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Contro la transfobia e tutte le oppressioni di genere. Contro la violenza del capitalismo

 


20 novembre, Transgender Day of Remembrance

Il Transgender Day of Remembrance (TDoR) è una delle giornate più importanti ed impegnative del calendario della comunità LGBT*QIA+. Si tratta del momento in cui la comunità si stringe attorno ad una delle sue componenti più esposte e oppresse, la popolazione trans*, per ricordare tutte le vittime di transfobia del mondo e per rivendicare un cambiamento reale nell’esistenza di queste persone.

Solo negli ultimi decenni l’attivismo della comunità T* e dell* solidali ha permesso che si cominciasse a parlare seriamente di transfobia e di lotta ad essa. Secondo il progetto di ricerca, monitoraggio e analisi internazionale Trans Respect versus Transphobia (TvT) “2021 is set to be the deadliest year for trans and gender-diverse people” [il 2021 è destinato a essere l'anno più mortale per le persone trans e gender-diverse]. Questo dato dovrebbe farci riflettere sulla gravità della situazione.

Nel periodo intercorso tra 1° ottobre 2020 e 30 settembre 2021, secondo i dati raccolti da tale progetto, le persone morte per cause riconducibili alla transfobia sono 375 (in percentuale il 7% in più rispetto all’anno precedente quando erano state 350) con un’età media di 30 anni. Guardando allo storico del rilevamento si sono registrate 4042 morti violente a sfondo transfobico nel mondo tra il 1° gennaio 2008 e il 30 settembre 2021. Queste cifre sono sicuramente e ampiamente in difetto a causa delle differenze di trattamento - anche legale e giudiziario - che le persone trans* subiscono nei diversi paesi, dei tanti luoghi in cui è difficile o impossibile effettuare il monitoraggio e la raccolta dei dati necessari, della tendenza da parte di conoscenti o familiari delle vittime di non denunciare i reati transfobici o peggio della loro connivenza in azioni atte ad invisibilizzare l’identità della persona scomparsa (misgendering in atti ufficiali o durante le cerimonie funebri, eccetera…).

Un’analisi più approfondita dei dati mostra come la transfobia sia saldamente intrecciata anche ad altre forme di oppressione e discriminazione, oltre che a determinati contesti sociali e geografici. Infatti, sul totale dei casi di quest’anno, il 96% ha coinvolto donne trans o persone transfemminili dimostrando l’interdipendenza esistente tra oppressione femminile (e i fenomeni correlati quali, per esempio, femminicidi e altre forme di violenza e molestia) e oppressione della comunità LGBT*QIA+ (e in particolar modo delle persone T*); il 70% è avvenuto in America Latina ovvero una delle zone del mondo in cui sono più evidenti il divario socio-economico tra le classi e la rapacità del sistema di sfruttamento capitalistico, il 58% delle vittime mondiali è costituito da sex workers (molt* dell* quali uccis* in situazioni o per cause correlate alla loro condizione). Guardando a due casi circoscritti, possiamo notare come anche xenofobia e razzismo abbiano un ruolo non indifferente nella genesi di crimini transfobici: negli USA l’89% delle vittime totali è costituito da persone di colore e in Europa il 43% da migranti. Infine, non possiamo evitare di ricordare come la condizione di classe abbia un ruolo fondamentale nell’oppressione e molto spesso nella morte delle persone T*. Le difficoltà insormontabili a cui si va incontro nel mondo del lavoro, l’isolamento e l’allontanamento dal proprio contesto sociale che molto spesso segue al coming out, lo smantellamento totale dei sistemi di welfare, l’inesistenza in molti paesi di leggi adeguate alla tutela delle minoranze, l’attuale debolezza delle reti associative e dell’attivismo queer e l’impossibilità di ricevere un adeguato supporto socio-sanitario e psicologico, fanno sì che molt* appartenenti alla comunità si ritrovino in condizioni di completa emarginazione e in contesti di disagio sociale ed economico molto marcati (un certo numero di persone trans*, per esempio, è homeless o vive sotto la soglia di povertà o in condizioni di precarietà assoluta). Tutte condizioni ottime per il maturare di situazioni di rischio potenzialmente mortali.

Il silenzio ipocrita e l’indifferenza che regnano in Italia sul tema nascondono una situazione a dir poco pericolosa e su cui non è possibile sorvolare in una occasione come questa. L’Italia detiene il triste primato di paese con il più alto numero di crimini di matrice transfobica in Europa (42 quelli registrati dal 1° gennaio 2008 al 30 settembre 2020) e nell’ultimo anno qui sono state uccise 5 persone trans* (erano state 7 – il numero più alto in assoluto in tutta Europa - l’anno scorso). Quest’anno il nostro paese ha registrato purtroppo anche la più giovane vittima di transfobia nel mondo, un* student* di 13 anni che si è suicidat* - a causa di frequenti atti di bullismo transfobico avvenuti in ambito scolastico – il 6 giugno scorso a Roma. Nonostante tutto ciò, durante i vari passaggi parlamentari del DDL Zan, si sono registrate diverse dichiarazioni di natura transfobica da parte di esponenti del cosiddetto centrodestra. Forse la più eclatante e assurda è quella secondo cui il riconoscimento delle identità non binarie da parte di una legge provocherebbe il caos nell’impianto giuridico del paese e perciò tale legge deve essere rigettata.

Il problema della transfobia non si può ridurre ad una questione di educazione, ad un fattore puramente culturale che si può risolvere con tanta buona volontà, un po’ di informazione e magari qualche legge dal carattere simbolico, deterrente e punitivo. La transfobia è solamente una delle molte facce, probabilmente una delle peggiori, del sistema capitalista ed eterocispatriarcale. Un sistema costruito, come abbiamo ripetuto molte volte, sulla prevaricazione, la violenza e lo sfruttamento di ogni essere vivente e sulla repressione di qualunque forma di ribellione o semplicemente di vita ritenuta “fuorinorma”. Un sistema che viene protetto e rafforzato dagli ambienti ecclesiastici e clericali – che in nome di una concezione bigotta e reazionaria della società e interessati a conservare la propria egemonia hanno sempre agito per evitare o disinnescare qualsiasi anche minimo avanzamento progressivo – e dai molteplici settori della reazione, più o meno dichiaratamente fascisti e fondamentalisti, a loro volta – come ben sappiamo – semplici strumenti nelle mani di chi detiene il controllo dei rapporti sociali in questa fase storica. L’esistenza delle persone T* (come quella di tutte le persone LGBQIA+, delle donne, delle persone disabili e delle popolazioni razzializzate) non potrà mai essere realmente accolta entro i ristretti orizzonti di questa società e anzi, finché esisterà il sistema attuale, la loro esistenza sarà sempre messa in discussione e minacciata. Come ha dimostrato anche il recentissimo e gravissimo affossamento del DDL Zan, qualunque illusione riformista od opportunista sulla possibilità di ottenere migliori condizioni di vita senza mettere in discussione lo status quo è ormai priva di ogni validità e di ogni razionale fiducia. L’unica via ancora aperta è quella che conduce alla rottura rivoluzionaria dell’esistente e all’abbattimento del capitalismo e conseguentemente dell’eterocispatriarcato e di tutte le altre forme strutturali di oppressione.

È quindi fondamentale e necessario secondo noi rilanciare l’importanza dell’autorganizzazione nelle lotte per i diritti civili e sociali e ribadire l’esigenza dell’autodifesa per il movimento e per la comunità intera. Soltanto il protagonismo unitario e combattivo delle soggettività oppresse – un protagonismo capace anche di costruire reti durature di solidarietà, supporto e tutela - potrà infatti agire tempestivamente e contrastare con successo le offensive reazionarie e clerico-fasciste di chi difende ogni giorno senza alcuna remora l’esistente, ovvero coloro che attentano ogni giorno alla vita di ogni oppress*.

Anche la lotta alla transfobia e alla cisnormatività deve partire dalle piazze, dalle strade, dai luoghi dove le soggettività trans* vivono e agiscono (gli stessi dove di frequente si consumano violenza e discriminazione), evitando inutili ipocrisie (talvolta istituzionali) e vaghi atti simbolici.

Le soggettività trans* hanno diritto, in particolar modo, ad un’esistenza che non debba più passare per le forche caudine della patologizzazione e della medicalizzazione forzata dei loro desideri e dei loro corpi (che in molti contesti sono solamente forme subdole e socialmente accettate di violenza). Inoltre, è ormai evidente come sia necessario distruggere il paradigma del binarismo che imbriglia ogni essere vivente nel binomio essenzialista maschio-femmina togliendo legittimità e visibilità a qualsiasi tipo di identità non binaria e genderqueer. Purtroppo diverse leggi varate nel corso degli ultimi quarant’anni a tutela della popolazione trans* (per esempio la Legge 164/82 sulla rettifica del nome vigente in Italia) hanno un’impostazione di tipo patologizzante e intrinsecamente binaria e talvolta obbligano la persona trans* alla medicalizzazione per ottenere il riconoscimento della propria condizione. Tale impianto legislativo è decisamente arretrato, discriminatorio e ambiguo in fatto di rispetto dei diritti civili e va eliminato al più presto.

La diffusa condizione di sex worker tra le soggettività trans* – dettata molto spesso dalla semplice necessità di sopravvivere all’interno di un sistema sociale che impedisce loro di emergere come soggettività autodeterminate e libere o peggio da ricatti e coercizioni – ci porta anche a ribadire come sia importante, senza porci per questo in modo stigmatizzante ed escludente nei confronti dell* lavorator* sessuali, ottenere un futuro in cui nessun* sia costrett* per sopravvivere a sessualizzare il proprio corpo e quindi a lottare contro l’esclusione dal mondo del lavoro delle soggettività reputate non conformi e più in generale contro le condizioni di precarietà, ipersfruttamento e ricatto economico che il capitalismo impone a tutt* l* sfruttat* in questa fase.

Molte soggettività trans/non-binary (ma più in generale moltissime persone LGBQIA+) sono costrette ad abbandonare il luogo in cui sono nat* (molto spesso per motivi legati proprio alla loro identità di genere o al proprio orientamento sessuale). Quasi sempre l’allontanamento dal paese d’origine non determina però un miglioramento nelle condizioni di vita. Anzi per la maggior parte dei migranti LGBT*QIA+ l’arrivo in un altro paese significa ghettizzazione, xenofobia e razzismo oltre che frequentemente completa emarginazione all’interno della comunità dei propri connazionali. Lo stesso ottenimento dello status di rifugiato LGBT non garantisce alcuna prospettiva di miglioramento della propria esistenza, ma si trasforma molto spesso in un lungo e insidioso percorso burocratico che espone l* richiedente a stress inutili.

È necessario allora lottare per l’abbattimento delle frontiere e per la fine dei fenomeni sistemici di razzismo in un’ottica internazionalista e rivoluzionaria rifiutando anche i rigurgiti xenofobi latenti nella stessa comunità LGBT*QIA+.

Visto quanto accade quotidianamente attorno a noi riteniamo importante che il movimento LGBT*QIA+ riparta da posizioni coerentemente rivoluzionarie e dalla solidarietà con tutte le altre lotte progressive (come già si sta facendo con i movimenti femminista, antirazzista e contro l'abilismo, ma cercando di allargare il campo anche al movimento operaio e a quello ambientalista). Per ottenere questo scopo, oltre a smarcarsi in via definitiva da ogni velleità riformistica, si renderà obbligatorio anche contrastare tutte quelle posizioni, tipiche di una certa parte delle formazioni staliniste e di altre aree sedicenti comuniste, che tendono a sminuire l’importanza dei diritti civili per l’avanzamento delle lotte e che talvolta assumono pose smaccatamente machiste, misogine e omo-lesbo-bi-transfobiche; nonché abbattere tutte quelle posizioni, sì residuali ma a cui non possiamo restare indifferenti, del femminismo essenzialista, incapace di comprendere la questione relativa all’identità di genere, se non addirittura schierato su posizioni assimilabili a quelle dei peggiori movimenti reazionari.

Il nostro obiettivo resta la costruzione di una società socialista, una società senza classi in cui non esistono più sfruttamento ed oppressione e dove ogni soggettività è libera di autodeteminarsi. Per questo lottiamo a fianco di tutt* l* oppress* e contro ogni singolo oppressore.


- Per l’unità e l’autoorganizzazione dei movimenti per i diritti civili in una direzione conseguentemente rivoluzionaria e perciò anticapitalista, femminista, antifascista e anticlericale. Solamente con questa parola d’ordine sarà possibile ottenere un vero cambiamento nelle vite delle donne, delle persone LGBT*QIA+ e delle minoranze razzializzate.

- Per l’autodifesa della comunità LGBT*QIA+. Soltanto rispondendo colpo su colpo sarà possibile ridurre lo straziante stillicidio di vite umane a cui assistiamo ogni anno ed affrontare ad armi pari gli assalti reazionari e clerico-fascisti alle vite e ai diritti delle persone LGBT*QIA+.

- Per il superamento della Legge 164/82 in Italia e di tutte le leggi che patologizzano la vita delle persone trans* e per il pieno diritto all’autodeterminazione di tutt*.

- Per la fine dell’oppressione e della violenza xenofoba e razzista sulle donne, sugli uomini e sulle soggettività LGBT*QIA+ migranti.

- Contro lo stalinismo e l’essenzialismo. Non esiste nessun conflitto e nessuna competizione tra diritti sociali e diritti civili: la lotta per i diritti deve essere portata avanti senza inutili compartimentazioni e privilegi. Non esiste nessuna essenza biologica binaria, standardizzata e insormontabile: le identità trans e gender-diverse sono tutte valide e non sono affatto misogine.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere