato legalmente dalle compagnie, è un insulto. L'intera somma degli extraprofitti va requisita, e investita nel blocco delle tariffe. I monopoli energetici vanno nazionalizzati, senza indennizzo (perché se lo sono già preso) e sotto il controllo dei lavoratori: condizione decisiva per pianificare una transizione ecologica vera, a partire dall'investimento massiccio nelle energie rinnovabili, altrimenti impossibile.


PATRIMONIALE STRAORDINARIA DEL 10% SUL 10% PIÙ RICCO

Negli ultimi trent'anni si sono ridotte progressivamente le tasse sui profitti mentre i salariati e in pensionati si caricano sulle proprie spalle oltre l'80% del carico fiscale. Ora basta. Esistono oltre 4000 miliardi di grandi patrimoni, esentasse o progressivamente detassati. Una patrimoniale straordinaria del 10% liberebbe la cifra imponente di 400 miliardi, da destinare alla sanità pubblica, alla scuola, al risanamento ambientale, ai lavori di bonifica, alla riparazione della rete idrica ridotta ormai a un colabrodo... È il caso di dire “paghi chi non ha mai pagato!”


CANCELLAZIONE DEL DEBITO PUBBLICO VERSO LE BANCHE E LORO NAZIONALIZZAZIONE SENZA INDENNIZZO PER I GRANDI AZIONISTI

La zavorra del debito pubblico è sempre più insopportabile. Lo stesso Stato che detassa i capitalisti si finanzia vendendo titoli alle banche e ripagandole con 70-80 miliardi di euro ogni anno di soli interessi. Sono soldi ricavati dal taglio della sanità, della scuola, delle pensioni, del lavoro. Un trasferimento di ricchezza nel portafoglio del capitale finanziario che è tanto più insopportabile di fronte ai suoi profitti da favola e alla sua cronica evasione fiscale. Questa corvée va cancellata. Il debito pubblico verso le banche va ripudiato. Una rivendicazione tanto più necessaria di fronte ai piani annunciati di ripagamento del nuovo enorme indebitamento pubblico, nazionale e continentale, accumulato negli anni della pandemia. Quanto alle banche, vanno nazionalizzate e unificate in una unica grande banca pubblica da porre al servizio di un piano di nuovo lavoro e investimenti sociali.


A chi obiettasse che questo programma è eccessivamente radicale rispondiamo che è tanto radicale quanto la politica quotidiana dei capitalisti. A chi obietta che i rapporti di forza attuali non consentono di realizzarlo rispondiamo che un programma per la ribellione di massa aiuta anche a ribaltare i rapporti di forza. A chi obietta che la coscienza dei lavoratori è oggi troppo arretrata per sostenere simili rivendicazioni rispondiamo che occorre lavorare ad elevare quella coscienza all'altezza delle necessità obiettive, e non confonderla con le solite utopie riformiste, o peggio con intossicazioni rossobrune. A chi obietta che oggi nessun governo realizzerà mai quel programma, rispondiamo che è vero: per questo ci battiamo per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro forza e sulla loro organizzazione.

Questo è il punto decisivo. Solo una prospettiva di rivoluzione può indicare una vera svolta. Far maturare questa consapevolezza tra gli sfruttati è sempre molto difficile ma è l'unica via. Ed è anche l'unica via per strappare risultati concreti, seppure parziali. Perché tanto più oggi solo la paura di una sollevazione può indurre la borghesia a fare concessioni. Solo la minaccia di una rivoluzione può strappare riforme. La sola supplica di “riforme” resta lettera morta, come dimostra l'ultimo trentennio.

La borghesia italiana non ha certo paura del risultato elettorale del 25 settembre. Userà come sempre i vincitori. Troverà come sempre una combinazione parlamentare e istituzionale, fosse pure instabile e malferma, per gestire la propria politica.
L'unico evento che preoccupa realmente il capitale è l'insubordinazione delle masse. Le burocrazie sindacali lo sanno e si offrono preventivamente come salvagente. Le sinistre riformiste a loro volta presentano le proprie ricette progressiste per “riconciliare istituzioni e popolo” (De Magistris) a difesa delle istituzioni stesse. I comunisti rivoluzionari fanno l'opposto: costruiscono tra i lavoratori, controcorrente, una coscienza rivoluzionaria contro la borghesia e le sue istituzioni, approfondiscono da un versante anticapitalista la linea di frattura tra masse e Stato. Che è anche l'unico modo di evitare che quella frattura possa essere capitalizzata dal populismo reazionario.

È questa la linea che proponiamo in ogni ambito dell'avanguardia, in ogni movimento, in ogni sindacato, in ogni conflitto di classe e di massa. Per il più ampio fronte unitario di lotta di tutte le organizzazioni del movimento operaio. È la linea d'intervento del PCL, quando possibile, anche dalla tribuna delle elezioni borghesi. La normativa antidemocratica che prevede una montagna di firme autenticate in pochi giorni d'agosto, dispensando dall'onere i partiti borghesi, ostacola pesantemente e molto spesso preclude questa possibilità. Ma in ogni caso presenteremo ovunque questo programma e agiremo in funzione di esso. Perché questo è un programma per l'azione. Le elezioni passano, la lotta di classe resta. Solo una rivoluzione può cambiare le cose. Occorre costruire un partito rivoluzionario che sappia sviluppare controcorrente questa consapevolezza.

Partito Comunista dei Lavoratori

La risposta delle sinistre classiste alla nostra proposta di alleanza elettorale

 


Le diverse organizzazioni classiste cui abbiamo proposto un'alleanza elettorale hanno risposto negativamente. Non è una buona notizia, ma purtroppo neppure una notizia inattesa.


La nostra proposta richiamava un principio elementare di realtà. Le elezioni incombono, in un quadro di confusione nello stesso campo borghese. La crisi sociale si acuisce giorno dopo giorno contro la classe dei salariati, mentre salgono a livello di capogiro i profitti delle banche e dei capitalisti. Manca una rappresentanza indipendente con basi di massa della classe lavoratrice, in contrapposizione a tutti i poli borghesi o piccolo-borghesi. Le sinistre che si affollano nello scenario elettorale o si subordinano al PD (Sinistra Italiana) o fanno blocco con destre reazionarie (Rizzo) o danno vita a un polo civico democratico-progressista (Unione Popolare), che per di più vorrebbe l'accordo con il M5S, cioè col partito più governativo di tutta la legislatura, quello che ha firmato con Salvini i decreti più forcaioli, contro gli immigrati e gli operai.

Perché allora non unire le forze della sinistra classista, anticapitalista, internazionalista, per far emergere una proposta di classe anche sul terreno elettorale? Questo era il senso della nostra proposta unitaria nelle condizioni straordinarie che si sono prodotte, a fronte di una normativa borghese che ostacola pesantemente nei tempi imposti la presentazione di una organizzazione, ma può essere facilmente affrontata da uno sforzo congiunto.

Non abbiamo letto motivazioni pubbliche del diniego, pur a fronte di una proposta pubblica. Le motivazioni reali le interpretiamo noi, e sono tra loro diverse: in un caso la subalternità pervicace al Partito della Rifondazione Comunista (Sinistra Anticapitalista), in un altro caso l'isolazionismo autocentrato e settario nel proprio mondo (Sinistra Classe Rivoluzione), in altri casi, se abbiamo ben inteso, il disinteresse per il terreno elettorale in quanto tale (Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria).

Non siamo elettoralisti, facciamo lavoro di massa” ci è stato detto. Ma perché non usare anche la tribuna elettorale borghese per lavorare alla ribellione sociale d'autunno presentando una risposta anticapitalista alla crisi? Perché lasciare campo libero ai filoliberali, ai rossobruni, al riformismo civico progressista, con ulteriori danni per la coscienza politica di massa e di avanguardia? In poche settimane lo sforzo comune nella raccolta delle firme avrebbe garantito facilmente l'accesso alla tribuna elettorale nazionale. Rinunciarvi significa dar prova di un elettoralismo capovolto: la demonizzazione delle elezioni come terreno di battaglia politica. Comprensibile per i movimentisti, non per chi formalmente si richiama al leninismo.

Nel caso del Fronte della Gioventù Comunista, accanto alla divergenza (reale) sulla questione ucraina, si è mossa l'obiezione del carattere controproducente di presentazioni elettorali parziali con risultati insignificanti. Ma sul tema della guerra, fermo restando l'autonomia di ogni soggetto (e dunque, per quanto ci riguarda, il diritto di resistenza dell'Ucraina all'imperialismo russo, come di ogni popolo aggredito dall'imperialismo), si poteva mettere a valore la comune contrapposizione ai due poli imperialisti, la denuncia della guerra d'invasione dell'imperialismo russo, il rifiuto del riarmo dell'imperialismo di casa nostra e la comune contrapposizione alla NATO, la parola d'ordine “se vuoi la pace prepara la rivoluzione”, che è il terreno della lotta generale contro la guerra imperialista: una linea generale di demarcazione rispetto al pacifismo, al sovranismo, ad ogni imperialismo. Quanto alla presentazione elettorale, uno sforzo congiunto avrebbe consentito di coprire larga parte del territorio nazionale e di conquistare la tribuna.
I risultati riflettono sempre i rapporti di forza reali, non dipendono dalla nostra volontà. Ma la paura del risultato elettorale non deve paralizzare i rivoluzionari, se rifiutano l'elettoralismo. Mentre il risultato certo della non presentazione è la rinuncia alla presenza di una voce classista, ad esclusivo vantaggio degli avversari.

Detto questo, come si suol dire, prendiamo atto. Evidentemente l'autoconservatorismo di routine ha avuto la meglio su ogni altra considerazione.

A questo punto proveremo a presentarci come PCL in alcuni collegi senatoriali, ove possibile, per dare voce e rappresentanza a un programma classista, anticapitalista, internazionalista. Indicheremo nei prossimi giorni gli eventuali collegi. Chiunque voglia aiutarci nella raccolta delle firme per favorire la presentazione può prendere contatto col nostro partito.

Partito Comunista dei Lavoratori

Nuova pubblicazione. Engels e l'origine della famiglia

 


Riattualizzare Engels. L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato

2 Agosto 2022

È disponibile il primo numero di Classe, genere, rivoluzione, una serie di pubblicazioni tematiche a cura della Commissione donne e altre oppressioni di genere del PCL. L'opuscolo è disponibile presso le nostre sedi o scaricabile liberamente da questa pagina

Il Partito Comunista dei Lavoratori presenta il primo opuscolo di formazione della Commissione donne e altre oppressioni di genere, dal titolo: Riattualizzare Engels: L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. La questione del metodo.

Questo lavoro si pone all’inizio di una serie di altri interventi volti a rinforzare la conoscenza sull’intreccio tra patriarcato e capitalismo, sul suo sviluppo storico, sul metodo di analisi utilizzato per inquadrare correttamente le condizioni materiali delle donne assoggettate alla doppia oppressione in quanto preposte alla riproduzione in senso sia biologico sia sociale.

Riteniamo che il discorso sia da riattualizzare, poiché tante e altre sono le soggettività oppresse sono emerse nel corso della storia. Da una parte abbiamo il dato biologico, che è inaggirabile e vale non solo per le donne cis ma anche per soggettività trans e non binarie; dall’altra il lavoro del mantenimento della forza-lavoro e dunque la questione della riproduzione sociale. La famiglia come cellula economica di base del capitalismo chiama in causa un aggiornamento sul panorama variegato di cosa sia oggi la famiglia, la quale mantiene inalterata la sua funzione sostanziale ma si palesa fenomenologicamente in forme diverse, in base alle varie zone del mondo e alle culture di riferimento e al grado di sviluppo del capitalismo.



Presentiamo di seguito le righe iniziali dell'introduzione.


Grazie a L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Friedrich Engels (1), inseparabile compagno e amico di Karl Marx, inaugura una profonda riflessione sulle cause economiche e sociali dell’oppressione della donna, sul ruolo della famiglia come cellula di base del capitalismo nel suo ruolo fondamentale di riproduzione di forza-lavoro e sul ruolo dello Stato. Inoltre, descrive in maniera chiara e scientifica l’intreccio tra patriarcato e capitalismo.

Per rendere agevole la comprensione sono state selezionate alcune parti fondamentali da un punto di vista strettamente teorico: le due Prefazioni alla prima e alla quarta edizione (1884; 1891), il capitolo I Gli stadi preistorici della civiltà, il capitolo II La Famiglia e il capitolo IX Barbarie e civiltà, che proponiamo in maniera commentata, anche per aggiornare alcuni passaggi che sono passati al vaglio di studi successivi. Nelle appendici sono riportati frammenti di opere precedenti di Marx ed Engels, da porre in collegamento con i contenuti proposti. Alcune sono opere che Engels stesso cita nella sua trattazione, altre sono indicate nelle note dell’edizione presa in esame (2), altre ancora sono frutto di un lavoro di ricerca su opere cronologicamente anteriori, utili per lo studio del testo collocato lungo uno sviluppo storico.

Questo opuscolo rappresenta un inizio, sia perché la formazione proseguirà con testi e interventi successivi sia perché la riflessione su L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato apre alla comprensione del mondo attuale.
Infatti, com’è possibile che un testo dell’Ottocento possa valere ancora oggi? La risposta risiede nel metodo utilizzato da Engels, cioè il materialismo storico, a cui era approdato assieme a Karl Marx con il fondamentale testo L’ideologia tedesca (1846).


(1) La versione telematica è reperibile all’indirizzo: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1884/famiglia/index.htm

(2) Per il presente opuscolo l’edizione consultata è: Friedrich Engels, L’origine della famiglia della, della proprietà privata e della Stato, Roma, Editori Riuniti, 2005, VI edizione, traduzione di Dante della Terza, a cura di Fausto Codino.

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Partito Comunista dei Lavoratori

BOLOGNA 3 AGOSTO 2022: PRESIDIO IN SOLIDARIETA' E PER LA LIBERAZIONE DEI COMPAGNI SINDACALISTI ARRESTATI

 


Alcune foto del presidio.

Di seguito il testo del volantino distribuito nell'occasione

Giù le mani dal sindacalismo combattivo!



La violenta azione giudiziaria e repressiva contro gli otto dirigenti e militanti del SI C0BAS e dell’USB perpetrata dalla procura di Piacenza è un ulteriore feroce attacco a un combattivo settore della classe lavoratrice, quello della logistica, e a tutto il sindacalismo conflittuale e di classe. E un monito per milioni di salariati e sfruttati.

La posta in gioco è la criminalizzazione delle lotte, la repressione di chi alza la testa contro l’abuso padronale e l’oppressione dello Stato, mettendo in discussione la pace sociale, cioè la guerra quotidiana contro le condizioni di lavoro e di vita della classe lavoratrice e delle masse popolari.


In questi giorni, in queste ore, si approfondisce il solco tra chi è pronto a dare una risposta di classe al teorema giudiziario in corso con scioperi, picchetti, presidi davanti alle prefetture, e chi, come i sindacati di categoria di CGIL, CISL e UIL, dichiarano piena fiducia alla magistratura, avallando l’operazione repressiva dello Stato.

A fronte di questo attacco e dello scandalo della totale subalternità delle burocrazie sindacali alle ragioni dei capitalisti e del potere statale che ne cura gli interessi, secondo il principio di stabilità e governabilità, bisogna dare una risposta immediata e adeguata: le lotte non si processano; Aldo, Arafat, Bruno, Carlo, Fisal, Issa, Riadh e Roberto liberi subito!

Allo stesso tempo tutto il movimento sindacale e politico di classe deve lanciare la proposta di un ampio fronte e una piattaforma generale di lotta che punti a unificare tutte le vertenze in campo nell’ottica di coinvolgere milioni di salariati, ad aggregare attorno ad essi la maggioranza della società.

Perché solo l'irruzione dell'azione di massa, che metta al centro le ragioni dei salariati e delle masse popolari contro il carovita, le politiche economiche del governo e la militarizzazione in corso, aprirebbe dal basso un nuovo scenario politico. È lo spettro della ribellione sociale d'autunno, quella che i padroni temono, assieme a tutti i loro partiti; quella che le burocrazie sindacali in modo truffaldino evocano per vendere ai padroni il proprio ruolo di pompieri; quella che purtroppo le sinistre riformiste rimuovono, per non contrapporsi alle burocrazie sindacali limitandosi a criticare i padroni.

No alla repressione antioperaia!
Facciamo fronte unico contro la dittatura padronale e dello Stato borghese!

• Giù le mani dal sindacalismo combattivo e di classe: unifichiamo tutte le vertenze in un solo blocco!
• Contro l’economia di guerra, contro il caro prezzi e bollette: No ai piani di riarmo, blocco immediato delle tariffe di gas, luce, benzina, Controllo operaio sui prezzi, forti aumenti salariali e reintroduzione della scala mobile dei salari,
• Blocco dei licenziamenti e riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario.
• Salario medio garantito a tutti i proletari occupati e disoccupati, eliminando contratti precari e paghe da fame.
• Patrimoniale sulle grandi ricchezze per far pagare la crisi ai padroni.
• Eliminazione del razzismo istituzionale a partire dall’abolizione delle attuali leggi sull’immigrazione e da una regolarizzazione di massa slegata dal ricatto del lavoro.
• Via le leggi di precarizzazione del lavoro; basta appalti e sub-appalti!
• Istituzione di una cassa nazionale di resistenza per sostenere le lotte.
• Occupazione delle aziende che licenziano, battersi per la loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio.

Come Partito Comunista dei Lavoratori ci impegneremo nelle lotte per il completo ritiro di tutte le misure giudiziarie e contro ogni forma di repressione padronale e istituzionale. Altrettanto ci impegneremo in ogni fronte unitario di avanguardia per sostenere la proposta del fronte unico di classe e di massa nella prospettiva di una alternativa anticapitalista. L’unica alternativa vera.





Partito Comunista dei Lavoratori