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Non vogliamo fertilità e procreazione come destino.

Non vogliamo fertilità e procreazione come destino. Il diritto di decidere della nostra vita è nostro

Respingiamo il maschilismo padronale di Renzi e Lorenzin. Per una sessualità libera dai destini ideologici imposti dal patriarcato e dal capitalismo.

Sono molteplici i motivi per cui abbiamo ritenuto ideologico, maschilista e pericoloso il Piano nazionale per la fertilità promosso dal ministro della salute Beatrice Lorenzin (Nuovo Centrodestra). Nelle intenzioni del ministro il Piano avrebbe i seguenti obiettivi: 

• Informare i cittadini sul ruolo della fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio; 
• Fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità, promuovere interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell'apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale; 
• Sviluppare nelle persone la conoscenza delle caratteristiche funzionali della loro fertilità per poterla usare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente; 
• Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione; 
• Celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il “Fertility day”, giornata nazionale di informazione e formazione sulla fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il “prestigio della maternità”. (1) 

In queste ultime settimane si sono levate molte voci contrarie alla campagna pro-fertilità che hanno criticato diversi aspetti politici del Piano nonché le discutibili scelte comunicative che avrebbero dovuto pubblicizzare il “Fertility day” (giornata dedicata alla informazione e alla formazione sulla fertilità) del 22 settembre scorso. 

La campagna pubblicitaria infatti si è caratterizzata per cialtroneria e ambiguità, tingendosi di toni razzisti (2) e sessisti e rivolgendosi in modo assillante soprattutto alle donne: trattandole alla stregua di egoiste che mettono se stesse davanti al loro “orologio biologico” e al loro dovere nei confronti della comunità e soprattutto al loro ruolo riproduttivo. 
Fra le varie contestazioni, la più significativa è probabilmente quella che afferma che se in Italia non si fanno abbastanza figli è colpa della crisi economica, del precariato, della disoccupazione giovanile ecc. In una fase di erosione avanzata di diritti e di attacco ai salari dei lavoratori e delle lavoratrici viene giustamente ricordato a Lorenzin che i figli rappresentano un lusso. 

Questa prospettiva è sostanzialmente corretta, e coglie una delle principali contraddizioni di questa campagna; però è anche una critica parziale e deve necessariamente essere integrata per mostrare tutti gli aspetti reazionari del progetto del ministro della salute. 

A nostro avviso il Piano pro-fertilità è pericoloso specialmente poiché ripropone con forza e volgarità – basti pensare alle scelte comunicative – l’idea della procreazione come destino biologico e non come libera scelta del soggetto, e tenta di piegare la sessualità, il corpo – in particolar modo quello della donna – e la sua storia alla sola funzione procreativa. 

La campagna richiama costantemente e in modo ambiguo al dovere morale – di fascistissima memoria – della coppia eterosessuale (non si accenna infatti a altre possibili famiglie) nei confronti della nazione; infatti, tralasciando completamente l’importante ruolo assunto dalle popolazioni migranti in Italia negli ultimi anni, il Piano celebra il sodalizio fra la natalità ed il mantenimento del welfare: c’è bisogno di fare figli che un giorno vadano a lavorare perché possano garantire il funzionamento del sistema. È solo alla coppia eterosessuale e italiana che spetta l’onere e l’onore di procreare; non si accenna alla possibilità di genitori single e meno che mai a coppie omosessuali. L’essere fertile viene promosso come l’unico modo per avere figli, trascurando altre possibili alternative quali l’adozione, e le tecniche e i progressi della scienza medica, in questa visione distorta, sono piegati esclusivamente alla tutela della fertilità della coppia. 

Insomma, l’intera operazione è una celebrazione ideologica della famiglia “naturale” di matrice borghese, ed è tanto più pericolosa se si tiene conto del contesto storico in cui si inserisce: viene sancito nuovamente e in modo malcelato quel sodalizio fra governo e Chiesa cattolica che rafforza le varie iniziative a cui abbiamo assistito in questo ultimo periodo quali manifestazioni delle “sentinelle in piedi” e Family day. 
Trasformando la fertilità in un “bene comune” e la maternità in un dovere nei confronti della comunità, il Piano promosso dal ministro Lorenzin consolida di fatto le molteplici campagne e movimenti pro-life e antiabortisti, e legittima il privilegio (perché di certo non si tratta di un “diritto”) dei tanti obiettori di coscienza che all’interno di strutture sanitarie pubbliche ostacolano l’accesso delle donne all’interruzione della gravidanza. 
È dunque una campagna ideologica di stampo democristiano costruita su ribaltamenti e ambiguità: vi è ad esempio un martellamento costante e dai tratti parossistici, per cui la salute e il mantenimento di uno stile di vita “corretto” non sono finalizzati al benessere del singolo individuo in quanto tale ma alla preservazione del suo potere riproduttivo: il soggetto scompare, viene meno, e ciò che resta di lui è la sua fertilità e la sua preservazione: 

«Fin dall’adolescenza la funzione riproduttiva va difesa evitando stili di vita scorretti e cattive abitudini (come ad esempio il fumo di sigaretta e l’alcool), particolarmente dannose per gli spermatozoi e per gli ovociti. È essenziale inoltre evitare, fin dall’infanzia, l’obesità e la magrezza eccessiva e la sedentarietà, oltre a fornire strumenti educativi ed informativi agli adolescenti per evitare abitudini che mettono a rischio di infezioni sessualmente trasmesse o gravidanze indesiderate [ibidem].» 

L’obesità e l’anoressia – considerati alla stregua di comportamenti “scorretti” – vanno evitate perché potrebbero mettere a rischio il potere riproduttivo dei soggetti, e non vanno analizzate e trattate come espressioni di disagio sociale. Tutte queste tematiche, che rappresentano aspetti preoccupanti della contemporaneità, vengono rimossi dal ministro della salute (!) che si preoccupa invece di promuovere una campagna da cui l’individuo ne esce espropriato del proprio corpo e limitato nella costruzione di sé, nella libera ricerca del piacere e del piacersi, e piegato al solo compito della procreazione “per il bene della comunità”. 
Inoltre l’assillante richiamo del Piano alla salute e alla sua tutela cozza nei fatti con i pesanti tagli alla sanità portati avanti da questo come dai precedenti governi. Senza dimenticare inoltre che proprio questo impianto ideologico rafforza il sostrato culturale dei rapporti patriarcali tra uomini e donne, e dunque, in ultima istanza, legittima la violenza che sulle donne viene scatenata quando non rispondono al modello “di servizio” e si sottraggono al dominio maschile. 

A questa logica bigotta, opportunista e complice di un sistema oppressivo e patriarcale noi opponiamo con forza il nostro programma: 

- Lavorare meno, lavorare tutti, e redistribuire il lavoro esistente fra tutti e tutte a parità di salario.
L’autonomia economica di ogni individuo rappresenta da un lato la rottura con il sistema capitalista fondato sul profitto e l’espropriazione umana, dall’altro è un principio fondamentale per garantire la costruzione libera della propria soggettività e del proprio percorso di vita, ed è dunque un presupposto indispensabile, specialmente per quanto riguarda le donne, per la liberazione dall’oppressione familiare e dalla dipendenza dal marito. 

- La genitorialità deve essere considerata una libera scelta fra altre possibili, e non un destino biologico e morale, un presunto dovere nei confronti della comunità, né tantomeno un privilegio “naturale” della coppia eterosessuale. Con questo spirito di superamento dell’ideologia della famiglia “tradizionale” riconosciamo il diritto alla genitorialità tanto al singolo individuo quanto alla coppia omosessuale. 

- Liberazione sessuale significa anche liberare la sessualità dei soggetti dal destino ideologico della procreazione e della maternità. È per questo che l’aborto deve essere libero e gratuito, e deve essere abolita l’obiezione di coscienza. Inoltre, la contraccezione deve essere garantita a prezzi popolari. 

- La liberazione delle donne e delle minoranze sessuali e di genere si iscrive in un processo rivoluzionario di rottura con la morale e con l’organizzazione economica e politica della società attuale, e dunque rivendichiamo come passaggio imprescindibile l’abolizione unilaterale del Concordato fra Vaticano e Stato, l’esproprio senza indennizzo di tutte le grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche e in definitiva l’abolizione di tutti i privilegi fiscali, giuridici, normativi, assicurati alla Chiesa cattolica, a partire dalla truffa dell’8 per mille e dall’insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica. 

Porteremo queste riflessioni e queste rivendicazioni in piazza il 26 novembre alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne, appuntamento a cui partecipiamo con le nostre posizioni indipendenti e con la volontà di promuovere la costruzione di un movimento delle donne realmente radicale e di opposizione all’oppressione di genere e sessuale, così come di rottura con la proprietà privata come principio morale e organizzativo della società capitalista-patriarcale. 



Note 

(1) http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2083 

(2) Emblematica in questo senso la locandina ufficiale della giornata Fertility day, in cui si invitano i cittadini ad evitare i “cattivi compagni” mostrando l’immagine di una famiglia eterosessuale bianca e felice contrapposta a quella di un gruppo di persone straniere intente a drogarsi.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione contro le oppressioni di genere

De Magistris, un “Masaniello” al servizio della Napoli bene

27 Settembre 2016
A distanza di qualche mese dalla competizione elettorale, le promesse fatte da De Magistris trovano già una battuta d’arresto e s’infrangono sullo scoglio insormontabile delle regole del gioco capitalistico e del "rispetto della legge". Regole a cui sottostanno tutti i partiti del teatrino della politica istituzionale: centrosinistra, centrodestra, M5S e sinistra radicale.

A distanza di qualche mese dalla competizione elettorale, le promesse fatte da De Magistris trovano già una battuta d’arresto e s’infrangono sullo scoglio insormontabile delle regole del gioco capitalistico e del rispetto della legge. Regole a cui stanno tutti i partiti del teatrino della politica istituzionale: centrosinistra, centrodestra, M5S e sinistra radicale.
La giunta arancione al governo della città gode del sostegno della quasi totalità della sinistra di lotta napoletana, che la presenta come “un’anomalia” nel quadro politico nazionale. Pertanto il suo operato merita un’analisi attenta ed accurata, al fine di smascherarne la natura di classe.


LA PRIVATIZZAZIONE DELLE AZIENDE PUBBLICHE 

Il Comune di Napoli, prima delle elezioni di giugno 2016, aveva verso le banche un debito pubblico di 810 milioni di euro ed un deficit di circa 671 milioni. La situazione oggi è notevolmente cambiata in seguito alle direttive della Corte dei Conti, su mandato delle banche e di Confindustria, a cui l’amministrazione De Magistris ubbidisce senza batter ciglio: dall’ultimo accertamento finanziario di settembre 2016, il disavanzo è schizzato da 671.000.000 a 1.433.566.607,86 di euro. Questo significa che i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, gli studenti, le classi oppresse saranno costretti, per via del cosiddetto Patto di Stabilità, a pagare un debito fino al 2044 a banche private. Soldi che saranno ricavati sottraendo risorse ai servizi sociali ed ai trasporti; tutte le partecipate del Comune sono di fatti in perdita ed indebitate ciascuna mediamente per oltre 1 milione di euro: Napoli Sociale S.p.A. è fallita ed è stata incorporata con tutti i suoi debiti, pari a 1.385.640,00 di euro, in Napoli Servizi S.p.A., la quale a sua volta appalta esternamente lavori per i servizi di sanificazione, pulizia e manutenzione degli uffici comunali. Spende, cioè, 3,3 milioni di euro per servizi che da statuto dovrebbe garantire essa stessa, sprecando, così, milioni di euro per mantenere per accontentare i privati a cui sono state fatte promesse elettorali in cambio di voti.

Con delibera 148 del 14 marzo 2014, adeguandosi ai tagli imposti dal Governo centrale (“patto di stabilità”, legge 27 dicembre 2013, n. 147), la giunta, a firma Mossetti, Virtuoso e De Magistris, dispone tagli al bilancio delle aziende del Comune, per gli anni successivi per almeno l’8%, e per l’anno 2016 di almeno il 6%, che si aggiunge a quello precedente; decreta un taglio del 30% relativo a nuovi accordi aziendali, sui contratti integrativi dei lavoratori per l’anno precedente (2013). Inoltre, l’articolo 243 bis, richiamato dalla legge Patto di Stabilità, stabilisce tagli per almeno il 10% delle spese complessive e per prestazioni di servizio. In più la delibera comunale stabilisce che la mancata attuazione da parte dei dirigenti delle aziende partecipate dell’indicazioni del Comune fa venir meno il “patto di fiducia” con l’ente controllante.
Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, durante il primo governo De Magistris, con deibera n. 748/2011, la giunta ha stabilito il blocco delle progressioni di carriera, assegnazioni di premi, d’indennità e una tantum per i lavoratori, e di limitare compensi “accessori” a soli casi di emergenza.
Una lettera dell’Amministratore Unico di ANM Ramaglia, del 19 luglio 2016, informava il Comune di Napoli che questi non aveva garantito gli impegni nei confronti dell’azienda per il pagamento degli stipendi dei lavoratori per ottobre e successivi. De Magistris annunciava l’arrivo di addirittura 48 nuovi autobus. Ad oggi, invece, gli autobus nuovi non solo non sono arrivati, ma sono state anche tagliate numerose linee, procurando ulteriori gravi disagi per un trasporto pubblico sempre più al collasso.

Il quadro economico finanziario del Comune ci fa capire che i soldi per ANM, per le partecipate e per i lavoratori, per il momento non ci sono, al netto di tutte le dichiarazioni rilasciate dal sindaco durante i sempre più folkloristici comizi, e che la situazione dei servizi sociali in città per pendolari, lavoratori e studenti potrà soltanto peggiorare, soprattutto a scapito di coloro che vivono nelle periferie.

Anche il fiore all’occhiello elettorale di Gigino, l’ABC, per anni presentato come esempio di gestione pubblica dell’acqua, è appassito ed è diventato il suo tallone di Achille, dopo il suo più recente terremoto politico. Persino le direzioni riformiste dei comitati per l’acqua hanno pubblicamente rotto con De Magistris, che in delibera ha aperto alla partecipazione a gare d’appalto per ABC. Esattamente ciò che fa De Luca sul piano regionale e su mandato d’importanti multinazionali che speculano sui servizi idrici.
ABC, seppur una conquista in termini di scontro sulla questione privatizzazioni, non ha mai conosciuto realmente una gestione pubblica e democratica, perché anch’essa sottomessa alle leggi padronali e ai metodi clientelari della giunta. Nonostante Montalto sia sempre stato un uomo dell’apparato, gli arancioni non hanno esitato a sostituirlo non appena questi ha dovuto aprire il CdA ad alcuni comitati. Per non avere contestatori sui processi di privatizzazione, lo stesso Montalto è stato rimosso con metodi burocratici dalla giunta. Un dirigente a cui si erogava un compenso di ben 400.000 euro e con cui i proletari delle occupazioni si sono spesso scontrati. Senza contare le diverse mobilitazioni dei lavoratori che ne denunciavano la gestione scellerata e incapace. Stesso discorso vale per le prospettive occupazionali dei cento lavoratori del Consorzio San Giovanni, presi in giro dal sindaco che ha promesso loro l’assorbimento in ABC, senza chiarire come sarebbero state garantire le coperture economiche, visto che l’azienda non possiede neppure i soldi per rinnovare l’impianto nel quale sono impiegati questi lavoratori.

Una sfilza di tagli, dunque, sia alle aziende comunali sia agli stipendi dei lavoratori. Oltre ai casi eclatanti di ANM e ABC, ricordiamo la privatizzazione delle Terme di Agnano; il regalo di 1.000.000 € dati ai privati per la gestione degli Asili Nido; tagli di milioni di euro per fondi destinati a disabili, asili nido e lotta al disagio sociale. Più di tre milioni di euro sono stati regalati ai privati per la gestione dei cimiteri; vendita della quota di GESAC, società con bilancio in positivo che gestisce l’aeroporto di Capodichino, che garantisce introiti per milioni di euro per il Comune di Napoli e che fa gola ai privati.
Si dispongono sgomberi “per il mancato possesso da parte degli occupanti dei requisiti essenziali”, si impediscono per “improcedibilità amministrativa” assegnazioni di case a chi ne ha bisogno ed ha una famiglia con figli e persone anziane da curare. Altri ancora vengono sfrattati perché i locali occupati servono per adibirli ad uffici comunali, ma al tempo stesso il Comune paga, sempre per avere locali ad uffici pubblici, centinaia di migliaia di euro di affitto al mese a soggetti privati, alle società immobiliari, alle banche ed alla Chiesa.
Alla faccia della difesa dell’economia pubblica tanto sbandierata dal sindaco. Se le stesse politiche le avesse fatte Valente (PD) o Lettieri (centrodestra), oggi la sinistra "radicale" napoletana sarebbe a contestare la giunta. Tacciono, invece, sull’operato degli arancioni perché legati a doppio filo con essi.


NAPOLI "CITTÀ RIBELLE": DIFFERENZA TRA REALTÀ E AUTORAPPRESENTAZIONE 

La disoccupazione giovanile è al 70%. Ha prodotto suicidi, depressione sociale ed emigrazione, e tutto ciò che l’amministrazione riesce a fare, in perfetta sintonia con le "riforme" del governo Renzi, è incentivare il lavoro occasionale e precario sottopagandolo attraverso l’erogazione di voucher (ticket), organizzando eventi commerciali e ludici per allietare le serate della Napoli bene (America’s Cup, Dolce & Gabbana, Capodanno sul lungomare).
La raccolta differenziata che doveva creare nuovi posti di lavoro è rimasta esattamente dov’era, cioè al 23%, smascherando l’ipocrisia della demagogia populista del sindaco.
I quartieri proletari della città sono sempre più somiglianti ai barrios dei paesi sudamericani, controllati dalla piccola borghesia imprenditoriale-commerciale e dai cartelli mafiosi del narcotraffico.
Sempre meno sono i collegamenti tra la periferia e il centro della città; aumenta l’abbandono scolastico; aumentano i poveri in coda per un pasto; aumenta lo sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero e il mercato della droga continua a distruggere la vita di migliaia di giovani.
Questa è la rivoluzione arancione dello “zapatismo partenopeo” di De Magistris sostenuta dei centri sociali.


"ANOMALIA NAPOLETANA" E INTERESSI PRIVATI 


I collettivi antagonisti, in cambio dell’assegnazione di locali di proprietà pubblica – trasformati in veri e propri spazi privati - hanno sostenuto elettoralmente e politicamente il sindaco. Emblematico è il caso della produzione della delibera del 1 giugno (n°446), che riguarda tale questione ed adottata il giorno antecedente alle elezioni col fine di tenere al guinzaglio i centri sociali. In cambio, questi hanno rinunciato alle proprie rivendicazioni “classiste”, seppur vaghe e senza basi programmatiche, per cedere il passo a quelle interclassiste della “città” e del “popolo”, divenendo, de facto, una cinghia di trasmissione del centrosinistra in quel che rimane dei movimenti giovanili e nelle lotte territoriali (vd. bonifica di Bagnoli).

Mentre da un lato il sindaco cavalca la protesta dei centri sociali, dall’altro, contestando la nomina del commissario straordinario, propone la collaborazione a De Luca e a Renzi nell’obiettivo di dare a privati la sulla bonifica. De Magistris cerca, così, di rafforzare le relazioni tra la sua giunta e la borghesia napoletana nella prospettiva di avere il suo sostegno nel rappresentare una eventuale leadership in una potenziale riorganizzazione nazionale di un centrosinistra senza il PD. Prova, cioè, ad unire, in una commistione d’interessi, pubblico e privato a vantaggio del proprio apparato politico e degli imprenditori. Un progetto che fu molto caro al vecchio PCI.
Per spostare i rapporti di forza nei confronti di Renzi, utilizza come manovalanza i militanti dei centri sociali e delle burocrazie sindacali.


DEMOCRAZIA PARTECIPATA O DEMOCRAZIA OPERAIA? 

Gli slogan sulla “partecipazione democratica” alla gestione de Comune di Napoli risultano, alla prova dei fatti, pura demagogia e propaganda. Il modello politico delle “città ribelli”, stile Barcellona in Spagna, che fa riferimento ad organizzazioni come Podemos e Syriza - le quali hanno capitolato al FMI, alla BCE e alle politiche di austerità - e ripresa dai Disobbedienti in Italia, riprende concezioni teorizzate da Toni Negri, che rifiutando la prospettiva della rivoluzione come unico e solo strumento per il cambiamento della società, e propongono un’alleanza 'di fronte popolare' tra i settori del mondo del lavoro e l’imprenditoria “illuminata” per costruire “contropotere” di soggettività senza caratteri di classe definiti. Progetto fallito, tra l’altro, ovunque si sia tentato di realizzare. La polemica su queste concezioni di collaborazione di classe, dove “il popolo comanda e il governo obbedisce”, vide un acceso scontro nel periodo 2000-2001 in Rifondazione Comunista tra i bertinottiani e le opposizioni interne. La storia recente ha dimostrato che pensare di spostare a sinistra i governi degli imprenditori è una pia illusione. Si è verificato, invece, l’esatto contrario. Sono stati i governi degli imprenditori a spostare a destra i movimenti politici ai quali chiedevano collaborazione.
La storia recente, a quanto pare, non ha insegnato a nulla a movimentisti e all’opportunismo nelle sue varie forme.

L’unica forma di governo capace di dare delle risposte ai bisogni dei lavoratori e della popolazione povera è quella dei comitati di lavoratori, operai, disoccupati, casalinghe, immigrati, studenti, e di tutti i settori che oggi sono oppressi dai capitalisti e dalle classi possidenti. Un potere che ha la sua collocazione non più nei luoghi delle istituzioni borghesi, bensì nei luoghi di lavoro e sui territori, dove l’autogoverno dei lavoratori è espresso su base democratica e con cariche revocabili in qualsiasi momento.
Solo questa può essere la “città ribelle”, perché basata sulla partecipazione di massa dei lavoratori alla vita politica e contrapposta a ogni interesse privato.
Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione di Napoli

VITTORIA!

A testa alta contro Marchionne

28 Settembre 2016
Martedì 27 settembre la Corte d’appello del tribunale di Napoli ha decretato la vittoria per i cinque operai licenziati dalla Fiat di Marchionne.
Martedì 27 settembre la Corte d’appello del tribunale di Napoli ha decretato la vittoria per i cinque compagni licenziati dalla Fiat di Marchionne. Mimmo Mignano, Marco Cusano, Roberto Fabbricatore, Massimo Napolitano e Antonio Montella rientreranno in fabbrica dalla porta principale e a testa alta!

I cinque compagni furono licenziati perché il 5 giugno del 2014 inscenarono una protesta davanti al reparto-confino di Nola, esponendo un fantoccio impiccato raffigurante la faccia di Marchionne per denunciare le tragiche condizioni dei lavoratori del reparto-confino che portarono al suicidio due operai cassaintegrati, Pino De Crescenzo e Maria Baratto.

Questa vittoria contro Marchionne è sicuramente una ventata di ossigeno per tutta la classe lavoratrice, ed è stata possibile grazie alla mobilitazione generale che si è costruita attorno a questa vicenda. Mimmo e compagni sono riusciti con una forza incredibile ad aggregare attorno a sé una solidarietà e un consenso straordinario che sicuramente hanno influenzato e costretto il tribunale a esprimersi favorevolmente.

Dobbiamo ringraziare Mimmo e compagni per aver eroicamente combattuto con tutte le loro forze fino alla vittoria contro la Fiat, ma questa battaglia vinta deve essere ora vigilata e sostenuta perché sicuramente l’arroganza di Marchionne non si fermerà. Allora è necessario sviluppare attorno questa vicenda le condizioni per una ripresa della lotta contro la Fiat dentro il quadro di una ripresa della mobilitazione generale contro governo e padronato.
Partito Comunista dei Lavoratori

Assassinio di classe

15 Settembre 2016
L'omicidio questa notte di un lavoratore egiziano iscritto all'USB davanti ai cancelli della Seam, ditta d'appalto della GLS a Piacenza, è un brutale assassinio di classe. 
Il picchetto dei lavoratori in lotta rivendicava il rispetto degli accordi sindacali in ordine all'assunzione di precari a tempo determinato. Il camion del crumiro che ha sfondato il picchetto è stato spinto all'azione omicida dal personale di guardia dell'azienda sotto gli occhi di una polizia “distratta”. È la misura di come il padronato sia disposto a ogni mezzo per piegare la lotta operaia, con la complicità dello Stato. 

Il PCL si stringe attorno alla famiglia del lavoratore ucciso, ai suoi compagni di lotta, al suo sindacato. Denuncia il crimine padronale. Rivendica una immediata mobilitazione unitaria per imporre la punizione dei responsabili. 

La logistica ha registrato in questi anni una crescita imponente della combattività dei lavoratori, col ricorso a lotte radicali e prolungate che hanno strappato diritti e concessioni. In particolare i lavoratori immigrati sono stati gli splendidi protagonisti di questo ciclo di lotte, ribellandosi alle vessazioni padronali spesso avallate dalla burocrazia sindacale. L'omicidio di questa notte a Piacenza segnala la volontà dei padroni di recuperare il terreno perduto riaffermando il potere assoluto sulle condizioni del lavoro, anche col ricorso a mezzi criminali. 

Ma l'assassinio compiuto non fermerà la lotta dei lavoratori, né alla GLS né altrove. 
Generalizzare la lotta dei lavoratori, estendere l'esempio della sua indicazione radicale, è il modo migliore di rispondere alla arroganza criminale del padronato: alla forza dei padroni va contrapposta la forza di classe degli sfruttati. L'unico strumento che i padroni temono. 

Il capitalismo è sfruttamento e crimine. Solo un governo dei lavoratori che spazzi via la dittatura del capitale potrà fare giustizia vera: nessun crimine verrà dimenticato, nessun crimine resterà impunito.
Partito Comunista dei Lavoratori
Oggi, giovedì 15 settembre, ore 17 presidio davanti alla Prefettura di Bologna indetto da USB