Post in evidenza

ELEZIONI REGIONALI DELL’EMILIA ROMAGNA: LE NOSTRE INDICAZIONI DI VOTO

  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

Cerca nel blog per parole chiave

SCIOPERO GENERALE 25 OTTOBRE!

Cambiano i suonatori, ma non cambia la musica

25 ottobre: sciopero generale!

24 Ottobre 2019
Uno sciopero contro il nuovo governo e i padroni di sempre
Nessun governo di svolta, nessun cambiamento, tutti i provvedimenti dei precedenti governi vengono conservati: resta soppresso l'articolo 18, resta il progetto di autonomia regionale differenziata, resta la Legge Fornero, resta l'impianto degli stessi decreti sicurezza di Salvini, in un contesto dove da una parte, attraverso nuovi sgravi fiscali ai profitti, si regalano miliardi alle imprese e dall’altra le "misure sociali”, come il taglio del cuneo fiscale, saranno messe a carico dei lavoratori attraverso il taglio di agevolazioni fiscali e spesa sociale.

E cosa fanno i sindacati confederali? Nessuna mobilitazione e tanto meno un’ora di sciopero contro questo governo. Firmano accordi che impongono il welfare aziendale (pagato ancora da chi un lavoro lo ha) in sostituzione di quello universale (pubblico e per tutti), danno l’assenso ad opere inutili come il TAV Torino- Lione, concertano la trasformazione in legge dell'accordo del 10 gennaio 2014 che annulla ogni forma democratica di rappresentanza sindacale e garantisce il monopolio della rappresentanza a CGIL, CISL e UIL.

Milioni di lavoratori e lavoratrici sono oggi chiamati a rinnovare i contratti in una situazione dove le crisi aziendali sono centinaia e il caso Whirlpool è l’ultimo di una lunga serie. Al di là delle diversità di categoria e di piattaforma, può e deve essere questa un'occasione per uscire dal pantano e cambiare realmente le cose, contrastando con forza l’avanzata di una destra sociale razzista e sovranista.

UNIFICARE LE LOTTE E PROMUOVERE UNA PIATTAFORMA GENERALE DELLE RAGIONI DEL LAVORO, nella prospettiva di una mobilitazione di massa generale e prolungata contro il governo e il padronato, sostenuta da casse di resistenza, la cui piattaforma e i metodi di lotta siano elaborati e decisi attraverso assemblee unitarie di delegati e delegate, eletti/e nei luoghi di lavoro, fino al livello nazionale.


Una piattaforma che abbia come punti qualificanti:

– Il blocco dei licenziamenti e la nazionalizzazione di tutte le aziende e servizi privatizzati negli ultimi venticinque anni, senza indennizzo e sotto controllo sociale, a partire dai beni comuni (autostrade, servizi idrici, trasporti...) e di tutte le aziende che delocalizzano o licenziano o inquinano

– il recupero dell'articolo 18 e la sua estensione a tutti i lavoratori

– la cancellazione delle leggi di precarizzazione del lavoro ed assunzione dei lavoratori precari; la ripartizione del lavoro tra tutti, attraverso la riduzione dell'orario di lavoro a 32 ore a parità di paga

– l'introduzione di un salario minimo intercategoriale di 1500 euro e di un vero salario sociale ai disoccupati e ai giovani in cerca di prima occupazione, pagato dalla cancellazione dei trasferimenti pubblici alle imprese private

– la reale abolizione della legge Fornero; età pensionabile a 60 anni o 35 di lavoro, finanziata dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, profitti, rendite e dall'abolizione del debito pubblico verso le banche

– la piena uguaglianza di diritti tra lavoratori italiani e immigrati



Lo sciopero indetto dal sindacalismo di base va in questa direzione, ed è per queste ragioni che il Partito Comunista dei Lavoratori sostiene la mobilitazione generale del il 25 ottobre indetta da CUB, SGB, SI Cobas, USI/CIT, ADL Cobas.

Solo questo programma di rivendicazioni può rispondere all’attacco padronale e alla crisi capitalistica, e mettere in discussione un sistema economico fondato sullo sfruttamento e sulla rapina. Solo proiettando in questa, come in ogni lotta, la prospettiva politica del governo dei lavoratori come unica vera alternativa si può aprire la strada per riorganizzare la società dalle fondamenta rovesciando la dittatura del profitto.
Partito Comunista dei Lavoratori

Bloccare la produzione, occupare la fabbrica, nazionalizzare la Whirlpool

[testo del volantino per gli operai in lotta] Il PCL rinnova, in queste ore drammatiche, il pieno sostegno agli operai e alle operaie della Whirlpool.
L'azienda ha confermato una volta di più che gli accordi sottoscritti sono carta straccia.
Le promesse del governo, com'era prevedibile, valgono zero. 
Giusto il tempo delle campagne elettorali. 
La verità è che gli operai possono contare solo sulla propria forza. È ora che i sindacati la usino sino in fondo.
Il tempo delle passerelle, delle interpellanze, degli incontri istituzionali, è finito. Basta con le prese in giro. Occorre cambiare registro.
La produzione va bloccata. 
Gli stabilimenti Whirlpool vanno occupati, dalla fabbrica non deve uscire un bullone. 
Va rivendicata la nazionalizzazione della Whirlpool senza un centesimo di indennizzo per gli azionisti e sotto il controllo degli operai.
Questa è l'unica reale soluzione per conservare il lavoro, non ne esistono altre.
Il PCL sosterrà in ogni caso sino in fondo tutte le azioni di lotta che deciderete di intraprendere.

Partito Comunista dei Lavoratori

No all'infame vendetta dello Stato spagnolo!

Libertà per i dirigenti indipendentisti catalani!

15 Ottobre 2019
Lo Stato monarchico spagnolo ha realizzato la sua infame vendetta contro la Catalogna e la sua lotta per l’indipendenza tramite le pesantissime condanne inflitte ai dirigenti nazionalisti dalla Corte suprema.
I dirigenti nazionalisti sono espressione di forze politiche ed interessi borghesi e piccolo-borghesi, e le politiche dei marxisti rivoluzionari sono lontane, e sul piano generale e in particolare sociale, opposte a quelle dei condannati. Però, oltre ad essere condannati per una lotta del tutto democratica con un attacco alle libertà che colpisce tutti, essi lo sono oggi per il loro impegno verso l’obbiettivo democratico della autodeterminazione del popolo catalano.
Come marxisti rivoluzionari leninisti, noi appoggiamo pienamente tale obbiettivo e il diritto alla costituzione di una repubblica catalana indipendente.
Noi partecipiamo pienamente al movimento di massa per l’indipendenza catalana, ma nel movimento vogliamo portare la nostra prospettiva socialista rivoluzionaria. Noi siamo incondizionatamente per l’indipendenza catalana, ma lottiamo per una Catalogna socialista.
Questo sia perché ovunque siamo per liberare il proletariato dallo sfruttamento dei borghesi, esteri e/o indigeni non conta; sia perché l’indipendenza senza socialismo si risolverebbe in una delusione per le masse lavoratrici e la gran parte della popolazione indipendentista. Infine, solo la prospettiva socialista può offrire una prospettiva di maggior sostegno da parte dell’avanguardia del proletariato estero, che può vedere nella lotta per una Catalogna indipendente una parte della lotta per la liberazione generale, in primis su scala europea, da ogni sfruttamento ed oppressione.
La prospettiva socialista è poi l’unica che può riuscire a combattere lo sciovinismo anticatalano, ancora dominante nel proletariato spagnolo. Uno sciovinismo certo non combattuto dalle posizioni della sinistra riformista: il PSOE, partito di governo, partecipa alla repressione reazionaria, elogiando la sentenza e negando ogni ipotesi di indulto per i condannati; Podemos, in nome di un movimentismo generico, che nasconde un governismo reale, non pone al centro né la lotta di classe né il diritto di autodeterminazione per in popoli oppressi dal centralismo monarchico spagnolo; la stessa Izquierda Unida e Herri Batasuna (sinistra basca) non sono chiare sull'indipendenza catalana per cui battersi oggi.
Un nuovo partito, marxista rivoluzionario, in tutto lo Stato spagnolo è necessario. Per questo stanno lottando, nel mentre difendono senza esitazione il diritto all’autodeterminazione del popolo catalano, i nostri compagni di IZAR, Izquierda Anticapitalista Revolucionaria (Sinistra Anticapitalista Rivoluzionaria). Nostri compagni che fanno appello alla più ampia mobilitazione, centrata sullo sciopero generale in Catalogna e su scioperi di solidarietà ovunque possibile nello Stato spagnolo.
In Italia, nonostante le difficoltà, legate anche alla giusta mobilitazione per il popolo curdo contro l’attacco del boia Erdogan, cercheremo come PCL di realizzare nei prossimi giorni, in fronte unico con altre organizzazioni e sindacati di sinistra, iniziative in solidarietà col popolo catalano in lotta.

Libertà immediata per i dirigenti politici catalani!
Bloccare la Catalogna. Occupare aeroporti e vie di transito (autostrade, ferrovie)!
Sciopero generale in Catalogna. Sciopero generale anche in Euzkadi (Paese Basco)! Scioperi e manifestazioni di solidarietà ovunque possibile anche nel resto dello Stato spagnolo!
Per iniziative di solidarietà, incluso scioperi, in Italia, Europa e nel mondo!
Per il diritto all’autodeterminazione di Catalogna, Euzkadi e Galizia!
Abbasso la monarchia postfranchista spagnola! Per una repubblica dei lavoratori!
Per una Catalogna indipendente e socialista!
Per gli Stati uniti socialisti d’Europa!
Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione internazionale

LE PROSSIME INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO CURDO

Volentieri segnaliamo:











































Il PCL sezione di Bologna parteciperà portando la propria specifica lettura e orientamento programmatico anti imperialista, descritti di seguito e nel testo del volantino che verrà distribuito:

GIÙ LE MANI DAI CURDI!
TRUMP LASCIA I CURDI IN PASTO AD ERDOGAN

Come purtroppo era prevedibile, l'imperialismo USA ha deciso di scaricare i curdi siriani, dopo averli usati come fanteriacontro l'ISIS. È il cinismo della politica imperialista.
Le milizie curde delle YPG sono state determinanti nella sconfitta politica e militare delle organizzazioni reazionarie panislamiste. A Kobane e in tante altre città del nord siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato prova di un
eroismo autentico. Senza la loro avanzata di terra, palmo a palmo, al prezzo di enormi sofferenze e di un grande sacrificio di vite, i soli bombardamenti aerei non avrebbero potuto piegare ISIS. Anche per questo il movimento operaio
internazionale e le ragioni degli oppressi di tutto il mondo hanno un debito di riconoscenza nei confronti dei combattenti curdi.
Ora Donald Trump definisce la loro guerra “una guerra ridicola”, e li abbandona alla furia di Erdogan e dell'esercito turco.
L'accordo fra Trump ed Erdogan è un esplicito semaforo verde all'invasione turca del Nord siriano, ciò che significa di fattonon solo l'annessione di parte della Siria, a beneficio dei progetti ottomani del nuovo sultano, ma anche e in primo luogo una guerra di annientamento della resistenza curda. Un massacro annunciato.
Nel rapporto contrastato con gli USA, il governo turco ha messo sul piatto della bilancia la propria posizione strategica: quella di principale avamposto della NATO in Medio Oriente e al tempo stesso interlocutore politico e militare della Russia di Putin. L'imperialismo americano non poteva rischiare di spingere Erdogan verso Mosca, per questo gli lascia via libera nella guerra ai curdi. Una guerra di cui Erdogan ha assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la sconfitta elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca. Issare la bandiera del nazionalismo turco e conquistare manu militari il nord della Siria sono ossigeno prezioso per il regime, come lo è poter respingere nei territori militarmente annessi i rifugiati di guerra siriani, già oggetto di una crescente campagna xenofoba interna.
Quanto agli imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la scelta di Trump è che una nuova guerra nel Nord siriano possa sospingere ulteriori flussi di immigrati in Europa. La UE ha pagato Erdogan fior di miliardi per fargli fare il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco ai diritti democratici in Turchia e sulla natura reale
del regime che lo promuove. La macelleria annunciata contro i curdi è solo una sgradita complicazione, nulla più.
Le organizzazioni curde resisteranno con tutte le proprie forze all'invasione turca. Ma il divario di potenza è enorme. È necessaria la più vasta azione di solidarietà e di sostegno alla resistenza curda da parte del movimento operaio italiano ed europeo, delle organizzazioni sindacali, delle sinistre politiche, dei movimenti antimperialisti. “Giù le mani dai curdi” può e deve diventare da subito la parola d'ordine di una vasta mobilitazione unitaria sotto le ambasciate e i consolati turchi, e contro ogni silenzio e complicità del proprio imperialismo.
Ma gli avvenimenti del Medio Oriente ci consegnano una lezione di fondo che va al di là dell'emergenza e che interroga la prospettiva. I fatti confermano una volta di più che il popolo curdo, come il popolo palestinese, non ha alleati possibili tra le potenze imperialiste, vecchie e nuove. Nessun imperialismo metterà a rischio i propri interessi strategici per la causa nazionale di un popolo oppresso. E l'interesse strategico di tutti gli imperialismi è sostenere la Turchia e lo Stato sionista, quali migliori tutori dei propri affari in Medio Oriente. Tutte le strategie di accomodamento diplomatico con questa o quella potenza imperialista al fine di guadagnarne i favori si sono rivelate illusioni, sia in campo curdo, sia in campo palestinese.
Non hanno favorito i popoli oppressi ma solo i loro avversari. I curdi come i palestinesi possono contare solo sulla propria forza e sul sostegno dei lavoratori di tutto il mondo.
La liberazione e unificazione del Kurdistan, come la liberazione della Palestina, possono compiersi solo per via rivoluzionaria, solo attraverso la saldatura della propria causa nazionale con la prospettiva della rivoluzione socialista nella
nazione araba e in Medio Oriente. L'unica che può assicurare il pieno diritto di autodeterminazione di tutti i popoli oppressi.

La costruzione dell'Internazionale rivoluzionaria è condizione decisiva per sviluppare questa prospettiva.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

La vera (e la falsa) lezione del Portogallo

Il segretario nazionale del PRC, Maurizio Acerbo, ha esultato per la vittoria delle sinistre in Portogallo vedendovi addirittura «una lezione per il PD» (1). In cosa consisterebbe la lezione per Zingaretti? Nel fatto che in Portogallo la sinistra vince con la legge elettorale proporzionale. «I socialisti portoghesi invece di cercare di assassinare la sinistra radicale con il voto utile e le leggi elettorale maggioritarie hanno dovuto rassegnarsi a concordare in questi anni un accordo programmatico con le nostre compagne e i nostri compagni del Bloco de Esquerda e del PCP». La sinistra radicale, dal canto suo «ha dato appoggio esterno [...] senza perdere la propria autonomia e alterità». La lezione che il PD dovrebbe trarre è evidente: fare una legge elettorale proporzionale e disporsi in prospettiva a un accordo programmatico di governo con... la sinistra radicale. Come in Portogallo, per l'appunto.

Basterebbe questo a dimostrare che la dichiarata opposizione del PRC in Italia, già molto incerta e claudicante, è solo una collocazione provvisoria e sofferta nell'attesa di una chiamata futura del PD. E che il governismo resta la vocazione profonda della sua maggioranza dirigente. Ma non è su questo che ci vogliamo qui soffermare. Vogliamo invece parlare dell'esperienza di governo in Portogallo, citata in Italia da ambienti diversi come oasi di un riformismo felice e modello di riferimento futuro. Perché la realtà del "modello portoghese" è molto diversa dalla sua rappresentazione corrente (e non solo da parte di Acerbo).


IL GOVERNO DELLA GERINGONÇA

Le relative fortune della maggioranza di governo Partito Socialista-Bloco de Esquerda-Partito Comunista Portoghese sono legate all'esperienza traumatica del precedente governo della destra negli anni della grande crisi e del commissariamento del Portogallo da parte della Troika (2011-2014). Furono gli anni del crollo dell'economia portoghese: calo del 4% del PIL nel solo 2011, impennata della disoccupazione di massa al 13%, debito pubblico cresciuto sino oltre il 120%. La BCE, il FMI, la Unione Europea concordarono un prestito di 78 miliardi al capitalismo portoghese in cambio di una crudele politica di austerità: taglio dei salari e delle pensioni e abbattimento della spesa sociale. Il governo della destra fu negli anni della grande crisi il puro esecutore di questa ricetta del capitale finanziario, incontrando l'opposizione di massa della classe operaia e di larga parte della gioventù.

Nelle elezioni politiche del 2015, la sinistra portoghese beneficiò della domanda di svolta di ampi strati popolari e di classe. La destra di governo del PSD conservò larga parte della propria forza ma non al punto da poter governare. Il Partito Socialista non vinse le elezioni ma allargò, seppur limitatamente, il proprio consenso. Mentre alla sua sinistra rafforzò le proprie posizioni il vecchio PCP stalinista, e soprattutto conobbe una formidabile ascesa il Bloco de Esquerda, una formazione riformista di sinistra che al proprio interno conteneva una galassia composita di organizzazioni e gruppi di impronta movimentista, sociale, ambientalista.
Si trattava del riflesso sul piano elettorale del processo di radicalizzazione sociale.

Il Partito Socialista puntò in questo contesto ad una maggioranza parlamentare di sinistra, capace di raccogliere e al tempo stesso imbrigliare la domanda di svolta che il voto aveva espresso. La destra sollevò scandalo per questa inedita apertura. Era dai tempi della rivoluzione portoghese (1974-1976) che il Partito Comunista non entrava in una combinazione di governo. A maggior ragione fu denunciata come avventurosa l'apertura al Bloco. Tanto più che il PCP aveva sostenuto in campagna elettorale l'uscita del Portogallo dalla UE e dall'euro, da sempre posizione tradizionale del partito, e il Bloco rivendicava la cancellazione di tutte le misure di austerità. Come poteva il Partito Socialista accordarsi con queste formazioni e al tempo stesso presentarsi agli occhi della BCE, della UE, del FMI come debitore affidabile e garante della stabilità?

Furono i fatti a dare la risposta. Il PCP e il Bloco de Esquerda rinunciarono al proprio programma e alla richiesta di propri ministeri per appoggiare il governo della socialdemocrazia. Nacque così il cosiddetto governo della geringonça, che letteralmente significa “ammucchiata”, o “pastrocchio”. La destra profetizzò il suo rapido crollo, e la stessa Troika mostrò scetticismo. Ma le apprensioni del capitale finanziario furono presto smentite. La geringonça si rivelò salutare sia per la Troika che per la borghesia portoghese, anche grazie al concorso di fattori esterni.


LA POLITICA DI AUSTERITÀ DELLA SOCIALDEMOCRAZIA PORTOGHESE COL SOSTEGNO DEL BLOCO E DEL PCP

Nel 2015 l'economia portoghese avviò la propria ripresa dopo una lunga e profonda recessione. Il governo Costa poté disporre di un margine di manovra per concedere alla propria base elettorale qualche misura sociale di allentamento della austerità. Un piccolo aumento del salario minimo, la rivalutazione parziale delle pensioni più basse, l'aumento di stipendio dei dipendenti pubblici, il ripristino di quattro festività soppresse. Tutte misure modeste, ma che a fronte dell'esperienza traumatica degli anni precedenti apparvero come misure "di svolta". PCP e Bloco de Esquerda le presentarono ai lavoratori come risultato del proprio condizionamento del governo. Il premier Costa le presentò invece al grande capitale lusitano ed europeo come un piccolo obolo necessario per garantire stabilità politica e onorare i debiti contratti.

Così accadde. Dietro il paravento di qualche elemosina sociale il governo Costa ha onorato nei quattro anni della legislatura tutti gli impegni contratti con il capitale finanziario: contenimento del debito pubblico e riduzione verticale del deficit (dal 7,2 del 2014 allo 0,2 previsto per l'anno in corso). In parte vi riuscì grazie alla forte ripresa economica che accelerò dopo il 2015, all'incremento straordinario del turismo (che fa oltre il 20% del PIL, come in nessun altro paese europeo), al salto massiccio delle esportazioni (dai 49 miliardi del 2015 ai 61 miliardi del 2019), all'afflusso concentrato di investimenti esteri attratti da un bassissimo prelievo fiscale a tutto beneficio dei profitti. Ma soprattutto vi riuscì grazie all'abbattimento verticale degli investimenti pubblici nella istruzione, nella sanità, nei trasporti, nei servizi sociali in generale. È un aspetto centrale. Il decantato governo della sinistra ha abbattuto gli investimenti pubblici come nessun altro governo precedente. Nel 2016 i soldi spesi dallo Stato negli investimenti pubblici hanno toccato il minimo storico, restando sempre al di sotto dei livelli pre-crisi anche negli anni successivi. L'austerità dunque è stata non solo preservata ma persino rafforzata su questo terreno strategico, mentre gli investimenti immobiliari attratti dai privilegi fiscali hanno alzato del 37% in quattro anni i prezzi delle case e degli affitti, e tutte le leggi di precarizzazione del lavoro sono rimaste inalterate a beneficio dei padroni. Bloco e PCP hanno votato per quattro anni questa politica della socialdemocrazia lusitana, mentre l'Unione Europea ricopriva di elogi il governo Costa quale esempio di applicazione virtuosa del Fiscal compact. Altro che governo di svolta.


LA RIPRESA DELLA LOTTA DI CLASSE E IL VOTO DEL 7 OTTOBRE

Tutto questo è talmente vero che ha trovato un riflesso nella lotta di classe dei due ultimi anni, tema rimosso da tutti gli osservatori incantati dal “miracolo” lusitano. Nel primo biennio del governo Costa (2015/2017) il movimento operaio è rifluito, in parte per effetto dell'attesa fiduciosa verso il nuovo governo, in parte perché privo di un riferimento di opposizione. Ma il clima di attesa passiva ha lasciato il posto nel secondo biennio a una ripresa di combattività di settori importanti del mondo del lavoro, guarda caso i settori più colpiti dall'abbattimento degli investimenti pubblici: gli infermieri, gli insegnanti, i camionisti, i lavoratori della metropolitana della capitale... Una ondata di lotte sfociata in ripetuti scioperi di massa, spesso di impronta radicale, che in qualche caso hanno scavalcato la burocrazia sindacale dominata dal PCP. La confederazione sindacale e il PCP conservano la propria egemonia sulla classe operaia portoghese, sulla base di un forte radicamento sociale, mentre il Bloco de Esquerda ha una presenza prevalentemente mediatica e di opinione. Lo stesso governo ha affidato la propria tenuta sul controllo burocratico del movimento operaio da parte del PCP, non del Bloco. E non è un caso che proprio il PCP, più del Bloco, sia esposto agli effetti di logoramento del proprio sostegno al governo.

I risultati elettorali del 7 ottobre vanno visti infatti nella loro contraddittorietà. La destra ha subito indubbiamente un tracollo, ma a vantaggio del Partito Socialista. Il Partito Socialista di Costa è l'unico vero vincitore. Ha raccolto il voto popolare di contrapposizione alla destra, ma anche un voto di stabilità e di conservazione di ampi settori di piccola borghesia e classe media che avevano in precedenza votato a destra. Il rapporto di forza tra socialdemocrazia e sinistre cosiddette radicali è cambiato così a vantaggio della prima. A fronte dello sfondamento elettorale del PS, il Bloco conserva a fatica il proprio consenso, il PCP registra un netto calo elettorale (da 17 a 12 deputati), mentre l'astensione si attesta a un livello inedito nella storia portoghese dell'ultimo mezzo secolo.
Qual è il significato d'insieme del voto? Le sinistre del Bloco e del PCP hanno aiutato la socialdemocrazia, che ora con un rapporto di forza favorevole sul piano parlamentare può scegliere più liberamente con chi fare il governo. Pare che la scelta di Costa, non a caso, privilegerà il PCP, perché non vuole rinunciare alla sua azione di controllo sul movimento operaio a beneficio del capitalismo portoghese ed europeo. Del resto, come si suol dire, squadra vincente non si cambia. Tanto più in vista di un annunciato rallentamento economico e del rischio di una nuova recessione, che potrebbe buttare a carte quarantotto il precario equilibro delle politiche di bilancio esponendo il governo a resistenze. Meglio tenersi lo scudo protettivo del partito stalinista.


UN CONSIGLIO
Maurizio Acerbo può trarre da tutto questo un consiglio... al PD perché imiti il Partito Socialista del Portogallo. Noi non abbiamo invece consigli da rivolgere ad Acerbo. Perché se dopo tutto quello che è accaduto a sinistra negli ultimi vent'anni in Italia esalta la subordinazione governista del PCP e del Bloco, vuol dire che davvero non c'è speranza. E che un partito comunista va costruito su altre basi e altri principi.




(1) Portogallo. Acerbo (PRC-SE): sinistre vincono con proporzionale puro. Una lezione per il PD
Partito Comunista dei Lavoratori

Giù le mani dai curdi!

Trump lascia i curdi in pasto ad Erdogan

7 Ottobre 2019
English translation below
Come purtroppo era prevedibile, l'imperialismo USA ha deciso di scaricare i curdi siriani, dopo averli usati come fanteria contro l'ISIS. È il cinismo della politica imperialista.

Le milizie curde delle YPG sono state determinanti nella sconfitta politica e militare delle organizzazioni reazionarie panislamiste. A Kobane e in tante altre città del nord siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato prova di un eroismo autentico. Senza la loro avanzata di terra, palmo a palmo, al prezzo di enormi sofferenze e di un grande sacrificio di vite, i soli bombardamenti aerei non avrebbero potuto piegare ISIS. Anche per questo il movimento operaio internazionale e le ragioni degli oppressi di tutto il mondo hanno un debito di riconoscenza nei confronti dei combattenti curdi.

Ora Donald Trump definisce la loro guerra “una guerra ridicola”, e li abbandona alla furia di Erdogan e dell'esercito turco. L'accordo fra Trump ed Erdogan è un esplicito semaforo verde all'invasione turca del Nord siriano, ciò che significa di fatto non solo l'annessione di parte della Siria, a beneficio dei progetti ottomani del nuovo sultano, ma anche e in primo luogo una guerra di annientamento della resistenza curda. Un massacro annunciato.

Nel rapporto contrastato con gli USA, il governo turco ha messo sul piatto della bilancia la propria posizione strategica: quella di principale avamposto della NATO in Medio Oriente e al tempo stesso interlocutore politico e militare della Russia di Putin. L'imperialismo americano non poteva rischiare di spingere Erdogan verso Mosca, per questo gli lascia via libera nella guerra ai curdi. Una guerra di cui Erdogan ha assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la sconfitta elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca. Issare la bandiera del nazionalismo turco e conquistare manu militari il nord della Siria sono ossigeno prezioso per il regime, come lo è poter respingere nei territori militarmente annessi i rifugiati di guerra siriani, già oggetto di una crescente campagna xenofoba interna.

Quanto agli imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la scelta di Trump è che una nuova guerra nel Nord siriano possa sospingere ulteriori flussi di immigrati in Europa. La UE ha pagato Erdogan fior di miliardi per fargli fare il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco ai diritti democratici in Turchia e sulla natura reale del regime che lo promuove. La macelleria annunciata contro i curdi è solo una sgradita complicazione, nulla più.

Le organizzazioni curde resisteranno con tutte le proprie forze all'annunciata invasione turca. Ma il divario di potenza è enorme. È necessaria la più vasta azione di solidarietà e di sostegno alla resistenza curda da parte del movimento operaio italiano ed europeo, delle organizzazioni sindacali, delle sinistre politiche, dei movimenti antimperialisti. “Giù le mani dai curdi” può e deve diventare da subito la parola d'ordine di una vasta mobilitazione unitaria sotto le ambasciate e i consolati turchi, e contro ogni silenzio e complicità del proprio imperialismo.

Ma gli avvenimenti del Medio Oriente ci consegnano una lezione di fondo che va al di là dell'emergenza e che interroga la prospettiva. I fatti confermano una volta di più che il popolo curdo, come il popolo palestinese, non ha alleati possibili tra le potenze imperialiste, vecchie e nuove. Nessun imperialismo metterà a rischio i propri interessi strategici per la causa nazionale di un popolo oppresso. E l'interesse strategico di tutti gli imperialismi è sostenere la Turchia e lo Stato sionista, quali migliori tutori dei propri affari in Medio Oriente. Tutte le strategie di accomodamento diplomatico con questa o quella potenza imperialista al fine di guadagnarne i favori si sono rivelate illusioni, sia in campo curdo, sia in campo palestinese. Non hanno favorito i popoli oppressi ma solo i loro avversari. I curdi come i palestinesi possono contare solo sulla propria forza e sul sostegno dei lavoratori di tutto il mondo.

La liberazione e unificazione del Kurdistan, come la liberazione della Palestina, possono compiersi solo per via rivoluzionaria, solo attraverso la saldatura della propria causa nazionale con la prospettiva della rivoluzione socialista nella nazione araba e in Medio Oriente. L'unica che può assicurare il pieno diritto di autodeterminazione di tutti i popoli oppressi.
La costruzione dell'Internazionale rivoluzionaria è condizione decisiva per sviluppare questa prospettiva.



______________________________________________________________________________________________



Hands off the Kurds!


As was, unfortunately, to be unexpected, US imperialism decided to dump Syrian Kurds, after using them as ground troops against IS. This is the cynicism of imperialist policy.

YPG Kurdish militias were a determining factor of the reactionary Islamic forces' political and military defeat. In Kobanî and in many other Northern Syria cities, Kurdish women and men, arms in hand, have proved true heroism. Without their advance on the ground, inch by inch, at the price of enormous pain and sacrifice of lives, aerial bombing alone could not have defeat IS. It is also for this reason that international working class movement and the oppressed worldwide owe a debt of gratitude to the Kurdish fighters.

Now Donald Trump defines their war "ridiculous war", and abandons them to the fury of Erdogan and Turkish army. The deal between Trump and Erdogan is an outspoken green light for the Turkish invasion of Northern Syria, that means, in effect, not merely the annexation of part of Syria, for the benefit of new sultan's Ottoman projects, but also and above all a war of annihilation of Kurdish resistance. A foretold massacre.

In the contrasted relationship with USA, Turkish government throws his strategic position into the scales: the position of the main NATO outpost in the Middle East, and at the same time a political and military interlocutor of Putin's Russia. US imperialism couldn't risk pushing Erdogan toward Moscow: that's the reason of the go-ahead for the war on Kurds. A war that Erdogan definitely needs also for reasons of domestic politics, after the electoral defeat in Istanbul and in the midst of the Turkish economic recession. Raise the flag of Turkish nationalism and take Northern Syria manu militari is precious oxygen for Erdogan's regime, as it is sending Syrian refugees back to annexed territories – refugees object of an escalated internal xenophobic campaign.

As for European imperialist countries, including Italy, their only concern about Trump's decision is that a new war in Northern Syria can push forward further migration flows in Europe. EU paid Erdogan top dollar to do Balkan routes' guardian, that's why it's silent on the attacks on democratic rights in Turkey, and on the real nature of Erdogan's regime. For EU imperislists the foretold slaughterhouse against Kurds is nothing more than an unpleasant burden.

Kurdish forces will resist with all their strength to the proclaimed Turkish invasion. But there is a huge gap of power. The broader solidarity and support action for the Kurdish resistance by the Italian and European working class movement, unions, left-wing and anti-imperialist forces is needed. "Hands off the Kurds!" can and must become immediatly the slogan of a large, united mass mobilization at the embassies and consulates of Turkey, and against every silence and complicity of our own imperialism.

But in the events of Middle East there's a lesson to be learned, which goes beyond the immediate emergency, and which questions the perspective. The facts once again confirm that the Kurdish people, as the Palestinian people, has no friends between imperialist powers, new and old. No imperialist country will put its own interests at risk for the national cause of an oppressed people. And the strategic interest of all imperialist is to support Turkey and the Zionist State, as the best guardian for their business in the Middle East. All the diplomatic appeasement approaches with one or another imperialist power to gain favor with them have proved to be illusions, both for Kurds and for Palestinians. These approaches were helpful not for the oppressed people, but for their enemies. Kurish people, as Palestinian people, can rely only on their own strength and on the support of the world's working class.

Liberation and unification of Kurdistan, as well as liberation of Palestine, can only be achieved by way of revolution. It can only be achieved through the joining of their national cause with the perspective of the socialist revolution in the Arab nation and in the Middle East: the only perspective that can assure the full right to self-determination for all oppressed people.
The construction of the revolutionary International is a decisive condition to foster this future.
Partito Comunista dei Lavoratori

Cinque giorni di sommossa popolare in Iraq

Mentre in Egitto un settore della giovane generazione rialza la testa contro il regime di al-Sisi, una rivolta popolare scuote l'Iraq, coinvolgendo Baghdad e tutte le principali città irachene, a partire dalle città operaie del sud. La repressione sanguinosa del governo ha fatto più di 100 morti ma non ha ancora piegato la rivolta. Verificheremo nelle prossime settimane la sua dinamica, se continuerà o ripiegherà, ma sicuramente è la più grande sommossa popolare in Iraq degli ultimi decenni.


LA BRUSCA SVOLTA

La rivolta popolare era stata annunciata dalle proteste sociali di Bassora un anno fa, e più in generale dalle mobilitazioni dell'estate 2018. Ma la dinamica degli ultimi cinque giorni ha avuto i caratteri di una esplosione, di una brusca svolta dello scenario iracheno. L'innesco è la protesta contro il carovita in un paese ricchissimo di petrolio ma segnato dalla miseria sociale. La repressione militare ha fatto il resto. La radicalizzazione politica contro il governo per la sua cacciata è divenuto in pochi giorni il tratto centrale della mobilitazione. «I manifestanti si dicono pronti a proseguire il movimento sino alla caduta del regime» dichiara l'inviato di Le Monde a Baghdad (6 ottobre). Giovani disoccupati e lavoratori sono i protagonisti della scena.

La coscienza politica del movimento è molto confusa, come spesso accade in un'esplosione improvvisa. Vi confluiscono elementi spuri e contraddittori, come un diffuso rifiuto dei partiti. Ma l'aspetto più interessante è il prevalere del fattore sociale sulla dinamica delle contrapposizioni religiose e settarie. E' un aspetto di possibile svolta nella situazione irachena.

La divisione confessionale tra sunniti e sciiti ha dominato per lungo tempo lo scenario del paese. Il regime nazionalista bonapartista di Saddam Hussein si appoggiava sulla minoranza sunnita contro la maggioranza sciita (e la minoranza kurda). Il rovesciamento del regime da parte dell'imperialismo con la guerra scatenata dagli USA nel 2003, e la successiva occupazione militare dell'Iraq, colpirono ed emarginarono la componente sunnita privandola di ogni leva di potere e dissolvendo le stesse strutture statali in cui era principalmente radicata, a partire dall'esercito, senza peraltro disporre di una soluzione efficace di ricambio. Nel vuoto di potere creato emerse progressivamente una leadership politica sciita, appoggiata dalla maggioranza della popolazione e fortemente ostile ai sunniti. Lo sviluppo di Al Qaida e poi dell'ISIS (proprio a partire dalla scissione della sezione irachena di Al Qaida) si inserì in questa divisione religiosa coi metodi del terrorismo stragista, nel nome del riscatto sunnita. Il regime sciita a sua volta fece leva proprio sulla contrapposizione al terrorismo “sunnita” per consolidare il proprio controllo sulle masse povere dell'Iraq, in parte appoggiandosi sull'imperialismo, in parte appoggiandosi sul regime sciita iraniano, in un equilibrio inedito e instabile.


LA FINE DELLA PAURA

C'è un passaggio importante nella recente vicenda irachena. Nel 2015-2016 quando la forza armata dell'ISIS si allargò in Siria e in Iraq sino a minacciare Baghdad, il regime iracheno in pieno disfacimento fu costretto a ricorrere alla mobilitazione straordinaria delle milizie civili sciite nel nome della difesa della “nazione irachena”. L'operazione riuscì, Baghdad fu salva, l'ISIS conobbe una progressiva rovina militare e politica, sotto la pressione congiunta dell'intervento imperialista, della resistenza kurda, della controffensiva sciita. Ma il sacrificio di vite speso nella resistenza all'ISIS fu enorme, e si sovrappose agli stenti patiti nei lunghi anni dell'occupazione militare. Quel sacrificio presentò il conto al governo. La “vittoria” celebrata dal governo contro il nemico si trasformò in un boomerang. Liberi dalla paura e dall'emergenza, milioni di giovani iracheni hanno iniziato dal 2015 a porre sul piatto le proprie rivendicazioni sociali e politiche. E proprio la maggioranza sciita è entrata progressivamente in collisione coi partiti che governavano in suo nome. Questa è stata la dinamica degli ultimi anni. L'esplosione di questi giorni ne è lo sbocco. “Né sciiti né sunniti, ma iracheni” è, non a caso, una delle parole d'ordine delle manifestazioni popolari. La popolazione povera sciita ha rotto il recinto confessionale in cui era stata costretta.


PRECIPITA LA CRISI POLITICA

Il riflesso politico di questo fatto è stato immediato.
Il governo di Adel Abdul Mahdi si è retto sinora sul sostegno parlamentare dei partiti e/o coalizioni sciite. La ribellione popolare contro il governo e la strage compiuta contro i manifestanti ha scosso questo sostegno. Muqtada al-Sadr, leader della maggiore coalizione parlamentare irachena ha sospeso il sostegno al governo chiedendo elezioni immediate. La massima autorità religiosa sciita in Iraq, al-Sistani, ha dovuto prendere formalmente le distanze dall'esecutivo chiedendogli di rispondere alle richieste del popolo. Il premier Mahdi, che inizialmente aveva scagliato la truppa contro le manifestazioni, cerca ora di offrire alle masse qualche misura simbolica di tipo “populista” per disinnescare la mobilitazione e salvarsi (il taglio del 5% degli stipendi degli alti funzionari pubblici per aiutare i disoccupati, l'aumento delle pensioni...). Ma non sarà semplice dopo il bagno di sangue.

Intanto il regime iraniano interviene in soccorso del governo iracheno accusando la rivolta di essere la longa manus degli USA e di Israele, che vorrebbero così boicottare le celebrazioni religiose sciite del martirio dell'Imam Hussein nel 680 a Kerbala, previste per il 19 ottobre. È il tentativo di ricondurre lo scontro sul terreno confessionale disinnescando la sua portata sociale, anche se qualche “comunista” campista di casa nostra asseconderà naturalmente la versione poliziesca del regime di Teheran.


IL PARTITO COMUNISTA IRACHENO, UN GRANDE PARTITO ROVINATO DALLO STALINISMO

Proprio il ruolo dei comunisti è l'elemento più problematico per molti aspetti degli avvenimenti in corso. Il Partito Comunista Iracheno (PCI) è infatti parte organica della principale coalizione parlamentare (Sairoom, “In Marcia”) su cui si è retto il governo di Adel Abdul Mahdi, lo stesso governo che ha fatto 100 morti nelle piazze.

Sairoom si è presentata alle elezioni del 2018 come coalizione tra il movimento islamico populista di Muqtada al-Sadr e il PCI, una coalizione “democratica” per riforme sociali e contro la corruzione pubblica. La coalizione si è affermata elettoralmente come forza di maggioranza relativa, raccogliendo sicuramente una diffusa domanda di svolta. Ma al-Sadr ha negoziato il proprio sostegno al governo di Mahdi, legato contraddittoriamente sia all'imperialismo che all'Iran, e il PCI si è allineato. Ora al-Sadr si smarca dal governo che ha sostenuto, e il PCI seguirà. L'elemento costante della storia irachena è la subalternità del PCI alle forze borghesi o piccolo-borghesi nazionaliste, siano esse laiche o confessionali.

Il PCI fu per lungo tempo il principale partito comunista del mondo arabo. La sua assimilazione allo stalinismo internazionale ne ha segnato la parabola storica. Il PCUS ha utilizzato il PCI come pedina delle proprie combinazioni diplomatiche e interessi di burocrazia, dettandogli le scelte più sciagurate: prima il sostegno suicida al governo repubblicano dei Liberi Ufficiali di Abd al-Karim Qasim del 1958, con la dispersione della rivolta operaia del 1959 e la conseguente repressione anticomunista che smantellò larga parte del partito; poi il nuovo patto suicida col regime baathista nel 1973, e il conseguente annientamento del PCI da parte di Saddam Hussein nel 1978. Ogni volta il PCI si è consegnato nelle mani dei suoi carnefici per compiacere il Cremlino.

Dopo il crollo dell'URSS, il PCI proseguì per forza d'inerzia la stessa politica governista cui era stato educato, al punto da entrare persino nel consiglio governativo iracheno durante l'occupazione militare imperialista. L'accordo di governo con gli islamisti di al-Sadr del 2018 è solo l'ennesimo giro di valzer della sua tradizione, dopotutto il meno impegnativo.


PER LA COSTRUZIONE DI UN PARTITO OPERAIO MARXISTA RIVOLUZIONARIO IN IRAQ

Gli avvenimenti in corso in Iraq ripropongono la lezione di fondo delle rivoluzioni arabe. Il primo ciclo delle rivoluzioni arabe del 2010-2011 in Tunisia, Egitto, Siria, si è risolto in una drammatica sconfitta per responsabilità delle loro direzioni borghesi e filoimperialiste. Tuttavia la sollevazione popolare in Algeria e Sudan, e poi i fatti dell'Iraq ci dicono che la dinamica rivoluzionaria nella regione non ha esaurito il suo corso, e nuove esplosioni possono prodursi con tutta la loro carica dirompente, ma il punto decisivo resta la questione irrisolta della loro direzione politica. In questo quadro, la costruzione di un partito operaio marxista rivoluzionario che tragga le lezioni dal drammatico fallimento del PCI e dello stalinismo e al tempo stesso recuperi il meglio dell'esperienza storica del movimento operaio dell'Iraq ci pare l'unica vera risposta di prospettiva.
Partito Comunista dei Lavoratori

Solidarietà ai compagni e alle compagne della sezione di Arezzo

Tutto il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria solidarietà ai compagni e alle compagne della sezione PCL di Arezzo per l'azione squadrista condotta contro la nostra sede di partito a Castiglion Fiorentino.
Un'azione squadrista e vile formalmente anonima, ma in una realtà segnata dalla presenza attiva e organizzata dei fascisti.
La riconoscibilità del PCL sul territorio, l'azione a lungo condotta dal nostro partito nello stesso consiglio comunale contro ogni forma di sciovinismo nazionalista e xenofobo, è stata sempre considerata dai fascisti locali come una provocazione da estirpare. Da qui una lunga serie di intimidazioni, incoraggiate tanto più oggi dal vento reazionario e anticomunista che si respira in tutto il paese.
L'aggressione squadrista contro la nostra sede e stata sospinta e armata da questo clima.
Ma la nostra determinazione antifascista sarà se possibile più forte di prima. Sempre con la consapevolezza che il fascismo ha la sua radice nel capitalismo e nella barbarie quotidiana che questo produce, e che antifascismo e anticapitalismo restano per noi inseparabili.

Partito Comunista dei Lavoratori

Francia: libertà per Roga e Victor!

Rischiano il carcere per aver partecipato a un’assemblea

2 Ottobre 2019
Condividiamo e rilanciamo questo appello
Il 17 ottobre 2018 Victor, militante sindacale, e Roga, militante associativo all’università di Nanterre, sono stati condannati rispettivamente a 4 mesi di detenzione con la condizionale e a 6 mesi di detenzione a seguito di una semplice denuncia delle forze dell’ordine, nonostante il loro fascicolo sia vuoto! Questa condanna arriva a seguito dell’intervento violento della polizia, il 9 aprile 2018, contro un’assemblea universitaria che si svolgeva all’università di Nanterre.

Nella primavera 2018 le università hanno conosciuto un grande movimento di sciopero contro la legge ORE, che attivava Parcoursup e la selezione all’entrata dell’università. Di fronte a questa grande mobilitazione, i rettori hanno fatto la scelta della repressione. Successivamente, dopo aver chiuso le facoltà dove c’erano stati picchetti e occupazioni, hanno fatto intervenire la polizia.

È in questo contesto che, il 9 aprile 2018, la celere è intervenuta a Nanterre per allontanare i partecipanti a questa assemblea, accusati di «intrusione». Questi ultimi sono stati colpiti, bloccati e gettati a terra. Molti sono stati feriti, fra cui uno gravemente.

È quindi a seguito di questo intervento della celere che Victor e Roga sono stati condannati in primo grado, e rischiano il carcere.

La repressione colpisce particolarmente l’ambiente militante di Nanterre. Lo scorso maggio Jean-François Balaudé, rettore dell’università, aveva convocato Victor e Mickaël, sempre un militante di Nanterre, in commissione disciplinare allo scopo di espellerli a causa della loro partecipazione allo sciopero studentesco contro l’aumento delle tasse di iscrizione di dicembre scorso. La mobilitazione lo ha poi impedito, ottenendo che restassero, senza alcuna sanzione.

Così, il 10 ottobre noi non possiamo accettare che due militanti si ritrovino in carcere per il fatto di essere andati a un’assemblea. Ciò costituirebbe un preoccupante avvertimento rivolto all’intero movimento sociale: adesso si dovrebbe temere la repressione non solamente quando si manifesta, ma anche quando ci si riunisce in assemblea!

Queste condanne sono una delle molteplici espressioni della violenza repressiva del governo Macron. Lo dimostrano la violenza che si abbatte sul movimento dei Gilets gialli e le numerose rappresaglie nei confronti dei militanti! La brutalità della polizia colpisce ciecamente, come nel caso di Steve, morto annegato successivamente ad una carica dei CRS durante la festa della musica.

Contro la deriva autoritaria del governo, contro la criminalizzazione del movimento sociale, perché noi non accettiamo di vedere il futuro di due militanti messo in discussione perché si sono mobilitati per difendere i loro diritti, chiamiamo ad una grande mobilitazione il 10 ottobre, giorno del processo in appello di Victor e Roga.

Per l’assoluzione di Roga e Victor, per il ritiro delle accuse e per l’assoluzione di tutti gli accusati del movimento sociale, invitiamo a partecipare numerosi e numerose al presidio il 10 ottobre davanti alla corte d’appello di Versailles alle ore 12:30.

#RelaxePourRogaEtVictor

29 settembre, assemblea SI Cobas e assemblea contro l'autonomia differenziata. L'intervento del PCL

Il 29 settembre il PCL è intervenuto, portando il proprio contributo, in due assemblee d'avanguardia: l'assemblea nazionale promossa dal SI Cobas a Napoli, e la seconda assemblea nazionale per il ritiro di ogni progetto di “autonomia differenziata”, che si è tenuta al Liceo Tasso di Roma.

L'assemblea di Napoli del SI Cobas è stata molto combattiva e partecipata, in funzione dello sciopero CUB-SGB-SI Cobas del 25 ottobre e della manifestazione promossa per il giorno dopo. Folta la presenza di lavoratori e lavoratrici immigrati/e. Comuni le rivendicazioni classiste e il richiamo internazionalista e antisovranista, un richiamo tanto più importante a fronte dell'arretramento della coscienza di classe, delle campagne xenofobe della reazione, della loro influenza tra i lavoratori. Il PCL è intervenuto nell'assemblea portando il proprio contributo di analisi e proposta sul terreno della costruzione del più ampio fronte unitario di lotta contro il padronato e il suo nuovo governo, nel pieno rispetto di ogni manifestazione di partito e di organizzazione classista, ma al tempo stesso con la proposta di unire le forze nell'azione di classe in funzione della ricostruzione di una opposizione di massa, una opposizione capace di incidere sui rapporti di forza complessivi tra le classi. Per questo il compagno intervenuto a nome del partito ha proposto l'adesione dell'assemblea allo sciopero e manifestazione nazionale degli operai della Whirlpool del 4 ottobre a Roma, una manifestazione che coinvolgerà i lavoratori di diverse fabbriche in crisi in un passaggio cruciale delle vertenze aperte. Una manifestazione in cui a nostro avviso ogni organizzazione di classe dovrebbe intervenire per portare non solo la propria solidarietà ai lavoratori in lotta ma anche una proposta di svolta radicale delle forme di azione e degli obiettivi della lotta, a partire dalla rivendicazione dell'esproprio sotto controllo operaio delle aziende che licenziano. Unità di classe e radicalità non debbono essere messe in contrapposizione ma marciare insieme.

L'assemblea di Roma contro l'autonomia differenziata ha visto una grossa partecipazione, come nella prima occasione (7 luglio), una partecipazione non scontata. Presenti le rappresentanze dei comitati unitari di scopo per il ritiro del progetto, assieme a diverse organizzazioni del sindacalismo di classe e a partiti della sinistra (PRC, Potere al Popolo, PCL, PCI). Centrale la discussione sulla nuova fase politica in relazione al progetto. Comune è stata la denuncia della continuità del progetto, comune il richiamo alla necessità di estendere la costruzione dei comitati unitari di scopo, diversi gli approcci sulla risposta da dare, al di là delle iniziative immediate. Il PRC è intervenuto per valorizzare l'interlocuzione critica col governo e l'intervento nelle sue «contraddizioni interne», lodando la contrarietà del ministro dell'Istruzione Fieramonti al progetto dell'autonomia, e quindi chiedendo uno specifico incontro col ministro oltre che col governo. Il PCL è intervenuto invece per sottolineare la natura di classe del nuovo governo come governo avversario, collocando in questo contesto la continuità del progetto per l'autonomia differenziata e denunciando l'interesse del capitale finanziario nell'operazione. Da qui la necessità di ricondurre la rivendicazione unitaria del ritiro del progetto alla costruzione di un'opposizione sociale e politica al governo Conte, contro la politica di sostegno al governo da parte di CGIL, CISL e UIL.

Una volta di più il nuovo scenario politico agisce come fattore di chiarificazione a sinistra. Sinistra Italiana è coinvolta nel governo, il PRC sta nel guado della pressione critica sull'esecutivo, il PC di Rizzo si estrania dagli appuntamenti unitari della stessa avanguardia, pensando unicamente alle proprie (legittime) manifestazioni di partito. Il PCL si batte per il più ampio fronte unitario dell'opposizione di classe, e in esso per un progetto anticapitalista e rivoluzionario. Contro il governismo e contro il settarismo. Come sempre.
Partito Comunista dei Lavoratori