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Genova: orgoglio antifascista e di classe

Cronaca di una settimana di mobilitazione generale

26 Maggio 2019
In questi giorni di maggio, a Genova, si è potuto respirare un vento di passione e ardore che ha riempito polmoni e cuori di rinnovato vigore. Dal porto ai quartieri di questa città è emersa, con forza e determinazione, la catena della lotta di classe che, unendo i suoi anelli, ha messo in mostra la volontà di opporsi e resistere agli spettri del militarismo, del razzismo, del sessismo, del fascismo, dell'oppressione borghese e dello sfruttamento capitalista.
Di fronte alla coltre di buia reazione che avanza in Europa, una serie di fiammelle di resistenza e di speranza hanno saputo accendere un fuoco, dando vita a una settimana di mobilitazione, per ricordare che anche quando l'oscurità di una società marcescente sembra impossibile da scalfire, gli sfruttati e gli oppressi possono trovare in loro risorse e strumenti per reagire, attraverso l'unità nella lotta per una società migliore.

Una mobilitazione in continuità con le battaglie recenti contro il fascismo, il razzismo e la guerra, e che continua nella prospettiva della costruzione di un 30 giugno di lotta, per attualizzare la rivolta della classe operaia cittadina e della sua popolazione contro il congresso del MSI del 1960.


20 MAGGIO: PORTI CHIUSI ALLE ARMI, PORTI APERTI ALLE PERSONE. RESPINTA LA NAVE BAHRI YANBU 

Contro ogni arroganza razzista salviniana e contro ogni ipocrisia (Partito) Democratica, questa volta non passa sotto silenzio l'ennesimo approdo di una delle navi della National Shipping Company of Saudi Arabia.
Non è una novità che Salvini, e il governo sotto il suo scacco, porti avanti la guerra ai "clandestini", ai profughi e a chiunque osi mettersi in mare per salvarli, con la solita retorica dei "porti chiusi" e dell'"aiutarli a casa loro". Con l'avvicinarsi delle elezioni europee, il Ministro dell'Interno plenipotenziario, però, ha accelerato questa campagna di morte annunciando un secondo Decreto sicurezza in cui, da una parte, predisporre multe esorbitanti per chiunque salvi in mare un naufrago se migrante e, dall'altra, aumentare le pene e la criminalizzazione delle manifestazioni, delle contestazioni di piazza e degli scioperi colpendo chiunque osi utilizzare un fumogeno, uno scudo per proteggersi dalle manganellate e così via.
Lo stesso copione del già in vigore Decreto sicurezza, che da una parte colpisce e ridimensiona il diritto di protezione internazionale, rende impossibile la regolarizzazione in Italia per gli stranieri – soprattutto per quelli socialmente ed economicamente più deboli – e rende più ricattabili clandestini e immigrati regolari per trasformarli più facilmente in schiavi di caporali e organizzazioni mafiose e, dall'altra, aumenta le pene per chi pratica un picchetto, un blocco stradale o un'occupazione (sia essa abitativa, sociale o all'interno di lotte sindacali in difesa del posto di lavoro), trasformandoli in reati equiparabili alla pedofilia e peggiori della bancarotta fraudolenta.

Proprio in quei giorni, peraltro, Salvini stava portando avanti una nuova crociata contro la Sea Watch, dopo quella contro Mediterranea e la Mare Jonio, per impedire lo sbarco di 47 persone appena salvate nel Mar Mediterraneo che, nella sua visione, dovrebbero essere lasciate annegare, distanti da occhi scomodi, o essere lasciate alle milizie di tagliagole libici – rinominate Guardia costiera libica – finanziate e armate dal PD di Minniti, Renzi e Gentiloni, per ingabbiarle in un infinito destino di schiavitù, stupri, torture, campi di concentramento e guerra.

Mentre questo mortifero teatrino si consumava nelle stanze del potere, a Genova stava per attraccare la nave Bahri Yanbu, al servizio degli interessi di guerra dell'Arabia Saudita, indiscusso partner commerciale e militare di tutti i governi italiani – lo stesso paese che finanzia le milizie salafite in giro per l'Africa e il Medio Oriente, e che bombarda e costringe alla carestia l'intero popolo yemenita colpevole di non piegarsi ai propri diktat.
Quella nave era già stata respinta giorni prima dai dockers e dal movimento antimilitarista di Le Havre, che si erano opposti a caricare sulla nave cargo, già piena di armi, otto cannoni Ceasar.
La mobilitazione prende piede a Genova non appena si scopre che la città della Lanterna sarà uno degli scali della nave: a farsene carico è il combattivo Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP), che da anni denuncia i traffici della flotta Bahri.
Su questa mobilitazione, e con la convocazione di una assemblea partecipatissima alla Sala Chiamata del Porto, anche la FILT-CGIL locale e regionale prende posizione e annuncia che verrà convocato lo sciopero se si dimostrerà che deve essere caricato materiale bellico.
Solo la costante pressione del CALP, che denuncia pubblicamente il carico pronto all'imbarco – alcuni generatori Shelter della Tekna, in zona grigia perché utilizzabili sia per scopi civili che militari – e la mobilitazione che coinvolge molti antimilitaristi e pacifisti – tra cui il nostro partito e il raggruppamento di Genova Antifascista – ha spinto la FILT-CGIL a dichiarare lo sciopero della Compagnia Unica Lavoratori delle Merci Varie (CULMV) e del terminal GMT, associandosi alla convocazione del CALP di un presidio-picchetto fin dalle ore 6 del mattino del 20 di maggio.

Con quella determinazione la nave, su indicazione del governo, è stata fatta attraccare, ma dopo un'intera giornata di resistenza e trattative con la Prefettura, viene dichiarata la vittoria definitiva: la nave carica solo il materiale di approvvigionamento per l'equipaggio, i materiali militari vengono stoccati per essere portati fuori dal porto, la nave deve partire senza caricare materiale bellico. Sempre con questa determinazione e per timori che sia i cannoni Ceasar che i generatori Shelter potessero essere caricati nel porto militare di La Spezia, la FILT-CGIL Liguria dichiara lo sciopero regionale in caso di tentativo di attracco.
Alla fine la Bahri Yanbu parte, con armi e bagagli – nel vero senso della parola, ma senza le armi bloccate in Liguria – alla volta dell'Egitto, senza una parte fondamentale del suo carico di morte e devastazione, di cui i portuali genovesi e liguri non si sono voluti rendere complici.
Una grande dimostrazione di coscienza di classe e politica antimilitarista e internazionalista che, in una fase in cui la classe lavoratrice fatica a trovare le risorse, la compattezza e il coraggio per lottare anche per la difesa del proprio posto di lavoro, mostra il livello avanzato di questa avanguardia di classe genovese.
A imperitura memoria di quella giornata di lotta e di chi si è tirato indietro rimarrà, peraltro, una scritta firmata dal CALP davanti al terminal: "CISL e UIL servi della guerra".
Contemporaneamente arriva anche la notizia dello sbarco della Sea Watch 3 e dei 47 migranti salvati. "Porti chiusi alle armi! Porti aperti ai migranti!"


22 MAGGIO: MOBILITAZIONE DI SOLIDARIETÀ PER ROSA E LAVINIA 
Un passaggio doveroso va fatto anche sul presidio di solidarietà per la docente di Palermo Rosa Maria Dell'Aria, convocato da un'assemblea variegata di insegnanti, sospesa perché i suoi studenti hanno osato paragonare il fascismo e le leggi razziali al clima imposto dal governo Salvini-DiMaio e dal Decreto sicurezza in due slide; e per la docente Flavia Lavinia Cassaro, licenziata perché insultò la polizia in tenuta antisommossa schierata in difesa di un comizio di CasaPound a Torino. Un presidio che ha visto il sostegno e l'appoggio di sindacati di base come USB Scuola e SiCobas e dell'area sindacale di opposizione CGIL-RiconquistiamoTutto, con centinaia di persone in piazza a ricordare che non è accettabile il ricatto della sospensione e del controllo poliziesco e repressivo sulla scuola e sull'insegnamento.
È quindi doveroso, oggi più che mai, condannare le armi fornite dai governi precedenti, in particolare quelli del PD, attraverso la Buona scuola e la Riforma Madia, che hanno reso i docenti molto più ricattabili e in balia di dirigenti scolastici con poteri sempre più autoritari e sconnessi da strumenti di democrazia collegiale, che avevano caratterizzato la scuola italiana attraverso la partecipazione di rappresentanze di docenti e studenti alle decisioni.


23 MAGGIO: SCIOPERO DEI PORTUALI E BATTAGLIA CONTRO IL COMIZIO DI CASAPOUND 

il 23 maggio è stata la giornata campale di una città che ha messo in mostra tutto il suo orgoglio di classe e antifascista. Due lotte si sono incrociate: quella dei portuali in sciopero per 24 ore e quella contro il comizio elettorale di CasaPound in pieno centro città.
Fin dal mattino la città si è svegliata con l'imponente sciopero e la combattiva manifestazione dei portuali genovesi, che hanno portato in piazza, dopo la mobilitazione di lunedì contro la Bahri Yanbu, la centralità delle condizioni di lavoro, della sicurezza e delle retribuzioni relative alla necessità di un rinnovo contrattuale, oltre alla battaglia contro lo strumento dell'autoproduzione, con cui armatori e terminalisti tentano di far svolgere ai marittimi i lavori dei portuali risparmiando sui costi, sulla sicurezza, sulla formazione. Insomma, al solito, una battaglia necessaria del mondo del lavoro contro le pretese del padronato di aumentare i propri margini di profitto sulla pelle e sul sangue dei lavoratori e delle lavoratrici.

Questo sciopero si è connesso alla più generale mobilitazione politica, preparata in meno di tre giorni, contro l'annunciato comizio in Piazza Marsala di CasaPound e dei suoi nuovi ras locali in giacca e cravatta: Gianni Plinio e Marco Mori.
Tra tutti gli annunci spicca la provocatoria lettera di Genova Antifascista, raggruppamento di cui il PCL è parte integrante, al sindaco Marco Bucci, con cui si richiamava "il gran lavoratore" a rispettare l'ordinanza voluta dalla sua stessa giunta, con cui si sarebbe impegnato ad impedire la concessione delle piazze a chi minaccia l'ordine costituzionale.
Un'ordinanza che però è sempre rimasta lettera morta, a dimostrare che l'antifascismo o si pratica nelle mobilitazioni o rimane semplice formalità scritta sulla sabbia. A quella lettera, infatti, Bucci risponde con la stessa complice evanescenza e con lo stesso atteggiamento ponziopilatesco con cui si è sempre comportato di fronte alle aggressioni ad opera dei neofascisti e alle loro provocazioni e sfilate: «Non è affar mio, siamo in campagna elettorale, sono altri a decidere...». Ma ovviamente gli "altri" hanno già deciso: Questura, Prefettura, Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica (di cui il sindaco è parte) hanno già dato l'ok al comizio-provocazione in pieno centro città; predisponendo un dispositivo di sicurezza in pieno stile G8 del 2001, istituendo una zona rossa a difesa di CasaPound, oltre 300 agenti in antisommossa pronti a scatenarsi contro gli antifascisti e le antifasciste, decine di mezzi blindati.

Due i presidi convocati. Uno sotto la Prefettura, a distanza di sicurezza dalla piazza del comizio, convocato da burocrazie aventiniane di CGIL, ANPI, ARCI e dalla Comunità di San Benedetto. L'altro convocato dalla combattiva e coerente Genova Antifascista, in Piazza Corvetto, la piazza immediatamente antistante la zona rossa, con la determinazione di non lasciare spazio a CasaPound, di coprirne il comizio coi cori e con slogan, ad assediare la zona rossa istituita dalle direttive del ministero di Salvini a difesa di chi gli fornisce magliette, di chi gli pubblica i libri e di chi gli fa da pretoriano riottoso e squadrista.

Il nostro partito, ovviamente, si è fin da subito, coerentemente, posto organicamente in prima linea assieme ai compagni e alle compagne di Genova Antifascista. Ed è proprio la piazza convocata da Genova Antifascista a mostrare l'orgoglio di una città intera, una piazza ampia con oltre 500 antifascisti e antifasciste che non rappresentavano solo un'avanguardia militante e attivistica, perché a difendere quella piazza e a sostenere l'assedio, anche in prima linea, ci sono donne, bambini, anziani, lavoratori, immigrati.
È fin da subito che si mostra tutta la determinazione e la rabbia di chi non può accettare un tale sfregio. Al grido di "Genova è solo antifascista" da subito la piazza si è spinta ad assediare gli alari e i blindati della polizia, che impedivano l'accesso a Piazza Marsala per difendere venti fascisti con le loro bandierine, vigliaccamente asseragliati dietro i manganelli e i blindati di Salvini, tristemente isolati e relegati in un angolino. Rendendo evidente la vergogna e la complicità di un governo che dispone a difesa di CasaPound un dispiegamento di forze e violenza pronto a scatenarsi contro l'antifascismo e l'antirazzismo.
Da qui partiranno due ore di battaglia campale, prima con tre lanci indiscriminati di lacrimogeni CS su tutta la piazza, ogni volta tentando di disperderla e spezzarla e ogni volta ottenendo sempre maggior combattività e determinazione. Ad ogni lancio di lacrimogeni che riempivano l'aria di quell'odore acre e violento, l'intera piazza ritornava ad assediare le grate, a lanciare fumogeni e bulloni contro i fascisti, a denunciare la protezione di Stato.
Quindi sarà la volta delle violentissime cariche di quattro compagnie di Polizia e Carabinieri. Mani rotte, teste fracassate, ciechi pestaggi anche a persone ormai inermi a terra, lanci di lacrimogeni ad altezza d'uomo che fratturano mani e sfondano una vetrina di un bar storico genovese.
Saranno almeno quattro le cariche ma, anche qui, ogni volta la piazza non si fa spezzare. Al grido di "Genova è solo antifascista", di "Ora e sempre Resistenza" e applaudendo chi resiste in prima fila, il terreno viene di nuovo riconquistato e il presidio, rimanendo composito come all'inizio (anzi, raccogliendo nuove adesioni e solidarietà) ogni volta si riprende l'intera Piazza Corvetto e ritorna a coprire ed assediare il ridicolo comizio di CasaPound.

Dopo che i venti fascisti verranno fatti fuggire scortati dai blindati, alcuni anche caricati su un'ambulanza della pubblica assistenza, la piazza esplode e applaude ironicamente, scandendo i suoi "vergogna", la polizia in antisommossa.
È qui che si assume la consapevolezza che nelle violente cariche due compagni – Simone e Marco – sono stati arrestati, e il presidio decide di istituire immediatamente un corteo per andare davanti alla Questura a pretenderne l'immediato rilascio. Saranno in 300 a partire.
Dopo lunghe ed estenuanti trattative, alle 23:00 i due compagni, in attesa del processo per direttissima, verranno accompagnati alle proprie case per svolgere ai domiciliari la custodia cautelare. Il giorno dopo viene convocato il presidio di solidarietà davanti al tribunale di Genova. Le accuse a carico dei due compagni è semplice resistenza, e sono così rilasciati con l'obbligo di firma fino al 19 luglio.

Determinazione, orgoglio, coraggio, unità. Nel nome della tradizione antifascista che scorre nelle vene di questa città, che parte dalla difesa dalle squadracce fasciste, supportate dal Regio esercito, delle Camere del Lavoro ad opera degli operai armati nel Biennio rosso, passando per una Resistenza operaia e studentesca che ha pagato un enorme tributo di sangue, con centinaia di lavoratori deportati nei campi di sterminio nazisti per i coraggiosi scioperi del '43 e del '44, culminando nell'insurrezione e nello sciopero del 23-24 aprile 1945 e nella resa della Wehrmacht firmata nelle mani delle truppe partigiane, unico caso in Europa.

Denunciamo il fatto che le burocrazie di ANPI e CGIL hanno vergognosamente spezzato la continuità della piazza, lasciando disporre davanti al loro presidio un cordone di polizia in antisommossa rivolto verso la piazza di Genova Antifascista (a cui molti loro iscritti e dirigenti si sono uniti coerentemente), che ha combattuto per difendere la sua posizione, e ogni volta riprendersela.
Denunciamo il fatto che nei giorni successivi i vertici dell'ANPI si sono immediatamente spesi nella doverosa e condivisa solidarietà con il giornalista di Repubblica Origone per il violentissimo pestaggio subito, dimenticandosi tuttavia della solidarietà con le centinaia di antifascisti, giovani e anziani, gasati e pestati altrettanto violentemente.
Nonostante la condanna ipocrita, "democratica" e aventiniana della battaglia e dell'assedio, etichettate come "violenza antagonista", noi rivendichiamo tutto.

In quella piazza non sono esistiti distinguo tra "buoni" e "cattivi", "antagonisti" e "pacifici". Quella piazza era un pezzo di Genova, della sua classe lavoratrice, della sua popolazione antifascista. Quella piazza esprimeva l'anima migliore della città, che non si arrende, che denuncia lo sfregio del comizio di CasaPound come la complicità di giunte e governi, attuali e passati. Una piazza che, con Genova Antifascista, lancia la prospettiva di una mobilitazione antifascista ma al tempo stesso anticapitalista, come dimostrano i lavori in preparazione del corteo di domenica 30 giugno e delle iniziative dei giorni precedenti.
Perché fascismo, razzismo, sovranismo, sessismo e discriminazioni si combattono con le mobilitazioni di classe e di massa, li si combattono scagliandosi contro lo sfruttamento e l'oppressione, e quindi contro il capitale, la borghesia grande e piccola, i suoi partiti – dal Partito Democratico al M5S – e i suoi governi, di centrosinistra, di centrodestra, tecnici o populisti.
Perché la reazione della piccola borghesia nazionalista e l'illusione della grande borghesia europeista e liberista si combattono con l'autorganizzazione e l'unità di tutta la classe proletaria, italiana e straniera, e con un fronte di massa che unifichi ogni battaglia contro ogni oppressione e discriminazione; per lavorare tutti e tutte, meno ore e a salari maggiori; per avere casa, salute, istruzione, trasporti, servizi pubblici universali, popolari; per una vera democrazia diretta fondata sulla gestione di ogni luogo di lavoro e quartiere da parte di chi vi ci lavora e ci vive.
Perché l'unica risposta alla barbarie, alla reazione e alla guerra si chiama rivoluzione sociale, si chiama comunismo!



Qui trovate gli audio dell'intervista di Radio Onda d'Urto a Cristian Briozzo (Comitato Centrale del PCL)
Cristian Briozzo

«Ti stupro!» – Il fascismo e la sua politica di annichilimento delle donne

Di recente, a Casal Bruciato, i fascisti di CasaPound hanno assediato una famiglia di etnia rom a cui era stata assegnata una casa popolare, urlando “troia”, “ti stupro” a una terrorizzata madre che teneva in braccio una ancor più terrorizzata bambina.

Questa minaccia, lo stupro, è invece stata messa concretamente in pratica da parte di due camerati di CasaPound di Viterbo, che hanno brutalizzato una donna resa incapace di difendersi all'interno della sede del partito.

Lo stupro come arma di guerra politica e sociale è una costante dell'azione politica dei fascisti, vecchi e nuovi. Non rappresenta una casualità criminale, ma una conseguenza diretta di una cultura della sottomissione e dell'oggettivizzazione femminile e di annichilimento dell'avversario politico.

Fu un atto politico lo stupro di Franca Rame, finalizzato a zittire la voce di una donna, ma prima di tutto di una comunista.
Lo stesso carattere punitivo, di genere e di classe, ebbe lo stupro nel 1975 di Rosaria Lopez e di Donatella Colasanti da parte di quattro fascisti pariolini, la prima torturata e barbaramente uccisa, la seconda sfuggita dal destino della compagna fingendosi morta.
Le due erano ragazze di borgata, appartenenti a un genere, quello femminile, e a una classe, quella proletaria, che i neofascisti ritenevano e ritengono inferiore, e che era (ed è) ammissibile annichilire, brutalizzare, sfruttare, persino uccidere.

I vigliacchi atti fascisti nei confronti delle donne che i camerati compiono oggi sono figli degli stessi atti che compivano i loro nonni del Ventennio. Sono profondamente radicati nella stessa ideologia misogina, bigotta e sessuofobica.
Durante il fascismo la donna veniva considerata solo ed esclusivamente nella misura in cui svolgeva una funzione utile all'uomo e al regime. Era innanzitutto una fattrice, un'incubatrice di giovani virgulti italici. Ieri Mussolini premiava le donne che partorivano molti figli per la patria, e oggi i neofascisti di Forza Nuova propongono il reddito per le madri.

In questa filosofia di sfruttamento individuale e statale del corpo femminile, gioca(va) un ruolo fondamentale anche la chiesa cattolica, che da sempre e con ampia documentazione teologica afferma che la donna è un essere inferiore, non finito, un uomo malriuscito (San Tommaso, San Paolo).

Va da sé che, non potendo aggirare il dato biologico che sono le donne a fare figli, tale capacità riproduttiva vada strettamente normata, togliendo alle donne qualsiasi controllo sul proprio corpo, che è corpo di servizio al regime. Nessuna contraccezione, nessun accesso all’aborto, nessuna possibilità di autodeterminazione di sorta.
La donna fascista è prima di tutto madre. Chi devia da questo ruolo – per scelta o per impossibilità – o chi si ribella, è spesso marginalizzata, quando non addirittura internata in manicomio o resa inoffensiva (come avvenne a Ida Dalser, che ebbe il figlio illegittimo del Duce, Benito Albino, entrambi internati e morti in manicomio).

L'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, istituita nel 1925, rese subito evidente che quest'organo non tutelava la donna in quanto tale, ma tutelava la sua funzione riproduttiva. Infatti nel testo viene definita “madre”, non donna. Al di fuori della donna-mater, la donna serviva a poco nel fascismo.
Anzi. Un altro utilizzo che il camerata poteva fare del corpo della donna era quello ricreativo, a cui aveva sempre e comunque diritto. Le case chiuse del periodo mussoliniano, di cui oggi non a caso la destra invoca la riapertura, costituiscono un esempio lampante: la prostituta è il necessario contraltare alla moglie per il camerata. Nessuna delle due è un individuo riconosciuto ed entrambe hanno funzioni diverse e complementari per il pater familias. Un concetto ribadito persino dall’attuale ministro dell’Interno.

Il lavoro è un altro punto dolente per i vecchi e nuovi fascisti. Essendo il lavoro, e quindi l'autonomia economica, la strada principale e privilegiata per l’autodeterminazione della donna, i fascisti vecchi e nuovi lo avversano e fanno di tutto per renderlo inaccessibile. La difesa della famiglia tanto sbandierata dai neofascisti è subordinata a una condizione ferrea: che la donna non lavori.
La mancanza di indipendenza economica è la ragione strutturale per cui tante donne ancora oggi rimangono in contesti famigliari violenti, spesso fino a perdere la vita.
La prima mossa del vecchio fascismo in questo senso fu precludere alle donne l'istruzione, sia come docenti sia come studentesse. Nel 1926 alle donne venne attivamente impedito di insegnare materie scientifiche negli istituti superiori. Rimasero solo a fare le maestrine dal braccio alzato.
Nel 1938 il fascismo emanò una legge per limitare la percentuale massima di donne impiegate negli uffici pubblici e nelle ditte private a un massimo del 10% della forza lavoro.

Il capitalismo, di cui il fascismo è espressione più platealmente violenta, sta perseguendo lo stesso obiettivo oggi come allora: con precarietà, flessibilità e attacchi ai diritti dei lavoratori e lavoratrici e alla maternità, si stanno spingendo le donne sempre di più dentro casa. Nel meridione due donne su tre non lavorano. I tassi di abbandono del lavoro in seguito alla maternità sono inquietanti. L’attacco ai servizi e al welfare dei governi di ogni colore persegue lo stesso obiettivo: costringere le donne a scegliere la famiglia, ricacciandole nella passività e controllandone la vita riproduttiva.

Ma torniamo ai nostri camerati odierni, che promettono lo stupro e lo mantengono. Non possiamo stupirci. A legalizzare lo stupro fu proprio il Duce, con il nuovo Codice penale del 1930, che sanciva il matrimonio riparatore. Donne, maggiorenni e minorenni, potevano essere tranquillamente stuprate; si risolveva tutto sposandole. Il fascismo condannava quindi le donne non solo a subire violenza, ma a convivere con il proprio stupratore per tutta la vita. Persino l'incesto venne considerato un delitto contro la morale, e non contro la persona.
Il Codice penale del 1930 regalava agli uomini altri ameni diritti, come il delitto d'onore, per cui in uno stato d'ira era giustificabile uccidere una donna che avesse disonorato un uomo con la sua condotta, fosse egli padre, marito o fratello. Chiaramente a sessi inversi tutto questo non funzionava. La legge parlava chiaro. Altrettanto chiaramente il giudizio sull’eventuale “disonore” spettava a una giuria di uomini.
L'impunità che di fatto si garantiva a chi uccideva una donna era un'arma di oppressione straordinaria, un ricatto costante: qualsiasi donna che non avesse rispettato la volontà dell'uomo che la comandava rischiava ogni giorno la vita, e il suo assassino aveva l'impunità garantita. Una vita di sopraffazione giornaliera. Il delitto d'onore sanciva l'inferiorità della donna anche per la giurisprudenza.

Abbiamo dovuto attendere il 1981 per abrogare queste leggi vergogna. Perché anche alla neonata Repubblica borghese facevano comodo.

Quello fascista era un vero e proprio sistema oppressivo, violento e assassino, che si concretizzava in tutti gli aspetti della vita femminile. In questo contesto si inserisce lo stupro come arma di guerra utilizzato nelle colonie, con l'istituzione del madamato, dello stupro sistematico delle partigiane e delle donne combattenti.
Ancora negli anni Settanta, incalzato da Elvira Banotti, un esterrefatto Montanelli difendeva l’abuso verso il suo «animalino docile», ossia la bambina di dodici anni comprata e violentata quando era militare in Abissinia.
Nella campagna di Libia, a donne incinte venne squartato il ventre e i feti infilzati. Giovani indigene furono violentate e sodomizzate (ad alcune infisse candele nella vagina e nel retto). Una tattica di guerra che i fascisti vecchi e nuovi applicano agli oppositori politici, alle minoranze, ai bersagli del loro odio.

La barbarie dei fascisti, di ieri di oggi, si radica nella vigliaccheria che questi dimostrano verso chi ritengono inferiori. Le donne hanno l'aggravante, agli occhi dei fascisti, di detenere il potere della maternità, un aspetto che è assolutamente necessario controllare per chi non riesce a rapportarsi da pari con gli altri. L’oppressione di genere si arricchisce di un aspetto aggiuntivo rispetto all’oppressione razzista, coloniale e politica: quello sessuale.

La sostituzione etnica di cui vaneggiano i fascisti, e le conseguenti iniziative per il sostegno alla maternità (ovviamente italica), è appunto il terrore della contaminazione, il razzismo che incontra il sessismo.
Si tratta di un’espressione terribile del proprio senso di inferiorità biologica, psicologica e sociale. Lo stupro, anche quando è privo di connotati politici (se mai lo fosse) è sempre una questione di potere, la pulsione sessuale dello stupratore non c’entra nulla.
Lo stupro, nel caso dei fascisti, è assunto a programma politico, a strumento di controllo, a prassi militante.
Se il fascismo si è fregiato dell’ambizione di costruire un uomo “nuovo”, un superuomo nietzschiano animato da un’inarrestabile volontà di potenza, la donna “nuova” costruita e immaginata dal fascismo è terribilmente vecchia, non moderna, medioevale.
Tale concezione della donna, sostanzialmente sovrapponibile a quella fondamentalista cattolica, non è altro che uno specchio che rovescia e rivela che, in realtà, questa virile volontà di potenza, concretizzata nella violenza sessuale e nella prevaricazione di classe, non è altro che la più plateale dimostrazione di impotenza.

Wilhelm Reich ha giustamente colto tutto il potenziale della repressione sessuale come strumento di controllo sociale in Psicologia di massa del fascismo:

«Se esaminiamo la storia della repressione sessuale e l'origine della rimozione sessuale constatiamo che essa non ha inizio all'origine dello sviluppo culturale, e che quindi non è la premessa per lo sviluppo culturale, ma cominciò a formarsi solo relativamente tardi insieme al patriarcato autoritario e all'inizio della divisione in classi della società. Gli interessi sessuali di tutti cominciano ad entrare al servizio degli interessi di profitto economico di una minoranza; sotto la forma del matrimonio e della famiglia patriarcali questo dato di fatto ha assunto una precisa forma organizzativa. Con la limitazione e la repressione della sessualità i sentimenti umani subiscono una trasformazione, nasce una religione sessuo-negativa e gradualmente costruisce una propria organizzazione sessuo-politica, la chiesa con tutti i suoi precursori, il cui obiettivo è soltanto quello di annientare il piacere sessuale degli uomini e quindi anche quel briciolo di felicità su questa terra. Tutto questo ha un preciso significato sociologico in rapporto con l'ormai fiorente sfruttamento della forza lavorativa umana. […] L'uomo educato e formato autoritariamente non conosce le leggi naturali della autoregolazione, non ha alcuna fiducia in se stesso; ha paura della propria sessualità perché non ha mai imparato a viverla naturalmente. Egli declina quindi ogni responsabilità per le proprie azioni e le proprie decisioni e chiede di essere diretto e guidato […] Il fascismo ideologicamente è la ribellione di una società malata mortalmente sia sul piano sessuale che economico contro le dolorose ma decise tendenze del pensiero rivoluzionario verso la libertà sessuale ed economica, una libertà al solo pensiero della quale l'uomo reazionario viene assalito da una paura mortale.»

Come combattere quindi un esercito di brutali scimmie represse, incapaci di vedere la propria disumanizzazione, impotenti e balbettanti, sempre alla ricerca freudiana di un padre a cui dimostrare la propria virilità? (Non a caso uno degli stupratori di Viterbo inviò proprio al padre il video dello stupro, dimostrazione all’autorità superiore delle sue prodezze fasciste).

Non è possibile una rieducazione. Non è sufficiente una battaglia culturale. Le radici di comportamenti apparentemente sporadici affondano in un sistema sociale completamente marcio, che va abbattuto, cancellato e ricostruito.
Lo stupro è espressione di potere di un genere sull’altro, di una classe sull’altra, dello sfruttatore sullo sfruttato.
Non è pensabile tagliare qualche ramo del sistema capitalistico e aspettarsi che smetta di produrre questi frutti maleodoranti.
Capitalismo, sfruttamento e fascismo vanno sradicati con la rivoluzione socialista. Altra strada non esiste.





* Gustavo Ottolenghi, Gli Italiani e il colonialismo. I campi di detenzione italiani in Africa, Milano, SugarCo, 1997, pp. 60 in poi.
MG

25 APRILE 2019

FB Antifascismo di Classe

PER UN ANTIFASCISMO DI CLASSE
Sono ormai anni che in Italia si assiste ad una ripresa impetuosa di manifestazioni politiche e organizzazioni fasciste, mentre il razzismo e una cultura di destra radicale hanno fatto una breccia enorme nelle classi lavoratrici, nei quartieri popolari e in quello che era il blocco sociale di riferimento della sinistra.
Il Ministro dell’Interno, Salvini, con un ruolo sempre più preponderante nel governo “giallo-bruno” Lega-M5S, soffia sul fuoco della xenofobia fino al punto di commettere un crimine contro l’umanità respingendo dei rifugiati in un paese in guerra, come la Libia.
Lo stesso Salvini è oggi il campione di settori popolari affascinati dalla retorica dell’estrema destra e delle organizzazioni fasciste. Le sue ruspe distruggono i campi nomadi, i fascisti di Casapound e Forza Nuova completano il pogrom aizzando i residenti dei quartieri poveri contro i Rom e i migranti che cercano una soluzione abitativa.
Ancora una volta razzismo e fascismo vengono utilizzati dalle destre per dividere la classe lavoratrice; ponendo da una parte i cosiddetti lavoratori autoctoni e dall’altra i migranti, si crea un falso nemico contro cui scatenare le proprie frustrazioni e sofferenze. I poveri e i poverissimi diventano i nemici di Stato, mentre il padronato continua indisturbato nei suoi affari.  I porti chiusi in faccia ai migranti che scappano da guerra e miseria sono il prodotto dell’intervento imperialista del capitalismo italiano in Libia, l’effetto collaterale delle politiche padronali sul piano internazionale. Non un caso, un accidente o un’eccezione.
Per questo oggi non può bastare un antifascismo di maniera, retorico, da celebrare solo alle feste comandate.
No. È urgente e necessario un ritorno alle mobilitazioni di classe. 
E’ evidente. Lo dimostra proprio questo governo: le leggi contro la ricostituzione del partito fascista, la sua propaganda la Costituzione non bastano a respingere il fascismo. Se quelle leggi servissero, non potrebbero esistere un governo e un ministro che favoriscono la crescita dell’estrema destra e delle organizzazioni fasciste. La maschera grottesca di Salvini, le sue leggi sulla sicurezza (decreto sicurezza) e sulla legittima difesa lo dimostrano eloquentemente.
È necessario riprendere, oggi come non mai, il filo dell’antifascismo come lotta di classe del mondo del lavoro contro il padronato.
PER UN ANTIFASCISMO ANTICAPITALISTA
«Nessuno deve restare indietro, sia esso italiano, nero o rom». Un ragazzino di quindici anni, figlio di un licenziato di Almaviva, ha fronteggiato da solo i fascisti nella borgata di Torre Maura a Roma, la sua borgata. Lo ha fatto dopo che ha visto i fascisti calpestare il pane destinato ai rom, sospinto da un senso elementare di umanità e di giustizia. 
L'episodio dice molto, soprattutto a sinistra. 
La prima cosa che dice è che è possibile contrastare i fascisti, anche sui temi più difficili. Casa Pound e Forza Nuova hanno imposto la propria legge, cioè la legge della forza squadrista. Ora la loro vittoria rischia di propagare l'esempio in altri quartieri e città, offrendo una bandiera miserabile a settori popolari immiseriti e declassati. È’ necessario allora recuperare l'iniziativa antifascista costruendo ill fronte unitario più largo e determinato.
La seconda cosa che l'episodio coraggioso indica è come contrastare il fascismo. “Nessuno deve restare indietro, italiano, nero o rom” corrisponde ad una piattaforma di mobilitazione che vada ben al di là della solidarietà ai rom e agli immigrati. E’ necessario avanzare rivendicazioni comuni capaci di unire tutti gli sfruttati al di là di ogni differenza etnica. Casa per tutti anche attraverso l'esproprio di grandi proprietà immobiliari, un lavoro per tutti anche attraverso l'investimento pubblico nel risanamento di case fatiscenti e strade disselciate, un sistema di servizi sociali, a partire dagli asili, che dia supporto alle famiglie povere... sono rivendicazioni patrimonio dell’iniziativa iniziativa antifascista. I fascisti occupano spazi che la sinistra politica ha abbandonato e tradito. Solo rioccupando quegli spazi è possibile tagliare l'erba sotto i piedi dei fascisti. Ma ciò non significa tenere convegni sull'abbandono delle periferie, magari sotto elezioni.
Significa organizzare gli sfruttati e la loro lotta contro il loro vero nemico. Che è il capitalismo, innanzitutto quello di casa nostra
L'antifascismo, più che mai, o è anticapitalista o non è.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI - SEZ. DI BOLOGNA

La lezione di Torre Maura

«Nessuno deve restare indietro, sia esso italiano, nero o rom». Un ragazzino di quindici anni, figlio di un licenziato di Almaviva, ha fronteggiato da solo i fascisti nella borgata di Torre Maura a Roma, la sua borgata. Lo ha fatto dopo che ha visto i fascisti calpestare il pane destinato ai rom, sospinto da un senso elementare di umanità e di giustizia.

La stampa borghese di impronta progressista ha dato ampio risalto all'episodio, rappresentandolo in termini di contrapposizione simbolica di valori (antirazzismo contro razzismo). Ma l'episodio dice assai più di questo, soprattutto da un punto di vista politico. Soprattutto a sinistra.

La prima cosa che dice è che è possibile contrastare i fascisti, anche sui temi più impervi. Possibile e necessario. Organizzazioni fasciste in 24 ore centralizzano la propria azione squadrista in un quartiere di Roma abbandonato al degrado aizzandolo contro i rom: “Via da qua, dovete morire di fame”, “ Scimmie, vi bruciamo vivi”. Un vero e proprio inizio di pogrom. E la sinistra romana dov'è? Dove sono le organizzazioni antifasciste, le organizzazioni sindacali, le formazioni della sinistra? Il fatto clamoroso non è stato l'azione dei fascisti, che fanno appunto i fascisti. È stata l'assenza di ogni contrasto, di ogni contro mobilitazione. È la misura di un arretramento che regala ai fascisti nuove praterie, e nuovi successi. Ciò che resta dei fatti di Torre Maura è che “Casa Pound e Forza Nuova hanno cacciato i rom”, con la connivenza supina della sindaca Raggi. Hanno imposto la propria legge, cioè la legge della forza squadrista. Ora la loro vittoria rischia di propagare l'esempio in altri quartieri e città, offrendo una bandiera miserabile a settori popolari immiseriti e declassati. È necessario allora recuperare, prima di tutto, l'iniziativa antifascista attraverso il fronte unitario più largo e determinato. Non solo a Roma ma ovunque. Non si può abbandonare l'antifascismo alla solitudine di gesti esemplari.

La seconda cosa che l'episodio coraggioso richiama è il contenuto dell'azione di contrasto. “Nessuno deve restare indietro, italiano, nero o rom” è la cifra semplificata di una possibile piattaforma di mobilitazione. Possibile e necessaria. Una piattaforma che va ben al di là della solidarietà ai rom e agli immigrati oggetto di aggressioni odiose, ma lega invece la solidarietà a un piano di rivendicazioni comuni capaci di unire tutti gli sfruttati al di là di ogni steccato etnico. Le parole d'ordine di una casa dignitosa per tutti anche attraverso l'esproprio di grandi proprietà immobiliari, di un lavoro per tutti anche attraverso l'investimento pubblico nel risanamento di case fatiscenti e strade disselciate, di un sistema di servizi sociali, a partire dagli asili, che dia supporto alle famiglie povere... sono parole d'ordine da incorporare alla iniziativa antifascista. I fascisti occupano spazi che la sinistra politica ha abbandonato e tradito. Solo rioccupando quegli spazi è possibile tagliare l'erba sotto i piedi dei fascisti. Ma rioccupare quegli spazi non significa tenere convegni sull'abbandono delle periferie, magari sotto elezioni. Significa organizzare gli sfruttati e la loro lotta contro il loro vero nemico. Che è il capitalismo, innanzitutto quello di casa nostra.
L'antifascismo, più che mai, o è anticapitalista o non è.
Partito Comunista dei Lavoratori

NO AL GOVERNO DEGLI IMBROGLIONI

Un governo leghista... a Cinque Stelle

Il nuovo governo Di Maio-Salvini (Conte è solo un prestanome) imbroglia i lavoratori e le lavoratrici.

La nostra denuncia non ha niente a che fare con le “critiche” del PD o dell'Unione Europea, unicamente preoccupati dei conti pubblici del capitale. La nostra denuncia muove dalle ragioni opposte: quelle dei lavoratori e di tutti gli sfruttati.

Il nuovo governo tutela innanzitutto la peggiore eredità di Renzi. Mentre gli operai muoiono sul lavoro anche perchè ricattati dalla precarietà e dalla cancellazione dei diritti, il nuovo governo non solo conserva il Job Act e  tutte le leggi di precarizzazione del lavoro, ma reintroduce i famigerati voucher. 
Mentre salgono in Borsa i profitti di grandi imprese e banche, il nuovo governo VUOLE ABBASSARE la tassa sui profitti al 15%, nel quadro di una riforma fiscale in cui chi ha di più paga di meno.  E' il più grande regalo fiscale ai padroni dell'intero dopoguerra.

E' vero, si promettono elemosine sul cosiddetto “reddito di cittadinanza” e pensioni.
Ma il reddito è condizionato all'accettazione di lavoro precario, 41 anni di contributi sono un miraggio per i giovani dopo una vita di precariato,  si mantiene l'automatismo delle aspettative di vita per l'età pensionabile a tutela del capitale finanziario. Ma soprattutto queste stesse promesse non hanno copertura. Qui sta l'imbroglio. Se vuoi regalare una montagna di soldi ai padroni, se vuoi continuare a pagare il debito pubblico alle banche, hai difficoltà a finanziare persino le elemosine che prometti. O le promesse resteranno tali o saranno messe sul conto dei “beneficiari” con nuovi tagli sociali. Salvini e Di Maio hanno già pensato alla  valvola di sfogo su cui dirottare la delusione: la campagna odiosa contro gli immigrati. Il piano di segregazione e cacciata di 500000 immigrati cosiddetti “clandestini”( perchè privati di diritti) si combina con la discriminazione persino degli immigrati “regolari” in fatto di asili e sussidi. Una discriminazione esplicitamente etnica. E' un caso che I FASCISTI di Casa Pound abbiano applaudito al nuovo governo? 

Il vero sottotitolo di “Prima gli Italiani” è “prima i capitalisti E I BANCHIERI”, a spese di tutti gli altri.
E' ora di contrapporre: “ prima i lavoratori, prima le lavoratrici, e con essi tutti gli sfruttati”.

    Per la cancellazione del Job Act e di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro.
  Per la riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di salario, ripartendo il lavoro tra tutti.
    Per la pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro, pagato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti.
    Per un vero salario ai disoccupati e ai giovani in cerca di prima occupazione, pagato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese private.

PER UNA NAZIONALIZZAZIONE SENZA INDENNIZZO (SALVO AI PICCOLI AZIONISTI) E SOTTO IL CONTROLLO DEI LAVORATORI DI TUTTE LE AZIENDE CHE DELOCALIZZANO O LICENZIANO.

Solo una mobilitazione generale per queste rivendicazioni può unificare 17 milioni di lavoratori salariati e attorno ad essi l'esercito dei disoccupati. Solo la rottura col capitalismo, solo l'abolizione del debito pubblico verso le banche usuraie e la loro nazionalizzazione senza indennizzo (salvo i piccoli azionisti e col rispetto dei depositi dei risparmiatori) può dare prospettiva a questa mobilitazione.

Solo un governo dei lavoratori può realizzare tali misure, garantendo la vera “sovranità popolare”.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Un governo leghista... a cinque stelle

Il governo annunciato Di Maio-Salvini - Conte è solo un prestanome - è una minaccia reazionaria per i lavoratori, per le lavoratrici, per tutti gli sfruttati. Piccole elemosine sociali non riescono a nascondere questa verità.

Naturalmente la nostra denuncia non ha niente a che fare con le “critiche” del PD o dell'Unione Europea, unicamente preoccupati dei conti pubblici del capitale. La nostra denuncia muove dalle ragioni opposte: quelle dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati.

Il nuovo governo tutela innanzitutto la peggiore eredità di Renzi.
Mentre gli operai muoiono sul lavoro anche perché ricattati dalla precarietà e dalla cancellazione dei diritti, il nuovo governo non solo conserva il Jobs Act e tutte le leggi di precarizzazione del lavoro, ma reintroduce i famigerati voucher.
Mentre salgono in Borsa i profitti di grandi imprese e banche, il nuovo governo abbassa la tassa sui profitti al 15%, nel quadro di una riforma fiscale in cui chi ha di più paga di meno. È il più grande regalo fiscale ai padroni dell'intero dopoguerra.

Si promettono concessioni su reddito di cittadinanza e pensioni.
Ma il reddito è condizionato all'accettazione di lavoro precario, e 41 anni di contributi sono un miraggio per i giovani dopo una vita di precariato. Intanto si mantiene l'automatismo delle aspettative di vita per l'età pensionabile, a tutela del capitale finanziario. Ma soprattutto queste stesse promesse non hanno copertura. Non è un caso. Se vuoi regalare una montagna di soldi ai padroni, se vuoi continuare a pagare il debito pubblico alle banche, non puoi finanziare neppure le elemosine che prometti. O le promesse resteranno tali o saranno messe sul conto dei "beneficiari" con nuovi tagli sociali.

Salvini e Di Maio hanno già pensato a una valvola di sfogo della delusione sociale: la campagna odiosa contro gli immigrati. Il piano di segregazione e cacciata di 500.000 immigrati cosiddetti clandestini (perché privati di diritti) si combina con la discriminazione persino degli immigrati “regolari” in fatto di asili e sussidi. Una discriminazione esplicitamente etnica. È un caso che CasaPound plauda al nuovo governo?

“Prima gli italiani” ha un sottotitolo: “prima i capitalisti”, a spese di tutti gli altri.
Nessuna fiducia può essere riposta nel M5S di Di Maio, che va a braccetto con lo xenofobo Salvini.

È ora di mettere in campo un programma di lotta indipendente che unifichi la classe lavoratrice:
Per la cancellazione del Jobs Act e di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro.
Per la riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di salario, ripartendo il lavoro tra tutti.
Per la pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro, pagato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti.
Per un vero salario ai disoccupati che cercano lavoro, pagato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese private.

Solo una lotta generale per queste rivendicazioni può unificare 17 milioni di lavoratori salariati, e attorno ad essi l'esercito dei disoccupati.
Solo la lotta per un governo dei lavoratori può dare una prospettiva a questa mobilitazione: a partire dall'esproprio delle aziende che licenziano, dall'abolizione del debito pubblico verso le banche, dalla loro nazionalizzazione.

Cambiano i governi, ma sono tutti al servizio del capitalismo. Solo un governo dei lavoratori può fare pulizia.


Partito Comunista dei Lavoratori

Elezioni e destre neofasciste: daremo battaglia anche nella tribuna elettorale


Affrontare minacce e aggressioni con un programma anticapitalista e di classe e con l'autodifesa militante!

Mentre i governi del PD si adoperano a mettere in pratica le leggi "razziali" Minniti-Orlando, contro migranti e poveri, e le aggressioni imperialistiche in Medio Oriente e Africa, passate presenti e future (Iraq, Afghanistan, Bosnia, Kossovo, Libia, Niger), in territorio italiano si sviluppa su questo brodo di coltura il radicamento delle forze politiche neofasciste.
Radicamento che si lascia appresso una scia di misfatti, minacce, intimidazioni e aggressioni fisiche in continua crescita quantitativa e qualitativa, attivando peraltro una macabra spirale concorrenziale tra i vari soggetti in campo di questa galassia reazionaria: CasaPound, Forza Nuova, Lealtà e Azione, Fronte Veneto Skinhead, Generazione Identitaria, Fiamma Tricolore etc.

Come al solito si confermano, nella prassi degli obiettivi di questi atti, le finalità di queste organizzazioni. Così, colpendo migranti e profughi, fanno leva sulla concorrenza interna alla classe proletaria per ricostruire un irregimentazione delle masse sfruttate nella prospettiva nazionalistica, imperialistica, razzista che accompagna i timori e le aspirazioni di una piccola borghesia in difficoltà e di un ceto medio impoverito e terrorizzato, tanto dalla gran massa di povertà quanto dal grande capitale finanziario e industriale, a cui poi finisce per asservirsi.
Allo stesso tempo si colpiscono i sindacalisti più combattivi, i militanti della sinistra e in particolare di quella antagonista, anticapitalista, rivoluzionaria – come nel caso della nostra compagna e ex candidata a sindaco per Genova Cinzia Ronzitti, attualmente RSU CGIL-FILCAMS impegnata nella vertenza contro la chiusura de La Rinascente – ossia le realtà che più di tutte possono incarnare la reale prospettiva per le masse sfruttate e oppresse, per la classe lavoratrice nel suo complesso e internazionalmente.

Le elezioni politiche si avvicinano, e queste organizzazioni neofasciste cominceranno – e in parte già hanno cominciato – a cercare atti eclatanti, provocazioni, nuove azioni squadriste per lanciare le proprie candidature, liste e organizzazioni.
Una delle prime realtà ad annunciare la propria presenza elettorale sarà proprio CasaPound, con il proprio neosegretario e candidato premier Simone Di Stefano. La stessa CasaPound che ha già macinato notevoli risultati elettorali come il 9% a Ostia, il terzo posizionamento a Lucca, l'elezioni di svariati consiglieri comunali e di municipio, l'adesione formale del sindaco del comune di Trenzano (BS). CPI è tra le realtà più attive e coinvolte nelle aggressioni – di CasaPound erano gli squadristi che tentarono l'atto intimidatorio alla festa genovese del PCL aggredendo la compagna Ronzitti; sempre di CasaPound era Gianluca Casseri, il militante che ammazzò a Firenze Samb Modou, Diop Mor e ferì gravemente Moustapha Dieng.

È ragione di maggior attenzione, decisione e determinazione la presenza alle elezioni di una forza coerentemente antifascista, nel pieno significato che assume quel termine, che deve riassumere in sé la necessità di contrastare le organizzazioni e le ideologie, così come quelle delle forze politiche dominanti che vi danno copertura e che se ne fanno strumento, accompagnando un'aspra battaglia e un duro lavoro per la costruzione di un programma che unisca tutta la classe lavoratrice, senza distinzioni di nazionalità, etnia, religione, orientamento sessuale e genere, in un fronte unico di classe e di massa contro i responsabili della macelleria sociale di cui siamo vittime: le borghesie nazionali e internazionali e i governi, espressione delle tendenze dominanti entro le prime.

Il Partito Comunista dei Lavoratori, dentro il cartello della lista "Per una sinistra rivoluzionaria", si candida a portare avanti questo programma e a contrastare queste organizzazioni su ogni terreno – nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei quartieri e anche nelle tribune elettorali – senza mediazioni o titubanze. In questo quindi, invitiamo tutte le organizzazioni della sinistra, tutte le organizzazioni sindacali, tutti i centri sociali, le associazioni locali e nazionali – come l'ANPI e l'ARCI - tutti i militanti e gli attivisti sinceramente antifascisti alla massima attenzione e alla salvaguardia di tutti i compagni e le compagne che in questa campagna elettorale si esporranno sotto le insegne dell'antifascismo e dell'anticapitalismo. Farlo costruendo mobilitazioni, organizzando l'autodifesa militante di scioperi, cortei e comizi, e sviluppando un piano di propaganda e intervento che riduca gli spazi di agibilità di queste organizzazioni dando slancio all'unica reale alternativa per gli sfruttati e gli oppressi: la rivoluzione per il governo dei lavoratori e delle lavoratrici e l'instaurazione del socialismo su scala internazionale, partendo dagli Stati uniti socialisti d'Europa.
Partito Comunista dei Lavoratori

Ius soli, ius culturae e ius sanguinis: una disputa reazionaria

Il capitalismo è caduto nella più grande crisi economica del secondo dopoguerra. Questa crisi si è manifestata in tutti i paesi imperialisti in misura più o meno grave. L’Italia ne è stata colpita duramente. 
Le piaghe sociali che la crisi del capitalismo porta con se si sono manifestate tutte nel nostro paese: disoccupazione di massa, impoverimento dei lavoratori, enorme aumento della disuguaglianza sociale e perdita di diritti.
La classe dei capitalisti non offre soluzioni progressive a questi drammi sociali. Da una parte ciò provoca la cosiddetta crisi di governabilità del sistema politico investito dal generale discredito, dall’altra produce di risulta lo sviluppo del populismo reazionario in tutte le sue varianti; renzismo, grillismo e salvinismo.

Intendiamoci: il populismo reazionario è un prodotto politico della borghesia al potere e si candida al governo in nome degli interessi del grande capitale. Ma la sua crescita al tempo stesso è la risultante della crisi delle forme tradizionali della politica borghese e un modo per cercare di risolverla surrogandola.
In questo momento per recuperare consenso tra le masse popolari, sempre più lontane dalle istituzioni della repubblica borghese, il populismo reazionario, impossibilitato a proporre soluzioni ai drammi sociali più sopra descritti (perché ogni soluzione è incompatibile con il capitalismo nell’era della sua crisi), costruisce il proprio radicamento sulle politiche securitarie (da ultimo il decreto Minniti-Orlando) e la lotta ai migranti. L’intento è scatenare la guerra tra poveri, ossia tra frazioni sempre più impoverite e ricattabili del proletariato, e speculare sulla crescita di sentimenti razzisti che questa guerra alimenta tra i lavoratori e le classi popolari. Questo non avviene secondo un piano prestabilito ma è la manifestazione plastica e naturale del carattere regressivo della politica borghese in generale.

La polemica di palazzo intorno alla recente discussione parlamentare sulla legge per lo Ius soli ne dà una dimostrazione eloquente.
La destra fa il suo mestiere. “Giovedì nero” titolava il Manifesto del 16 giugno riferendosi ai fatti del giorno prima quando dentro il parlamento i deputati leghisti approfittavano della visibilità mediatica per fare un po’ di bagarre razzista e “assaltare” i banchi del governo, e fuori a due passi da Montecitorio i fascisti di CasaPound facevano a spintoni con la polizia, uniti gli uni e gli altri per difender il medievale “Ius sanguinis” e protestare contro l’invasione dei barbari ”migranti” a cui la legge sullo Ius soli in discussione in quelle ore avrebbe aperto le porte.
Razzisti e fascisti oggi trovano la strada spianata per fare propaganda e costruire le proprie organizzazioni sulla xenofobia e il razzismo diffuso a piene mani tra le classi popolari sovente con la complicità della grancassa mediatica. Il pericolo per la classe lavoratrice è gravissimo. Invece di perdersi in mille rivoli di discussione e dialogo democratico con chi deve essere solo combattuto, sarebbe della massima urgenza organizzare la propria autodifesa contro il revanscismo fascista e razzista. Infatti sono ormai episodi di cronaca quotidiana le violenze intimidatorie contro i migranti che costituiscono una parte importante e crescente della classe lavoratrice italiana.

Nello stesso giorno i grillini ritiravano il proprio voto favorevole, precedentemente dichiarato, al progetto di legge e d’altra parte la sindaca Raggi si scagliava contro i campi rom e la quota di accoglienza già concordata con il Governo per Roma. Nel frattempo Grillo, un comico che fa sempre meno ridere, in un delirio di luoghi comuni razzisti rispolverava il mito dei nomadi che chiedono l’elemosina ma girano in Mercedes e leggi ottocentesche contro l’accattonaggio nella metropolitana.
La strategia è chiara: recuperare consensi alla propria destra. Non resta che registrare una volta di più, se ce ne fosse bisogno, il carattere compiutamente reazionario del grillismo. Altro che amici dei lavoratori e delle democrazia!

Dall'altra parte, dalla parte del governo, il PD di Renzi si erge apparentemente a campione dei diritti. Si dice pronto a dare battaglia fino in fondo, fino a porre la fiducia, pur di difendere il diritto alla cittadinanza.
I posteri avranno da domandarsi: fu vera gloria?. In realtà nel provvedimento di legge in discussione non c'è traccia di un effettivo diritto di cittadinanza per i bambini e i giovani italiani nati da famiglie con origini straniere. Tanto è vero che i commentatori, un po' ipocritamente, parlano di Ius soli “temperato” e del cosiddetto “Ius culturae”. Quindi, sembrerebbero dire: cari razzisti, leghisti e fascisti, state tranquilli perché il percorso per un'effettiva cittadinanza con i diritti annessi sarà ancora pieno di ostacoli.

La pezza appare in effetti peggiore dello sbrego. Andiamo a vedere cosa succede:
Lo Ius soli “temperato” presente nella legge presentata al Senato prevede che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno cinque anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno proviene da un paese no UE, deve aderire ad altri tre parametri: deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
Non è finita.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto ius culturae, e passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

Insomma, a questi giovani italiani un po' speciali si chiede di apprendere la nostra “cultura”.
Qui già si sente un po' il puzzo se non del vecchio colonialismo per lo meno di un certo imperialismo, visto che evidentemente il governo vuol chiedere loro di assoggettarsi ad una cultura implicitamente ritenuta superiore. Quella stessa cultura superiore che consente ai paesi occidentali, in altre parole i grandi paesi imperialisti, di ritenersi paesi civili di contro alla barbarie del resto del mondo e di giustificare così guerre umanitarie, interventi di polizia internazionale e via bombardando. Non ultimo di spargere terrore in tutto il mondo in nome della lotta... al terrorismo.
Ma la faccenda assume un aspetto addirittura grottesco solo che si consideri che ad imporre lo ius culturae è un governo espressione di forze politiche, come il PD, che hanno dato con la cosiddetta riforma della Buona scuola il loro onesto contributo nello smantellamento pluriennale del sistema scolastico italiano. Questo forse ha qualche attinenza con gli spaventosi dati sull'analfabetismo di ritorno che colpisce il popolo italiano: il 70% degli italiani non è in grado di capire un testo appena letto o appena ascoltato. Verrebbe da dire che stando allo "ius culturae” il 70% degli italiani non supererebbe il test per essere cittadino italiano!

Non si può che concludere che tutta la discussione intorno a questa vicenda poggia sul piano inclinato di una disputa reazionaria. È il massimo che ci si possa attendere nella democrazia borghese, oggi ribattezzata liberal democrazia, dove, per dio, i cittadini hanno bensì tutti i diritti (si fa per dire...) ma non tutti possono essere cittadini!
Vale la pena citare qui, in conclusione, oggi nel suo centenario, quella che fu una conquista della Rivoluzione d'Ottobre, che tra le altre cose, contro l'ipocrisia dei regimi borghesi proclamò solennemente negli articoli 20 e 21 della Costituzione del 1918:

«Articolo 20.
Ispirandosi al principio della solidarietà fra il proletariato di tutte le nazioni, la Repubblica Sovietica Federativa Socialista Russa assegna tutti i diritti politici propri dei cittadini russi agli stranieri che risiedono nel territorio della Repubblica russa per lavorare e che appartengono alla classe lavoratrice o a quella dei contadini più poveri che non sfruttano il lavoro altrui: ed autorizza i Soviet locali a riconoscere agli stranieri tali diritti di cittadinanza russi, senza alcuno ostacolo formale.
Articolo 21.
La Repubblica Sovietica Federativa Socialista Russa riconosce il diritto d’asilo a tutti gli stranieri sottoposti a persecuzione per crimini politici e religiosi.»
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