La decisione aziendale di ridurre le ore di lavoro tramite
la cassa integrazione settimanale senza integrazione economica significa il
taglio dei loro già magri salari. La direzione aziendale, con questa specie di
serrata, riversa sulle spalle delle operaie e degli operai la sua cattiva
gestione e le esigenze di risanamento dei conti aziendali.
Si conferma la regola costante del capitalismo: quando gli
affari vanno bene gli operai possono r vedersi riconosciuti in minima parte gli
aumenti salariali solo con una strenua lotta oppure vederli inesorabilmente
fermi come è successo negli ultimi decenni, mentre quando vanno male è su di
loro che si scaricano le difficolta vere o presunte dei capitalisti.
La negoziazione di Fiom, Fim e Uilm sulla quantità e
ripartizione delle giornate di cassaintegrazione si muove tutta sul piano
inclinato a favore del padronato. Occorre rigettare radicalmente
l’organizzazione del lavoro proposta dall’azienda, rivendicando la ripartizione
egualitaria delle ore di lavoro e la riduzione dell’orario di lavoro a parità
di salario
La politica padronale oggi si fa forte del clima politico e
sociale instaurato del governo Meloni, il governo più reazionario del
dopoguerra. La classe lavoratrice deve comprendere bene che con questo governo
i salari continueranno a rimanere fermi, continueranno i tagli allo stato
sociale e l’arroganza padronale sarà sempre più illimitata.
Altrettanto non si può accontentare dell’azione dei
sindacati a partire dalla CGIL che ha evocato la rivolta sociale prima dello
sciopero generale del 29 novembre ma non ha disposto nessun programma di
mobilitazione generale per fermare l’incedere antisociale di governo e
padronato. Purtroppo, la storia recente della CGIL non depone a suo favore. L’avvallo
dato al l governo Draghi, quello dello sblocco dei licenziamenti per intendersi,
con la garanzia offerta della pace sociale ha aperto la strada alla destra che
oggi governa con i voti popolari.
Occorre costringere la CGIL e gli altri sindacati di
rifermento a dispiegare una vera e propria agenda di mobilitazioni in grado di
convogliare centinaia di miglia di lavoratrici e lavoratori sul terreno dello
scontro frontale contro governo e padronato. Ciò tanto più dal momento che la
mobilitazione generale avrebbe non solo una valenza sociale, con il recupero
salariale e l’aumento della spesa sociale, ma anche una valenza democratica
perché in grado di fronteggiare la stretta repressiva vel governo (DDL 1660)
che colpisce in particolare le manifestazioni operaie.
Tanto meno è accettabile la solidarietà pelosa del PD,
architrave di molti degli ultimi governi che hanno aumentato le spese militari,
tagliato i servizi sociali, aumentato l’età pensionabile, incrementato la
precarietà lavorativa senza per altro frenare di un centesimo la caduta dei
salari.
Insomma, la Marelli come innumerevoli altri casi, è un
esempio del feroce attacco sferrato dal padronato contro la classe lavoratrice
in nome di quell’”interesse nazionale” dietro cui si cela la rapina capitalista
e imperialista.
All’attacco così dispiegato occorre dare una risposta di
pari grado. Per questo è necessario costruire il fronte unico di massa della
classe lavoratrice con tutte le organizzazioni che vi fanno riferimento basato
su una piattaforma di rivendicazioni unificante. Una forza in grado di
dispiegare una mobilitazione generale caratterizzata da forme di lotta radicali
necessarie a piegare la volontà padronale e delle forze repressive del governo.
In questo modo, strada facendo, la classe lavoratrice
tornerà prendere coscienza della propria forza potenzialmente immensa. Allora
si renderà conto che tutti i governi siano essi di destra o di “sinistra” sono
suoi nemici perché irrimediabilmente governi borghesi, comitati d’affari dei
capitalisti. Invece sulla base di questa forza dispiegata potrà poggiare
l’unico governo amico delle operaie e degli operai, ii governo delle
lavoratrici e dei lavoratori