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  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

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No all'ipotesi di CCNL dei metalmeccanici


Questo contratto dà pochi spiccioli ai lavoratori, moltissimo ai padroni e peggiora quello precedente che la FIOM si era rifiutata di firmare. Rimane tutta la parte normativa: orario di lavoro (flessibilità e straordinari obbligatori), gestione ferie e Par, restrizione della malattia e vengono introdotte norme peggiorative per la legge 104. Inoltre, i premi di risultato diventeranno totalmente variabili (in base alla produttività).

PERCHÉ VOTARE NO

Il 26 novembre su “Il Sole 24 ore” si leggeva: “Contratto metalmeccanici: 92 euro fra welfare e busta paga”. Landini, Bentivoglio e Palombella confermavano questo aumento fantasma.

È UNA CIFRA INVENTATA 

A tutti i lavoratori verrà riconosciuta l’inflazione con gli aumenti nel contratto nazionale. Verrà calcolata dopo che a maggio sarà stato reso noto dall’ ISTAT il valore dell’ IPCA ( indice dei prezzi a livello europeo).

Si stima per il 2016 un’inflazione dello 0,5% (pari a 9 euro) che si prevede arriverà all’ 1% nel 2017 e all’1,2% nel 2018. Se fossero confermati, si arriverà a un aumento di circa 51 Euro (fra tre anni) in busta paga. L’unica cosa sicura sono 9 Euro (al 5° livello), il resto non si sa. Si tratterebbe sempre di un adeguamento all’inflazione, per cui il potere di acquisto del salario rimarrà uguale.

A decorrere dal 1 gennaio 2017, gli aumenti dei minimi tabellari riconosciuti dopo questa data, assorbiranno gli aumenti individuali, nonché gli aumenti fissi collettivi, concordati in sede aziendale, salvo che siano stati concessi con clausola di non assorbibilità. In pratica, se per qualsiasi motivo la paga aumenta questo adeguamento all’inflazione non ci sarà.


IL GRANDE AFFARE DEI PADRONI? L’ASSISTENZA INTEGRATIVA 


Le aziende verseranno per conto di ogni lavoratore 156 Euro all’anno a mètaSalute, “Fondo sanitario metalmeccanici” istituito da FIM, UILM, FEDERMACCANICA e ASSISTAL, nel 2011.

Questi soldi, anziché in busta paga, andranno alle assicurazioni, che (incassati i profitti) daranno pochissimo in rapporto ai soldi ricevuti.

Prima per aderire a questo fondo bisognava fare domanda; con questo contratto l’adesione sarà automatica e se un lavoratore non vorrà, dovrà presentare disdetta scritta, ma in questo caso non prenderà un centesimo. mètaSalute opera tramite Uni-Salute (assicurazione sanitaria) che, a sua volta, fa parte del gruppo Unipol Assicurazioni.

Così i burocrati sindacali diventano complici e soci in affari dei VAMPIRI della sanità privata.

PAGAMENTI IN NATURA: UN RITORNO AL MEDIOEVO 


Dal 1° giugno 2017 le aziende attiveranno per tutti i lavoratori dei piani di “flexibel benefit”. Sono buoni spesa, pagamenti in natura, per un costo massimo di 100 euro. Nel 2018 e 2019 l’importo sarà elevato a 150 e 200 euro. Una cosa non è chiara: se c’è un massimo ci deve essere un minimo, quale è e chi lo decide? Nel contratto non è specificato.

Le aziende avranno due vantaggi. Primo, questi importi non saranno sottoposti al pagamento dei contributi (come se fossero pagamenti in nero). Secondo, una parte del salario anziché anticipata in busta paga sarà posticipata. Cioè, l’azienda pagherà questi “buoni” dopo che il lavoratore li avrà spesi.

VERSO LA DEMOLIZIONE DELLA 104

La legge 104 prevede il diritto a tre giorni di permesso al mese, a scelta del lavoratore e senza preavviso, per l’assistenza a un familiare invalido, malato o non autosufficiente.

Questo contratto prevede che, per avere i permessi, “il lavoratore presenti un piano di programmazione mensile degli stessi con un anticipo di 10 giorni rispetto al mese di fruizione, fatto salvi i casi di necessità e urgenza”. Chi stabilisce e con quali criteri i casi di urgenza e necessità? Nel contratto non è specificato.

È INACCETTABILE 

Dichiarano di proteggere la salute dei lavoratori e dei loro familiari (con l’obbligo di aderire alla sanità integrativa), ma attaccano il diritto alla cura dei malati.

A pagarne di più le conseguenze saranno le donne, che in genere sono quelle su cui pesa maggiormente il lavoro d’assistenza parentale.

Il NO a questo contratto deve diventare il NO a decenni di sacrifici che sono serviti solo a ingrassare i padroni e impoverire i lavoratori.

NON AUMENTA IL SALARIO 


DIMINUISCE I DIRITTI

APRE LA STRADA ALLA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITÀ

NO A UN ALTRO CONTRATTO TRUFFA!
Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione Romagna "D. Maltoni"

Governo Gentiloni: il renzismo senza Renzi


13 Dicembre 2016

Il “nuovo” governo Gentiloni è la continuità mascherata del renzismo. Una forma di renzismo senza Renzi. Un governo-ponte che nelle intenzioni di Renzi dovrebbe dargli il tempo di preparare la sospirata rivincita elettorale. Il più presto possibile, s'intende, nella speranza di travasare sul PD il 41% del Sì alla riforma costituzionale (bocciata).

Per coltivare il sogno della rivincita, Renzi aveva tre necessità complementari. La prima: fare un (breve) passo indietro nella scena politica, per onorare le promesse pubbliche in caso di sconfitta e provare a riabilitare la propria immagine ammaccata. La seconda: disporre di un potere di controllo sul nuovo governo ed in particolare sulle scelte delicate in fatto di nomine pubbliche (che sono parte del blocco di potere del renzismo). La terza: disporre di un governo sufficientemente debole, incapace di fargli ombra, incapace di travalicare i tempi brevi che Renzi gli ha assegnato.

Il governo Gentiloni risponde a queste necessità. Matteo Renzi conserva una propria presenza diretta nell'esecutivo grazie all'inserimento di Luca Lotti e di Maria Elena Boschi, la più stretta scuderia renziana. Affida la partita decisiva della prossima legge elettorale ad Anna Finocchiaro, la cui fedeltà è stata già sperimentata nel fiancheggiamento diretto di Boschi lungo lo scontro sulla riforma istituzionale. Preserva i propri ministri economici fondamentali (Padoan e Poletti), per preservare il patto di ferro con Confindustria e con le banche. Offre rappresentanza ministeriale a tutte le correnti della maggioranza filorenziana del PD, per assicurarsi il controllo del fronte interno al partito al piede di partenza del suo congresso. Cancella la sola ministra Giannini, ormai bruciata sull'altare della Buona Scuola, e zavorra più di ogni altra per l'immagine del renzismo. Respinge infine la candidatura ministeriale di Verdini, sia per evitare nuovi appesantimenti di immagine, sia soprattutto perché un governo più ballerino sui numeri al Senato avrà maggiori difficoltà a durare, e potrà essere più facilmente sfiduciato.

Questa operazione tuttavia ha due punti di debolezza.
La prima è l'immagine pubblica obiettivamente provocatoria di un governo che schiera in prima fila tutte le figure sconfitte dal No del 4 dicembre: la garanzia di controllo renziano sul governo viene pagata al caro prezzo di una sfrontata continuità ministeriale. Il renzismo senza Renzi oltre una certa soglia di impudicizia rischia di zavorrare ulteriormente proprio l'immagine di Renzi e le sue ambizioni di rivincita.

Il secondo fattore di complicazione riguarda il rapporto con una parte non irrilevante dei poteri forti. Poteri a suo tempo tutti schierati col renzismo nel momento della sua ascesa e delle sue promesse di stabilizzazione reazionaria, ma che oggi diffidano dello spirito avventuriero di un (aspirante) Bonaparte sconfitto che rischia di anteporre la propria sete di rivincita all'interesse generale di sistema. Lo sguardo critico della grande stampa borghese verso un governo paravento delle ambizioni del renzismo è sintomatico di questa preoccupazione. La stessa Presidenza della Repubblica ne è investita.

Resta il fatto che il governo Gentiloni continuerà le pratiche correnti del renzismo e del grande capitale contro i lavoratori italiani. La continuità della gestione del Jobs Act. La continuità della detassazione dei profitti già sigillata dall'ultima Legge di stabilità, a carico di spese e protezioni sociali. La continuità del soccorso pubblico al potere bancario, con l'annunciato salvataggio del Monte dei Paschi di Siena a carico dei lavoratori contribuenti. La continuità delle politiche di segregazione e di espulsione dei migranti, in sintonia con la campagna del populismo reazionario (Salvini e Di Battista).

La costruzione di un'opposizione sociale, unitaria e di massa, contro il renzismo e la sua versione mascherata, è l'unica via per dare una prospettiva progressiva alla vittoria del No del 4 dicembre.
Partito Comunista dei Lavoratori

Telecom: giù le mani dai contratti!

Testo del volantino distribuito in occasione dello sciopero del 13 dicembre

Mentre gli utili del gruppo Telecom nei primi 9 mesi del 2016 sono aumentati di 477 milioni di euro (profitti derivanti dallo sfruttamento della manodopera salariata), lorsignori del Consiglio di Amministrazione e dirigenti pensavano bene di incrementarli dando la disdetta del contratto aziendale. Disdetta che segue il continuo peggioramento delle condizioni di lavoro: aumento dei turni e modifica degli orari di lavoro, taglio del PDR (premio di risultato), contratti di solidarietà pagati con riduzioni di salario, esternalizzazioni di attività.
Questa iniziativa padronale si accompagna alla crisi occupazionale in molteplici aziende del settore delle telecomunicazioni (valga per tutte il call center di Almaviva); gare di appalto al massimo ribasso.
In risposta a questa situazione, appoggiati dal sindacalismo di base e autonomo, i lavoratori si sono autorganizzati dando vita a scioperi e a manifestazioni su tutto il territorio nazionale.
Con la scesa in campo dei sindacati di settore di CGIL-CISL-UIL si è realizzato per il momento il fronte unico sindacale per una risposta unitaria dei lavoratori. Lo sciopero del 13 dicembre è il frutto di questa unità, ma bisogna andare avanti fino al raggiungimento degli obiettivi:

- NO alla disdetta del contratto aziendale,

- NO alle esternalizzazioni di attività,

- NO all’unilateralità delle modifiche degli orari di lavoro,

- NO al demansionamento 


Ma anche NO alla controriforma voluta dal governo Renzi e Confindustria, battendosi per la non applicabilità nei contratti di lavoro dello Jobs act e dei controlli individuali a distanza, facendo perno per la difesa dell’occupazione alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Per avere dei risultati bisogna non solo resistere un minuto di più del padrone, istituendo una cassa economica di resistenza; occorre che i lavoratori più attivi e i sindacati di base si facciano carico di estendere l’autorganizzazione dei lavoratori all’interno del gruppo TIM, per poi allargarlo al settore delle telecomunicazioni e a tutti i settori in crisi e in lotta per i contratti. Così organizzati, costruire una piattaforma che unisca tutti i lavoratori, precari, disoccupati, capace di imporre una soluzione che cancelli tutte le leggi sulla precarietà, riduca l’orario di lavoro a parità di salario come risposta alla disoccupazione, e che sia in grado di dare una svolta economica e sociale a favore del mondo del lavoro.
Il PCL è a fianco dei lavoratori in lotta e si batte per la prospettiva anticapitalistica di uscita dalla crisi, per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici basato sulla loro organizzazione e la loro forza per costruire una nuova società, alternativa a questa, basata sulla voracità del capitale.
Partito Comunista dei Lavoratori
P.s.: volantinaggio al  concentramento di martedì 13 dicembre ore 10:00 piazza XX settembre Bologna

Fermare la violenza! La violenza non ci fermerà!


Per la costruzione di un femminismo radicale, anticapitalista e anticlericale

21 Novembre 2016
Verso la manifestazione del 26 novembre
CAPITALISMO DE-GENERE 

Scenderemo in piazza il 26 novembre contro la violenza sulle donne, una violenza che è strutturale e funzionale a questa società costruita in modo gerarchico perché basata sullo sfruttamento; ossia alla società divisa in classi, dove oppressione e repressione si coniugano obbligatoriamente e prendono forme differenti, ma contro le donne si sommano e moltiplicano.

Ci confrontiamo costantemente con una realtà fatta di diritti negati, di arretramento sociale e false illusioni di emancipazione che ci rinchiudono in una gabbia. La violenza è quotidiana, passa nei rapporti interpersonali, nei rapporti sociali, sui luoghi di lavoro, dai piccoli gesti alle minacce, sino agli attacchi fisici. Il rischio di abuso in particolare si concentra nella famiglia, luogo sociale ideologicamente pensato come “privato” e che si presta a diventare il vertice delle tensioni che si sviluppano nella società e il punto dove queste si scaricano.

Questa violenza però non si batte cambiando le parole che usiamo, non si batte con le leggi speciali. Neanche con le rappresentanze istituzionali dove solo poche si guadagnano il diritto di presenza, ma non certo quello di decidere, tantomeno di decidere in nostro favore. L’oppressione si combatte con la presenza politica delle donne, attraverso le nostre lotte e la difesa del diritto di decidere di sé. La nostra lotta è vincente se passa per la possibilità di essere autonome, di vivere liberamente i nostri sentimenti, di avere i luoghi dove difendere le donne sotto attacco.

Ci insegnano le donne polacche e le donne del continente sudamericano che solo facendo sentire alta la nostra voce si possono ottenere risultati. Ci manca, rispetto a loro, un'organizzazione nazionale che possa essere collettore delle energie complessive. La frammentazione che vive il movimento femminista in Italia ha ormai smesso di essere ricchezza ed è ora un limite che non fa proseguire oltre gli incontri nazionali isolati, come speriamo che non sia il caso di questa manifestazione.


LIBERI CORPI IN LIBERO STATO 

Il cosiddetto Piano straordinario anti-violenza del governo Renzi non è altro che una manovra paternalista e democristiana che si concretizza nel togliere autonomia e risorse ai centri anti-violenza ridotti di fatto a operare come "meri esecutori di servizio". È dunque necessario respingerlo con la prospettiva di ridare centralità a due battaglie imprescindibili per la liberazione delle donne: la battaglia per il lavoro e quella per la liberazione sessuale.

Lavorare meno, lavorare tutte; e superamento della disparità salariale fra uomini e donne. Per una ripartizione generale del lavoro, attraverso la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga, che consenta a tutti e soprattutto a tutte di definire in piena libertà la forma delle proprie relazioni sentimentali e sessuali, senza subordinarsi ai vincoli imposti dal bisogno materiale. Vogliamo disfarci del lavoro domestico a cui la crisi economica e l’indebolimento del sistema di welfare ci stanno condannando, e promuovere la socializzazione del lavoro di cura.

Liberazione sessuale significa innanzitutto strappare alla morale borghese e alla Chiesa Cattolica il diritto di definire cosa è uomo e cosa è donna, di disciplinarne e irreggimentarne i corpi e circoscriverne il ruolo sociale. Con questo spirito laico e materialista vogliamo liberarci dal principio ideologico della maternità come destino biologico delle donne, ripensando la genitorialità, dunque, come diritto e libera scelta responsabile di ciascuno, omosessuale o etero, single o in coppia. Allo stesso tempo, rivendichiamo l’accesso gratuito agli strumenti di contraccezione, il diritto di accedere liberamente e gratuitamente all’aborto e quindi anche l’abolizione del privilegio dell’obiezione di coscienza.

Riconosciamo infine nella Chiesa un nemico storico delle donne e della loro emancipazione, e dunque rivendichiamo la necessità della costruzione di un femminismo radicale, anticapitalista e anticlericale, che prospetti la separazione fra Stato e Chiesa e l’abolizione dei privilegi del Vaticano.
Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione contro le oppressioni di genere

L’incessante capitolazione di Tsipras: la versione ellenica della Buona Scuola

Fianco a fianco degli studenti greci, resistere alle imposizioni della troika, costruire un’alternativa socialista


Dopo essere riuscito alla fine di settembre a far approvare la privatizzazione delle municipalizzate dell'acqua potabile di Atene e Salonicco, il governo Tsipras prosegue imperterrito ad eseguire gli ordini della troika arrivando in questi giorni a proporre una riforma della scuola dai contenuti fortemente classisti, una vera e propria Buona Scuola in salsa greca che richiama nei suoi scopi fin troppo da vicino l'atroce riforma Renzi-Giannini.

Le due riforme condividono infatti l'obbiettivo di piegare l'educazione all'impresa, di aggravare la mercificazione dell'istruzione, e in conclusione di annientare definitivamente l'idea di un sistema educativo democratico, pubblico e di massa attraverso la retorica tossica della meritocrazia.
Nella Buona Scuola renziana questa logica si è principalmente abbattuta sugli insegnanti, per mezzo del concentramento smisurato di poteri nelle mani del dirigente scolastico, della differenziazione salariale dei docenti e della loro gerarchizzazione attraverso l'inserimento di diversi ruoli e funzioni, della chiamata diretta, del tagli del personale ATA, dell'esternalizzazione dei servizi a cooperative ed enti privati; il tutto condito dalle immancabili regalie alle scuole private in forma di defiscalizzazione delle tasse di iscrizione e dell'apertura all'ingresso di fondi privati in tutti gli istituti.

La versione di Tsipras della Buona Scuola amplifica brutalmente la natura classista della scuola colpendo direttamente la vita quotidiana degli studenti e il modo in cui vivono il percorso formativo, proponendo di vincolare l'accesso all'università al superamento di test specifici per i licei, l'inserimento di esami intermedi nel percorso delle scuole superiori, al servizio della logica della differenziazione dei titoli di studio, concepiti ormai alla stregua di curricula professionali.

Nell'una come nell'altra riforma, immancabile è la proposta dell'alternanza scuola-lavoro, che la terminologia eufemistica di Tsipras ha tradotto in “attività sociali”.

Essere uno studente nelle scuole dell'Europa travolta dalla crisi capitalista significa doversi confrontare quotidianamente con le discriminazioni classiste.

Anche in Italia, anche prima della Buona Scuola, la valutazione degli studenti era già piegata ad una logica di merito incentrata sul rispetto di determinati requisiti: il mantenimento di una media voto, la frequenza, il comportamento corretto, il superamento di test.
Questi metri di valutazione partono inevitabilmente da basi del tutto diseguali: il ceto d'appartenenza, l'estrazione familiare, la provenienza, sono elementi che incidono sull'approccio e sui modi d'apprendimento degli studenti. Nel contesto della crisi generale del capitalismo che si esprime nella contrazione dei salari, nella venuta meno di tutele di tipo welfaristico, nel caro libri, nell'aumento dei costi di spostamento e nella perdita in qualche modo anche di razionalità del sistema del trasporto; nelle diverse prospettive che diversi tipi di scuole sono in grado di offrire materialmente e nell'immaginario delle famiglie e degli studenti, risulta evidente come il concetto di meritocrazia sia solo la foglie di fico dietro cui nascondere le disuguaglianze, lo sfruttamento, la logica della produttività e quella della professionalizzazione dell'educazione.
La Buona Scuola di Tsipras interviene in questo ambito senza fronzoli e abbellimenti, senza nemmeno tentare di mascherare la natura classista e ingiusta del progetto generale a cui fa riferimento, proponendo una demarcazione forte tra scuole per i figli delle classi popolari e scuole per le classi dirigenti e padronali, e prospettando ulteriori paletti anche nella differenziazione meritocratica e classista tra singoli studenti all'interno delle medesime scuole.

Alla Buona Scuola di Renzi si è opposto un grande movimento di lavoratori della scuola, con il più grande sciopero di categoria della storia repubblicana. Quel movimento non ha trovato la solidarietà di un movimento studentesco e la disponibilità immediata di cui aveva disperato bisogno per generalizzarsi.
Oggi gli studenti greci si sono mobilitati contro la Buona Scuola di Tsipras.
Nei giorni della vittoria di Donald Trump alle elezioni americane è un fatto politico molto importante. In una fase caratterizzata dall'avanzata di movimenti populisti e reazionari, capaci di conquistare e abbagliare importanti settori popolari e di classe, la sinistra politica internazionale è da un lato ancora incatenata alle sue illusioni riformiste, malgrado la tragedia greca di Tsipras si sforzi ogni giorno di essere d'esempio nel mostrare non solo l'impossibilità di fatto di ogni tipo di riforma del capitalismo, ma anche l'inevitabile capitolazione ai padroni e ai potenti di chi di questo tipo di illusioni riformiste rimane prigioniero. Dall'altro, perennemente tentata di accodarsi ai movimenti populisti confusi, interclassisti e in certi casi apertamente reazionari, come drammaticamente testimoniato dall'apertura di credito o dall'aperta capitolazione di buona parte della sinistra in Italia al Movimento 5 Stelle o in Spagna a Podemos.

La disponibilità alla lotta, alla mobilitazione, all'investimento in parole d'ordine progressive, in completa controtendenza di fase, sono il dato oggettivo che è stato ripetutamente confermato negli anni scorsi dalla lotta contro la Legge El Khomri dei lavoratori francesi, dalla condensazione delle lotte salariali, sociali e giovanili negli Stati Uniti nei 13 milioni alle primarie per Sanders (poi svenduta dallo stesso con la sua capitolazione alla Clinton), dalla stessa lotta dei docenti contro la riforma Renzi-Giannini, e da ultimo anche dalle lotte che in Grecia si stanno lentamente e faticosamente riorganizzando dopo il tradimento di Tsipras.

Contro ogni illusione riformista e ogni capitolazione all'interclassismo dei movimenti reazionari e populisti, è compito dei rivoluzionari tenere dritta la barra sulla forza della classe degli sfruttati, degli oppressi, dei lavoratori.
Nella fase che stiamo conoscendo, le vecchie forme di potere politico hanno cominciato a sgretolarsi, e mai come oggi l'alternativa tra socialismo e barbarie si fa più pressante.
Solo l'aperta costruzione dell'alternativa socialista può dare a milioni e milioni di sfruttati uno sbocco progressivo. La strada da percorrere per questo progetto è quella della costruzione del partito internazionale della rivoluzione, che non ceda di un millimetro al compromesso con i partiti del potere e della borghesia, né dal versante riformista né da quello populista. Che abbia al centro della sua agenda un governo dei lavoratori come espressione diretta del loro potere politico, l'unico governo che può far piazza pulita dei privilegi, delle diseguaglianze, dello sfruttamento, delle privatizzazioni dell'acqua e delle varie Buone Scuole.
Partito Comunista dei Lavoratori

Libertà per i deputati curdi arrestati! Via il boia Erdogan!


Il regime di Erdogan ha compiuto un passo ulteriore nella propria deriva reazionaria. L'arresto in piena notte dei deputati curdi del HDP significa la decapitazione dell'unica vera opposizione parlamentare. La discussione apertasi sulla introduzione della pena di morte espone gli arrestati al rischio della vita. L'aperto sostegno parlamentare alle misure repressive del governo da parte dei partiti fascisti turchi dà il segno all'evoluzione in corso.
Il regime di Erdogan continua ed accelera il processo intrapreso dopo il fallito golpe militare del 15 luglio, in direzione di una concentrazione di poteri sempre più grande nelle mani insanguinate del presidente.

È il risvolto interno della politica neottomana in Medio Oriente. Una politica mirata all'annientamento ad ogni costo di qualsiasi spazio di autodeterminazione curda, dentro un progetto di espansione dell'area di influenza turca in Siria e in Iraq. La partecipazione turca alla battaglia di Mosul è parte di questo disegno. Come lo è l'intesa con Putin.

L'evoluzione in corso mette a nudo una volta di più l'ipocrisia degli imperialismi democratici d'Occidente. Le parole formali di preoccupazione espresse dagli USA e dalle cancellerie europee per il "rischio" autoritario in Turchia dopo il 15 luglio, servono solo a coprire l'immutata alleanza col boia Erdogan. Vitale per gli interessi NATO. Vitale per le politiche odiose e prezzolate di respingimento dei migranti in fuga dalle guerre.
La verità è che le “democrazie” europee ed americane sacrificano ogni decenza alla pelosa salvaguardia dei propri interessi imperialisti. Il governo italiano di Renzi e Gentiloni è parte integrante di questa politica complice ed ipocrita.

Il PCL denuncia senza riserve il regime reazionario di Erdogan e la repressione in corso in Turchia. Dichiara il proprio sostegno alle iniziative di opposizione in corso nelle città turche contro la nuova stretta del regime, e la piena solidarietà con la lotta del DIP (Partito Operaio Rivoluzionario, sezione turca del CRQI), che è partecipe della mobilitazione in atto. Propone una immediata mobilitazione unitaria davanti ai consolati e all'ambasciata turca in Italia, assieme alle associazioni e rappresentanze curde, per chiedere l'immediato rilascio di tutti gli arrestati.
Partito Comunista dei Lavoratori

NO A RENZI, NO AL GOVERNO AMICO DEI BANCHIERI. IN MIGLIAIA IN PIAZZA NONOSTANTE IL DIVIETO



Oggi Firenze ha vissuto una giornata importante. Migliaia di persone hanno deciso di sfidare il maltempo e sopratutto il divieto a manifestare, imposto dalla questura su ordine del governo PD, e dimostrare ancora una volta che non siamo disposti a piegare la testa. Lavoratori, studenti, disoccupati, giovani, mamme no inceneritore, immigrati, rifugiati, senza casa, sono scesi in piazza per ribadire un no deciso al governo Renzi ed al referendum costituzionale. Hanno dimostrato che non sarà uno stupido divieto a fermare la lotta, ne che la militarizzazione di una città faccia paura a chi ha voglia di lottare per i propri diritti. Una piazza numerosa, rumorosa e determinata ha imposto il diritto a manifestare. Un diritto calpestato dal governo Renzi in perfetta simbiosi con la riforma autoritaria della costituzione che questo governo, insieme al fido alleato Denis Verdini, sta portando avanti. Oggi abbiamo iniziato un sentiero, abbiamo dimostrato che una piazza unita non si fa intimidire, non c'erano buoni e cattivi ma migliaia di persone determinate a imporre un diritto calpestato. 

 CACCIARE RENZI ED IL PD NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE 

 Partito Comunista dei Lavoratori Firenze

Una legge di stabilità per i capitalisti

17 Ottobre 2016
Confindustria e banche esultano. Hanno ragione. Il governo Renzi regala alle imprese una nuova riduzione della tassa sui profitti dal 27% al 24%, nuovi incentivi fiscali in fatto di super ammortamenti, una messe di nuove regalie. Dopo aver già beneficiato i padroni in questi anni con la liberalizzazione dei licenziamenti arbitrari , la massiccia decontribuzione premio, la precarizzazione dilagante dei voucher. . Banche ed assicurazioni non sono da meno. Incassano la nuova torta dell'Ape , il prestito bancario assicurato che un lavoratore si impegna a ripagare per 20 anni, con tanto di interessi, in cambio di un anticipo di uscita pensionistica e di una pensione ancora più misera. Un nuovo derivato indiretto della famigerata Legge Fornero che il governo si guarda bene dal cambiare. Peraltro il governo Renzi lavora pancia a terra per tutelare le banche: già beneficiate di nuovi e più rapidi poteri di esproprio di debitori insolventi, a vantaggio dei valori dei propri crediti incagliati e altri titoli spazzatura.

E' vero, Renzi sfora gli impegni presi sul Patto di Stabilità in Europa. E cercherà di presentare questa scelta come prova di difesa dell'”interesse nazionale” contro le “burocrazie di Bruxelles”. Pascolando elettoralmente sul campo arato dai mille sovranismi nazionalisti, che a destra come (a volte) a sinistra, rivendicano il “riscatto italiano dal nemico tedesco”. Ma si tratta di uno specchietto per le allodole. Renzi sfora il patto di stabilità ( in buona compagnia oggi nella UE) non per allargare i cordoni della borsa verso i lavoratori, ma per ridurre le tasse ai capitalisti. Ed anche per finanziare una manciata di volgari regalie ( bonus per..”mamma domani” incluso) da usare a vantaggio del SI al referendum. Cioè a vantaggio di un progetto bonapartista di uomo solo al comando che è prezioso per gli interessi dei capitalisti e la migliore governabilità della loro rapina. E' un caso se tutte le Cancellerie del vecchio continente( e non solo) tifano per il SI, e si dispongono a chiudere un occhio sulla manovra di bilancio del governo?

Eppure le burocrazie sindacali coprono la finanziaria di Renzi, o elogiandola ( CISL) o criticandola sommessamente ( CGIL), in ogni caso senza contrasto e mobilitazione vera. Ed anzi vantando il ritrovato canale di contatto negoziale con il governo. Così facendo non solo privano i lavoratori di una reale tutela sindacale, a partire dai milioni di lavoratori pubblici in attesa di contratto, per i quali Renzi stanzia solo briciole umilianti. Ma aiutano di fatto l'operazione elettorale del governo a vantaggio del suo progetto istituzionale reazionario. Cosa serve un NO platonico della CGIL sul referendum, se di fatto si aiuta la campagna del SI e le sue truffe populiste?

E' necessaria e urgente una mobilitazione sociale, radicale, di massa, che unifichi opposizione alla legge di Stabilità e vertenze contrattuali. E' l'unica via per sbarrare il passo alla reazione. Per dare al NO una bandiera di classe riconoscibile. Per aprire il varco di una alternativa dei lavoratori. L'unica vera alternativa.
Partito Comunista dei Lavoratori


PER NON MORIRE RENZIANI - FESTA DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI



ERRATA CORRIGE:
IL CONCERTO PREVISTO DOMENICA 17 OTTOBRE ALLE ORE 18, 30 E' A CURA DEL CANTAUTORE GIUSEPPE QUARANTA
http://www.giuseppequaranta.it/
E NON DEL GRUPPO GIUSEPPE QUARANTA BLUES BAND.
CI SCUSIAMO PER L'ERRORE

NO alla Costituzione di Renzi

Per un No di classe e anticapitalista al progetto bonapartista del renzismo

30 Settembre 2016
La nostra adesione alla manifestazione del 22 ottobre

Il PCL aderisce al "Coordinamento per il No sociale alla riforma costituzionale" del governo Renzi. E dunque partecipa alla manifestazione nazionale promossa dal Coordinamento per il 22 ottobre a Roma. Un appuntamento importante che impegna da subito tutte le strutture del nostro partito.


UNA RIFORMA ISTITUZIONALE CONTRO IL LAVORO 

Il renzismo investe nel referendum istituzionale tutte le proprie forze. Il referendum istituzionale è un passaggio decisivo del progetto bonapartista del renzismo. Un progetto mirato all'"uomo solo al comando" dentro un netto rafforzamento dei poteri del governo e del suo Capo rispetto ad ogni altro potere istituzionale. Ma anche un progetto nitidamente di classe, che mira a tradurre sul piano istituzionale la vittoria sociale del capitale sul lavoro e a determinare un netto rafforzamento delle leve di aggressione sociale ai lavoratori e alle protezioni sociali. Questa è la ragione della convergenza attorno al Sì di tutti i poteri forti del grande capitale, ad ogni livello: italiano, europeo, internazionale.

La Confindustria in particolare sta sviluppando un livello inedito di proiezione attiva attorno al Sì con una campagna squisitamente classista e una pubblicizzazione delle proprie ragioni di classe: maggiore velocità d'attuazione delle misure governative a favore dei profitti, minori intralci parlamentari grazie alla corsia privilegiata per le misure filopadronali dell'esecutivo, eliminazione delle possibili resistenze regionali a vantaggio di grandi opere sventra-Italia. Da qui una mobilitazione straordinaria delle associazioni territoriali di Confindustria.

Il referendum del 4 dicembre è dunque, sotto ogni profilo, un appuntamento dello scontro di classe in Italia.


PASSIVITÀ E DEBOLEZZE NEL FRONTE DEL NO 


Alla massima determinazione del fronte padronale non corrisponde una mobilitazione speculare del movimento operaio. Al contrario.

La CGIL ha impiegato mesi di imbarazzato silenzio per approdare finalmente alla indicazione del No. Ma un No in punta di piedi, senza partecipazione ai comitati, senza campagna di reale mobilitazione. Gli accordi con Confindustria attorno alla partita degli ammortizzatori, la ritrovata relazione negoziale col governo sul pessimo terreno delle pensioni (con copertura di fatto alla truffa dell'Ape), i rapporti unitari con la CISL salita sul carro di Renzi e del Sì, rafforzano la passività dell'apparato CGIL proprio nel momento del massimo affondo istituzionale del renzismo. Mentre la burocrazia dirigente della FIOM, impegnata a perseguire un pessimo accordo contrattuale con Federmeccanica, copre Susanna Camusso su tutta la linea. Il risultato è l'assenza di una mobilitazione sociale e di massa contro il governo nei mesi decisivi dello scontro referendario: che significa oltretutto lasciare campo libero a Renzi sul terreno delle mance e delle regalie avvelenate in fatto di Legge di stabilità, con tanto di televendita a reti unificate.

Ma non è tutto. Le sinistre riformiste impegnate sul No si affidano a una gestione del confronto referendario egemonizzata da professori liberalprogressisti, che resta tutta interna ad una dimensione esclusivamente accademico-istituzionale, senza riferimenti sociali e di classe, senza neppure una chiara e netta contrapposizione politica al governo, nel nome di un "confronto esclusivo sul merito": come se fosse possibile separare il merito reazionario della riforma istituzionale dalla natura reazionaria del governo che la promuove. La conseguenza è quella di un confronto tecnico-giuridico da addetti ai lavori, incapace di parlare ai lavoratori e alle grandi masse, proprio nel momento in cui il governo moltiplica annunci di regalie sociali e sventola i quesiti populisti della scheda referendaria sul “taglio di politici e poltrone”.
Dunque una campagna del No estremamente debole nella sua impostazione, spesso ridotta sulla difensiva, impacciata e contorta nei suoi argomenti, esposta al fuoco concentrato della demagogia reazionaria del renzismo.


PER IL PIÙ AMPIO FRONTE UNICO DI CLASSE A SOSTEGNO DEL NO 


Per queste ragioni la formazione del Coordinamento per il No sociale alla riforma Renzi è un fatto importante.

È più che mai necessario e urgente contrapporre alla campagna classista di Confindustria a favore del Sì una campagna di classe del movimento operaio a favore del No. Una campagna che dia una riconoscibilità sociale alle ragioni del No agli occhi di milioni di lavoratori e lavoratrici, precari, disoccupati che sono le vittime designate del disegno renziano. Una campagna che punti alla ripresa della mobilitazione sociale e di massa contro il governo e il padronato su una piattaforma indipendente dei lavoratori.

Per questo il Coordinamento per il No sociale non può e non deve ridursi a un cartello di nicchia di piccole forze d'avanguardia, politiche e sindacali. Deve invece investire in un allargamento del fronte di massa, battendosi per il fronte unico più largo di tutte le forze del movimento operaio in contrapposizione al fronte unico governativo padronale. Una proposta e iniziativa di massa che metta pubblicamente di fronte alle proprie responsabilità le direzioni maggioritarie del movimento operaio agli occhi di milioni di lavoratori e lavoratrici: CGIL e FIOM vengano chiamate pubblicamente a mobilitarsi, con una campagna mirata all'interlocuzione con la loro base di massa, che denunci silenzi, ambiguità, defilamenti opportunisti della burocrazia.


PER UN'ALTERNATIVA DI CLASSE ANTICAPITALISTA: L'UNICA CAPACE DI DARE SOVRANITÀ AI LAVORATORI

Parallelamente è necessaria la massima chiarezza e coerenza di merito della campagna di classe del No. Occorre rilanciare una battaglia democratica conseguente per una legge elettorale pienamente proporzionale, attaccando frontalmente quella cultura della governabilità a scapito della rappresentanza che per vent'anni ha pervaso la stessa sinistra cosiddetta radicale (PRC) dentro la logica bipolarista del centrosinistra. Si dica una volta per tutte che il movimento operaio non ha alcun interesse a stabilizzare i governi del padronato! Ha il solo interesse a combatterli con ogni mezzo in una prospettiva di alternativa vera.

Una prospettiva di alternativa vera è chiamata a liberarsi dei retaggi tradizionali della “difesa della Costituzione del 1948” e dell'evocazione del sovranismo nazionale, entrambi purtroppo richiamati nell'appello di convocazione del 22 ottobre.

Il mito della Repubblica fondata sul lavoro è servito a ingannare per sessant'anni il proletariato italiano subordinando alla democrazia borghese tutte le lotte più generose delle masse oppresse. Se oggi la crisi della Repubblica precipita a destra è anche per quella subordinazione costituzionale alla Repubblica borghese che ha rimosso per sessant'anni ogni possibile alternativa di classe a sinistra. Si riconosca finalmente la verità: l'unica possibile repubblica fondata sul lavoro è una Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro forza e organizzazione! L'unica Repubblica che rovesciando il capitalismo può liberare i salariati dallo sfruttamento. L'unica che può dare loro la sovranità.

Il sovranismo nazionale evocato nell'appello per il 22 ottobre contro USA, Germania e Bruxelles è mal posto. La sovranità dei lavoratori va rivendicata contro tutti i capitalisti, a partire dai capitalisti tricolore di casa nostra, che come dice un vecchio adagio sono sempre il “nemico principale” da combattere e rovesciare. Tanto più in un paese imperialista come l'Italia, seconda potenza industriale d'Europa, impegnata in prima linea per gli interessi nazionali della propria borghesia nelle missioni di guerra, nelle operazioni in Libia, nel sostegno al sionismo in terra araba, nella crescente penetrazione in Africa (per bloccare le partenze dei migranti e allargare il proprio raggio d'affari). Lasciamo ad altri la bandiera del sovranismo nazionale, in ogni sua declinazione! La lotta contro gli sfruttatori di casa nostra per l'alternativa di potere degli sfruttati è il miglior sostegno alle lotte dei lavoratori degli altri paesi e di tutti i popoli oppressi contro le proprie borghesie e i propri imperialismi.

Con questa impostazione - classista, rivoluzionaria, internazionalista - il PCL sarà parte della manifestazione del 22 ottobre e lavorerà ovunque per la sua massima riuscita.
Partito Comunista dei Lavoratori

Tsipras privatizza l'acqua

Non c'è limite al peggio. Il 28 settembre il governo Tsipras ha ottenuto il via libera del Parlamento (152 voti a favore, 141 contrari) per la privatizzazione delle municipalizzate dell'acqua potabile di Atene e Salonicco. Era una delle tante condizioni poste dai creditori strozzini per dare al governo greco l'ennesima tranche di “aiuto” di 2,8 miliardi di euro. La privatizzazione dell'acqua serve in altri termini per pagare i creditori.
Non è tutto. I creditori hanno ottenuto da Tsipras la presidenza del nuovo fondo privato in cui confluiranno le società oggetto di privatizzazione (EESP): il presidente del fondo sarà infatti il francese Jacques Le Pape, già assistente di Christine Lagarde (attuale direttore generale del FMI) ed ex ministro delle finanze francese. L'accordo tra Tsipras e creditori prevede che il Fondo controllerà le aziende dell'acqua potabile per 99 anni.
Naturalmente la privatizzazione comporterà licenziamenti e peggioramento delle condizioni dei lavoratori coinvolti. Per questo sotto il Parlamento, nel giorno delle votazioni, hanno sfilato migliaia di lavoratori con cartelli di protesta piuttosto eloquenti: ”Ora venderete anche l'Acropoli!”. George Sinioris, capo dei lavoratori dell'azienda di acqua potabile ha dichiarato: "Stanno svendendo la ricchezza e la sovranità della nazione”.
Alle sinistre italiane che continuano imperterrite a sostenere Tsipras chiediamo semplicemente: “Sino a quando?”. L'esperienza dei fatti dimostra una volta di più il clamoroso fallimento del riformismo. Solo una prospettiva di rottura rivoluzionaria può liberare gli sfruttati dalla dittatura del capitale. In Grecia e in tutta Europa.


LE PROMESSE E I FATTI : 
dal sito SEL 2014

http://www.sinistraecologialiberta.it/notizie/limpegno-di-alexis-tsipras-se-eletto-lacqua-in-europa-sara-un-bene-comune-non-privatizzabile/ 

21 marzo 2014 / ALEXIS TSIPRAS
L’impegno di Alexis Tsipras: «Se eletto l’acqua in Europa sarà un bene comune non privatizzabile»

"L’Acqua è il bene più necessario alla vita. L’accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari sono beni critici per la salute umana e per la vita. Per questo sono definiti dei diritti umani, e i diritti umani non sono merce e quindi non commerciabili. Per questo i servizi come l’acqua e igienico-sanitari non possono essere liberalizzati.

Abbiamo bisogno di un forte impegno giuridico da parte della commissione europea su questo tema. Mentre ci avvicinano alle elezioni europee di maggio, la commissione ha ipocritamente abbracciato queste istanze popolari, mentre la Troika in Portogallo e in Grecia costringe alla privatizzazione di questi beni contro il volere dei propri cittadini. Per questo il voto di maggio è critico. Perché plasmerà per il futuro la qualità delle nostre vite.

Se sarò eletto presidente della Commissione Europea mi impegno a ad assumere l’iniziativa dei cittadini europei per il diritto all’acqua e farla inserire nella legislazione europea. Sia l’Unione europea che i singoli Stati saranno obbligati ad assicurare che tutti potranno godere del diritto all’acqua e ai servizi igienico-sanitari forniti da un servizio pubblico e dalle municipalizzate.

La legislazione europea dovrà escludere l’acqua e i servizi igienico sanitari dal mercato e l’acqua dagli accordi commerciali. Ed infine la Commissione Europea garantirà legalmente che la distribuzione dell’acqua e e gestione delle acque reflue restino un servizio pubblico. Questo è l’impegno che la Sinistra Europea e che io mi assumo davanti ai cittadini europei."
Partito Comunista dei Lavoratori

La guerra mondiale di Papa Francesco


Regna a sinistra, e nell'ambiente laico, l'immagine di un Papa Francesco “finalmente progressista”, a “misura d'uomo” lontano dalle “rigidità dell'arida dottrina dei suoi predecessori”, “aperto verso nuove frontiere”, e soprattutto “comprensivo della modernità dei tempi e dei costumi“.

Sarebbe utile confrontare questo pregiudizio positivo con le dichiarazioni solenni rilasciate dal Papa in occasione della sua visita in Georgia.

“Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio” ha proclamato papa Francesco. Chi sarebbe il responsabile di questa guerra? La “teoria gender” e più in generale“ i nuovi costumi sessuali”. Ma anche più semplicemente il diffondersi del divorzio: “Il divorzio è il frutto avvelenato di una colonizzazione ideologica che vuole distruggere la famiglia. Il divorzio sporca l'immagine di Dio, perchè Dio ha creato uomo e donna a sua immagine e quindi l'uomo e la donna che si fanno una sola carne sono l'immagine di Dio”.

Contro questa guerra mondiale che vuole distruggere il matrimonio con pratiche contro Dio come il divorzio, Papa Francesco invoca “la mobilitazione degli spiriti” ed in particolare il ruolo della donna: “La donna è centrale nella trasmissione della fede. Pensate a Maria, alle mamme, le nonne, la Chiesa: la Chiesa è donna”.

Ogni commento è superfluo.
Che sinistre genuflesse verso il capitale si inchinino di fronte all'istituzione Chiesa, che di capitale vive, è naturale. Ma ci risparmino almeno la pretesa che un monarca teocratico assolutista, difensore di una istituzione millenaria, possa essere baluardo di democrazia e di progresso. Questo no.
Partito Comunista dei Lavoratori

Non vogliamo fertilità e procreazione come destino.

Non vogliamo fertilità e procreazione come destino. Il diritto di decidere della nostra vita è nostro

Respingiamo il maschilismo padronale di Renzi e Lorenzin. Per una sessualità libera dai destini ideologici imposti dal patriarcato e dal capitalismo.

Sono molteplici i motivi per cui abbiamo ritenuto ideologico, maschilista e pericoloso il Piano nazionale per la fertilità promosso dal ministro della salute Beatrice Lorenzin (Nuovo Centrodestra). Nelle intenzioni del ministro il Piano avrebbe i seguenti obiettivi: 

• Informare i cittadini sul ruolo della fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio; 
• Fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità, promuovere interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell'apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale; 
• Sviluppare nelle persone la conoscenza delle caratteristiche funzionali della loro fertilità per poterla usare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente; 
• Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione; 
• Celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il “Fertility day”, giornata nazionale di informazione e formazione sulla fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il “prestigio della maternità”. (1) 

In queste ultime settimane si sono levate molte voci contrarie alla campagna pro-fertilità che hanno criticato diversi aspetti politici del Piano nonché le discutibili scelte comunicative che avrebbero dovuto pubblicizzare il “Fertility day” (giornata dedicata alla informazione e alla formazione sulla fertilità) del 22 settembre scorso. 

La campagna pubblicitaria infatti si è caratterizzata per cialtroneria e ambiguità, tingendosi di toni razzisti (2) e sessisti e rivolgendosi in modo assillante soprattutto alle donne: trattandole alla stregua di egoiste che mettono se stesse davanti al loro “orologio biologico” e al loro dovere nei confronti della comunità e soprattutto al loro ruolo riproduttivo. 
Fra le varie contestazioni, la più significativa è probabilmente quella che afferma che se in Italia non si fanno abbastanza figli è colpa della crisi economica, del precariato, della disoccupazione giovanile ecc. In una fase di erosione avanzata di diritti e di attacco ai salari dei lavoratori e delle lavoratrici viene giustamente ricordato a Lorenzin che i figli rappresentano un lusso. 

Questa prospettiva è sostanzialmente corretta, e coglie una delle principali contraddizioni di questa campagna; però è anche una critica parziale e deve necessariamente essere integrata per mostrare tutti gli aspetti reazionari del progetto del ministro della salute. 

A nostro avviso il Piano pro-fertilità è pericoloso specialmente poiché ripropone con forza e volgarità – basti pensare alle scelte comunicative – l’idea della procreazione come destino biologico e non come libera scelta del soggetto, e tenta di piegare la sessualità, il corpo – in particolar modo quello della donna – e la sua storia alla sola funzione procreativa. 

La campagna richiama costantemente e in modo ambiguo al dovere morale – di fascistissima memoria – della coppia eterosessuale (non si accenna infatti a altre possibili famiglie) nei confronti della nazione; infatti, tralasciando completamente l’importante ruolo assunto dalle popolazioni migranti in Italia negli ultimi anni, il Piano celebra il sodalizio fra la natalità ed il mantenimento del welfare: c’è bisogno di fare figli che un giorno vadano a lavorare perché possano garantire il funzionamento del sistema. È solo alla coppia eterosessuale e italiana che spetta l’onere e l’onore di procreare; non si accenna alla possibilità di genitori single e meno che mai a coppie omosessuali. L’essere fertile viene promosso come l’unico modo per avere figli, trascurando altre possibili alternative quali l’adozione, e le tecniche e i progressi della scienza medica, in questa visione distorta, sono piegati esclusivamente alla tutela della fertilità della coppia. 

Insomma, l’intera operazione è una celebrazione ideologica della famiglia “naturale” di matrice borghese, ed è tanto più pericolosa se si tiene conto del contesto storico in cui si inserisce: viene sancito nuovamente e in modo malcelato quel sodalizio fra governo e Chiesa cattolica che rafforza le varie iniziative a cui abbiamo assistito in questo ultimo periodo quali manifestazioni delle “sentinelle in piedi” e Family day. 
Trasformando la fertilità in un “bene comune” e la maternità in un dovere nei confronti della comunità, il Piano promosso dal ministro Lorenzin consolida di fatto le molteplici campagne e movimenti pro-life e antiabortisti, e legittima il privilegio (perché di certo non si tratta di un “diritto”) dei tanti obiettori di coscienza che all’interno di strutture sanitarie pubbliche ostacolano l’accesso delle donne all’interruzione della gravidanza. 
È dunque una campagna ideologica di stampo democristiano costruita su ribaltamenti e ambiguità: vi è ad esempio un martellamento costante e dai tratti parossistici, per cui la salute e il mantenimento di uno stile di vita “corretto” non sono finalizzati al benessere del singolo individuo in quanto tale ma alla preservazione del suo potere riproduttivo: il soggetto scompare, viene meno, e ciò che resta di lui è la sua fertilità e la sua preservazione: 

«Fin dall’adolescenza la funzione riproduttiva va difesa evitando stili di vita scorretti e cattive abitudini (come ad esempio il fumo di sigaretta e l’alcool), particolarmente dannose per gli spermatozoi e per gli ovociti. È essenziale inoltre evitare, fin dall’infanzia, l’obesità e la magrezza eccessiva e la sedentarietà, oltre a fornire strumenti educativi ed informativi agli adolescenti per evitare abitudini che mettono a rischio di infezioni sessualmente trasmesse o gravidanze indesiderate [ibidem].» 

L’obesità e l’anoressia – considerati alla stregua di comportamenti “scorretti” – vanno evitate perché potrebbero mettere a rischio il potere riproduttivo dei soggetti, e non vanno analizzate e trattate come espressioni di disagio sociale. Tutte queste tematiche, che rappresentano aspetti preoccupanti della contemporaneità, vengono rimossi dal ministro della salute (!) che si preoccupa invece di promuovere una campagna da cui l’individuo ne esce espropriato del proprio corpo e limitato nella costruzione di sé, nella libera ricerca del piacere e del piacersi, e piegato al solo compito della procreazione “per il bene della comunità”. 
Inoltre l’assillante richiamo del Piano alla salute e alla sua tutela cozza nei fatti con i pesanti tagli alla sanità portati avanti da questo come dai precedenti governi. Senza dimenticare inoltre che proprio questo impianto ideologico rafforza il sostrato culturale dei rapporti patriarcali tra uomini e donne, e dunque, in ultima istanza, legittima la violenza che sulle donne viene scatenata quando non rispondono al modello “di servizio” e si sottraggono al dominio maschile. 

A questa logica bigotta, opportunista e complice di un sistema oppressivo e patriarcale noi opponiamo con forza il nostro programma: 

- Lavorare meno, lavorare tutti, e redistribuire il lavoro esistente fra tutti e tutte a parità di salario.
L’autonomia economica di ogni individuo rappresenta da un lato la rottura con il sistema capitalista fondato sul profitto e l’espropriazione umana, dall’altro è un principio fondamentale per garantire la costruzione libera della propria soggettività e del proprio percorso di vita, ed è dunque un presupposto indispensabile, specialmente per quanto riguarda le donne, per la liberazione dall’oppressione familiare e dalla dipendenza dal marito. 

- La genitorialità deve essere considerata una libera scelta fra altre possibili, e non un destino biologico e morale, un presunto dovere nei confronti della comunità, né tantomeno un privilegio “naturale” della coppia eterosessuale. Con questo spirito di superamento dell’ideologia della famiglia “tradizionale” riconosciamo il diritto alla genitorialità tanto al singolo individuo quanto alla coppia omosessuale. 

- Liberazione sessuale significa anche liberare la sessualità dei soggetti dal destino ideologico della procreazione e della maternità. È per questo che l’aborto deve essere libero e gratuito, e deve essere abolita l’obiezione di coscienza. Inoltre, la contraccezione deve essere garantita a prezzi popolari. 

- La liberazione delle donne e delle minoranze sessuali e di genere si iscrive in un processo rivoluzionario di rottura con la morale e con l’organizzazione economica e politica della società attuale, e dunque rivendichiamo come passaggio imprescindibile l’abolizione unilaterale del Concordato fra Vaticano e Stato, l’esproprio senza indennizzo di tutte le grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche e in definitiva l’abolizione di tutti i privilegi fiscali, giuridici, normativi, assicurati alla Chiesa cattolica, a partire dalla truffa dell’8 per mille e dall’insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica. 

Porteremo queste riflessioni e queste rivendicazioni in piazza il 26 novembre alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne, appuntamento a cui partecipiamo con le nostre posizioni indipendenti e con la volontà di promuovere la costruzione di un movimento delle donne realmente radicale e di opposizione all’oppressione di genere e sessuale, così come di rottura con la proprietà privata come principio morale e organizzativo della società capitalista-patriarcale. 



Note 

(1) http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2083 

(2) Emblematica in questo senso la locandina ufficiale della giornata Fertility day, in cui si invitano i cittadini ad evitare i “cattivi compagni” mostrando l’immagine di una famiglia eterosessuale bianca e felice contrapposta a quella di un gruppo di persone straniere intente a drogarsi.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione contro le oppressioni di genere

De Magistris, un “Masaniello” al servizio della Napoli bene

27 Settembre 2016
A distanza di qualche mese dalla competizione elettorale, le promesse fatte da De Magistris trovano già una battuta d’arresto e s’infrangono sullo scoglio insormontabile delle regole del gioco capitalistico e del "rispetto della legge". Regole a cui sottostanno tutti i partiti del teatrino della politica istituzionale: centrosinistra, centrodestra, M5S e sinistra radicale.

A distanza di qualche mese dalla competizione elettorale, le promesse fatte da De Magistris trovano già una battuta d’arresto e s’infrangono sullo scoglio insormontabile delle regole del gioco capitalistico e del rispetto della legge. Regole a cui stanno tutti i partiti del teatrino della politica istituzionale: centrosinistra, centrodestra, M5S e sinistra radicale.
La giunta arancione al governo della città gode del sostegno della quasi totalità della sinistra di lotta napoletana, che la presenta come “un’anomalia” nel quadro politico nazionale. Pertanto il suo operato merita un’analisi attenta ed accurata, al fine di smascherarne la natura di classe.


LA PRIVATIZZAZIONE DELLE AZIENDE PUBBLICHE 

Il Comune di Napoli, prima delle elezioni di giugno 2016, aveva verso le banche un debito pubblico di 810 milioni di euro ed un deficit di circa 671 milioni. La situazione oggi è notevolmente cambiata in seguito alle direttive della Corte dei Conti, su mandato delle banche e di Confindustria, a cui l’amministrazione De Magistris ubbidisce senza batter ciglio: dall’ultimo accertamento finanziario di settembre 2016, il disavanzo è schizzato da 671.000.000 a 1.433.566.607,86 di euro. Questo significa che i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, gli studenti, le classi oppresse saranno costretti, per via del cosiddetto Patto di Stabilità, a pagare un debito fino al 2044 a banche private. Soldi che saranno ricavati sottraendo risorse ai servizi sociali ed ai trasporti; tutte le partecipate del Comune sono di fatti in perdita ed indebitate ciascuna mediamente per oltre 1 milione di euro: Napoli Sociale S.p.A. è fallita ed è stata incorporata con tutti i suoi debiti, pari a 1.385.640,00 di euro, in Napoli Servizi S.p.A., la quale a sua volta appalta esternamente lavori per i servizi di sanificazione, pulizia e manutenzione degli uffici comunali. Spende, cioè, 3,3 milioni di euro per servizi che da statuto dovrebbe garantire essa stessa, sprecando, così, milioni di euro per mantenere per accontentare i privati a cui sono state fatte promesse elettorali in cambio di voti.

Con delibera 148 del 14 marzo 2014, adeguandosi ai tagli imposti dal Governo centrale (“patto di stabilità”, legge 27 dicembre 2013, n. 147), la giunta, a firma Mossetti, Virtuoso e De Magistris, dispone tagli al bilancio delle aziende del Comune, per gli anni successivi per almeno l’8%, e per l’anno 2016 di almeno il 6%, che si aggiunge a quello precedente; decreta un taglio del 30% relativo a nuovi accordi aziendali, sui contratti integrativi dei lavoratori per l’anno precedente (2013). Inoltre, l’articolo 243 bis, richiamato dalla legge Patto di Stabilità, stabilisce tagli per almeno il 10% delle spese complessive e per prestazioni di servizio. In più la delibera comunale stabilisce che la mancata attuazione da parte dei dirigenti delle aziende partecipate dell’indicazioni del Comune fa venir meno il “patto di fiducia” con l’ente controllante.
Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, durante il primo governo De Magistris, con deibera n. 748/2011, la giunta ha stabilito il blocco delle progressioni di carriera, assegnazioni di premi, d’indennità e una tantum per i lavoratori, e di limitare compensi “accessori” a soli casi di emergenza.
Una lettera dell’Amministratore Unico di ANM Ramaglia, del 19 luglio 2016, informava il Comune di Napoli che questi non aveva garantito gli impegni nei confronti dell’azienda per il pagamento degli stipendi dei lavoratori per ottobre e successivi. De Magistris annunciava l’arrivo di addirittura 48 nuovi autobus. Ad oggi, invece, gli autobus nuovi non solo non sono arrivati, ma sono state anche tagliate numerose linee, procurando ulteriori gravi disagi per un trasporto pubblico sempre più al collasso.

Il quadro economico finanziario del Comune ci fa capire che i soldi per ANM, per le partecipate e per i lavoratori, per il momento non ci sono, al netto di tutte le dichiarazioni rilasciate dal sindaco durante i sempre più folkloristici comizi, e che la situazione dei servizi sociali in città per pendolari, lavoratori e studenti potrà soltanto peggiorare, soprattutto a scapito di coloro che vivono nelle periferie.

Anche il fiore all’occhiello elettorale di Gigino, l’ABC, per anni presentato come esempio di gestione pubblica dell’acqua, è appassito ed è diventato il suo tallone di Achille, dopo il suo più recente terremoto politico. Persino le direzioni riformiste dei comitati per l’acqua hanno pubblicamente rotto con De Magistris, che in delibera ha aperto alla partecipazione a gare d’appalto per ABC. Esattamente ciò che fa De Luca sul piano regionale e su mandato d’importanti multinazionali che speculano sui servizi idrici.
ABC, seppur una conquista in termini di scontro sulla questione privatizzazioni, non ha mai conosciuto realmente una gestione pubblica e democratica, perché anch’essa sottomessa alle leggi padronali e ai metodi clientelari della giunta. Nonostante Montalto sia sempre stato un uomo dell’apparato, gli arancioni non hanno esitato a sostituirlo non appena questi ha dovuto aprire il CdA ad alcuni comitati. Per non avere contestatori sui processi di privatizzazione, lo stesso Montalto è stato rimosso con metodi burocratici dalla giunta. Un dirigente a cui si erogava un compenso di ben 400.000 euro e con cui i proletari delle occupazioni si sono spesso scontrati. Senza contare le diverse mobilitazioni dei lavoratori che ne denunciavano la gestione scellerata e incapace. Stesso discorso vale per le prospettive occupazionali dei cento lavoratori del Consorzio San Giovanni, presi in giro dal sindaco che ha promesso loro l’assorbimento in ABC, senza chiarire come sarebbero state garantire le coperture economiche, visto che l’azienda non possiede neppure i soldi per rinnovare l’impianto nel quale sono impiegati questi lavoratori.

Una sfilza di tagli, dunque, sia alle aziende comunali sia agli stipendi dei lavoratori. Oltre ai casi eclatanti di ANM e ABC, ricordiamo la privatizzazione delle Terme di Agnano; il regalo di 1.000.000 € dati ai privati per la gestione degli Asili Nido; tagli di milioni di euro per fondi destinati a disabili, asili nido e lotta al disagio sociale. Più di tre milioni di euro sono stati regalati ai privati per la gestione dei cimiteri; vendita della quota di GESAC, società con bilancio in positivo che gestisce l’aeroporto di Capodichino, che garantisce introiti per milioni di euro per il Comune di Napoli e che fa gola ai privati.
Si dispongono sgomberi “per il mancato possesso da parte degli occupanti dei requisiti essenziali”, si impediscono per “improcedibilità amministrativa” assegnazioni di case a chi ne ha bisogno ed ha una famiglia con figli e persone anziane da curare. Altri ancora vengono sfrattati perché i locali occupati servono per adibirli ad uffici comunali, ma al tempo stesso il Comune paga, sempre per avere locali ad uffici pubblici, centinaia di migliaia di euro di affitto al mese a soggetti privati, alle società immobiliari, alle banche ed alla Chiesa.
Alla faccia della difesa dell’economia pubblica tanto sbandierata dal sindaco. Se le stesse politiche le avesse fatte Valente (PD) o Lettieri (centrodestra), oggi la sinistra "radicale" napoletana sarebbe a contestare la giunta. Tacciono, invece, sull’operato degli arancioni perché legati a doppio filo con essi.


NAPOLI "CITTÀ RIBELLE": DIFFERENZA TRA REALTÀ E AUTORAPPRESENTAZIONE 

La disoccupazione giovanile è al 70%. Ha prodotto suicidi, depressione sociale ed emigrazione, e tutto ciò che l’amministrazione riesce a fare, in perfetta sintonia con le "riforme" del governo Renzi, è incentivare il lavoro occasionale e precario sottopagandolo attraverso l’erogazione di voucher (ticket), organizzando eventi commerciali e ludici per allietare le serate della Napoli bene (America’s Cup, Dolce & Gabbana, Capodanno sul lungomare).
La raccolta differenziata che doveva creare nuovi posti di lavoro è rimasta esattamente dov’era, cioè al 23%, smascherando l’ipocrisia della demagogia populista del sindaco.
I quartieri proletari della città sono sempre più somiglianti ai barrios dei paesi sudamericani, controllati dalla piccola borghesia imprenditoriale-commerciale e dai cartelli mafiosi del narcotraffico.
Sempre meno sono i collegamenti tra la periferia e il centro della città; aumenta l’abbandono scolastico; aumentano i poveri in coda per un pasto; aumenta lo sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero e il mercato della droga continua a distruggere la vita di migliaia di giovani.
Questa è la rivoluzione arancione dello “zapatismo partenopeo” di De Magistris sostenuta dei centri sociali.


"ANOMALIA NAPOLETANA" E INTERESSI PRIVATI 


I collettivi antagonisti, in cambio dell’assegnazione di locali di proprietà pubblica – trasformati in veri e propri spazi privati - hanno sostenuto elettoralmente e politicamente il sindaco. Emblematico è il caso della produzione della delibera del 1 giugno (n°446), che riguarda tale questione ed adottata il giorno antecedente alle elezioni col fine di tenere al guinzaglio i centri sociali. In cambio, questi hanno rinunciato alle proprie rivendicazioni “classiste”, seppur vaghe e senza basi programmatiche, per cedere il passo a quelle interclassiste della “città” e del “popolo”, divenendo, de facto, una cinghia di trasmissione del centrosinistra in quel che rimane dei movimenti giovanili e nelle lotte territoriali (vd. bonifica di Bagnoli).

Mentre da un lato il sindaco cavalca la protesta dei centri sociali, dall’altro, contestando la nomina del commissario straordinario, propone la collaborazione a De Luca e a Renzi nell’obiettivo di dare a privati la sulla bonifica. De Magistris cerca, così, di rafforzare le relazioni tra la sua giunta e la borghesia napoletana nella prospettiva di avere il suo sostegno nel rappresentare una eventuale leadership in una potenziale riorganizzazione nazionale di un centrosinistra senza il PD. Prova, cioè, ad unire, in una commistione d’interessi, pubblico e privato a vantaggio del proprio apparato politico e degli imprenditori. Un progetto che fu molto caro al vecchio PCI.
Per spostare i rapporti di forza nei confronti di Renzi, utilizza come manovalanza i militanti dei centri sociali e delle burocrazie sindacali.


DEMOCRAZIA PARTECIPATA O DEMOCRAZIA OPERAIA? 

Gli slogan sulla “partecipazione democratica” alla gestione de Comune di Napoli risultano, alla prova dei fatti, pura demagogia e propaganda. Il modello politico delle “città ribelli”, stile Barcellona in Spagna, che fa riferimento ad organizzazioni come Podemos e Syriza - le quali hanno capitolato al FMI, alla BCE e alle politiche di austerità - e ripresa dai Disobbedienti in Italia, riprende concezioni teorizzate da Toni Negri, che rifiutando la prospettiva della rivoluzione come unico e solo strumento per il cambiamento della società, e propongono un’alleanza 'di fronte popolare' tra i settori del mondo del lavoro e l’imprenditoria “illuminata” per costruire “contropotere” di soggettività senza caratteri di classe definiti. Progetto fallito, tra l’altro, ovunque si sia tentato di realizzare. La polemica su queste concezioni di collaborazione di classe, dove “il popolo comanda e il governo obbedisce”, vide un acceso scontro nel periodo 2000-2001 in Rifondazione Comunista tra i bertinottiani e le opposizioni interne. La storia recente ha dimostrato che pensare di spostare a sinistra i governi degli imprenditori è una pia illusione. Si è verificato, invece, l’esatto contrario. Sono stati i governi degli imprenditori a spostare a destra i movimenti politici ai quali chiedevano collaborazione.
La storia recente, a quanto pare, non ha insegnato a nulla a movimentisti e all’opportunismo nelle sue varie forme.

L’unica forma di governo capace di dare delle risposte ai bisogni dei lavoratori e della popolazione povera è quella dei comitati di lavoratori, operai, disoccupati, casalinghe, immigrati, studenti, e di tutti i settori che oggi sono oppressi dai capitalisti e dalle classi possidenti. Un potere che ha la sua collocazione non più nei luoghi delle istituzioni borghesi, bensì nei luoghi di lavoro e sui territori, dove l’autogoverno dei lavoratori è espresso su base democratica e con cariche revocabili in qualsiasi momento.
Solo questa può essere la “città ribelle”, perché basata sulla partecipazione di massa dei lavoratori alla vita politica e contrapposta a ogni interesse privato.
Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione di Napoli

VITTORIA!

A testa alta contro Marchionne

28 Settembre 2016
Martedì 27 settembre la Corte d’appello del tribunale di Napoli ha decretato la vittoria per i cinque operai licenziati dalla Fiat di Marchionne.
Martedì 27 settembre la Corte d’appello del tribunale di Napoli ha decretato la vittoria per i cinque compagni licenziati dalla Fiat di Marchionne. Mimmo Mignano, Marco Cusano, Roberto Fabbricatore, Massimo Napolitano e Antonio Montella rientreranno in fabbrica dalla porta principale e a testa alta!

I cinque compagni furono licenziati perché il 5 giugno del 2014 inscenarono una protesta davanti al reparto-confino di Nola, esponendo un fantoccio impiccato raffigurante la faccia di Marchionne per denunciare le tragiche condizioni dei lavoratori del reparto-confino che portarono al suicidio due operai cassaintegrati, Pino De Crescenzo e Maria Baratto.

Questa vittoria contro Marchionne è sicuramente una ventata di ossigeno per tutta la classe lavoratrice, ed è stata possibile grazie alla mobilitazione generale che si è costruita attorno a questa vicenda. Mimmo e compagni sono riusciti con una forza incredibile ad aggregare attorno a sé una solidarietà e un consenso straordinario che sicuramente hanno influenzato e costretto il tribunale a esprimersi favorevolmente.

Dobbiamo ringraziare Mimmo e compagni per aver eroicamente combattuto con tutte le loro forze fino alla vittoria contro la Fiat, ma questa battaglia vinta deve essere ora vigilata e sostenuta perché sicuramente l’arroganza di Marchionne non si fermerà. Allora è necessario sviluppare attorno questa vicenda le condizioni per una ripresa della lotta contro la Fiat dentro il quadro di una ripresa della mobilitazione generale contro governo e padronato.
Partito Comunista dei Lavoratori