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SOLIDARIETÀ OPERAIA E MILITANTE A3 LAVORATOR3 DELLA FILIERA GRUPPO 8

 


SOLO LA LOTTA OPERAIA ABBATTE LO SFRUTTAMENTO

La sezione Romagna del Partito Comunista dei Lavoratori aderisce alla manifestazione del 6 settembre a Forlì, indetta da SUDD Cobas.

La vicenda dei lavoratori della filiera Gruppo 8 è così platealmente vergognosa che per ampi settori della società civile (e persino per alcuni partiti alla guida di varie autorità locali, che finora hanno tenuto gli occhi ben chiusi) non è possibile non schierarsi dalla parte degli operai. Da dicembre dell’anno scorso i lavoratori si sono ribellati alle condizioni inumane di sfruttamento a cui venivano sottoposti, un regime di semi-schiavitù in cui dormivano in un capannone fatiscente lavorando 12 ore al giorno, 7 giorni su 7. Sono queste, infatti, le condizioni che come un cancro infestano il comparto del mobile imbottito, quel famoso Made In Italy che la destra postfascista erge a feticcio. È una malattia di lunga data che prevede sostanzialmente il subappalto non solo delle fasi produttive quanto del caporalato, aprendo e chiudendo del giro di poco aziende fittizie, che hanno come unico scopo quello di applicare condizioni di lavoro “cinesi”. Sono zavorre vuote, pronte per essere abbandonate alla prima protesta dei lavoratori o a qualche ispezione o indagine. Una delocalizzazione dietro casa. La giustizia borghese si è dimostrata clamorosamente inefficace, proprio in una provincia in cui il Sindaco ha cavalcato il tema della “sicurezza” in campagna elettorale. L’unica sicurezza che viene garantita è il profitto del padronato, tutelato proprio dagli elementi della destra cittadina che – in una corrispondenza di amorosi sensi – difendono fattivamente e politicamente lo sfruttamento e l’insicurezza creata dal sistema criminale emerso nella vertenza. Contro i lavoratori che scioperano, gli avvocati-politici dell’azienda invocano continuamente l’applicazione del DL 1660, rendendo chiaro (se ancora ce ne fosse bisogno) che questa norma repressiva serve solo a manganellare e incarcerare chi lotta per il posto di lavoro e un tipo di società diverso. Come Partito Comunista dei Lavoratori siamo al fianco degli operai della filiera Gruppo 8 e sosteniamo la piattaforma rivendicativa di Sudd Cobas, che altro non è che il ripristino delle condizioni minime e dovute. La tenacia di questi lavoratori ha scoperchiato un vaso di Pandora che rende questa vertenza molto di più di una diatriba sindacale, come qualcuno vorrebbe. I lavoratori di un intero comparto, a volte distanti solo pochi metri o chilometri, nell’ennesimo capannone fatiscente, guardano a questi colleghi che hanno alzato la testa. È dovere di tutta la classe operaia muoversi compatti nella lotta, a prescindere dalla provenienza o dall’appartenenza sindacale. Occorre unire le vertenze del territorio e colpire il padronato dove fa più male, il portafoglio, con scioperi, picchetti e la ripresa di un’incisiva azione sindacaleal di là delle sigle.  Il padronato tenta di dividere i lavoratori per provenienza geografica, settore, contratto, azienda; soffia sul razzismo per usare i pregiudizi come leva salariale, per fare in modo che chi lavora non si riconosca più come classe. Occorre una vertenza generale, che rimetta al centro la classe operaia: serve un fronte unico di classe! Come dimostra in modo esemplare questa vertenza, è la classe lavoratrice l’unica che ha la capacità di rovesciare i rapporti di sfruttamento: occorre dare vita a una nuova stagione di mobilitazione e strappare di nuovo quei diritti che sembravano acquisiti ma che il padronato ci ha tolto, con il silenzio e la connivenza delle burocrazie sindacali. Chiediamo:

  • La nazionalizzazione sotto il controllo operaio, senza indennizzo, di tutte le aziende che delocalizzano, anche dietro casa, basta con il sistema di subappalto, basta con il caporalato
  • Per una cassa nazionale di resistenza a sostegno degli scioperi
  • Per l’abolizione di tutte le leggi repressive finalizzate a colpire i lavoratori in lotta per il posto di lavoro. No al DL 1660.
  • Salari dignitosi! I salari sono fermi da vent’anni, è un’emergenza non più rinviabile. Reintroduzione della scala mobile e abolizione di sfruttamento e precarietà!
  • Per un’indennità di disoccupazione dignitosa per i giovani e le persone in cerca di lavoro

PER LA RIPRESA DI UNA MOBILITAZIONE OPERAIA GENERALE, UNIRE LE LOTTE, ABBATTERE LO SFRUTTAMENTO!

PER UN’ALTERNATIVA DI SOCIETÀ! PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI!

Cassa di resistenza per i lavoratori Sofalegname di PCL Romagna · Agosto 3, 2025 Invitiamo tutti i compagn3 a contribuire alla raccolta fondi per i lavoratori in lotta!

 


DONATE QUI!

Il PCL Romagna ha contribuito e contribuirà alla cassa di resistenza per i lavoratori in lotta. Invitiamo tutti i compagni e le compagne a sostenere la raccolta fondi e a prestare solidarietà militante ai picchetti.
Siamo accanto a Sudd Cobas e ai lavoratori Sofalegname contro lo sfruttamento di un capitale senza scrupoli e senza vergogna, che non vuole operai, ma schiavi, e che scappa altrove invece di rispettare i diritti dei lavoratori.

Per conquistare i diritti! Per rovesciare lo sfruttamento! Solidarietà operaia nella lotta! Per durare un minuto in più del padrone!


Ps.: un contributo è già venuto anche dal PCL Nazionale e dalla sez. di Bologna

_________________________

Da Sudd Cobas

I lavoratori della filiera Gruppo 8 di Forlì stanno scioperando e hanno bisogno del nostro aiuto!

Dopo 17 giorni di sciopero nel mese di Luglio, dal 1 agosto i lavoratori sono di nuovo in sciopero ad oltranza, con due presidi permanenti!

Inoltre non hanno ricevuto lo stipendio di Giugno, e chiaramente sono in difficoltà per le spese di affitto e di sussistenza. Quanto più i lavoratori possono resistere in sciopero tanto più sono le possibilità di vincere questa battaglia, ma per farlo hanno bisogno di essere sicuri di poter pagare le spese necessarie. Sappiamo quanto può essere duro scioperare per i propri diritti e stare giorno e notte davanti alla fabbrica, ma è ancora più difficile farlo se non sai come pagare le bollette.

Per questo motivo chiediamo il sostegno di tutte le persone che hanno a cuore la loro lotta e che pensano sia necessario battersi per mettere un freno a multinazionali senza scrupoli, che sfruttano territori e persone e poi provano a scappare via, lasciando i lavoratori senza lavoro e senza stipendio.

Gli scioperi di questo tipo in italia sfortunatamente non sono molti, ma è un motivo in più per sostenere chi li porta avanti, sperando che possano essere di esempio ai molti che ancora lavorano sfruttati.

I lavoratori della filiera Gruppo 8 hanno scioperato, dal 3 Luglio, per 17 giorni contro la delocalizzazione dello stabilimento. Gruppo 8 produce divani di lusso, ma non è mai stata disposta a pagare i lavoratori in modo corretto.

Questo di Luglio era già il secondo sciopero. Prima a Dicembre hanno scioperato una settimana contro le condizioni disumane cui erano costretti: turni di 12 ore al giorno, costretti a dormire in un capannone ad una temperatura di 4°!

Con la prima mobilitazione hanno ottenuto contratti regolari e il rispetto dei loro diritti fondamentali, ma dopo soli 7 mesi l’azienda ha provato a delocalizzare, per liberarsi di chi pretendeva di essere pagato correttamente.

A Luglio dopo 17 giorni di sciopero era stato siglato un accordo dove l’azienda garantiva la riapertura dello stabilimento. Dopo una settimana però,l’accordo non è stato rispettato e l’azienda ha riprovato a spostare la produzione. Il picchetto è ricominciato, ma ad oggi mancano anche gli stipendi di Giugno.

Il mancato rispetto dell’accordo, firmato con la Prefettura di Forlì e in presenza anche della Regione Emilia Romagna è un affronto a tutto il territorio. Multinazionali che si sentono impunite pensando di poter sfruttare persone e risorse, per poi andarsene quando gli fa più comodo. Per questo motivo lo sciopero è ricominciato il 1 Agosto, per pretendere il rispetto dell’accordo e per dare un messaggio chiaro a queste multinazionali: non rimarremo a guardare, difenderemo i posti di lavoro dignitosi e non permetteremo che la produzione ancora un volta venga fatta dove i diritti minimi non ci sono.

Facciamo appello quindi a tutte le cittadine e cittadini, le associazioni, i collettivi di sostenere la mobilitazione e partecipare alla raccolta fondi essenziale per la continuazione di questa battaglia.

Per gli aggiornamenti potete seguire il nostro sito www.suddcobas.it o le nostre pagine sui social.

Condividete la raccolta fondi e donate!

I fondi andranno alla COM Soccorso Attivo, Società di Mutuo Soccorso che distribuirà la raccolta tra i lavoratori in sciopero.

Alluvione e futuro


 DI  · AGOSTO 2, 2023

Di Partigiano Stanziale

Chi non conosce l’origine del male è vittima per sempre

A quasi due mesi dall’alluvione in Romagna, il dibattito pubblico si concentra soprattutto nelle polemiche fra opposizioni e maggioranze, in Parlamento e nelle amministrazioni locali. La realtà, la sostanza degli eventi, sembra decadere nell’incomprensibile brusio, sempre più tenue, di particolari irrilevanti.

Così, le vittime dell’alluvione vengono istituzionalizzate, e passivizzate, nella speranza di ottenere qualcosa, prima o poi, per gentile concessione di un sistema il cui funzionamento appare loro incomprensibile. Sicché le giuste rivendicazioni di chi ha perso tutto, invece di confliggere con gli eventuali responsabili della catastrofe, verranno cooptate, e depotenziate, all’interno di un inesistente dialogo con le istituzioni, presunte democratiche. Per cui, concentrarsi sulle tante inefficienze dei soccorsi, sull’insufficienza dei fondi stanziati dal governo post-fascista (per il momento pochi miliardi fino al 2025), sull’assurdità della nomina di un commissario per la ricostruzione a scadenza elettorale (fino alle europee del prossimo anno) e sulle condizioni attuali in cui versano gli alluvionati, (drammatiche per i proletari, a corto di risparmi per sostituire i beni perduti), è giusto e doveroso, ma inutile, se nel frattempo non si cercano le cause della catastrofe.

Un modo di produzione inefficiente e distruttivo

Negli ultimi decenni, in regione è cresciuta in maniera esponenziale la cementificazione di vaste porzioni del territorio. Gli allevamenti intensivi di bovini, in pianura, hanno sostituito gli allevamenti bradi in collina e in montagna. Mentre quelli di polli e suini sono aumentati. L’agricoltura intensiva ha continuato a distruggere la biodiversità (la più varia d’Europa, in quanto sita al confine fra flora continentale e mediterranea). La fertilità della pianura alluvionale, inferiore soltanto al delta del Mekong, con le mono-colture intensive si è estremamente ridotta. Sulla costa si è continuato a costruire, fin sulle spiagge, una quantità infinita di appartamenti, alberghi, campeggi, ristoranti e altri edifici di ogni genere, per il –benessere? – di milioni di villeggianti del ceto medio più o meno benestante (con relativa crescita esponenziale del lavoro nero e dell’evasione fiscale). Infine, il crescente sviluppo industriale e dei trasporti non ha dato letteralmente respiro agli emiliani-romagnoli, con un inquinamento dell’aria secondo soltanto alla Lombardia. Il risultato è che in Emilia Romagna il 100% degli ecosistemi è a rischio.

Un caso esemplare

Come ha mostrato, pochi giorni fa, la trasmissione RAI Report, nel corso degli ultimi anni, in regione, sono stati eseguiti una quantità di interventi per la sicurezza dei centri abitati e del territorio contro il rischio idrogeologico. Nei fiumi sono state realizzate casse di espansione, ampliamenti e abbattimenti degli argini, e altri di vario genere, per aumentare la portata idraulica, per rallentare la velocità della corrente, per consentire alle piene di espandersi e così rifornire le falde sotterranee. Tuttavia, non tutti quelli necessari e urgenti sono stati realizzati, o nemmeno progettati.

Inoltre, la manutenzione degli alvei, dei fossi e dei canali è stata ridotta al minimo, sia in montagna, sia in pianura, come sul litorale adriatico. Di tutto questo Forlì, capitale spirituale della Romagna, funziona come esempio della demenzialità contraddittoria del vigente modello economico, inefficiente e distruttivo, che causa danni irreparabili all’ambiente naturale, alle cose e alle persone. Di come l’alluvione abbia messo a nudo la decadenza di una borghesia e di un ceto politico che assomiglia alla grottesca incoscienza della regina Antonietta di Francia. La quale, a un cortigiano che la informava che il popolo non aveva più il pane, rispondeva infastidita: “Che mangino brioche!”.

Una classe politica in carriera

Pochi giorni prima dell’alluvione, l’amministrazione comunale (Sindaco Zattini, Lega) lanciava l’idea di -Forlì, città turistica-. Una idea piuttosto balzana, dato che Forlì si è sempre caratterizzata per le attività manifatturiere e agricole. Forse intendeva ribattere alla concorrenza del governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini (PD); il quale, con il consueto linguaggio aziendalista, invitava i sindaci della regione a –fare squadra– al fine di mettere in rete –le proprie competenze e saperi-, per rilanciare l’economia. In entrambi i casi il riscaldamento climatico e rischi connessi non venivano presi in considerazione.

Un mese dopo la catastrofe, a dimostrazione che per i Sindaco era già passata la nottata, i media locali, cartacei e online, pubblicavano la notizia dell’inizio cantiere per completare la circonvallazione intorno alla città: “Fortemente voluti dal sindaco Zattini”. Il progetto prevede: due gallerie, svincoli, rotonde e vari altri lavori. Una spesa di dodici milioni di soldi pubblici; per la gioia dei costruttori e per incentivare la circolazione su gomma, responsabile di buona parte delle emissioni di anidrite carbonica nell’atmosfera e di conseguenza dei fenomeni atmosferici estremi. Mentre la cementificazione della città e zone limitrofe continua senza pause, anzi con rinnovato fervore distruttivo. Due mesi dopo la catastrofe, di nuovo il governatore Bonaccini, tanto per non essere da meno, convocava a convegno le associazioni dei costruttori; i quali (e in quanto tali), esprimevano la ferma volontà di continuare a costruire come prima e più di prima, per creare nuovi posti di lavoro e nuova ricchezza. Insomma, della serie: quando alla pubblicità ci credono anche quelli che la fanno.

Un’opera senza futuro

A proposito di circonvallazione (o asse di arroccamento), la prima parte di essa, realizzata circa vent’anni orsono, per qualche chilometro corre vicina al fiume Montone, sopra un terrapieno alto fino a otto metri. Praticamente, rinchiude in una specie di tinozza alcuni quartieri periferici della città. Allora, il 16 maggio verso mezzanotte, quando l’onda di piena ha superato gli argini, allagando questi quartieri, a un certo punto si è infranta contro un ostacolo insormontabile, ed è cresciuta rapidamente fino a raggiungere un metro e mezzo di altezza. Quindi, accelerando, si è infilata nei pochi sottopassi del terrapieno, passando oltre e allagando altre abitazioni, per poi spandersi nelle campagne retrostanti. E questo la dice lunga sul concetto capitalista di rapporto con l’ambiente naturale, secondo il quale il territorio viene considerato un semplice supporto, o basamento, per qualsivoglia (e ovunque convenga) attività redditizia.

Il ponte della ferrovia

Forlì si trova sopra la -sella- fra i fiumi Ronco e Montone. In realtà i fiumi sono tre, in quanto, poco prima della città, alle acque del Montone si aggiungono quelle di un altro fiume: il Rabbi. Escluso il centro storico, la città si trova in gran parte, più o meno, al livello del letto di secca dei fiumi e al di sotto del livello di piena; per cui a forte rischio idrogeologico. Dal 2014 al 2017, sono stati realizzati diversi interventi per la messa in sicurezza dei quartieri più esposti al rischio alluvione, sia nel Ronco che nel Montone.

Tuttavia, per il Montone, il progetto non prevedeva l’innalzamento del ponte della ferrovia Milano-Lecce, il quale lo scavalca a circa un chilometro a valle del centro storico e poco dopo i quartieri alluvionati. Trattasi di un vecchio manufatto in laterizio (a tre archi e due piloni piantati in mezzo al letto del fiume), ben fatto, ma molto basso (addirittura le rotaie sfiorano il colmo degli argini) e dalla struttura massiccia e ingombrante. Per cui, si può ipotizzare che la presenza di questo ostacolo abbia, perlomeno, aumentato la massa d’acqua che ha scavalcato gli argini quando è arrivata la piena. Ciò non significa che il ponte della ferrovia e la circonvallazione (in misura minore) siano stati la causa dell’alluvione; tuttavia senza di essi, probabilmente, l’area alluvionata sarebbe stata diversa: meno estesa?

Gli agenti del capitale

In generale, le cause dell’alluvione sono state parzialmente naturali. O meglio, dietro un evento di per sé naturale, in quanto causato da un fenomeno naturale (la pioggia), insistono responsabilità delle classi dirigenti, politiche e produttive: locali, regionali e di Governo.

Nello specifico: hanno ignorato gli allarmi degli scienziati, dei movimenti e dell’evidenza, sulla crescente probabilità di fenomeni atmosferici mai accaduti, sempre più estremi e pericolosi. Hanno incentivato un modo di produzione energivoro e inquinante, mettendo a rischio la sopravvivenza delle popolazioni, di loro stessi e delle generazioni future. Non si sono preoccupati di approntare piani di emergenza per le popolazioni colpite da eventuali catastrofi: allarme, soccorso, evacuazione, collocazione degli sfollati, vie di fuga, eccetera. Hanno tagliato i fondi destinati alla protezione civile e agli enti preposti alla salvaguardia dell’ambiente naturale e delle popolazioni soggette a rischio idrogeologico; vuoi per mancanza di risorse economiche, vuoi per disinteresse (che è la stessa cosa). Più precisamente, hanno ignorato le relazioni dei servizi tecnici delle autorità di bacino; nelle quali si indicavano le aree abitate a rischio alluvione e gli interventi necessari e urgenti. (Per approfondimenti invitiamo a fare una ricerca negli archivi dei servizi tecnici, genio civile, della Regione Emilia Romagna). Se in tutto questo vi siano responsabilità di rilevanza penale, di questo o di quel singolo amministratore, eventualmente sarà la magistratura a doverlo appurare; anche se in questi casi è la norma che tutto finisca nell’oblio e che le vittime rimangano senza giustizia. In ogni caso, rimane la colpa collettiva di una classe politica incapace di prendere atto della realtà.

La distruzione chiamata ricchezza

Lo sviluppo economico in Emilia Romagna, particolarmente in Romagna, dopo il 1989 (Caduta del muro di Berlino) praticamente non ha avuto più freni. Le burocrazie sindacali e politiche del PCI aderirono, con l’entusiasmo del neofita ignorante, al modello fordista di crescita quantitativa senza qualità, sottoponendo il territorio alla più bieca speculazione edilizia (urbanistica clientelare contrattata). Non che in precedenza avessero fatto di meglio, tuttavia il modello stalinista in versione togliattiana (espulsione dei ceti popolari dai centri storici e costruzione di quartieri dormitorio nelle periferie) prevedeva un minimo di programmazione e controllo politico (piani regolatori) Questo modello, non certo diverso dalle regioni governate fin dal dopoguerra dalla Democrazia Cristiana, in Romagna è stato meno evidente per l’assenza di grandi città, con la popolazione diluita in centri piccoli o medio piccoli, ma è stato altrettanto e forse più devastante, per l’antropizzazione inflitta all’intero territorio. Esclusa la montagna, abbandonata a sé stessa in quanto poco interessante per gli investimenti. Non è un caso che i paesi di collina e montagna si siano spopolati progressivamente negli ultimi decenni.

Negazionisti contro transizionisti

Nei prossimi anni la questione ambientale diventerà sempre di più importante per vincere le elezioni, specialmente nei paesi occidentali. Le prime avvisaglie si avvertono già negli USA, in vista delle prossime elezioni presidenziali. Da una parte i padroni delle industrie energivore, degli allevamenti e delle monocolture intensive, rappresentati dalle destre negazioniste. Le quali sostengono che il riscaldamento climatico fa parte dei cicli naturali e che prima o poi finirà (o addirittura non lo prendono in considerazione). Dall’altra, la borghesia transizionista, che sta investendo enormi capitali nelle energie rinnovabili e per impossessarsi delle risorse naturali: acqua, suoli fertili e materie prime tecnologiche. Significativo che pochi giorni fa, nel Parlamento Europeo, la norma sul Natur Restoration Law, (per il ripristino degli habitat, parte del più ampio disegno del Green Deal) sia stata approvata con una risicata maggioranza di voti. Ne consegue che nei singoli stati non se ne farà niente o quasi: l’esultanza di Greta Thunberg e solidali è del tutto inappropriata.

La contronatura del capitale

È ormai evidente che i negazionisti non capiscono niente di ecologia e nemmeno sono interessati a capire. Il loro è un mondo estraneo a qualsiasi forma vita che non sia la loro. Al contrario, i transizionisti ne capiscono un po’, ma non possono investire le grandi quantità di capitali che sarebbero necessarie per la messa in sicurezza/adattamento dei territori sempre più a rischio nei prossimi anni. Il limite è che gli investimenti autenticamente ecologici non rendono profitto a breve termine. Si tratta della così detta finanziarizzazione dell’economia. Nella quale, i tempi di riproduzione del capitale al di sopra del tasso medio di profitto, sono estremamente ridotti, per effetto della rivoluzione informatica e telematica. Ma questo non è un’anomalia, sta nella storia dell’economia mercantile: ogni nuova scoperta, potenzialmente progressiva, viene distorta e messa al suo servizio. Anche il capitalismo più progressista, neo-keynesiano, non può abiurare sé stesso.

E le classi lavoratrici?

In questo lotta divaricante fra classi dirigenti e dominanti, da che parte starà la maggioranza delle classi lavoratrici? Negli ultimi decenni, i lavoratori si sono spostati in massa verso destra, reagendo, più o meno consapevolmente, al tradimento delle burocrazie politiche e sindacali dei partiti di sinistra. Nelle ultime tornate elettorali hanno votato per le destre o per il populismo grillino, in molti si sono astenuti. Ma se la direzione dovesse cambiare; nel senso che, da ora in avanti, gli eventi climatici estremi saranno un elemento formante dei conflitti sociali? In questo caso, la questione ambientale interagirà con la questione salariale, con i diritti sociali e civili e nella geopolitica come mai nella storia dei conflitti all’interno della nostra specie. E questo potrebbe essere propedeutico per il ritorno di grandi masse proletarie verso la lotta; e non sarà certo il salario minimo, penosa bandierina del neo PD sinistrorso a cambiare le cose, ad acquietare il conflitto fra capitale e ambiente-lavoro nel prossimo periodo storico. Ma questo è il problema dei problemi; perché solo i lavoratori avrebbero la forza di imporre lo stato di emergenza ambientale nazionale, e trovare le risorse per una vera transizione ecologica. Primi provvedimenti: una tassa patrimoniale fortemente progressiva, blocco immediato della cementificazione, nazionalizzazione (senza risarcimento alla proprietà) delle industrie energivore/inquinanti e messa in sicurezza/bonifica del territorio. Se invece rimarranno ancora passivi continuerà la catastrofe.

Conclusioni provvisorie

In Romagna come nel resto del paese, il dibattito sulla questione ecologica è estremamente arretrato. Rimane concentrato nei particolari, mentre le ragioni, le responsabilità e le colpe rimangono tabù. Ogni tentativo di alzare il livello si scontra contro il muro del presente, senza futuro e visione di insieme. Le scoperte scientifiche sul funzionamento della natura, vengono tacciate di ideologia. Assistiamo al rovesciamento di senso fra natura e cultura, là dove il naturale (la biosfera) diventa un’entità culturale e (quindi opinabile); mentre la cultura dominante (l’economia di mercato) viene considerata naturale e quindi immutabile, nella sacralità della proprietà privata. Nel frattempo, in Romagna, i corsi d’acqua (escluso piccoli interventi di riparazione degli argini) sono rimasti tali e quali a prima dell’alluvione. La materialità dell’urgenza non viene presa in considerazione, per la semplice ragione che è troppo grossa per essere compresa e affrontata. Una spada di Damocle rimane sospesa sul capo dei residenti delle zone a rischio, in Romagna e nel resto del paese. Se dovessero ripetersi le precipitazioni del mese di maggio, ed è probabile che prima o poi avverranno di nuovo, la pianura tornerà sott’acqua e la montagna franerà ancora, ma non sembra interessare a nessuno. Inizia un capitolo feroce della storia dei sapiens.

L’emergenza di un sistema fallito

 


Al momento in cui scriviamo l’emergenza è in pieno svolgimento. Tra le province di Forlì-Cesena e Ravenna i morti sembrano essere 8, oltre a diversi dispersi. Migliaia le persone evacuate, tra cui anche nostri compagni, a causa dell’esondazione del Savio e del Montone. In ampie zone manca la corrente e non funziona la rete di telefonia mobile. Nelle zone collinari molte frazioni sono isolate per frane e smottamenti.


Impossibile per ora quantificare i danni, le immagini che giungono dai canali di informazione sono sconfortanti, i soccorritori lavorano senza sosta. Questo è il copione già visto in tante altre regioni italiane che ora colpisce il nostro territorio.

I sindaci di ogni parte politica e colore indaffarati con il cellulare in mano, ministri che sorvolano il mosaico marrone di fango e tetti, chiacchiere a volontà sui social, di gente che si cerca e si informa, e si arrabbia. Gente che non sa da dove passare per andare al lavoro, perché il padrone la fabbrica non l’ha voluta chiudere. Nemmeno davanti a questo.

Adesso la priorità è evitare altri morti e prestare soccorso. Non possiamo che invitare lavoratori e lavoratrici a non uscire per andare a lavorare, a rifiutarsi di lavorare in condizioni di insicurezza, a proteggersi a ogni costo, che il portafoglio del padrone aumenta lo stesso tutti i giorni.

Per noi, questa ennesima tragedia non può essere vista in altro modo che un fallimento di un sistema, il sistema capitalistico.

Fino a poco tempo fa a Forlì il dibattito pubblico verteva su un paio di temi principali: da un lato di come fare per rendere la città un’attrazione turistica, dall’altro dell’ennesimo mega-mercato da costruire in zona periferica. Dell’ennesima cementificazione selvaggia. Di un ristorante sushi da trecento coperti, di un nuovo McDonald’s e di chissà quante altre mostruosità fra parcheggi, appartamenti e allegati vari, una operazione che vede alleati il mega-commercio, l’edilizia, la speculazione fondiaria e le banche, nell’estremo e disperato tentativo di moltiplicare i capitali da spartire.

La natura ci ricorda quanto il capitalismo sia miope. Non vede più in là del proprio profitto.

Gli alvei dei fiumi, gli argini e i fossi del territorio sono da tanto tempo carenti di manutenzione e controlli. Di prevenzione neanche l’ombra, o quando c’è è del tutto insufficiente. “Non ci sono i soldi” ci hanno sempre ripetuto gli amministratori di ogni parte politica e colore, e il personale degli enti preposti è insufficiente. Tanto per allargare il discorso, è drammatico notare che la parte del PNRR dedicata al risanamento ambientale è una presa in giro, più o meno come l’aumento dei salari di Renzi e Meloni.

Per i banchieri, i soldi devono rendere rapidamente.
Per i costruttori è più redditizio riversare nel terreno montagne di materie prime, invece di dedicarsi al governo del bene più prezioso e insostituibile, l’ambiente naturale.
Per i gruppi commerciali l’importante è vendere.
E per i politici, al loro servizio, l’importante e fare “sistema”, per rilanciare lo sviluppo dell’economia.

Cosa c’entra in tutto questo la maggior parte della popolazione? Coloro che vivono del proprio lavoro e che non sono responsabili di questa catastrofe? Niente! Mettendo un segno su una scheda ogni tanto non decidono nulla, ma i disastri li pagano loro.

I disastri li paghiamo noi.

Tra pochi giorni, quelli necessari per il lutto di facciata, torneremo a sorbirci la retorica della maschia unità contro le avversità di una natura matrigna, del “ce la faremo”, del “volemose bene”, della “Romagna che torna a essere terra di turismo” e le varie narrazioni che puntano a farci credere di essere tutti ugualmente vittime e ovviamente nessuno responsabile.

Invece i responsabili ci sono, hanno nomi e cognomi, ma soprattutto una professione. Quella degli sfruttatori: dei lavoratori, della natura, del territorio, delle risorse.

Quello che succede qui, in Romagna, ha un legame profondissimo con quello che succede in ogni altra parte del mondo, dove gli eventi meteorologici straordinari si susseguono alimentati da un cambiamento climatico fuori controllo.

Dal fango nello scantinato di casa, alla deforestazione amazzonica, una crisi globale non può che richiedere una soluzione globale, un rovesciamento radicale di un sistema che è il diretto mandante, esecutore e becchino di questa ennesima crisi.

Il capitalismo è fallito. E questo fatto non può più essere ignorato, per quanto vogliano farcelo credere da anni, con ogni sorta di menzogna. Solo una riorganizzazione ecosocialista della società può mettere gli interessi dei molti davanti a quelli dei (soliti) pochi, una rivoluzione che metta gli esseri viventi, umani e non, e l’ambiente davanti al profitto.

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione Romagna

Squadrismo a Forlì

9 Dicembre 2017

La scena è l’affollato mercatino di Natale di Piazzetta della Misura, gremito di famiglie che scelgono gli addobbi per l’albero. A un lato della piazzetta un banchetto abusivo di raccolta firme di Forza Nuova (il sindaco Drei dichiara infatti che nessuna autorizzazione di occupazione del suolo pubblico è stata concessa), tuttavia i neofascisti sono lì, addirittura protetti da un paio di gazzelle dei Carabinieri. Un gruppetto di una trentina di studenti, cittadini e sindacalisti, sosta spontaneamente e pacificamente davanti al banchetto.

I neofascisti ricevono rinforzi da Rimini (come dichiarato dagli stessi in piazzetta): cinque camerati accorrono un’oretta dopo brandendo manganelli e bastoni, e avventandosi sui presenti in piazza da una stradina laterale. Un vero e proprio agguato squadrista, che ha colpito il segretario FIOM di Forlì Giovanni Cotugno, che ha riportato una contusione e a cui va la nostra piena solidarietà. In seguito, le forze dell’ordine in tenuta antisommossa hanno separato quelli che la stampa locale nelle prime ore ha cercato di fare passare per “due gruppi di facinorosi”, nell’eterno giochino - filofascista - di mettere sullo stesso piano fascismo e antifascismo.

Occorre fare luce sul perché a questi gruppi fascisti, violenti e illegali, vengano concessi di continuo spazi pubblici, e ne venga tollerata la presenza. Dove sono ora i campioni della legalità? Con quale credibilità le stesse forze che tollerano sedi, palestre e centri di aggregazione neofascista ora parlano?

Agguati a giornali, a immigrati, ad antifascisti, collusioni mafiose, accoltellamenti, aggressioni in tutto il paese… Cosa deve ancora succedere prima che la gente capisca che questa è la stessa feccia fascista del Ventennio? Una feccia di cui ci siamo liberati con il sangue dei partigiani che in Piazza Saffi a Forlì è ancora vivo e presente, non solo quando ipocrite autorità depongono corone il 25 aprile.

Non c’è alternativa: occorre lanciare la parola d’ordine di un’autodifesa popolare e proletaria contro la violenza fascista, che è il braccio armato di padronato e capitalismo contro studenti, donne, immigrati e lavoratori.

Non è la prima volta che come Partito Comunista dei Lavoratori ci esprimiamo a favore di un fronte ampio contro il fascismo: un fronte che coinvolga tutte le forze di movimento e di partito dichiaratamente anticapitaliste e di classe. Il PCL, da organizzazione marxista rivoluzionaria, contrasta ogni azione individuale e ribadisce a tutte le sinistre e ai singoli compagni e compagne la necessità di lottare contro il fascismo, sviluppando una campagna di iniziative articolate e capillari.

È necessario organizzare da subito la difesa (e l’autodifesa) di tutti i soggetti coinvolti dagli attacchi e dalle aggressioni fasciste. È la violenza che impone di agire su questo piano. Non ci sono altri modi per arginare la mobilitazione, fermare la deriva reazionaria e porre le basi per l’unità della classe operaia.
Partito Comunista dei Lavoratori - sezione Romagna

Il PCL nelle piazze dell'Emilia-Romagna per il 25 aprile: VIVA LA RESISTENZA, VIVA IL COMUNISMO!


Orgogliosamente in piazza con falce e martello, contro i fascismi vecchi e nuovi, il Partito Comunista dei Lavoratori è sceso in piazza in tutta l'Emilia-Romagna per riaffermare la tradizione rivoluzionaria dei lavoratori italiani, nel 1945 come oggi.