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Per l'autonomia del movimento operaio. Per una soluzione di classe della crisi politica e istituzionale
28 Maggio 2018
Nel continuo saliscendi di questi mesi la crisi italiana precipita assumendo i caratteri di una crisi istituzionale.
La linea di demarcazione del confronto pubblico sembra contrapporre il cosiddetto fronte "della responsabilità”, di marca istituzionale e europeista, e il cosiddetto fronte sovranista, di marca populista e nazionalista. Da un lato la “difesa delle istituzioni” contro l'avventura, dall'altro la tutela del popolo italiano contro l'élite “mondialista e tedesca”. Da un lato Mattarella e Cottarelli, dall'altro Di Maio e Salvini.
In realtà ognuno dei due fronti è l'alibi dell'altro, in uno spregiudicato gioco di sponda e di reciproco alimento. Entrambi vorrebbero arruolare i lavoratori nella propria crociata. Ma l'interesse dei lavoratori e delle lavoratrici non ha nulla da spartire con nessuno dei due contendenti.
Il fronte della cosiddetta responsabilità istituzionale è il fronte tradizionale dell'establishment, del grande capitale italiano ed europeo. Il PD ne è la sponda politica organica. La sua preoccupazione è subordinare i salariati alla continuità dei sacrifici dentro la cornice della Unione Europea. Compressione dei salari, precarizzazione del lavoro, cancellazione dei diritti sindacali, a vantaggio dei profitti e della competitività delle imprese. Tagli a pensioni, sanità, istruzione, per finanziare la detassazione del capitale e pagare il debito pubblico alle banche. Sono le politiche di austerità promosse negli ultimi trent'anni dalle borghesie del vecchio continente a da tutti i loro governi. L'Unione Europea che queste forze difendono è il club entro cui i capitalisti italiani, tedeschi, francesi, spagnoli negoziano la tutela dei propri interessi comuni sul mercato mondiale, si contendono le rispettive zone di influenza, concordano le linee guida della propria offensiva antioperaia. Sergio Mattarella, al pari dei suoi predecessori, è il massimo tutore istituzionale dell'interesse dell'imperialismo italiano e dei suoi legami con la UE. Il governo Cottarelli, al pari dei precedenti, ne è il comitato d'affari. L'uomo della spending review e del rigore alla presidenza del Consiglio dà il segno inconfondibile al nuovo esecutivo: un replay del governo Monti in vista del voto come rassicurazione al mercato finanziario. Una provocazione contro i lavoratori. Per questo il sostegno della burocrazia CGIL a Mattarella è la conferma clamorosa della sua subordinazione al capitale, oltre che un insperato regalo alla campagna delle destre contro la “sinistra”.
Ma il fronte cosiddetto sovranista, con sventolio delle bandiere tricolori, non è affatto l'avvocato del popolo. Lo dimostra, se ve n'era bisogno, il contratto di governo tra M5S e Lega. Parla di lavoro, ma conserva il Jobs Act e tutte le leggi di precarietà, al punto da reintrodurre i famigerati voucher. Sventola la promessa di qualche elemosina sociale (reddito, pensioni), ma la mette sul conto dei salariati attraverso una riforma fiscale scandalosa che beneficia come non mai le grandi ricchezze. Chiede di rinegoziare i trattati della UE, ma solo per trovare i soldi con cui finanziare la detassazione dei profitti e continuare a pagare il debito alle banche, innanzitutto le banche italiane che ne detengono la gran parte. Infine dirotta la rabbia sociale contro i migranti per evitare che si rivolga contro i capitalisti, in una guerra tra sfruttati che avvantaggia solo gli sfruttatori, dentro il rilancio di tutta la peggiore spazzatura xenofoba e securitaria.
È vero: il grande capitale italiano non si affida oggi al sovranismo nazionalista, diffida delle sue intemperanze, vuole negoziare i propri interessi dentro la cornice istituzionale della UE, contro ogni rischio di sua destabilizzazione. Ma lo stesso grande capitale che “denuncia” il sovranismo nutre di fatto il suo consenso sociale con le proprie politiche di austerità, e beneficia dei suoi preziosi servizi di divisione dei lavoratori e di inquinamento della loro coscienza. E viceversa.
La polemica sovranista contro Mattarella e Cottarelli non muove dalle ragioni del lavoro e tanto meno della "democrazia", ma dall'ambizione di nuove destre (più o meno) reazionarie che puntano alla conquista in proprio del potere. Far propria la campagna “contro il golpe di Mattarella”, come oggi fanno alcuni ambienti della sinistra, non significa solo avallare implicitamente una visione angelicata della Costituzione borghese, ma coprire al di là di ogni intenzione rappresentazioni e linguaggi delle destre nel momento stesso della loro ascesa.
Contro l'europeismo borghese, contro il sovranismo nazionalista, c'è bisogno di costruire il campo che manca: un grande fronte di classe e di massa che unifichi i lavoratori e le lavoratrici attorno ad una propria piattaforma di lotta indipendente. Solo l'azione di massa della classe lavoratrice può spezzare la tenaglia tra establishment e populisti, scompaginare il blocco sociale delle destre, costruire dal basso una prospettiva nuova. Quella che chiama in causa il sistema capitalista, l'unica vera alternativa. Quella che impone la sovranità dei lavoratori, l'unica vera democrazia.
La linea di demarcazione del confronto pubblico sembra contrapporre il cosiddetto fronte "della responsabilità”, di marca istituzionale e europeista, e il cosiddetto fronte sovranista, di marca populista e nazionalista. Da un lato la “difesa delle istituzioni” contro l'avventura, dall'altro la tutela del popolo italiano contro l'élite “mondialista e tedesca”. Da un lato Mattarella e Cottarelli, dall'altro Di Maio e Salvini.
In realtà ognuno dei due fronti è l'alibi dell'altro, in uno spregiudicato gioco di sponda e di reciproco alimento. Entrambi vorrebbero arruolare i lavoratori nella propria crociata. Ma l'interesse dei lavoratori e delle lavoratrici non ha nulla da spartire con nessuno dei due contendenti.
Il fronte della cosiddetta responsabilità istituzionale è il fronte tradizionale dell'establishment, del grande capitale italiano ed europeo. Il PD ne è la sponda politica organica. La sua preoccupazione è subordinare i salariati alla continuità dei sacrifici dentro la cornice della Unione Europea. Compressione dei salari, precarizzazione del lavoro, cancellazione dei diritti sindacali, a vantaggio dei profitti e della competitività delle imprese. Tagli a pensioni, sanità, istruzione, per finanziare la detassazione del capitale e pagare il debito pubblico alle banche. Sono le politiche di austerità promosse negli ultimi trent'anni dalle borghesie del vecchio continente a da tutti i loro governi. L'Unione Europea che queste forze difendono è il club entro cui i capitalisti italiani, tedeschi, francesi, spagnoli negoziano la tutela dei propri interessi comuni sul mercato mondiale, si contendono le rispettive zone di influenza, concordano le linee guida della propria offensiva antioperaia. Sergio Mattarella, al pari dei suoi predecessori, è il massimo tutore istituzionale dell'interesse dell'imperialismo italiano e dei suoi legami con la UE. Il governo Cottarelli, al pari dei precedenti, ne è il comitato d'affari. L'uomo della spending review e del rigore alla presidenza del Consiglio dà il segno inconfondibile al nuovo esecutivo: un replay del governo Monti in vista del voto come rassicurazione al mercato finanziario. Una provocazione contro i lavoratori. Per questo il sostegno della burocrazia CGIL a Mattarella è la conferma clamorosa della sua subordinazione al capitale, oltre che un insperato regalo alla campagna delle destre contro la “sinistra”.
Ma il fronte cosiddetto sovranista, con sventolio delle bandiere tricolori, non è affatto l'avvocato del popolo. Lo dimostra, se ve n'era bisogno, il contratto di governo tra M5S e Lega. Parla di lavoro, ma conserva il Jobs Act e tutte le leggi di precarietà, al punto da reintrodurre i famigerati voucher. Sventola la promessa di qualche elemosina sociale (reddito, pensioni), ma la mette sul conto dei salariati attraverso una riforma fiscale scandalosa che beneficia come non mai le grandi ricchezze. Chiede di rinegoziare i trattati della UE, ma solo per trovare i soldi con cui finanziare la detassazione dei profitti e continuare a pagare il debito alle banche, innanzitutto le banche italiane che ne detengono la gran parte. Infine dirotta la rabbia sociale contro i migranti per evitare che si rivolga contro i capitalisti, in una guerra tra sfruttati che avvantaggia solo gli sfruttatori, dentro il rilancio di tutta la peggiore spazzatura xenofoba e securitaria.
È vero: il grande capitale italiano non si affida oggi al sovranismo nazionalista, diffida delle sue intemperanze, vuole negoziare i propri interessi dentro la cornice istituzionale della UE, contro ogni rischio di sua destabilizzazione. Ma lo stesso grande capitale che “denuncia” il sovranismo nutre di fatto il suo consenso sociale con le proprie politiche di austerità, e beneficia dei suoi preziosi servizi di divisione dei lavoratori e di inquinamento della loro coscienza. E viceversa.
La polemica sovranista contro Mattarella e Cottarelli non muove dalle ragioni del lavoro e tanto meno della "democrazia", ma dall'ambizione di nuove destre (più o meno) reazionarie che puntano alla conquista in proprio del potere. Far propria la campagna “contro il golpe di Mattarella”, come oggi fanno alcuni ambienti della sinistra, non significa solo avallare implicitamente una visione angelicata della Costituzione borghese, ma coprire al di là di ogni intenzione rappresentazioni e linguaggi delle destre nel momento stesso della loro ascesa.
Contro l'europeismo borghese, contro il sovranismo nazionalista, c'è bisogno di costruire il campo che manca: un grande fronte di classe e di massa che unifichi i lavoratori e le lavoratrici attorno ad una propria piattaforma di lotta indipendente. Solo l'azione di massa della classe lavoratrice può spezzare la tenaglia tra establishment e populisti, scompaginare il blocco sociale delle destre, costruire dal basso una prospettiva nuova. Quella che chiama in causa il sistema capitalista, l'unica vera alternativa. Quella che impone la sovranità dei lavoratori, l'unica vera democrazia.