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Il semaforo verde di Russia e Cina al piano coloniale di Trump

 


Il popolo palestinese non ha amici in alto ma solo in basso

19 Novembre 2025

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L'astensione di Russia e Cina nel Consiglio Generale dell'ONU sul piano Trump per la Palestina è densa di significato politico. L'astensione è la rinuncia a ogni potere di veto. La rinuncia al potere di veto significa che il piano coloniale americano avrà la copertura delle Nazioni Unite.

Un imperialismo USA che per due anni ha fatto scudo alla barbarie sionista anche col ricorso al proprio potere di veto in sede ONU ha ottenuto dagli imperialismi rivali non solo un sospirato lasciapassare ma la più alta copertura diplomatica. È ciò che Trump chiedeva. È ciò che Trump ha ottenuto.

La soluzione maschera un mercimonio negoziale tra interessi diversi.

La Cina non solo è un grande partner commerciale di Israele ma è impegnata nel negoziato globale con gli USA: sul piano commerciale, lungo la partita di scambio fra terre rare e dazi, e sul più ampio scenario degli equilibri mondiali, a partire dai mari dell'Asia. Il via libera di Pechino a Trump sarà messo sul piatto di questa bilancia negoziale.

La Russia, dal canto suo, non solo è il secondo partner politico dello Stato sionista dopo gli USA, ma punta a incassare le aperture di Trump nella partita ucraina e sul Mare Artico. Il semaforo verde al bonaparte di Washington chiede dunque contropartite su altri terreni.

Peraltro, sia l'imperialismo russo che l'imperialismo cinese sono interessati a buone relazioni con i regimi arabi, in particolare con le grandi monarchie del Golfo. E i regimi arabi avevano e hanno bisogno della copertura diplomatica ONU per imbarcarsi in una “forza internazionale di stabilizzazione” in Palestina a guida USA, con tutte le incognite e i rischi del caso, anche nel rapporto con le proprie opinioni pubbliche. Mosca e Pechino hanno garantito la copertura richiesta.

Ogni ipocrisia diplomatica si nutre naturalmente di tortuosità. Due giorni prima del clamoroso lasciapassare, la Russia aveva avanzato una propria proposta nel Consiglio di sicurezza che citava l'eterna bufala dei “due Stati per due popoli”. Lo scopo era quello di poter vantare l'inserimento successivo nella risoluzione ONU di un vaghissimo riferimento alla questione palestinese quale frutto della propria pressione. La verità è che le finzioni retoriche stanno a zero. Servono ai regimi arabi per mascherare la propria subordinazione all'imperialismo USA e al sionismo, così come servono a Russia e Cina per esibire benemerenze presso i regimi arabi. Ciò che conta materialmente è altro.

Il piano Trump può procedere con le spalle coperte, da una posizione più avanzata. Mentre lo Stato sionista prosegue la propria macelleria: a Gaza, ulteriormente smembrata dalle forze israeliane, dove continuano distruzione di case, deportazioni, fame; in Cisgiordania, dove prosegue l'azione terrorista di esercito e coloni contro i palestinesi.

Il genocidio, in altre forme, perdura. Il disarmo e la distruzione della resistenza palestinese restano l'obiettivo comune di Trump, dello Stato sionista, delle borghesie arabe, degli imperialismi europei. Quanto alla ANP , già da decenni sul libro paga di Israele, chiede solo di essere caricata a bordo dell'operazione con qualche patacca di riconoscimento formale, fosse pure a futura memoria.

Certo, non mancano le contraddizioni. Israele non vuole la presenza turca nella forza internazionale a guida americana che entrerà nella Striscia. I regimi arabi, Egitto e Giordania in testa, sono disponibili a fornire truppe di occupazione, ma vorrebbero prima che altri facessero il lavoro sporco di disarmare Hamas. I governi europei sono in prima fila per il business della ricostruzione ma non vorrebbero arrischiare truppe, offrendo in cambio l'addestramento all'estero di una futura polizia palestinese, magari attraverso i Carabinieri. Persino Trump, che pur si candida a presiedere il protettorato coloniale da lui stesso insediato, non vuole un coinvolgimento diretto di truppe statunitensi a Gaza, perché teme contraccolpi elettorali in caso di bare americane.

Insomma, tutte le forze dominanti vogliono incassare la propria parte del bottino finale del genocidio ma senza pagarne il prezzo. La pentola non trova il coperchio. Il copione è ancora in cerca di firma.

Ma in ogni caso emerge, tanto più oggi, una verità incontestabile: il popolo palestinese e la sua resistenza non hanno amici tra le potenze imperialiste vecchie e nuove, nella diplomazia truffaldina dell'ONU, presso i governi arabi, nelle cosiddette democrazie europee. I suoi possibili alleati stanno in basso, fra i popoli oppressi, nella classe lavoratrice, e innanzitutto in quella nuova generazione che in tutto il mondo si è mobilitata con la Palestina nel cuore.

Solo una rivoluzione cambia le cose. Vale per tutti. Vale a maggior ragione per il popolo palestinese e per le masse oppresse di tutto il Medio Oriente.

Partito Comunista dei Lavoratori

Sanchez esternalizza i migranti in Mauritania

 


Il modello Meloni fa scuola in Spagna

Il governo Sanchez gode di buona fama in Italia. Elly Schlein indica nel governo spagnolo un riferimento esemplare. Il Partito della Rifondazione Comunista e Potere al Popolo (Rifondazione soprattutto) presentano il governo Sanchez come prova del fatto che il coinvolgimento nel governo della sinistra cosiddetta radicale può produrre effetti benefici. La presenza in Italia di un governo Meloni offre spazio a questa rappresentazione per un naturale effetto di rimbalzo.

Se non che poi ci sono i fatti. Che hanno la testa dura.

Il governo spagnolo ha assunto la linea Meloni in fatto di politiche sull'immigrazione. In realtà non da oggi. Ma oggi in forma clamorosa. L'apertura di due centri di detenzione dei migranti in Mauritania riproduce esattamente il modello Meloni in Albania. La Spagna e la UE hanno pagato al governo del generale Mohamed Ould El Ghazouani i costi dell'operazione. Un'agenzia di cooperazione che fa capo al ministero degli Esteri madrileno ha gestito in prima persona l'intera faccenda. Si tratta della classica operazione di “trattenimento” dei migranti, di esternalizzazione delle frontiere.

Per tutto il 2025, con l'attiva partecipazione di 80 agenti spagnoli, la polizia della Mauritania ha moltiplicato le retate contro i migranti. Le associazioni dei diritti umani raccontano della loro detenzione inumana, del sequestro di tutti i loro beni, e persino in qualche caso del loro abbandono in una zona desertica ai confini del Mali. L'inchiesta della Fundación porCausa, pubblicata dal quotidiano El Salto, non lascia spazio a dubbi. I dati riportati non sono stati smentiti, e sono impietosi.

In realtà la Spagna già disponeva di centri di detenzione di migranti opportunamente delocalizzati, come quelli realizzati alle Canarie. Ma i due centri aperti ora in Mauritania sono peggio: possono ospitare anche minori, persino neonati. Ciò che formalmente è vietato dalla legge spagnola.

In Spagna la vicenda ha fatto scandalo. La sinistra spagnola cosiddetta radicale, coinvolta in varie forme nel governo Sanchez, ha denunciato “l'attuazione del modello Meloni” con tanto di interrogazione parlamentare e richiesta di chiusura dei due centri. Ma non risulta abbia tratto conseguenze politiche dall'accaduto. E nessuna interrogazione cancella in quanto tale un'oggettiva corresponsabilità politica di governo.

Attendiamo di conoscere il punto di vista della sinistra cosiddetta radicale in Italia. È vero che nei governi Prodi Rifondazione accettò di peggio, anche in fatto di immigrazione (dai centri di detenzione Turco-Napolitano all'affondamento nel 1997 di una nave di migranti albanesi nel Mare di Otranto, con cento morti in fondo al mare). Ma non è una buona ragione per tacere. Tanto più se si intende tornare nell'ovile del centrosinistra.

Partito Comunista dei Lavoratori