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La confluenza dell'Opposizione Trotskista Internazionale nella Lega Internazionale Socialista

  Avanza l'unità dei marxisti rivoluzionari nel mondo 26 Maggio 2025 English version Il congresso dell'Opposizione Trotskista Intern...

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Massacro sionista, ipocrisia europea, squallore italiano

 


Facciamo di Gaza e Cisgiordania il Vietnam di Israele!

29 Maggio 2025

L'orrore si aggiunge all'orrore. Lo spettacolo quotidiano della barbarie sionista a Gaza (e Cisgiordania) è una provocazione inaccettabile per qualunque persona dotata di un senso elementare di umanità. Ai 60000 palestinesi assassinati dai bombardamenti si aggiungono le morti per fame e malattie, la distruzione continua e pianificata delle abitazioni, la disperazione di un vagabondaggio senza meta di una massa enorme di uomini e donne privati di tutto, costretti a rincorrere sotto le bombe una improbabile razione di cibo gestita cinicamente dalle stesse forze di occupazione. L'indignazione per questo scenario di morte contro lo stato terrorista di Israele attraversa larga parte dell'opinione pubblica mondiale. È un salto dell'emozione collettiva.

Ora governi europei si pongono il problema di contenere e gestire questa indignazione dilagante. Per questo, dopo due anni, iniziano a balbettare, più o meno sottovoce, parole di riprovazione verso Netanyahu, e persino a ipotizzare una revisione degli accordi tra Unione Europea ed Israele. Ipocrisia pura. Gli accordi tra UE e Israele sono solo una confezione diplomatica che copre i ben più lucrosi accordi bilaterali tra stati, e per di più, anche solo per rivedere quella confezione diplomatica, sarebbe necessaria la impossibile unanimità dei governi UE.

La verità è che le diplomazie imperialiste cercano di dirottare l'indignazione su un binario morto, per mascherare la copertura economica e militare che ogni stato imperialista continua ad assicurare al sionismo. Quella copertura che per due anni ha consentito a Israele di scaricare 100000 tonnellate di bombe su due milioni di persone. Quella copertura che per due anni ha sostenuto «il diritto dello stato di Israele a difendersi dal terrorismo», cioè a scatenare il proprio terrore coloniale contro il popolo di Palestina e il suo diritto a resistere al colonialismo. Quella copertura che per due anni ha perseguito come antisemitismo la semplice denuncia del colonialismo (a beneficio oltretutto dell'antisemitismo autentico).
Quanto a Trump, ha come unica preoccupazione il fatto che la guerra di Netanyahu, oltre una certa soglia, possa rovinare gli affari americani in Arabia Saudita e dintorni. La persecuzione degli attivisti pro Palestina nelle università americane parla da sola. Come i piani trumpiani di deportazione dei palestinesi. Come la continuità degli armamenti USA ad Israele.

In questo mare di ipocrisia rivoltante, il governo italiano riesce ugualmente a distinguersi in fatto di complicità col sionismo. Ieri in Parlamento il governo Meloni ha difeso a spada tratta il famigerato memorandum ratificato nel 2005 sulla cooperazione militare tra Italia e Israele.
«Il rinnovo del memorandum tra il governo della Repubblica italiana e il governo dello stato di Israele sulla difesa e cooperazione militare è, come segnalato dal ministro della difesa, previsto per l'aprile del 2026. Per far prevalere le ragioni della diplomazia è necessario costruire canali di comunicazione, non reciderli» (Luca Ciriani, Ministro dei rapporti col Parlamento).
Chiaro, no? Per sussurrare innocue preoccupazioni alle orecchie di uno stato terrorista è «necessario» continuare ad armarlo. Anche nel momento in cui quel terrore è sempre più indigeribile agli occhi del mondo. Vergogna!

La contiguità di tutta la destra tricolore con gli ambienti sionisti coinvolge anche settori significativi della cosiddetta opposizione liberale, da Italia Viva ad Azione a numerose personalità del PD. Del resto, la cooperazione con lo stato di Israele non è stata forse salvaguardata e coltivata da tutti i governi di centrosinistra, nessuno escluso (Prodi 1996-1998, D'Alema 1999-2000, Amato 2000-2001, nuovamente Prodi 2006-2008)? Lo stesso vale naturalmente per i governi Conte, che oggi fa il “pacifista”, e per il governo Draghi.

Contro l'ipocrisia di ieri e di oggi di tutti i governi e stati imperialisti, contro la vergogna dell'imperialismo italiano e il governo Meloni, è necessario passare dalle parole ai fatti.
È necessaria la più ampia mobilitazione di massa contro il massacro in corso, ben al di là di iniziative di testimonianza.
Ogni rapporto con Israele va troncato. Sia esso un rapporto diplomatico, commerciale, militare.

Ènecessario che il movimento operaio italiano e tutte le sue organizzazioni, grandi e piccole, promuovano unitariamente l'embargo contro Israele. I portuali del Marocco nelle ultime settimane, sfidando il proprio governo, hanno attivato il blocco di ogni commercio con lo stato sionista, paralizzando i traffici con Tel Aviv. È un esempio da riprendere e generalizzare.

Va boicottato ogni gruppo industrial-militare italiano coinvolto nella collaborazione con Israele, come il gruppo Leonardo.
Va rilanciato il movimento antisionista nelle università.

Occorre fare di Gaza e Cisgiordania il Vietnam di Israele!

Per il pieno diritto di autodeterminazione del popolo palestinese
Per il sostegno alla resistenza palestinese contro lo stato coloniale di Israele
Per una Palestina unita e libera, dal fiume al mare
Per una Palestina laica e socialista


Il Partito Comunista dei Lavoratori, sezione italiana della Lega Internazionale Socialista, porterà queste parole d'ordine nella manifestazione nazionale del 21 giugno a Roma.

Partito Comunista dei Lavoratori

Spazzare via la reazione! Lottiamo contro l’oppressione!

 


27 Maggio 2025

Volantino in diffusione dalle Femminist3 Rivoluzionari3 nei pride di queste settimane

I paesi imperialisti attraverso le loro guerre di rapina e distruzione cercano di imporre i propri interessi economici aprendo scenari agghiaccianti come in Ucraina e in Palestina. Inoltre, ciascun paese cerca di sfruttare al massimo la classe lavoratrice attraverso politiche di tipo espansivo che intaccano sempre di più il salario: aumento della precarizzazione, diminuzione delle tutele sul lavoro e tagli ai servizi sociali.

Imponendo politiche repressive e reazionarie, i governi tentano di sfondare tra le masse per inasprire lo sfruttamento di classe, spegnere il conflitto e capitalizzare una parte de3 sfruttat3 come base per il proprio consenso. La vittoria di Trump segna un passo in avanti in questo scenario, anche a livello mondiale, rafforzando l’offensiva contro i diritti civili, in particolare della comunità LGBTQIAP+.

Un altro segno della crociata transfobica è la recente sentenza della corte suprema britannica: “Il termine donna si riferisce al sesso biologico”. Sostanzialmente non c’è possibilità di autodeterminazione della propria identità di genere. Non ci stupisce, inoltre, l’appoggio e il plauso delle femministe borghesi e di note intellettuali e influencer che, anche in Italia, cercano di ritagliarsi una fetta di visibilità e di potere, corteggiando le istituzioni borghesi e schierandosi con gli oppressori. La società sta colando a picco e a dimostrarlo è anche il dilagare di femminicidi, di transcidi e di episodi di violenza genere. Questo è il patriarcato! Un complesso rapporto di assoggettamento delle donne a scopo riproduttivo e la stigmatizzazione di chi non rientra nella logica binaria perpetrata dal determinismo biologico.

Le istituzioni borghesi sono marce, perché marcio è il capitalismo che le sostiene. Contro tutto questo è necessario ritrovare la bussola e organizzarsi per lo scontro! Con delle rivendicazioni chiare che rispondano colpo su colpo a chi ci vuole oppress3 e sfruttat3!

Mandiamo a casa il governo Meloni e tutti i governi che tutelano gli interessi dei capitalisti, anche quelli che si dipingono come fautori dei diritti civili ma piegano la testa di fronte alla Chiesa e si limitano a qualche concessione per illudere l3 oppress3.

Solo con un governo de3 lavorator3 è possibile cambiare lo stato di cose presenti e immaginare un futuro migliore, libero da sfruttamento e oppressione. Solo con il socialismo su scala mondiale possiamo realizzare la nostra emancipazione e decidere sui nostri corpi.


Alcuni punti del nostro programma:

- Sicurezza e tutela sul lavoro sotto il controllo operaio, per condizioni di lavoro più sicure e più salubri.

- Abolizione di tutte le leggi che comprimono i diritti sindacali e di sciopero, abolizione del reato di blocco stradale, no alle precettazioni illegittime.

- Abolizione di ogni forma di precarietà e flessibilità: ripristino dei diritti sindacali conquistati e perduti dal movimento operaio, abolizione delle leggi antioperaie.

- Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: lavorare meno, ridistribuire il lavoro tra chi non ce l’ha e avere più tempo libero!

- Parità salariale effettiva: a uguale lavoro uguale salario! Per tutt3.

- Salario di disoccupazione dignitoso per chi il lavoro l’ha perso e per chi è in cerca di lavoro.

- Socializzazione del lavoro di cura contro qualsiasi proposta di salario alle casalinghe o reddito di esistenza: il servizio pubblico deve essere rafforzato, creando nuovi posti di lavoro. Utilità sociale e collettiva contro qualsiasi forma di individualismo piccolo- borghese.

- Lotta contro la violenza maschilista e patriarcale (stupri, femminicidi, discriminazioni delle persone LGBTQIAP+).

- Pieno riconoscimento delle persone LGBTQIAP+ a livello legislativo.

- Abolizione di tutte le leggi che patologizzano le soggettività LGBTQIAP+ e istituzione di percorsi di autodeterminazione tutelati, gratuiti e garantiti.

- Lotta agli stereotipi di genere e agli stereotipi abilisti

- Creazione di un percorso garantito per le vittime della violenza patriarcale ma rifiuto della denuncia obbligatoria

- Pari diritti per le famiglie omogenitoriali, pieno riconoscimento de3 figli3 e dei diritti di famiglia per tutt3; diritto all’adozione per le famiglie omogenitoriali.

- Abolizione di ogni finanziamento statale agli enti religiosi sotto qualsiasi forma. Percorsi dedicati per le persone queer e la loro autodeterminazione nei consultori e negli ospedali, con una corretta informazione medica e professionale.

- Superamento della Legge 164/82 e pieno sostegno ai percorsi di transizione e di autodeterminazione di genere che devono essere gratuiti e garantiti.

- Allargamento della rete dei consultori laici e abolizione di quelli religiosi, sotto controllo dell3 utent3.

- Educazione libera dagli stereotipi di genere e dai pregiudizi razziali, revisione dei pro- grammi scolastici.

- Educazione sessuale ed affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado, svolta da professionisti e medici.

- Carriere alias per le persone queer.

- Accoglienza e tutela delle donne e delle soggettività queer migranti e ius soli, permessi di soggiorno, documenti e diritto alla residenza.


Aiutaci a costruire Femminist3 Rivoluzionari3 nella tua città!



(volantino allegato in fondo a questa pagina)

Femminist3 Rivoluzionari3

La confluenza dell'Opposizione Trotskista Internazionale nella Lega Internazionale Socialista

 


Avanza l'unità dei marxisti rivoluzionari nel mondo

26 Maggio 2025

English version

Il congresso dell'Opposizione Trotskista Internazionale (OTI), tenutosi a Rimini il 23-24-25 maggio, ha deciso a larghissima maggioranza il proprio scioglimento in funzione della confluenza nella Lega Internazionale Socialista (LIS). È un passo avanti dell'unità dei trotskisti conseguenti nel mondo.

La scelta compiuta dall'OTI è coerente con la sua impostazione di fondo. L'OTI è stata una piccola organizzazione internazionale (presente in Italia, Stati Uniti, Danimarca, Gran Bretagna, Francia, Ungheria), di cui il PCL ha rappresentato la principale sezione, che si è sempre battuta per il raggruppamento rivoluzionario internazionale attorno a un quadro comune di programma generale e di principi fra tutte le organizzazioni e tendenze che condividono tale programma, indipendentemente dalla loro diversa provenienza, sulla base del centralismo democratico leninista. Una impostazione esattamente opposta alla logica assurda della frammentazione fra tante piccole internazionali-frazione autocentrate che purtroppo ha segnato tanta parte del movimento trotskista, anche nella sua area rivoluzionaria.

L'incontro con la LIS è maturato su questo terreno. La LIS è un'organizzazione internazionale marxista rivoluzionaria presente in quaranta paesi del mondo, in tutti i continenti. È nata nel 2019 dal raggruppamento internazionale, su una comune base programmatica, di organizzazioni di diversa storia e provenienza, a partire dal forte Movimiento Socialista de los Trabajadores (MST, Movimento Socialista dei Lavoratori) argentino, proveniente dalla tradizione morenista, e da The Struggle, consistente organizzazione pachistana proveniente dalla tradizione di Ted Grant. Il suo rapido sviluppo è passato anche per la conquista di organizzazioni che hanno rotto con lo stalinismo, come nel caso delle sezioni kenyota e libanese della LIS, entrambe nate da una scissione dei settori giovanili dei partiti comunisti dei rispettivi paesi.

Due anni di intenso confronto politico con la LIS ci hanno permesso di verificare non solo la comune base programmatica e metodo di costruzione, ma anche una comune analisi del mondo, in tutti i suoi aspetti decisivi: a partire dalla comprensione dello scontro fra vecchie e nuove potenze imperialiste, quale chiave di lettura dello scenario internazionale. Il pronunciamento comune sulla complessa crisi ucraina, contro l'invasione dell'imperialismo russo e contro la spartizione imperialista del paese; il pronunciamento comune sulla questione palestinese, per la distruzione rivoluzionaria dello stato sionista; il comune pronunciamento sulla guerra indo-pachistana, a favore di una impostazione disfattista bilaterale; la comune battaglia contro il riarmo imperialista ed ogni economia di guerra, hanno misurato non solo lo stesso posizionamento di fondo sui principali fatti mondiali, ma anche la capacità di applicare correttamente l'impostazione leninista in tutte le sue articolazioni. Contro ogni posizione campista o semicampista. Contro ogni subordinazione al pacifismo imperialista. Contro ogni negazione antileninista dei diritti nazionali dei popoli oppressi.

Lo stesso vale per la comune linea generale di intervento nella lotta di classe, nelle organizzazioni sindacali, nei movimenti femministi e trasfemministi, nel movimento ambientalista: per ricondurre le rivendicazioni immediate di ogni movimento di classe o progressivo alla prospettiva rivoluzionaria del governo dei lavoratori e delle lavoratrici, contro ogni subordinazione a impostazioni riformiste, piccolo-borghesi, aclassiste. Da qui la centralità delle rivendicazioni transitorie e del metodo transitorio. Non a caso il congresso dell'OTI ha registrato la totale convergenza con la LIS circa la linea di intervento sulla questione di genere, a partire dalla ricca discussione sull'importante documento elaborato dalle nostre compagne, approvato unitariamente dal congresso.

La confluenza dell'OTI nella LIS è tanto più importante perchè non si tratta di un fatto isolato. La Lega per la Quinta Internazionale, proveniente dalla tradizione del Socialist Workers Party britannico, e oggi presente in diversi paesi (Germania, Gran Bretagna, Svezia, Pachistan...) è stata anch'essa coinvolta nella prospettiva della propria confluenza nella LIS, condividendo con LIS e OTI i comuni pronunciamenti prima citati e il confronto politico che li ha accompagnati. Da qui la previsione ottimistica formulata dalla delegazione della Lega per la Quinta Internazionale presente al nostro congresso, circa la prospettiva del proprio ingresso a breve nella LIS.

Non solo. L'avvenuta confluenza dell'OTI nella LIS, e quella altamente probabile della Lega per la Quinta Internazionale, ponendosi finalmente in controtendenza rispetto alle dinamiche di frammentazione settaria, possono moltiplicare a loro volta la capacità attrattiva della LIS nei confronti di altre importanti organizzazioni rivoluzionarie di diversi paesi e continenti. Organizzazioni che in diversi casi hanno già hanno espresso la propria attenzione e giudizio positivo sul processo di raggruppamento in corso. Lo scopo della LIS infatti non è quello di preservare sé stessa ma di lavorare alla costruzione della nuova Internazionale rivoluzionaria, quale direzione alternativa dell'avanguardia di classe nel mondo. «Raccogliere il meglio delle diverse tradizioni del trotskismo per costruire insieme una nuova tradizione» è lo scopo dichiarato della LIS, e al tempo stesso un passo avanti necessario per la prospettiva della nuova Internazionale.

La confluenza dell'OTI nella LIS è infine un fatto di estrema importanza per il Partito Comunista dei Lavoratori. Di ulteriore motivazione della nostra organizzazione militante e di rilancio della sua capacità di aggregazione e di crescita. Per questo tanto più oggi rivolgiamo un appello a tutti/e i compagni e compagne che condividono il nostro progetto perchè rafforzino il PCL, quale nuova sezione italiana della Lega Internazionale Socialista. Il momento è ora. Invitiamo i nostri aderenti a passare a militanti, e dunque a partecipare a pieno titolo al congresso mondiale della LIS che si terrà alla fine del 2025. Invitiamo tanti nostri interlocutori e simpatizzanti a sciogliere ogni riserva e ad aderire al PCL nella forma che ognuno liberamente sceglierà.

La prospettiva della costruzione di una nuova Internazionale rivoluzionaria ha fatto un importante passo in avanti. Facciamo insieme il nuovo cammino.

Partito Comunista dei Lavoratori

Referendum dell'8 e 9 giugno. I nostri cinque 'sì'

 


Ma è necessaria una svolta di lotta generale

16 Maggio 2025

Diciamo 'sì' ai referendum, 'sì' all'abrogazione di leggi ingiuste

Invitiamo tutti a votare "sì" l'8 e 9 giugno, contro la propaganda astensionista del governo a guida postfascista, e contro il "no" di Matteo Renzi.


Votiamo come abbiamo lottato.

• Per abrogare la cancellazione dell'articolo 18 voluta dal governo Renzi, votata dal PD e dalle destre. Perché nessuno possa essere licenziato senza giusta causa.
• Per abolire il tetto delle sei mensilità di risarcimento per i lavoratori delle piccole imprese ingiustamente licenziati. Perché a pari lavoro corrispondano uguali diritti
• Per cancellare la liberalizzazione dei contratti a termine senza causali, votata dal PD e peggiorata dalle destre. Perché non riconosciamo al padrone la libertà di precarizzare il lavoro, per di più senza neppure motivarlo.
• Per fermare la valanga di appalti e subappalti sulla pelle dei lavoratori e del loro diritto alla sicurezza. Perché 1000 omicidi bianchi ogni anno sono un lutto inaccettabile.
• Per cancellare le misure peggiorative sul diritto di cittadinanza introdotte nel 92, e mantenute da tutti i governi negli ultimi trent'anni. Perché i diritti non hanno colore di pelle.

Non sappiamo quale sarà l'esito formale del referendum. La stessa legislazione reazionaria che nega la cittadinanza agli immigrati la concede a più di sei milioni di emigrati italiani e di loro eredi per due o tre generazioni, tutti conteggiati come “aventi diritto al voto”. È una delle leggi truffa tenute in piedi da tutti i governi. Una legge che falsifica il calcolo del quorum referendario.

Ma siamo estranei a una logica puramente istituzionale. Sappiamo che milioni e milioni di lavoratori e lavoratrici andranno comunque a votare giustamente per il "sì", esprimendo per questa via l'opposizione a Meloni e una domanda di svolta. È una domanda preziosa, cui dare da subito una prospettiva di azione e mobilitazione, ben al di là delle urne: quella prospettiva che la burocrazia sindacale ha sinora negato, al di là della retorica dei talk show, a tutto vantaggio dei partiti padronali (e a danno degli stessi referendum).

Perché è bene aver chiara una cosa. Meloni oggi governa l'Italia non solo perché il PD ha varato una legge elettorale truffa che dà alle destre il 59% dei parlamentari col 44% dei voti, ma anche perché il 58% dei salariati si astiene dal voto, dopo essere stati traditi da tutti, mentre il 39% dei salariati che votano cercano assurdamente a destra quello che non hanno trovato a sinistra. È il bilancio di un grande disastro, in cui sono coinvolti i gruppi dirigenti di tutte le sinistre, sindacali e politiche, incluse quelle cosiddette radicali.

Per questo è necessaria e urgente una svolta vera. Solo una svolta sul terreno della lotta di classe può rimontare la china del disastro. Solo una rivolta sociale vera, ben al di là delle urne, può riaprire dal basso lo scenario politico. Questa rivolta richiede tre cose: una piattaforma di lotta generale in cui la classe lavoratrice possa riconoscersi, una azione di lotta radicale che la sostenga, una direzione che voglia non solo partecipare ma vincere. È l'unico evento che il padronato e Meloni temono davvero.

• Per un aumento generale di salari e stipendi di almeno 400 euro netti.
• Per una riduzione drastica dell'orario di lavoro a parità di paga (30/32 ore pagate 40).
• Per il blocco dei licenziamenti e la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano.
• Per la cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro.
• Per un raddoppio dell'investimento in sanità, istruzione, lavoro, finanziato da una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco, e dall'abbattimento delle spese militari.
• Per la cancellazione del debito pubblico verso le banche e la loro nazionalizzazione


Attorno a questa piattaforma di svolta va preparato uno sciopero generale vero. Non il tradizionale sciopero simbolico e innocuo, ma uno sciopero generale prolungato che punti davvero a bloccare l'Italia. È l'unica via per ribaltare i rapporti di forza e strappare risultati reali.
Perché governi e padroni cedono solo alla forza. Altro che chiedere ogni volta udienza a Meloni per poi lamentarsi del suo rifiuto annunciato e ritrovarsi in mano un pugno di mosche. Occorre un'azione di lotta tanto radicale quanto radicale sa essere il capitale. Del resto, senza ribaltare i rapporti di forza persino un successo dei cinque "sì" al referendum rischierebbe di restare carta straccia, come accadde nel 2011 col referendum vittorioso sull'acqua pubblica.

Ma battersi per questa svolta significa battersi per un'altra direzione del movimento operaio sul terreno sia sindacale che politico. Milioni di lavoratori e lavoratrici sono senza una propria rappresentanza politica autonoma. Va costruita. Va costruito un partito indipendente della classe lavoratrice, tanto radicale quanto sanno esserlo i partiti padronali a difesa della loro classe. Un partito che riconduca ogni lotta immediata alla prospettiva di una alternativa di società, nella quale a comandare siano i lavoratori e non i capitalisti: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, l'unica vera alternativa.

Il PCL si batte ogni giorno per la costruzione di questo partito assieme ai marxisti rivoluzionari di tutto il mondo.

Partito Comunista dei Lavoratori

Gramsci e la 'bolscevizzazione' del PCd'I: 1924-1926

 


20 Maggio 2025

Il destino di Gramsci nella storia del movimento operaio è singolare: raramente un dirigente comunista è stato apprezzato da una tanto vasta e contraddittoria area. Dai trotskisti agli stalinisti, passando per alcune correnti socialdemocratiche, tutti, con l'unica comprensibile eccezione delle tendenze che si richiamano alla "Sinistra italiana" (bordighisti), trovano in Gramsci un fondamento per le loro posizioni politiche. D'altro canto, a seconda del periodo preso in esame, Gramsci si presta a differenti interpretazioni, il che dimostra una ambiguità di fondo del suo pensiero, e un'evoluzione contraddittoria, dall'Ordine nuovo ai Quaderni del carcere.

L'ascesa di Gramsci alla testa del Partito Comunista d'Italia (PCd'I) avviene negli anni cruciali che vanno dal 1924 (quinto congresso dell'Internazionale Comunista) al 1926, data del congresso di Lione, quando il processo di estromissione della sinistra bordighista dalla direzione del PCd'I si può considerare concluso. La vittoria del centro di Gramsci-Togliatti non sarebbe stata possibile in maniera così rapida e così completa senza la trasformazione che in quegli anni stava conoscendo l'Internazionale Comunista, da Internazionale di partiti comunisti votati alla rivoluzione socialista a strumento subordinato della diplomazia dello stato sovietico. Il socialismo "in un solo paese" è stata l'ideologia di questa trasformazione, ovvero il programma con il quale una casta burocratica dominata da Stalin assumeva il potere in Urss, e la "bolscevizzazione" dell'Internazionale il suo strumento organizzativo.
 
Questo articolo intende fornire una valutazione storica, sganciata dal mito, e necessariamente sintetica, dell'evoluzione di Gramsci in questi anni cruciali. Qui non è possibile esaminare in dettaglio le differenti interpretazioni che di questo processo hanno dato vari studiosi, preoccupati più di difendere un proprio punto di vista politico che di spiegare lo svolgersi degli avvenimenti, e mi riferisco innanzitutto a Berti e a Togliatti.
Ciò che maggiormente stupisce è l'interpretazione dei vari gruppi che in Italia si richiamano (o si sono richiamati) al trotskismo: in sostanza non si discostano dalla vulgata togliattiana, secondo cui il processo di formazione di un nuovo gruppo dirigente nel PCd'I nel 1923-'26 si spiega con l'allontanamento di Gramsci dall'estremismo bordighista e la riappropriazione del metodo e del programma leninista, che sarebbe in definitiva codificato nelle tesi di Lione.
 

GRAMSCI E LA "BOLSCEVIZZAZIONE" DELL'INTERNAZIONALE
 
Invece è avvenuto l'inverso: Gramsci, dopo un'iniziale adesione alle ragioni della critica di Trotsky alla nascente burocrazia sovietica, si muove gradualmente verso il gruppo dirigente stalinista, convinto che senza il sostegno dell'Internazionale non potrà avere ragione della sinistra bordighista. I punti d'avvio e d'arrivo di questa evoluzione sono la lettera del 9 febbraio 1924 e la lettera dell'ottobre 1926.

La data del distacco di Gramsci da Bordiga può considerarsi il rifiuto di firmare il "Manifesto" bordighista del 1923 (che invece aveva il sostegno di Togliatti e altri), un documento rivolto a una critica dell'intera politica dell'Internazionale Comunista. A Mosca, dove si trovava negli anni 1922-23 per incarico del PCd'I, Gramsci aveva maturato il distacco dall'estremismo di Bordiga grazie soprattutto all'influenza di Trotsky: tracce di questa influenza si ritrovano nella lettera del febbraio 1924, diretta al CC (Comitato Centrale) del PCd'I, nella quale lettera si trova una valutazione di Trotsky del tutto differente da quella dei Quaderni.

Nello spiegare la lotta all'interno del Partito russo, sulle due questioni fondamentali della democrazia interna al Partito e della rivoluzione tedesca, Gramsci sostanzialmente difende le posizioni trotskiste contro la "troika", dando anche del passato (la disputa sull'Ottobre del 1917) e della rivoluzione permanente una valutazione assai simile a quella trotskista (la lettera è pubblicata in Togliatti: La formazione del gruppo dirigente del Partito Comunista Italiano, Editori Riuniti).

 Ma il giudizio di Gramsci sulle vicende interne al Pc russo cambia subito dopo, e comincia l'allineamento alla maggioranza di Stalin-Zinoviev: quasi certamente questo avviene per i motivi della lotta antibordighista e sotto la pressione del gruppo dirigente sovietico. Nella sua battaglia contro Bordiga, Gramsci ha bisogno del sostegno dell'Internazionale, in quel momento in mano alla troika antitrotskista. Dal canto loro Stalin e Zinoviev hanno bisogno di direzioni nazionali fedeli che li sostengano nella lotta contro Trotsky, mentre Bordiga assume decisamente le difese del fondatore dell’Armata rossa contro il "socialismo in un paese solo" che stava svuotando l'Internazionale del suo contenuto leninista rivoluzionario.
 
Così quando nel partito scoppia la cosiddetta "questione Trotsky" i due dirigenti fondatori del PCd'I si trovano dalle due parti opposte della polemica: Bordiga con il dirigente della rivoluzione d'Ottobre e compagno di Lenin, Gramsci con gli epigoni della troika Stalin-Zinoviev-Bucharin.

Fin dal maggio, del 1924 nello Schema di tesi sulla tattica e sulla situazione interna del PCI, la Centrale del PCd'i scrive: «Sulla questione russa riteniamo che è bene che tutte le sezioni diano il loro giudizio (...) dichiariamo di approvare la linea seguita dalla maggioranza del comitato centrale del Partito comunista russo» (pubblicato in «Lo stato operaio», 15 maggio 1924). Concetto ribadito nel novembre del 1924 da Gramsci nell'introduzione a un articolo della «Pravda» (senza firma, ma quasi certamente di Bucharin) che recensiva duramente il testo di Trotsky Le lezioni d'Ottobre e dava il via alla campagna antitrotskista:
 
Nel terzo volume delle sue opere (1917), appena pubblicato, vi è una prefazione di circa 60 pagine. Come altra volta gli epigoni di Marx, sotto la sua bandiera, hanno tentato la revisione del marxismo, così oggi Trotzki, in nome del leninismo, vuol revisionare il bolscevismo (in A. Gramsci: La costruzione del partito comunista, Einaudi 1978, p. 211)
 
Con la campagna per la "bolscevizzazione" il centro stalinista-zinovievista infatti pretende più di una accettazione passiva della lotta contro il "trotskismo": richiede alle varie direzioni una partecipazione attiva, sul loro terreno nazionale, per scardinare il prestigio internazionale di Trotsky. Contrariamente a quello che ritiene Berti (Introduzione all'Archivio Tasca, Annali Feltrinelli 1966) la "bolscevizzazione" non costituì una svolta a sinistra dell'Internazionale, nonostante l'offerta (rifiutata) della vice-presidenza a Bordiga al quinto congresso dell'Ic (che costituiva un modo di giubilarlo), ma il tentativo (riuscito) di rimpiazzare, alla testa delle sezioni nazionali, direzioni fedeli al centro russo. Dietro la maschera della «lotta al trotskismo» si destituirono amministrativamente le direzioni dei principali partiti comunisti europei: francese, tedesco, polacco, ecc., quali che fossero le loro posizioni. E al loro posto vennero nominati dirigenti che brillavano solo per la fedeltà al centro moscovita. Con la bolscevizzazione, in definitiva, si intendeva porre il bavaglio a quelle tendenze critiche della degenerazione burocratica del potere sovietico, e del "socialismo in un paese solo".
 
Come espone Gramsci in un intervento alla Conferenza di Como (1924):
 
Non basta dichiarare di essere disciplinati. Bisogna mettersi sul piano di lavoro indicato dall'Internazionale'. (...) Trotzki, pur partecipando 'disciplinatamente' ai lavori del partito aveva, col suo atteggiamento di opposizione passiva - simile a quello di Bordiga - creato uno stato di malessere in tutto il partito, il quale non poteva non avere sentore di questa situazione. (cfr. in La costruzione del partito comunista, cit., p. 461).
 
All'Esecutivo allargato del 1925, Stalin chiede alla delegazione italiana (Gramsci e Scoccimarro) di prendere parte attivamente sui due temi essenziali: la "bolscevizzazione" e la «lotta al trotskismo». Cosa che Gramsci e Scoccimarro assicurano.
Un resoconto di questa riunione, apparso nell'«Unità» del 4 luglio 1925, paragona il trotskismo al bordighismo, e istituisce un parallelo tra la lotta dell'Ic contro il "trotskismo" e la lotta del partito italiano contro l'"estremismo" di Bordiga.

Ma già nella relazione al CC del 6 febbraio 1925, che precedette la partenza della delegazione italiana per Mosca, Gramsci aveva espresso senza mezzi termini la propria adesione alla campagna antitrotskista:
 
Nella mozione si dovrebbe, inoltre, dire come le concezioni di Trotzki e soprattutto il suo atteggiamento rappresentano un pericolo, in quanto la mancanza di unità nel partito in un paese in cui vi è un solo partito, scinde lo Stato. Ciò produce un movimento controrivoluzionario; la qual cosa non significa, però, che Trotzki sia un controrivoluzionario: ché in questo caso ne dovremmo chiedere l'espulsione". (La costruzione..., cit., p. 473)
 
Questo richiamo all'unità, congiuntamente alla proibizione delle frazioni e all'adesione alla "bolscevizzazione", ha lo scopo di allineare il PCd'I alla direzione staliniana dell'Internazionale, in maniera acritica. Secondo una testimonianza resa da Leonetti a F. Ormea, Gramsci considerava Stalin nel 1925 "il migliore tra i compagni russi" (citato in F. Ormea: Le origini dello stalinismo nel PCI, Feltrinelli, p. 85). E infine, nella lettera dell'ottobre 1926, da vari commentatori di sinistra considerata una "presa di distanza" di Gramsci da Stalin, non si fa che ribadire l'adesione sostanziale alla linea della maggioranza del Pcr, con l'unica raccomandazione di "non stravincere". Che questa sia l'intenzione è Gramsci stesso a testimoniarlo in una successiva lettera a Togliatti:
 
la nostra lettera era tutta una requisitoria contro le opposizioni, fatta non in termini demagogici ma appunto perciò più efficace e più seria. (La costruzione..., cit. p. 137)
 

LA DEFINITIVA SCONFITTA DELLA SINISTRA E IL CONGRESSO DI LIONE

Alla conferenza di Como del 1924 il partito è ancora saldamente in mano alla sinistra. Il congresso di Lione del 1926 invece assiste al definitivo trionfo del centro gramsciano-togliattiano. Questo non è avvenuto per mezzo della persuasione programmatica, ma con strumenti amministrativi, dei quali la disciplina alle decisioni dell'Internazionale stalinizzata non è stato il meno importante.

In preparazione del congresso di Lione il centro stalinista interviene per fornire le direttive organizzative sulla lotta contro la sinistra. In una lettera del 20 agosto del 1925 il presidium dell'Internazionale Comunista scrive tra l'altro:
 
Organizzare i congressi federali in maniera tale che le grandi federazioni che sono con il CC e dove Bordiga ha meno influenza, si pronuncino per prime. Pubblicare anche, ed utilizzare prima dei congressi federali, i voti delle cellule delle grandi fabbriche ove abbiamo la schiacciante maggioranza. (citato in La liquidazione della sinistra del PCd'I, edizioni L'internazionale, p.240)
 
Mentre il centro gramsciano-togliattiano agiva in pratica da frazione, congiuntamente con l'Internazionale stalinizzata, alla sinistra veniva proibita l'organizzazione in frazione (v. lettera del CE (Comitato Esecutivo) a Ottorino Perrone, id, p. 243). Lo stesso Spriano (uno storico non sospettabile di filobordighismo) scrive:
 
La cronaca del dibattito è ricca, all'inizio (...) di misure disciplinari che troncano sul nascere l'organizzazione della corrente bordighiana come frazione. E' la stessa internazionale che, con l'intervento di Humbert-Droz, intima di sciogliere il Comitato d'intesa [la frazione bordighista]… (in Storia del partito comunista italiano, Vol. I, Paolo Spriano, Einaudi 1978, p. 479).
 
Le stesse norme per i congressi federali e regionali e la nomina dei delegati, costituivano una vera e propria truffa ai danni della sinistra. Al punto n. 1 la circolare del CE recitava:
 
Si deve rendere noto a tutti i compagni che per coloro che si trovano nella impossibilità di partecipare alla riunione suindicata [dove si votano i delegati e le tesi, nota] e intendano dare il loro voto alle tesi di estrema sinistra, di comunicarlo per iscritto agli organi responsabili i quali sono tenuti a darne comunicazione al congresso federale. Per tutti coloro che assenti non facessero pervenire alcuna comunicazione, il loro voto si considera dato per le tesi presentate dalla Centrale. (La liquidazione..., p. 247).
 
Si può immaginare cosa questo potesse significare nel 1925, quando la partecipazione ai congressi veniva resa quasi impossibile dalla polizia fascista.

La pressione dell'Internazionale sul partito italiano, la manipolazione dei congressi da parte della centrale e l'attribuzione al centro di tutti i voti non dati per iscritto alla sinistra, spiegano come al congresso di Lione il centro di Gramsci-Togliatti abbia ottenuto oltre il 90 per cento dei delegati, mentre la sinistra bordighista non abbia raggiunto il 10 per cento. Ciò che avvenne in Italia nel 1925-'26 è la fotocopia di quello che era avvenuto nel partito russo nel 1923-'24, quando per sconfiggere la sinistra di Trotsky vennero cambiate le regole di formazione dei delegati al congresso, in modo da assicurare alla frazione Stalin-Zinoviev la maggioranza al XIII congresso, da cui partire per sconfiggere definitivamente l'ala bolscevica rivoluzionaria.

In seguito l'Opposizione di sinistra parlò di questo periodo come del "termidoro" del potere sovietico. Fatti i debiti paragoni, ciò che avvenne nel partito italiano è paragonabile al termidoro sovietico. E così come Zinoviev in definitiva spianò la strada a Stalin (dal quale poi venne sconfitto e infine assassinato), Gramsci spianò la strada alla degenerazione togliattiana del PCd'I.
 

LE TESI DI LIONE
 
Nella Formazione del gruppo dirigente del PCI, Togliatti scrive: «La conquista della maggioranza del partito venne condotta a termine da questo gruppo, di fatto, soltanto al III congresso del partito, che si tenne a Lione nel gennaio 1926» (p. 11).

In effetti il congresso di Lione costituisce il punto d'arrivo del processo che aveva portato il centro di Gramsci e Togliatti a rompere con il leninismo per aderire alla direzione internazionale di Stalin-Zinoviev e il punto di passaggio per la stalinizzazione del PCI. Le tesi (scritte congiuntamente da Gramsci e Togliatti) costituirono la sintesi e la codificazione di questo processo. A Lione venne approvato un corpo di 5 tesi (sulla situazione internazionale; sulla questione nazionale e coloniale; sulla questione agraria; politica: situazione italiana e bolscevizzazione del PCI; sindacale). Le tesi sulla situazione politica sono passate alla storia come le "Tesi di Lione".

La natura contraddittoria di queste Tesi riflette il fatto che il processo non è compiuto, che permangono tracce dell'impostazione leninista-trotskista dei primi quattro congressi dell'Internazionale Comunista. Fermarsi tuttavia a considerare l'adesione delle Tesi alla tattica del fronte unico (benché anche questa non priva di ambiguità, oscillando tra la concezione leninista e una concezione frontepopulista) o alla necessità di parole d'ordine di carattere transitorio è un inutile esercizio scolastico, senza rilevanza pratica: occorre studiare attentamente le implicazioni concrete di tali formulazioni. Il problema in definitiva consiste nel coglierne le novità e le rotture. E le novità sono l'indice della trasformazione del PCI da partito rivoluzionario a partito stalinizzato.
 
Rompendo con la concezione leninista del partito le tesi sanciscono decisamente la proibizione delle frazioni. Scrive Gramsci: «La esistenza e la lotta di frazioni sono infatti inconcepibili con la essenza del partito del proletariato, di cui spezzano la unità aprendo la via alla influenza di altre classi» (La costruzione del partito comunista, cit. p. 506).

Tuttavia, la proibizione di frazioni in effetti valeva solo per la sinistra bordighiana ed è stato uno degli strumenti per le manovre burocratiche del centro di Gramsci-Togliatti.
Uno strumento organizzativo burocratico non è un fine, ma semplicemente un mezzo per una politica riformista o centrista. Così la debolezza maggiore delle Tesi di Lione salta agli occhi quando si traccia la politica che intende seguire il PCI in Italia.
 

UNA POLITICA CENTRISTA
 
Dopo aver dichiarato la necessità di parole d'ordine intermedie, di carattere democratico e transitorio, l'esempio che le Tesi forniscono di queste parole d'ordine si ferma all'agitazione antimonarchica da condurre con lo slogan dell'"assemblea repubblicana sulla base dei comitati operai e contadini". Attorno a questa parola d'ordine ruotava tutta la propaganda e l'agitazione del PCI a partire dall'assassinio Matteotti, formulata per la prima volta in una lettera alle opposizioni aventiniane. Più di una volta Trotsky criticò questa prospettiva. In particolare, scrive Trotsky nel maggio del 1930:
 
L’"Assemblea repubblicana" costituisce innegabilmente un organismo dello stato borghese. Che cosa sono invece i 'Comitati operai e contadini'? E' evidente che in qualche modo sono un equivalente dei Soviet operai e contadini. (...) Come è possibile, in queste condizioni, che un'assemblea repubblicana - organo supremo dello stato borghese - abbia come base degli organismi di Stato proletario? (in Scritti sull'Italia, ed. Controcorrente, p. 184)
 
E, il 25 settembre 1929, aveva scritto alla Frazione bordighista, in un testo che approvava la "Piattaforma della sinistra" al congresso di Lione:

A proposito, non è Ercoli [Togliatti, nota] che tenta di adattare all'Italia l'idea della 'dittatura democratica' del proletariato e dei contadini', sotto forma di un'assemblea costituente appoggiantesi su 'un'assemblea operaia e contadina'? (id. p. 149)

Sarebbe esagerato considerare il congresso di Lione come la fase conclusiva del processo che ha condotto il PCI dal leninismo a togliattismo, ma, nello stesso tempo Lione costituisce la porta della degenerazione riformista del PCI attraverso il breve interregno centrista di Gramsci.

In seguito Gramsci ruppe definitivamente con lo stalinismo negli anni tra il 1927 e il 1930, tanto che, secondo alcune testimonianze, venne espulso dal PCd'I per la sua opposizione alla svolta dell’Internazionale verso la teoria del socialfascismo e alle misure burocratiche che hanno accompagnato questa svolta. I Quaderni del carcere costituiscono ancora oggi uno dei testi più fecondi per comprendere la storia d’Italia e un classico del pensiero politico. Benché non privi di ambiguità e contraddizioni, permangono uno strumento essenziale per l’emancipazione delle classi subalterne.

Gino Candreva

Costruiamo l'Internazionale socialista rivoluzionaria

 


Contro l'ondata dell'ultradestra, contro i reazionari, contro l'imperialismo e il sionismo. Per una soluzione internazionalista e proletaria

18 Maggio 2025

Assemblea pubblica

Giovedì 22 maggio alle ore 20:30, al circolo Asyoli di Forlì, si terrà un’importante serata con ospiti internazionali. Parleremo di Palestina, sionismo, repressione e reazione con Alejandro Bodart (MST) dall’Argentina, Martin Suchanek (Lega per la 5a internazionale) dalla Germania e Franco Grisolia (PCL).

Le destre sono in avanzata in tutto il mondo, dal’AfD in Germania, all’Argentina di Milei, agli USA di Trump all’Italia di Meloni, con i conseguenti attacchi frontali ai diritti civili e sociali e alla classe lavoratrice.

Il compagno Bodart è recentemente finito nel mirino della giustizia borghese argentina per aver denunciato il genocidio perpetrato dal governo israeliano a Gaza, con la revoca della precedente assoluzione a causa della denuncia dell’organizzazione sionista DAIA (Delegazione delle Associazioni Israeliane in Argentina).

Siamo di fronte a una difficile battaglia politica, perché in molti paesi è in atto un processo di vera e propria colonizzazione del sistema politico e giudiziario da parte dell’apparato sionista per cercare di vittimizzarsi e mettere a tacere le critiche a Israele.

Davanti a una situazione di crescente offensiva reazionaria su scala globale, di instabilità politica e sociale, ma anche di polarizzazione e di possibili attivazioni e reazioni da parte dei lavoratori e delle lavoratrici, è massimamente urgente il compito di costruzione su scala mondiale di un'organizzazione di avanguardia rivoluzionaria.

Questa organizzazione è per noi l'unico mezzo che possa indicare una soluzione alla barbarie capitalista, e costituire lo strumento di lotta che ci libererà da essa.

Costruiamo insieme l'Internazionale socialista rivoluzionaria, in Italia, in Europa, nel mondo!

 


La guerra, la terra: una questione privata?

16 Maggio 2025

Un appello all'antimilitarismo militante

Rivolgiamo un appello all’antimilitarismo militante. La Sardegna si trova nella morsa del capitalismo: da una parte lo Stato distrugge le risorse dell’isola, dall’altro il capitalismo per mano del settore turistico le saccheggia e le sperpera. A partire dall’analisi della dinamica presente in Sardegna, tentiamo di offrire una prospettiva ampia per la lotta generale contro il militarismo da una prospettiva anticapitalista. Per la costruzione urgente di una piattaforma di lotta politica attorno a rivendicazioni di classe.


L’attività militare è ovviamente difesa con tenacia dallo Stato italiano. Non solo la difende ma la rivendica, e dice: lo Stato deve essere pronto a difendersi dagli altri stati imperialisti, e questo è anche l’interesse dei cittadini. Così facendo distorce la realtà, elevando il suo proprio interesse a interesse dell’intera popolazione italiana. Il suo proprio interesse è l’interesse di chi controlla la macchina statale, e cioè in sostanza la grande borghesia finanziaria e la piccola-media borghesia opportunista. In realtà le ricadute dell’attività militare sui territori sono devastanti a medio-lungo termine per la popolazione nazionale, e già nel breve termine per la classe lavoratrice. Eppure lo Stato e chi ne sostiene le posizioni, sostiene che i territori interessati dall’attività militare ne traggono addirittura beneficio. Per loro è un sillogismo semplice: le basi militari portano con sé i militari che vi prestano servizio; i militari che vi prestano servizio spendono i propri soldi sul territorio; l’economia del territorio ne beneficia. Possiamo anche sorridere delle buone ragioni ambientali del militarismo: le basi militari garantiscono l’attenta supervisione delle aree naturali, interdette ai civili, per cui l’intero territorio godrebbe di conseguenza della salvaguardia ambientale dei territori all’interno e intorno alle basi.

Il comparto militare porta alle estreme conseguenze i danni che il sistema capitalistico provoca in ogni sua attività all’economia, alla società e all’ambiente. Cioè proprio a quei settori che dichiara di voler tutelare. Noi sappiamo che contano i fatti, e non le mistificazioni dello Stato che ha imparato bene a usare le parole per rendere accettabili i propri crimini.


LO STATO BOMBARDA I SUOI CITTADINI. L'ESEMPIO DELLA SARDEGNA

LA SERVITÙ MILITARE IN SARDEGNA


La Sardegna è il punto nevralgico del sistema bellico italiano. Lo era già nel riassestamento imperialista europeo che seguiva la Seconda Guerra Mondiale, per questioni geografiche e sociali: la sua posizione al centro del Mediterraneo era determinante per la strategia militare, mentre la bassa densità abitativa e le condizioni di povertà in cui versava la sua popolazione permettevano facile accesso alle terre e la loro requisizione. In queste condizioni si svolgevano anche gli accordi segreti e mai ratificati in Parlamento, che sulla scia del BIA (Bilateral Infrastructure Agreement), determinavano negli anni ‘50 i luoghi in cui sarebero sorte le basi militari dell’imperialismo italiano e occidentale. Nei documenti desecretati dalla CIA si legge che per militarizzare la Sardegna sarebbero bastati pochissimi soldi «da offrire come mangime a qualche compiacente politico nazionale o regionale» (1).

L’occupazione militare della Sardegna va dunque inserita entro il più ampio contesto della nascita e affermazione dell’imperialismo italiano nel secondo dopoguerra. La borghesia italiana tentava di ricostruire la forza economica e militare dello Stato, e questa era anche esigenza del Patto Atlantico atta ad allontanare l’Italia dal pericolo delle influenze sovietiche.

Oggi la Sardegna ospita tra il 60% e il 65% delle servitù militari rispetto a quelle presenti su tutto il territorio italiano (2). L’occupazione militare in Sardegna riguarda 370 km2 di terra (370mila ettari) e 20mila km2 (2 milioni di ettari) di mare, di cui 80 km di costa interdetta. In totale sono presenti nell’isola 170 installazioni militari tra poligoni, depositi di munizioni e insediamenti militari di varie funzioni come caserme. Tali insediamenti riguardano il sud-ovest della Sardegna (poligono di Capo Teulada, poligono di Capo Frasca), il sud-est (i poligoni di Quirra di Perdasdefogu e di Capo San Lorenzo), il centro-nord (poligono semipermanente del Lago Omodeo, poligono S’Ena Rugia di Macomer). A ciò vanno aggiunte la base segreta di Poglina ad Alghero e l’aeroporto militare di Decimomannu. Infine, ultimo ma non ultimo, la fabbrica di bombe della RWM a Domusnovas (3)(4).

La Sardegna ospita l’intera filiera di morte che, con rinnovata capacità tecnologica, impesta il mondo oggi più di ieri.


LA BONIFICA IMPOSSIBILE

Dal 2000 al 2013 il docente di statistica medica Annibale Biggeri, su incarico della Procura di Cagliari, ha raccolto dati sullo stato di salute della popolazione attorno ai poligoni militari della Sardegna. Tra gli abitanti dello stagno di Foxi, area prossima al poligono di Capo Teulada, l’indice di mortalità è doppio rispetto alla media, mentre il rischio di patologie cardiache è superiore di tre volte rispetto alla media. Tra i paesi di Teulada e di Sant’Anna Arresi i tumori maligni sono in eccesso rispetto alle medie nazionali, ma in accordo con altri set di dati raccolti in ulteriori aree in prossimità di siti militari e industriali come La Maddalena, Portoscuso, Porto Torres e Sarroch. L’ASL di Lanusei rilevava che nell’area intorno al poligono di Quirra il 65% degli allevatori avesse sviluppato forme tumorali, e che tanti sono gli animali nati con deformità (5).

Una volta documentato il disastro ambientale in tutta la ‘penisola Delta’, dove sorge il poligono di Capo Teulada, nel 2013 la procura di Cagliari ha aperto un procedimento penale contro ignoti. Il 29 novembre 2022 il Comando militare dell’Esercito in Sardegna ha depositato l’istanza di attivazione del procedimento intitolato ‘Compendio per la rimozione dei residuati di esercitazione dalla penisola «delta» di Capo Teulada’ (6). È una clamorosa ammissione di colpe accompagnata dalla volontà di avviare celermente la bonifica di quell’area dove ogni forma di vita è stata annientata. Secondo i dati raccolti da A Foras, il poligono di Capo Teulada – con le relative aree naturali protette – è stato colpito solo tra il 2009 e il 2013 da circa 24.000 missili e razzi, con la presenza nella stessa area di circa 2.400 tonnellate di residuati inquinanti; dal 1991 al 2004 sono stati sparati circa 4.242 missili Milan contenenti il torio che produce il radon, il quale a sua volta produce gli stessi tumori a polmoni, pancreas, reni e sangue di cui una parte straordinaria degli abitanti dell’area soffrono (l’incidenza è di 25 volte superiore alla media). Le sostanze cancerogene rilasciate si legano al suolo e si disperdono nelle falde acquifere e marine (7).

La stima del disastro a Capo Teulada (ma è altrettanto spaventosa la cosiddetta Sindrome di Quirra relativa all’omonimo poligono) è vincolata a un buco di dati enorme. Per decenni infatti l’Esercito non ha compilato i registri delle proprie attività nel poligono, e oggi nessuno può accertare adeguatamente le aree colpite, il numero e la qualità dei proiettili e delle bombe esplose e inesplose. Ciò rende impossibile la bonifica (in realtà mai nominata nel documento, e definita «rimozione dei residuati»). Se pure il Comando militare fosse capace di trasformare la propria volontà in miracolo, bonificando un’area di fatto imbonificabile, siamo certi che la sua apparente buona azione non gli garantirebbe comunque la santità.

Infatti lo scopo dell’intervento di bonifica non è volto alla restituzione dell’area a fini civili. Il Comando militare dichiara che le sue attività si svolgeranno ancora nell’area bonificata. La stessa area che lo Stato stesso ha dichiarato area protetta, e dove l’Esercito dunque svolge illegamente le sue attività da settant’anni. La finalità della bonifica sarebbe quella «di ripristinare le condizioni del Poligono Delta per consentire il normale transito in sicurezza e l’utilizzo futuro dello stesso quale zona bersaglio per arrivo colpi che sarà delimitata con materiale eco-sostenibile». Cioè, l’intento del Comando militare è quello di bonificare un’area del quale non si conosce nemmeno il tipo di pericolo (radioattivo o chimico) che i lavoratori addetti alla bonifica correranno, davanti all’enorme quantità di bombe inesplose mai registrate per decenni. Una volta dichiarata completata la bonifica impossibile, l’intenzione è quella di riprendere a bombardare.

Ma piano con l’indignazione e lo scandalo: il Comando dichiara che l’area sarà delimitata con materiale eco-sostenibile. Una svolta ecologica che può far stare tranquilli tutti per i prossimi quattro secondi.


LA PROCEDURA DI VALUTAZIONE DI INCIDENZA AMBIENTALE

Lo scorso 21 gennaio il ministero della Difesa ha avviato la procedura V.Inc.A. (Valutazione di Incidenza Ambientale) per Capo Teulada, stabilendo che ogni intervento militare nell’area deve sottostare agli obblighi sanciti dallo stesso Codice dell’ordinamento militare, riducendo l’impatto ambientale delle esercitazioni. Si tratta della prima volta dal 1956 che l’Esercito adempie almeno a un obbligo verso la Regione Autonoma della Sardegna, cioè quello di fornire la documentazione necessaria per la tutela dell’ambiente. Tuttavia il V.Inc.A. elaborato dall’Assessorato della Difesa dell’Ambiente della RAS (Regione Autonoma della Sardegna) omette le finalità della bonifica dichiarate dal Comando militare, e cioè riprendere gli spari dopo la bonifica. Ciò significa che nel documento di Valutazione di Incidenza Ambientale non si valuta l’incidenza ambientale. Non sono state individuate le fonti di inquinamento, né le modalità con cui i lavoratori addetti alla bonifica dovranno procedere. Non è stata fatta una seria valutazione dei rischi per la loro salute, e questo ha fatto mobilitare davanti al TAR anche l’USB (Unione Sindacale di Base).

Da parte sua il ministero della Difesa ha presentato le misure per l’adeguamento a questo morbido V.Inc.A.: limitazione degli sbarchi a una sola spiaggia, interruzione dei bombardamenti aerei, eliminazione delle manovre terrestri su spiagge e dune, istituzione di una «fascia di rispetto» intorno alle zone umide (8). Cioè annuncia la volontà di occupare e sparare dentro un’area protetta, ma in maniera più accorta. Questa è stata considerata una vittoria relativa entro il percorso dei movimenti spontanei e delle organizzazioni che dal 2014 lottano, soprattutto sotto il cappello di A Foras: per la prima volta l’esercito si è visto obbligato a prendere delle misure per la tutela ambientale, sia pure di facciata.

Intanto il GR.I.G. (Gruppo di Intervento Giuridico) ha presentato ben due ricorsi al TAR Sardegna, notando che il calendario addestrativo continua a essere autorizzato in barba al V.Inc.A., e se ne chiede la sospensione (9).

Il procedimento è ancora in piedi, e la fase cautelare si è conclusa con una chiara posizione del giudice. Davanti alla necessità di pesare da una parte le esigenze della Difesa e dall’altra le esigenze della salute dei cittadini e la salvaguardia dell’ambiente, è stata valutata come di maggiore rilevanza la tutela delle ragioni della Difesa. Perciò il calendario non può essere sospeso. Questa è una valutazione dalle grosse ricadute politiche, che se confermata in fase probatoria sancirebbe definitivamente nelle aule del tribunale che lo Stato persegue i propri interessi bellici al costo della vita di migliaia di cittadini che abitano il suo territorio.
Crediamo che le modeste concessioni, come il V.Inc.A., non debbano essere scambiate per vittorie. Andrebbero invece viste come piccole pietre d’inciampo del virtuoso percorso di lotta ormai decennale portato avanti in primis da A Foras e dalle altre organizzazioni, verso la smobilitazione totale dell’apparato bellico borghese che mentre dichiara di voler difendere i propri cittadini, li uccide impunemente.


LA FUNZIONE DELLA GUERRA E IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI

Per un cuore sensibile e umano, tutto ciò appare irrazionale e inspiegabile. Ma lo Stato non è folle, e non bombarda i suoi territori e chi li abita per diletto. Conosce bene i rischi che ciò comporta, e anche i benefici.

L’esercito non esiste per sparare, ma per tutelare e rispondere agli interessi di chi ordina di sparare. Il ministero della guerra oggi si definisce ministero della Difesa: ministero della difesa dell’imperialismo italiano. In questa fase storica l’imperialismo italiano ed europeo si riarma per superare la fase di estrema crisi del blocco occidentale e l’affermazione degli imperialismi storicamente subalterni, come quello cinese.

L’apparato bellico oggi ha cambiato la sua funzione primaria rispetto agli eserciti precapitalistici: essi non esistono per fare la guerra, ma per procurarla. La guerra imperialista risponde alla necessità di garantire nuovi mercati al proprio ciclo produttivo. D’altra parte l’imperialismo trova nei territori conquistati la possibilità di investimenti a basso costo, con la creazione e l’esportazione di interi comparti produttivi, grazie allo sfruttamento della classe lavoratrice del territorio conquistato. Quando questa esigenza si inasprisce, come nei momenti di crisi economica o di sovraproduzione, gli imperialismi entrano in conflitto e si rivela tragicamente che è la stessa esistenza della borghesia a dipendere dalla guerra. Per questo la lotta antimilitarista non può rinunciare all’anticapitalismo. Di riflesso si svelano i motivi dell’inefficacia storica del pacifismo riformista, con le pretese moralistiche di disarmo che avanza allo Stato borghese o alle suddivisioni territoriali regionali.
Ne sia testimonianza l’ultimo clamoroso evento di ‘beneficienza’ della Difesa. Nei giorni della gargantuesca esercitazione militare interforze Joint Stars, si svolge a Cagliari il ‘Joint Stars for Charity 2025’: screening pediatrici gratuiti sulla nave Trieste della Difesa con la collaborazione dell’Azienda Ospedialiera Brotzu di Cagliari, pasta party, concerti, spettacoli teatrali e gare podistiche rivolte principalmente alle bambine e ai bambini delle scuole. Un evento venduto come carità e beneficienza, ma che si configura come un intervento di ‘war-washing’ da manuale.

La Regione Autonoma della Sardegna e il Comune di Cagliari hanno benevolmente offerto il loro patrocinio. La Difesa ringrazia la «generosità» inoltre di Leonardo (colosso mondiale dell’industria militare), RWM (fabbrica di bombe della Rheinmetall), Terna Driving Energy (al centro della lotta contro la speculazione energetica in Sardegna), MBDA, Amazon, Barilla, UniCredit, Conad, Fondazione Grimaldi, Poste Italiane, Medea (10)(11). Tutto ciò mentre nella regione italiana con la percentuale più alta di abbandono scolastico (17,3%), e mentre la sanità sarda crolla a pezzi costringendo centinaia di migliaia di persone a pagare il pizzo al settore sanitario privato. Le istituzioni borghesi gettano la maschera, rivelando il loro servizio al capitale e alle sue guerre. L’alleanza è compiuta.


Per l’analisi della relazione tra l’impoverimento e la presenza militare in Sardegna, rimandiamo alla seconda parte di questo contributo.



Note

(1) A Foras, Trinacria, Core in Fronte, Isole in guerra. Occupazione militare e colonialismo in Sardegna, Sicilia e Corsica, Catartica Edizioni, Rende (CS), 2023, p. 12.
(2) Con il termine ‘servitù militari’ ci si riferisce alle aree che prevedono l’uso del territorio a fini militari e i vincoli alla popolazione civile derivanti da ciò: spazi terrestri, aerei, marittimi; divieti di pesca, pascolo, coltivazione; interdizioni varie.
(3) I dati sono stati ricavati dall’Indagine conoscitiva della Camera del 2014, dalla Regione Sardegna (RAS), una pubblicazione dell’Aeronatuica Militare del 1981, e Fernando Codonesu, Servitù militari modello di sviluppo e sovranità in Sardegna, CUEC, 2013. Cfr. A Foras, Isole in guerra, p. 19.
(4) Protagonista del recente accordo italo-tedesco per la guerra. Cfr. Emerigo C., Profitti di guerra e salari a picco, 21 ottobre 2024. Consultabile al link: https://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=7777
(5) Simona Castoldi, Quirra e Teulada: «I poligoni sardi sono pieni di sostanze tossiche», 24/08/2016. Consultabile al link: https://www.ofcs.it/internazionale/difesa-e-sicurezza-nazionale/quirra-e-teulada-i-poligoni-sardi-sono-pieni-di-sostanze-tossiche/#gsc.tab=0
(6) I documenti sono consultabili al link:
https://portal.sardegnasira.it/-/recupero-dei-residuati-di-esercitazione-della-penisola-delta-del-poligono-permanente-di-capo-teulada-comune-teulada-proponente-comando-militare-eserci
(7) A Foras, Isole in guerra, pp. 32-33.
(8) Il Giornale dell’Ambiente, Sardegna, settanta anni di esercitazioni militari illegali: il ministero della Difesa avvia la Valutazione di Incidenza Ambientale, 31 gennaio 2025. Consultabile al link: https://ilgiornaledellambiente.it/sardegna-settanta-anni-di-esercitazioni-militari-illegali-il-ministero-della-difesa-avvia-la-valutazione-di-incidenza-ambientale/
(9) L’Unione Sarda, Esercitazioni militari, nuovo ricorso al Tar: «Illegittime senza valutazione d’impatto ambientale», 17 gennaio 2024. Consultabile al link:
https://www.unionesarda.it/news-sardegna/esercitazioni-militari-nuovo-ricorso-al-tar-illegittime-senza-valutazione-dimpatto-ambientale-ncy515ue
(10) Enrico Lobina, War-washing delle forze armate col patrocinio di Cagliari e della Sardegna: altro che lotta al riarmo!, in Il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2025. Consultabile al link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/05/06/war-washing-cagliari-sardegna-riarmo/7975035/
(11) Lisa Ferreli, Joint Stars in Sardegna: tra portaerei, screening pediatrici e sponsor delel armi, la beneficenza si fa armata, in Italichecambia, 8 maggio 2025. Consultabile al link: https://www.italiachecambia.org/2025/05/joint-stars-beneficenza-militari/


Bibliografia generale

Tiziano Bagarolo, Marxismo ed ecologia, Milano, 2006
Sergej Andreevic Podolinskij, Lavoro ed energia. L’atto di nascita dell’economia ecologica, PonSinMor, Gassino Torinese (TO), 2011.
A Foras, Trinacria, Core in Fronte, Isole in guerra. Occupazione militare e colonialismo in Sardegna, Sicilia e Corsica, Catartica Edizioni, Rende (CS), 2023.
Friedrich Engels. Una vita per la rivoluzione, Marxismo Rivoluzionario, primo trimestre 2021, n.17.
Friedrich Engels, Il lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia, in Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Friedrich Engels, Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Tiziano Bagarolo, Lenin sconosciuto. La rivoluzione sovietica e l’ecologia, in Marxismo Rivoluzionario, n. 17

Partito Comunista dei Lavoratori - Cagliari

Il militarismo e il capitalismo

 


16 Maggio 2025
Per una piattaforma di rivendicazioni anticapitaliste e antimilitariste

Rivolgiamo un appello all'antimilitarismo militante. La Sardegna si trova nella morsa del capitalismo: da una parte lo Stato distrugge le risorse dell’isola, dall’altro il capitalismo per mano del settore turistico le saccheggia e le sperpera. A partire dall’analisi della dinamica presente in Sardegna, tentiamo di offrire una prospettiva ampia per la lotta generale contro il militarismo da una prospettiva anticapitalista. Per la costruzione urgente di una piattaforma di lotta politica attorno a rivendicazioni di classe.


UNA PROSPETTIVA ENERGETICA. RILEGGERE SERGEJ PODOLINSKIJ

I danni prodotti dall’attività militare sono irreversibili e il già incalcolabile danno economico è solo un piccolo indice delle ricadute reali. Il comparto bellico rasforma le forze produttive in forze distruttive, portando all’estremo lo spreco di energie produttive, sociali e ambientali. Ogni sua azione, anche qualora volta a produrre, ha già l’intenzione di distruggere.

Che differenze intercorrono tra il comparto bellico e il settore turistico? Che relazioni hanno? Cosa producono, combinati, in una terra come la Sardegna? Il misconosciuto Sergej Podolinskij, considerato il padre dell’economia ecologica, ci offre uno strumento enorme per compiere una riflessione di questo tipo. La sua teoria si basa sull’assunto che la Terra riceve energia dal Sole, con contributi minori del calore geotermico interno al pianeta e delle forze lunari delle maree. È l'intervento umano che impedisce, grazie al lavoro suo e delle macchine (quello che Marx definisce forza-lavoro), la dispersione di questa energia nell'ambiente. Podolinskij sostiene che lo sviluppo della vita sulla Terra è strettamente legato all'utilizzo che l’uomo fa dell'energia solare, la principale fonte di energia. La relazione tra energia solare e lavoro influisce sul bilancio energetico di un settore produttivo, di un territorio e infine della Terra tutta. Su queste basi tentava, già nel XIX secolo, di armonizzare la teoria della produzione di Marx con i princìpi fisici della termodinamica.

Podolinskij ci suggerisce che tutte le contraddizioni in seno al capitalismo possono essere ricondotte al grado di accumulazione di energia solare entro il sistema produttivo. Cioè riporta l’analisi socio-economica al rapporto tra produzione e accumulazione/dissipazione di energia solare (12). L'uomo è l'unico essere vivente che, anziché disperdere l'energia solare trattenuta dalla Terra, è capace con il lavoro di conservarla e portarla a un grado più alto. Così dall’energia solare trattenuta dal terreno e dall’energia contenuta in un seme, egli è capace di produrre un’altra forma di energia disponibile per nutrirsi, contenuta nel frutto. Così recupera le energie che ha perso per coltivare e, rispetto all’energia prodotta nella coltivazione, può addirittura procurare un eccesso di energia utile.

Podolinskij calcola che un primitivo che non disponesse di armi e strumenti, col suo lavoro procurava a sé stesso pari energia che quella solare disponibile nella terra in cui raccoglieva e cacciava. Con il lavoro delle sue mani nude trasformava in calorie l’energia fornita dalla caccia e dalla raccolta, e ciò contribuiva alla dispersione energetica fisicamente inevitabile in qualsiasi processo di trasferimento di energia. D’altro canto la sua attività non dissipava energia, perché quella che gli serviva per vivere la traeva gratuitamente dai frutti della terra. Se ciò sembra un gran guadagno, c’è da valutare che la sua richiesta energetica si limitava pressapoco al suo nutrimento. Con lo sviluppo delle prime armi rudimentali per la caccia e la pesca, l’uomo iniziava ad aumentare il suo coefficiente energetico riuscendo a rendere più virtuoso il suo lavoro. Dopo la rivoluzione neolitica, il lavoro svolto con le pratiche di agricoltura rudimentale procurava all’umano un’energia di almeno 10 volte superiore all’energia solare accumulata dalla terra. L’umano del XIX secolo gode di un coefficiente energetico di molto superiore (13). Questo bilancio energetico positivo è possibile grazie allo sviluppo di nuove tecnologie di produzione, cioè di nuovi macchinari, che aumentano la capacità di accumulo di energia.

Con la nascita dei complessi macchinari nel’epoca della rivoluzione industriale, diventa evidente che ogni processo economico produce dispersione di energia. L’intervento del lavoro umano sul flusso di energia solare sulla terra lega la teoria della produzione alla teoria energetica. Il grado di dissipazione di energia dipende dal sistema economico che determina i modi dell’attività produttiva. Il modo di produzione capitalistico, non controllando le sue capacità energetiche, disperde una quantità di energia enorme. Così rende vano ogni progresso tecnologico, che non può apportare miglioramenti duraturi e significativi alle condizioni materiali umane.

Allora è utile riprendere da Podolinskij anche il concetto di pluslavoro. Si parla di pluslavoro quando un operaio o una macchina usa più lavoro di quanto è necessario per soddisfare i suoi bisogni (14). Il pluslavoro è la somma dell’energia usata dall’operaio e dalla macchina a fini produttivi: perciò grazie alla macchina l’operaio è sempre in saldo positivo di energia. Di più: le tecnologie contemporanee garantiscono all’operaio energia utile a soddisfare ben più dei propri bisogni essenziali. Ciò implica che il pluslavoro e quindi l'eccesso di energia per i bisogni dell’operaio si ha o aumentando la produttività degli operai o ammodernando ancora i macchinari. Con lo sviluppo tecnologico l'ammodernamento dei macchinari permette di ottenere infine un surplus energetico enorme, rispetto all’energia solare di partenza. Il capitalismo, però, necessita di sempre più pluslavoro per produrre sempre più merci, e per questo è un sistema insostenibile dal punto di vista fisico ancor prima che da quello sociale. È un sistema che dissipa sempre più energia all’aumentare del pluslavoro.

Perciò il capitalismo rende essenzialmente le forze produttive delle forze distruttive, ciò che pone la base di tutti i problemi ecologici, sociali, economici contemporanei. Nei periodi di crisi si osserva che il capitalismo ha necessità di distruggere le proprie merci per regolare i prezzi del mercato, oppure necessita di distruggere le forze produttive degli altri Paesi per accapparrarsi i loro mercati e far defluire le merci in eccesso verso di essi. È chiaro che il costo energetico richiesto da questo processo è enorme.

Per questo la borghesia rassomiglia a un mago che non sa governare i propri enormi poteri. Essa dispiega forze produttive in maniera irrazionale, e porta alle estreme conseguenze il processo di dissipazione dell’energia.


IL VALORE SENZA VALORE: IL SETTORE TURISTICO

I dati di variazione demografica della Sardegna rivelano che nel 2024 la popolazione è diminuita di 9.114 abitanti, e dal 2016 al 2024 ha perso quasi 100.000 abitanti. Mentre la popolazione invecchia, calano drasticamente le nascite e aumenta l’emigrazione (15). Tra i flussi migratori interni all’isola si registra lo spopolamento delle aree interne a favore delle aree costiere turistificate. Questo dato è in controtendenza nei comuni delle aree costiere che il movimento antimilitarista A foras definisce ‘monoculture militari’ come Villaputzu, Arbus e la stessa Teulada: tra il 1961 e il 2016 quest’ultima ha perso il 57,6% della popolazione residente, mentre i comuni costieri limitrofi hanno aumentato la popolazione residente del 29,7% (16). Inoltre, il reddito pro-capite di Teulada è il più basso dell’area.

I dati demografici sembrano giocare a favore del settore turistico. Ma proprio questo settore ha un carattere ambiguo. Sembra che produca valore dal nulla, ma in realtà estrae e rimuove in maniera aggressiva risorse non rinnovabili. È un settore di tipo estrattivo, poiché produce le stesse dinamiche delle industrie come quella mineraria: salari da fame, condizioni di vita terribili per i lavoratori, inquinamento e impoverimento del territorio (17). È un settore che, nel processo estrattivo, cancella la capacità produttiva e riproduttiva del territorio. I lavoratori locali e gli artigiani sono costretti a confrontarsi con esso, modificando i loro stili di vita per non essere soffocati. Devono allora decidere se capitolare o andar via; al loro posto subentrano gli abitanti occasionali e improduttivi, i turisti. È ciò che sta alla base del processo di gentrificazione. La base dell’economia del territorio diventa il consumo coatto e superfluo delle risorse, e non la produzione di risorse. A questo punto il bilancio energetico dipende solo dalle forze estrattive e parassitarie di cui dispone il settore turistico. La forza-lavoro viene impiegata nell’ambito dei servizi al turista, fondato non sulla produzione ma sulla prestazione. Il valore economico reale che il settore turistico produce è irrisorio, tra i più bassi rispetto a tutti i settori e ben sotto la media del valore prodotto nell’intero settore dei servizi nella penisola (producono meno valore economico solo l’istruzione, che è però un servizio necessario alla vita individuale e collettiva, e vari servizi minori aggregati) (18).

L’economia turistica è inoltre un’economia che garantisce un sicuro capitale di rendita. Il capitale economico procurato nel settore turistico cerca e crea il valore economico dove valore economico non c’è. Infatti non è il lavoro dell’uomo o della macchina a produrre ricavi e profitti: le spiagge, i paesaggi, il Sole sulla pelle, i boschi sono già disponibili in principio. Ciò che fa la sedicente imprenditoria è appropriarsene, agire sull’area per costruire i ‘servizi’, renderne progressivamente esclusivo l’accesso e guadagnare dal consumo energetico laddove non è socialmente necessario, a parità di risorse naturali disponibili. I beni culturali e naturali permettono a chi ha la possibilità di investire nel settore (soprattutto sugli immobili) di creare una vera e propria rendita, espropriando le terre alle comunità per i benefici privati. Di fatto i lavoratori del settore percepiscono un salario che è fino al 20% sotto la media (19), cioè senza contare l’enorme quantità di lavoratori in nero sfruttati e sottopagati.

I terreni coltivabili si riducono, e con loro gli umani interessati a dedicarcisi. L’ambiente viene devastato dall’inquinamento e dalle cementificazioni del settore edilizio: la terra si impoverisce perché perde persino la possibilità di rinnovare l’energia solare estratta. Il valore prodotto è un mero valore di scambio in estrema contraddizione con il grado di accumulazione energetica del settore.

Il territorio perde sapore e saperi, ma guadagna in attrattività per gli estrattori turistici: un territorio devastato è un territorio ancora turistificabile, più intensamente, e ora a basso costo.

Questo è ciò che corrisponde all’organizzazione sociale capitalistica, dove contano solo i risultati economici immediati. Cosa importava agli spagnoli a Cuba di bruciare i boschi per concimare le profittevoli piante di caffè, trasformando la terra fertile in «nuda roccia»? (20)


SERVITÙ MILITARE E SETTORE TURISTICO IN SARDEGNA: DISTRUZIONE E APPROPRIAZIONE

Il settore turistico produce un bilancio estremamente negativo, da un punto di vista energetico. L’energia solare di partenza è dissipata in grandi quantità, e il valore economico prodotto non risponde al reale contributo energetico del settore all’ambiente e alla società.

Il militarismo è la fase suprema di questo processo di dissipazione energetica proprio del capitalismo. Se il turismo è un economia di tipo estrattivo, quella messa in moto dal settore bellico è di tipo direttamente distruttivo. La produzione di armamenti e il mantenimento degli apparati bellici, e cioè il mantenimento delle forze distruttive, assorbe oggi circa 2,7 trilioni di dollari in tutto il mondo e circa 33 miliardi di euro all’anno in Italia, l’1,4% della spesa totale globale e l’1,5% del PIL del Paese (21). Tiziano Bagarolo osservava nel 1989 che «le risorse reali immobilizzate o distrutte nella creazione degli apparati bellici sono ancora più rilevanti di quel che non dica la stima monetaria del loro ammontare», e se «la ricerca a fini bellici distoglie da altri scopi tra il 30% e il 50% del personale e delle risorse finanziarie investite nella ricerca» (22), va rilevato che proprio in una prospettiva energetica il bilancio finale del dirottamento delle risorse dalla ricerca civile alla ricerca bellica, vista la natura distruttiva di quest’ultima e la natura estremamente virtuosa della prima, rende la ricerca bellica un assurdo.

Ma in Sardegna la massiccia presenza militare non porta nuove forze intellettuali, perché gli investimenti per la produzione intellettuale in ambito scientifico sono destinati principalmente alle grosse università della penisola.

Il militarismo produce spopolamento, perciò alla perdita di forza-lavoro. Tutte le forze produttive del comparto bellico distruggono forze produttive, forze riproduttive e risorse ambientali dei territori nelle quali agiscono. Le basi militari assoggettano le poche forze produttive rimaste nel territorio all’industria bellica, mentre di fatto rendono sempre più improduttivo il territorio I lavoratori dell’industria bellica sono impiegati per produrre tecnologie e strumenti di morte, cioè per lo stesso oggetto che annienta la loro esistenza. I territori immediatamente adiacenti alle basi militari convivono con l’economia della miseria. La salute della fauna, della flora è irrimediabilmente compromessa. Il bilancio energetico estremamente negativo condiziona in maniera crescente l’intero sistema, anche in divenire.

Mentre il turismo dissipa l’energia solare con tutte le sue conseguenze sociali e ambientali, il militarismo le annienta all’ennesima potenza. Lo spopolamento produce la disgregazione dei tessuti sociali, e le condizioni per la vita comunitaria cessano di esistere. La terra perde di valore anche agli occhi degli abitanti stessi e diventa più suscettibile alle speculazioni distruttive del mercato. La terra a basso valore economico è a maggior ragione appetibile per gli avvoltoi. Lo Stato ha allora la strada spianata per mobilitare sempre più forze distruttive in chiave imperialista (esercitazioni militari), e la miope economia borghese può gioire dei suoi guadagni facili (con il turismo, ma anche con la speculazione edilizia ed energetica).

La dissipazione di risorse della turistificazione è accompagnata dalla distruzione di risorse del militarismo.


PER LA LIBERAZIONE DALLA SERVITÙ MILITARE ATTORNO A UNA PIATTAFORMA DI RIVENDICAZIONI ANTICAPITALISTE

Podolinskij stesso rilevava che gli attributi del comparto bellico, considerando le forze permanenti, le flotte militari, gli arsenali e così via, costituissero insieme un’industria di dissipazione di energia (23).

Da una prospettiva energetica, appare ancora più chiaro che la lotta antimilitarista non può ridursi alla mera lotta contro le basi militari. Quella contro il militarismo è una lotta ampia che riguarda l’impoverimento che il sistema di produzione capitalistico porta con sé. Più in generale riguarda l’impoverimento del proletariato a beneficio della borghesia e del suo Stato. La macchina bellica non è immorale solo perché produce guerra: è immorale perché distrugge le risorse collettive. In questo è il prodotto naturale del capitalismo.

La Sardegna è schiacciata tra la dissipazione turistica e la distruzione militaristica: per l’isola è finita? No. Questo è ciò che ci si prospetterebbe se la nostra fosse una posizione fatalista: ma il ‘vada come deve andare’ non è nel nostro orizzonte. Al pessimismo che suggeriscono le condizioni a cui la Sardegna sembra condannata, noi opponiamo l’ottimismo di un programma anticapitalista, comunista e rivoluzionario. Nella mobilitazione sarda possiamo intravedere la possibilità del riscatto dell’intero movimento comunista mondiale, per la liberazione dei popoli dagli imperialismi e della classe proletaria dalla borghesia e dallo Stato che la rappresenta.

Perché proprio il comunismo? Perché è l’unico sistema capace di collettivizzare sistematicamente le risorse energetiche e di gestirle virtuosamente e in maniera democratica restituendo alle masse oppresse e quindi al proletariato il ruolo di attore storico principale, nei nostri tempi. Quella comunista è l’unica prospettiva utile a risolvere la questione ambientale nella questione sociale, e viceversa. E quindi combattendo il militarismo, si combatte al contempo per l’ambiente e per la giustizia sociale. E dalla lotta contro il militarismo deriva naturalmente la lotta contro il capitalismo in generale.

Oggi tutto questo è ancora più attuale, nel momento in cui lo stato di guerra è dichiarato ancora più platealmente contro il proletariato italiano e i movimenti progressisti, con il decreto legge ‘sicurezza’.

I problemi ambientali possono costituire il momento centrale della critica al modo di produzione capitalistico e allo Stato borghese, ed è irrinunciabile mobilitare oggi le forze per organizzare la sfera sociale e produttiva della società del futuro attorno alla questione ambientale (24).

Proponiamo di rilanciare la lotta antimilitarista attorno a una piattaforma dai contenuti più esplicitamente politici. Crediamo che la lotta non debba svolgersi preminentemente sul piano legale e civile, ma debba invece portare rivendicazioni chiare entro un programma politico ampio ma deciso. Oggi la mobilitazione sarda contro il militarismo rappresenta la mobilitazione più avanzata in Italia, ma deve compiere un salto di qualità perché si approfondisca e si estenda.

Per questo proponiamo alcuni punti e rivendicazioni per la creazione una piattaforma attorno alla quale chiamare e riunire le forze comuniste e progressiste che lottano contro il militarismo ai tempi del riarmo, e per avviare un dialogo trasparente nel variegato mondo delle organizzazioni comuniste nei territori al fine di unificare la forza e costruire una base di massa con al centro i lavoratori, nella lotta antimilitarista:

- rivendicare il rimborso delle spese sostenute e l’indennizzo per gli oneri processuali sostenuti dagli attivisti antimilitaristi incriminati in Sardegna e in tutta Italia;

- rivendicare la superiorità delle ragioni ambientali e sociali rispetto alle ragioni della Difesa nei giudizi legali che riguardano l’inquinamento ambientale derivato dalle attività militari;

- rivendicare l’espropriazione e la riconversione della produzione delle fabbriche di bombe (come la RWM di Domusnovas) e, in generale, dell’intera filiera produttiva del settore bellico, sotto il controllo diretto dei lavoratori;

- rivendicare la dismissione delle basi militari, il ritiro delle truppe, l’analisi dello stato di inquinamento, l’accertamento delle responsabilità dei danni, e la bonifica delle aree interessate;

- riconoscere l’esigenza che all’utilizzo delle risorse espropriate e recuperato dal comparto bellico, debba fare seguito la pianificazione di un programma di risanamento economico e sociale virtuoso per il territorio (sanità, istruzione, ricerca, trasporti, pianificazione energetica, lavoro) che abbia come base la socializzazione delle risorse naturali, sociali ed economiche presenti e future e la loro tutela dalle esigenze private, contro il saccheggio delle risorse da parte della borghesia di tutte le nazionalità;

- riconoscere il colonialismo e le sue configurazioni particolari come un prodotto diretto del modo di produzione capitalistico;

- riconoscere che lo Stato nazionale – garante ultimo dei profitti della borghesia – è un ostacolo insormontabile all’adozione di iniziative sovranazionali imprescindibili per la soluzione di problemi di carattere sovranazionale o mondiale (desertificazione, piogge acide, inquinamento dell’aria e delle acque, …);

- riconoscere che il ‘complesso militare-industriale’ è parte integrante e strutturale del capitalismo per l’economia e per la dominazione imperialista;

- riconoscere che il ‘complesso militare-industriale’ è parte integrante e strutturale dello Stato borghese per la dominazione economica e militare delle sue periferie;

- avviare iniziative per l’attivazione, il coinvolgimento e l’organizzazione nella lotta antimilitarista dei lavoratori dei settori strategici per l’industria bellica (logistici e produttivi), e dei settori al servizio delle realtà militari presenti nei territori;

- avviare iniziative per la sensibilizzazione, l’attivazione, il coinvolgimento e l’organizzazione degli studenti medi e universitari per la lotta contro la ricerca a fini bellici, e per la creazione di contromisure sistemiche contro il pericolo del dual-use nelle ricerche scientifiche.


Per una lotta generale che unifichi le lotte antimilitariste e anticolonialiste alle rivendicazioni generali della classe lavoratrice, per una prospettiva ecologica di sostenibilità e democrazia.

Per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, l’unica alternativa veramente ecologica e democratica ai crimini borghesi.



Note

(12) Sulla differenza tra dispersione e dissipazione. Ogni trasferimento di energia in un sistema comporta la perdita di energia totale del sistema, cioè la dissipazione di energia. Questo è ciò che Clausius definì ‘entropia’. L’entropia è la quantità di energia nell’Universo che ha raggiunto lo stadio in cui non è più capace di trasformarsi ancora. Perciò la dispersione di energia, secondo il secondo principo della termodinamica, è inevitabile laddove c’è lavoro, compresa ogni attività umana. La dissipazione di energia è invece data dall’inefficienza dei sistemi di trasferimento di energia. Più un sistema è inefficiente nel trasferimento di energia, più dispersione produce. Perciò la dissipazione è l’aumento della dispersione di energia a causa di azioni umane che hanno come effetto lo spreco di quantità eccedenti di energia. Questa distinzione ci permette di fare un’analisi critica dei sistemi produttivi da un punto di vista energetico, a partire dall’energia fornita dal Sole alla terra. Si veda Sergej Andreevic Podolinskij, Lavoro ed energia. L’atto di nascita dell’economia ecologica, PonSinMor, Gassino Torinese (TO), 2011, p. 206.
(13) Podolinskij, Lavoro ed energia, p. 268.
(14) In termini fisici il lavoro è l'energia prodotta da una forza per portare un oggetto da uno stato A a uno stato B.
(15) La Nuova Sardegna, Sardegna, crollo demografico nel 2024: scomparso un paese grande come Macomer, 31 marzo 2025. Consultabile al link: https://www.lanuovasardegna.it/regione/2025/03/31/news/istat-in-sardegna-continua-il-drastico-calo-demografico-ecco-i-dati-1.100685077
(16) A Foras, Isole in guerra, pp. 27-28.
(17) Ferdinando Pezzopane, Tiare Gatti Mora, L’industria turistica è nociva come quella fossile, in Jacobin Italia, 7 agosto 2024. Consultabile al link: https://jacobinitalia.it/lindustria-turistica-e-nociva-come-quella-fossile/
(18) Lorenzo Borga, Bene il turismo, ma non è il nostro petrolio, in Il Foglio, 29 luglio 2019. Consultabile al link: https://www.ilfoglio.it/sound-check/2019/07/29/news/bene-il-turismo-ma-non-e-il-nostro-petrolio-267414/
(19) Lorenzo Borga, Bene il turismo, ne Il Foglio, 29 luglio 2019.
(20) Friedrich Engels, Il lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia, in Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 183-195.
(21) Giorgio Pirani, La spesa militare italiana arriva a 33 miliardi di euro all’anno, in QuiFinanza, 28 aprile 2025. Consultabile al link: https://quifinanza.it/economia/spesa-militare-italia-33-miliardi/904566/
(22) Tiziano Bagarolo, Marxismo ed ecologia, Milano, 2006, p. 65.
(23) Podolinskij, Lavoro ed energia, p. 206.
(24) «Solo un’organizzazione cosciente della produzione sociale nella quale si produce e si ripartisce secondo un piano, può sollevare gli uomini al di sopra del restante mondo animale sotto l’aspetto sociale di tanto, quanto la produzione in generale lo ha fatto per l’uomo come specie. L’evoluzione storica rende ogni giorno più indispensabile una tale organizzazione. Essa segnerà la data iniziale di una nuova epoca storica nella quale l’umanità stessa, e con essa tutti i rami della sua attività, in particolare la scienza della natura, prenderanno uno slancio tale da lasciare in una fonda ombra tutto ciò che c’è stato prima». Friedrich Engels, Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 51.


Bibliografia generale

Tiziano Bagarolo, Marxismo ed ecologia, Milano, 2006
Sergej Andreevic Podolinskij, Lavoro ed energia. L’atto di nascita dell’economia ecologica, PonSinMor, Gassino Torinese (TO), 2011.
A Foras, Trinacria, Core in Fronte, Isole in guerra. Occupazione militare e colonialismo in Sardegna, Sicilia e Corsica, Catartica Edizioni, Rende (CS), 2023.
Friedrich Engels. Una vita per la rivoluzione, Marxismo Rivoluzionario, primo trimestre 2021, n.17.
Friedrich Engels, Il lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia, in Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Friedrich Engels, Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Tiziano Bagarolo, Lenin sconosciuto. La rivoluzione sovietica e l’ecologia, in Marxismo Rivoluzionario, n. 17

Partito Comunista dei Lavoratori - Cagliari