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ANTAGONISMO CLASSISTA E PARTITO RIVOLUZIONARIO

21 Aprile 2015
 In queste settimane, in preparazione delle mobilitazioni milanesi NoExpo dei primi di maggio, è stato diffuso un appello (“Per un primo maggio anticapitalista-lotta di classe”), che raccoglie intorno al SICobas alcune altre organizzazioni (Vittoria di Milano, Iskra di Napoli, Combat, Clash City Worker). L’appello è incentrato sostanzialmente su 4 elementi:
1. una valutazione negativa della ritualità dei contro-eventi, attenta alle forme più o meno radicali della piazza piuttosto che sullo sviluppo della coscienza e del conflitto di classe;
2. l’opportunità di caratterizzare la lotta contro Expo sul lavoro, come esempio paradigmatico della nuova fase determinata dal governo Renzi (Poletti e Jobs Act);
3. il rifiuto della coalizione sociale, come operazione politica di interlocuzione con il centrosinistra per perseguire politiche redistributive social-keynesiane;
4. la necessità di partire dai processi reali di lotta, con una prospettiva anticapitalista, partendo per il primo maggio da una caratterizzazione centrata sul conflitto capitale/lavoro.
L'appello si propone quindi di generalizzare da una parte l’esperienza del ciclo di lotte sulla logistica, dall’altra le elaborazioni degli ultimi anni di Clash City Workers sulla centralità del conflitto del classe. Si configura di conseguenza come la riemersione pubblica di un polo classista nell'area antagonista, in aperta contrapposizione alle posizioni disubbidienti e post-operaiste tradizionalmente egemoni da alcuni decenni (dopo l’esperienza, ad esempio, dell’assemblea per l’autonomia di classe negli anni novanta).

Consideriamo positiva questa novità, per tre buone ragioni.

La consideriamo positiva in sé.
Le sconfitte sociali del movimento operaio italiano si sono accompagnate nell'ultima fase con un drammatico arretramento della sua coscienza politica. Questo arretramento coinvolge pesantemente lo stesso immaginario collettivo di ampi settori di massa, che disperdono la propria autorappresentazione come classe, e si accodano al mercato truffaldino delle offerte politiche correnti e alle loro culture borghesi e/o populiste (renzismo, salvinismo, grillismo). A questo arretramento hanno concorso- da versanti diversi e con diverse responsabilità- sia le formazioni residuali della sinistra politica riformista, sia i soggetti prevalenti dello stesso campo antagonista. Entrambi hanno rimosso dalle proprie categorie d'analisi la contraddizione centrale fra capitale e lavoro.
I primi hanno da tempo sostituito analisi ed impostazioni teoriche classiste (seppur riformiste, cioè rivolte alla mediazione dei diversi interessi di classe) con impostazioni progressiste o democratico radicali, cioè centrate sui diritti dei cittadini o nelle versioni più di sinistra sulla coalizione di movimenti antisistemici in difesa dei diritti di singole soggettività (minoranze, donne, giovani, gay, contadini, migranti, ambientalisti, ecc).
I secondi (a partire dalle teorie di Toni Negri, Michel Hardt, Andrea Fumagalli, Yann Moulier Boutang) ritengono che il dominio del capitale non avvenga più nei processi di lavoro, ma attraverso forme di dominio delle relazioni sociali in cui oggi si concentrerebbero i processi di valorizzazione (dalla microfisica del potere al controllo della moneta, dai mercati finanziari al debito pubblico), a cui si opporrebbe una sola moltitudine (cioè una molteplice volontà di potenza collettiva, un potere costituente nella forma di zone liberate, produzioni sociale auto valorizzanti, beni comuni o open source, ecc).
Entrambe queste operazioni ideologiche, diverse ma convergenti, entrambe basate sulla trasfigurazione della realtà, hanno contribuito all'arretramento della coscienza politica in settori della stessa avanguardia di classe e di movimento, con ulteriori ricadute sul versante di massa. Per queste ragioni ogni fattore di contrasto di questa deriva non può che essere considerato con favore dai marxisti rivoluzionari.

Inoltre la consideriamo positiva per il particolare contesto in cui si sviluppa. Negli ultimi due/tre anni, nel quadro di una declinante capacità di consenso e di organizzazione della sinistra, l’articolato mondo antagonista ha riconquistato un profilo di larga avanguardia (cortei del 15 ottobre 2011, del 19 ottobre 2013, del 12 aprile 2014, del 14 novembre 2014 e prossimamente del 1 maggio 2015). Un profilo che acquista rilevanza politica e capacità di egemonia (come evidenziato dalla diffusione delle parole d’ordine sullo sciopero sociale, il reddito di cittadinanza, il controllo biopolitico), proprio a fronte della debolezza del movimento operaio organizzato, della dinamica della lotte di classe, delle forze organizzate della sinistra politica. In questo quadro, l’apertura di una dinamica di confronto delle impostazioni disobbedienti e postoperaiste, con una possibile polarizzazione classista, possono esser un elemento importante nei suoi possibili riflessi nell’avanguardia larga.

Infine consideriamo positiva la novità che si è prodotta anche dal punto di vista delle nuove possibili opportunità di confronto che essa ci offre.
L'emergere di una polarizzazione classista all'interno del campo antagonista può estendere il terreno di confronto col marxismo rivoluzionario. Innanzitutto può consentire un terreno di confronto più avanzato, capace di avvalersi di alcuni elementi comuni di linguaggio e di individuare possibili battaglie comuni nei movimenti e nella lotta di classe. In secondo luogo, e parallelamente, può liberare lo spazio di una chiarificazione vera e sincera delle divergenze. Divergenze programmatiche, teoriche, pratiche. Divergenze che sarebbe sbagliato rimuovere, e che invece è bene vengano affrontate e dibattute nel modo più franco, secondo la migliore tradizione rivoluzionaria. Che è sempre nemica degli infingimenti.

Questo testo vuol essere esattamente un primo contributo al confronto, prendendo a riferimento in particolare elaborazione e posizioni dei Clash City Workers, in quanto da una parte rappresentative in genere di questo polo classista dell’antagonismo, dall’altra in quanto più organicamente e pubblicamente presentate nei diversi documenti di questi anni.


ANTAGONISMO DI CLASSE PER QUALE PROGRAMMA?

Le componenti dell'antagonismo classista fanno della classe operaia la propria centralità di riferimento. Sviluppano lo studio della nuova composizione ed estensione del lavoro salariato, sul terreno nazionale ed internazionale, fornendo un interessante contributo di analisi (“Dove sono i nostri” del CCW). Respingono giustamente le illusioni su ogni forma di collaborazione di classe, a partire dal terreno sindacale, rifiutando ad esempio l' avallo al “landinismo” e alla mitologia FIOM. Pongono la questione dell'unificazione della classe salariata e dello sviluppo della sua autonoma coscienza come terreno principale del proprio lavoro. E per questo respingono i feticci ideologici che pure abbagliano parte rilevante della sinistra riformista o di movimento: il “reddito” contrapposto al lavoro, la suggestione del ritorno alla moneta nazionale, le pose scioviniste a difesa della “sovranità nazionale” del capitalismo (imperialismo) italiano contro la Germania.
Questo patrimonio di posizioni è assolutamente positivo. Ognuno dei punti citati ricalca oltretutto un terreno di caratterizzazione marcata del Partito Comunista dei lavoratori in questi anni sul terreno della battaglia politica, in ogni sede di intervento. Su questo terreno la convergenza è piena, e non è irrilevante.

Ma la convergenza sul riferimento di classe, per quanto importante, non è l'essenziale. Antagonismo di classe per quale programma? Qual'é il soggetto agente dell'azione di classe che si vuole organizzare e promuovere? Che rapporto si intende porre tra l'azione sindacale e l'azione politica? Quale relazione si imposta tra lavoro nazionale e internazionale?
In altri termini: cosa si vuole costruire e per cosa? Questi interrogativi, tra loro correlati, non trovano risposta nell'antagonismo classista. O trovano risposte diverse, tra loro respingenti. O trovano risposte che riteniamo sbagliate. Questa è la materia della discussione.


IL BANDOLO DELLA MATASSA

La questione del programma è la questione del fine.
I compagni del Clash City Workers in particolare non disdegnano nelle proprie argomentazioni i riferimenti a Marx, a Lenin, alla tradizione rivoluzionaria. Questo fatto è molto apprezzabile tanto più nel contesto della desertificazione culturale dell'avanguardia. Ma è anche molto impegnativo.

Nel documento preparatorio dell'Assemblea nazionale dei CCW del luglio 2013 si afferma che “ sin dai tempi di Marx i comunisti hanno centrato il loro lavoro a partire dall'inchiesta”. Da qui l'ideologizzazione dell'”inchiesta” come primo livello d'azione su cui costruire l'intera impalcatura degli altri livelli (funzione del sito come “megafono” dei lavoratori, indagine sulle singole vertenze, promozione della connessione tra lavoratori, stabilizzazione dell'organizzazione..).

Nessuno obietta naturalmente sulla funzione positiva dell'analisi di classe e sull'uso possibile di determinati strumenti. Ma il punto di partenza dei comunisti non è l'inchiesta, è il programma generale. Marx non partì dall'”inchiesta” come dicono i CCW, partì dal Manifesto del Partito Comunista del 1848. Cioè dal programma comunista come programma di rivoluzione e dall'organizzazione dei comunisti attorno a quel programma. Tutta l'esperienza di lavoro della Lega dei Comunisti e poi, in un quadro diverso, della Prima Internazionale (incluse singole “inchieste”sulla condizione operaia), si è sviluppato a partire dal programma generale. Quella fu nel 1848 la prima linea di demarcazione rispetto alle altre correnti o espressioni ideologiche del “socialismo” del tempo. Quella fu successivamente la linea di demarcazione dal mazzinianesimo come dall'anarchismo. Quella fu infine la base costitutiva della Seconda Internazionale. E non è un caso se il “revisionismo” nelle fila della Seconda Internazionale si manifestò come rottura sul programma generale. La tesi di Bernstein “il fine è nulla il movimento è tutto” era proprio per questo l'atto di liquidazione del marxismo. Perché il fondamento del marxismo è esattamente il fine: il rovesciamento rivoluzionario e la distruzione dello Stato borghese, la dittatura proletaria come potere dei lavoratori autorganizzati (Comune), la prospettiva del comunismo come abolizione delle classi a partire dall'economia democraticamente pianificata.

In tutta l'elaborazione del campo “antagonista”, inclusa la componente classista, è difficile trovare traccia sull'indicazione del fine. Anche quando ci si definisce comunisti, manca ogni definizione programmatica del comunismo. Se si obietta che si tratta di una discussione “ideologica” astratta, si riprende involontariamente tutta la vecchia polemica anti marxista del primo riformismo. Se invece si obietta che è una discussione inutile, perchè l'”accordo sul fine è scontato, ma non ci fa fare un solo passo avanti nell'intervento di classe reale” si sbaglia due volte.
In primo luogo perché l'accordo scontato non è: quante correnti si definiscono “comuniste” ma presentano come “socialismo del XXI Secolo” il regime bonapartista chavista “bolivariano”(che colpisce gli operai e la loro autonomia) o il regime castrista (che non ha mai conosciuto i consigli dei lavoratori), o addirittura.. il regime dinastico nord coreano, e perfino la Cina capitalista? La pagina tragica novecentesca dello Stalinismo sottolinea tanto più oggi più l'importanza decisiva della definizione programmatica.
In secondo luogo si sbaglia perché la definizione del fine non riguarda il futuro ma il presente: il fine è sempre la prima bussola della linea politica, della definizione delle rivendicazioni, dell'impostazione dell'azione, della stessa articolazione della tattica. Naturalmente non è in sé sufficiente a determinare la complessità della politica, che si confronta sempre con l'analisi concreta delle condizioni date. Ma è la prima condizione necessaria. Dire che il fine non è importante perché “non è sufficiente” sarebbe come buttarsi in mare aperto senza bussola, perché intanto “la bussola non risolve il problema delle mareggiate”. Si converrà che sarebbe un'impostazione logica un po' debole. E soprattutto disastrosa per i naviganti.


PROGRAMMA E PARTITO: LA QUESTIONE DELL'ORGANIZZAZIONE

Una seconda questione, legata alla prima, è quella della “organizzazione”.

Il documento citato del Clash City Workers si sofferma a lungo sull'argomento. Distingue positivamente tra il livello dell'organizzazione sindacale e il livello dell'organizzazione politica. Ma sul livello dell'organizzazione politica sembra rinviare ogni scelta a un futuro indeterminato. La logica di fondo è riassunta nei termini seguenti: “ Per noi la questione dell'organizzazione si pone senza alcuna scorciatoia.., ma si pone. Non potremmo mai pensare di risolverla da soli, con un'operazione di tipo volontaristico e ridicolo, come tanti hanno fatto in questi anni, bruciando energie, e non pensiamo di risolverla prescindendo da un livello di mobilitazione di massa che- va sempre tenuto in mente- è l'unico che può sollecitare e contribuire alla soluzione del problema..” A ciò si accompagna una lunga citazione del Che Fare di Lenin, incentrata sulla funzione del giornale come “organizzatore collettivo”: un giornale definito da CCW come “quel primum che serve a raccogliere gli elementi dispersi, a organizzarli, a dargli vigore”. Dunque, par di comprendere, si tratterebbe di usare il sito di Clash City Workers come “organizzatore collettivo”, in analogia al giornale proposto dal Che Fare. L'organizzazione politica (il termine partito non è mai usato) sarebbe eventualmente lo sbocco ultimo di questo lavoro, in connessione con le dinamiche di classe.
Questa impostazione non regge, perché capovolge i termini del problema.

Naturalmente è positivo che la questione dell'organizzazione politica venga posta. Ancor più che si assuma formalmente come esempio quella che viene definita “ la più grande organizzazione rivoluzionaria della storia: il partito bolscevico”. Ma proprio questo riferimento, di assoluta importanza, ribalta totalmente l'impostazione dei compagni. Nella storia reale del partito bolscevico, il giornale non fu affatto “il primum” come afferma Clash City Workers. Il primum fu il Partito Operaio Socialdemocratico russo, nato nel 1898, sulla base di un programma marxista generale, cioè di una delimitazione programmatica. Il bolscevismo nacque come tendenza della socialdemocrazia rivoluzionaria russa, difendendo e sviluppando quel programma. E sul programma realizzerà la rottura finale col menscevismo. E' vero: la funzione del giornale come “organizzatore collettivo” è centrale nella concezione di Lenin . Ma la funzione del giornale non è quella di “creare” il partito. É quella di organizzare un partito già esistente, che ha raggruppato i comunisti attorno a un comune programma di rivoluzione. Questo è metodologicamente il punto decisivo. Nella concezione leninista il partito è in primo luogo un programma generale, distinto e contrapposto a ogni altro programma. L'avanguardia che aderisce a quel programma si unisce e si organizza attorno ad esso. Questo è il fondamento del partito. Naturalmente, su quel fondamento, il partito lavora a costruirsi in connessione con la dinamica viva della lotta di classe, coi processi di maturazione della sua avanguardia più larga, con i processi di scomposizione e ricomposizione della rappresentanza politica della classe. E sul terreno della sua costruzione possono porsi le più diverse articolazioni della tattica e della strumentazione organizzativa. Ma un partito rivoluzionario non nasce da un giornale, e non si fonda su un giornale. Nasce e si fonda su un programma generale.
Siccome i compagni del Clash City Workers non partono dal programma ma dall'”inchiesta” finiscono con l'impantanarsi sulla questione del partito, affidandone il futuro al giornale che fa l'inchiesta. Il risultato è quello che gli stessi compagni riconoscono con onestà intellettuale:” E' il punto su cui ci siamo bloccati” (luglio 2013). Si sono bloccati perché il vicolo è cieco.


TRADUNIONISMO O POLITICA RIVOLUZIONARIA?

Una terza questione attiene al profilo dell'intervento di classe, in generale e nell'oggi.
Clash City Workers nelle proprie elaborazioni riporta più volte un concetto importante: “I presupposti oggettivi per ricominciare un'azione rivoluzionaria in Italia non sono mai stati così numerosi..(luglio 2013). Oppure:” Si pone davanti a noi la possibilità materiale di fare la rivoluzione e instaurare un diverso modo di produzione..”(“Dove sono i nostri”). Detto in altri termini: le condizioni oggettive di una rivoluzione socialista sono presenti, sono mature, sono misurate dalla profondità della crisi capitalista e dalla crisi dello stesso spazio riformista, dal fatto che solo un rovesciamento del capitalismo può riaprire una dinamica di progresso sociale altrimenti precluso. Il punto è che “se dal punto di vista materiale motivi e risorse per fare una rivoluzione ce ne sarebbe a iosa, la coscienza di classe è ai minimi storici, la soggettività rivoluzionaria è dispersa..” (“Dove sono i nostri”). Condividiamo a fondo questo punto d'analisi. La contraddizione di fondo della nostra epoca sta tra la maturità delle premesse oggettive della rivoluzione e l'immaturità del fattore soggettivo: cioè l'arretramento profondo della coscienza politica della classe, il ritardo della costruzione e sviluppo del partito rivoluzionario. Chi conosce la nostra riflessione ed elaborazione sa che essa è la cornice di fondo della nostra analisi e della nostra azione.

Ma se questa è la realtà dovrebbero seguirne implicazioni adeguate.
In primo luogo, come abbiamo visto, la definizione di un programma rivoluzionario generale e l'unificazione organizzativa attorno ad esso di tutti coloro che lo condividono e si impegnano a militare nella lotta di classe per sostenerlo. In secondo luogo, e in connessione con questo, un intervento nella classe finalizzato a sviluppare la sua coscienza politica, ad elevare la sua coscienza soggettiva all'altezza della necessità oggettiva della rivoluzione.

Invece l'impostazione di Clash City Workers rimuove non solo il primo aspetto, ma di riflesso anche il secondo. Il grosso dell'intervento, delle prese di posizione sulle vertenze, della stessa impostazione del lavoro d'inchiesta, sembra attestarsi in sostanza sul livello minimo sindacale. Con una giusta sottolineatura e attenzione classista, spesso con posizioni di merito condivisibili. Ma senza sviluppare il lato politico dell'intervento.
Qui sta una divergenza di fondo.

Il Che Fare di Lenin che giustamente i compagni citano a riferimento fu scritto esattamente per contrastare l'abbassamento dell'intervento rivoluzionario al livello sindacale e tradunionista. Agli “economicisti” del suo tempo che si limitavano a “dare carattere politico alle lotte economiche”, mettendosi a rimorchio della spontaneità del movimento, Lenin replicava affermando che il “tradunionismo è l'asservimento ideologico degli operai alla borghesia”: “Chi induce la classe operaia a rivolgere la sua attenzione, il suo spirito di osservazione e la sua coscienza esclusivamente, o anche principalmente, su se stessa, non è un socialdemocratico, perché per la classe operaia la conoscenza di sé stessa è indissolubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le classi della società contemporanea, e conoscenza non solo teorica, anzi, non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l'esperienza della vita politica”. “La questione si può porre solamente così: o ideologia borghese o ideologia socialista, non c'è via di mezzo... Il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la coscienza emanasse da sé dalla lotta di classe”. Da qui la necessità che i militanti comunisti non si limitino al ruolo di “sindacalisti”, sia pure classisti, ma si trasformino in “tribuni del popolo”, capaci di sviluppare la propria propaganda e agitazione tra le masse su tutti i fatti politici, su tutte le forme di oppressione e di ingiustizia, su tutte le esperienze della vita politica, nazionale e internazionale, per portare nella classe la coscienza socialista, la coscienza della necessità della rivoluzione.

Se questo era vero nella Russia del primo 900, non è meno vero oggi, a fronte dell'arretramento storico della coscienza operaia. E tanto più in Italia, dove l'arretramento della coscienza politica di classe ha registrato un'autentica precipitazione all'indietro negli ultimi decenni.

Naturalmente non si tratta affatto di ignorare o anche solo sottovalutare l'importanza dell'intervento sindacale e sui temi economici, ciò che vede il nostro partito impegnato costantemente e su diversi fronti. Ma si tratta di combinare quello stesso intervento col primato della battaglia politica, per sviluppare coscienza politica. Che non è solo spiegare agli operai che il loro interesse è in contraddizione con quello dei padroni (tradunionismo), ma è anche spiegare agli operai cos'è lo Stato, qual'é la diversa natura dei partiti borghesi che lo gestiscono, in cosa consiste la specifica truffa del populismo in tutte le sue varianti, qual'é la funzione delle sinistre riformiste come “agenzie borghesi” nella classe operaia, qual'é la natura della Chiesa e di ogni confessionalismo religioso, qual'é la natura della diplomazia borghese internazionale e delle sue finzioni (ONU), qual'é il quadro delle attuali contraddizioni imperialistiche nel mondo; ed anche qual'é il bilancio di verità della storia della propria classe, cosa ha significato lo stalinismo, qual'é la differenza tra socialismo e stalinismo... E così su ogni altro tema e terreno di mistificazione borghese.

Anche per questo è fondamentale, non domani ma oggi, la funzione del partito comunista: perché non un sindacato, fosse pure il migliore, ma solo un partito rivoluzionario può misurarsi con l'insieme dei temi politici di propaganda e agitazione, unendo in un unico piano d'azione battaglia economica, battaglia politica, battaglia ideologica. E solo un partito può misurarsi con la molteplicità dei terreni e delle angolazioni da cui sviluppare quella battaglia: quello sindacale certamente; ma anche quello dell'intervento in ogni settore sociale oppresso e su ogni terreno di oppressione; ed anche quello elettorale, come occasione di presentazione a masse più larghe del programma della rivoluzione, contro ogni forma di elettoralismo borghese e subalterno.


PROGRAMMA MINIMO O RIVENDICAZIONI TRANSITORIE?

Aggiungiamo che lo stesso intervento di classe sul piano sindacale, non può limitarsi all'intervento molecolare sulle singole vertenze, ma deve porsi il problema di una proposta generale unificante, sia sul terreno delle rivendicazioni sia sul terreno delle forme d'azione, che contrasti la drammatica frammentazione delle lotte di resistenza in direzione di una ricomposizione del movimento operaio.

Per questo, ad esempio, abbiamo posto il tema di una grande vertenza generale, di una piattaforma di svolta unificante, di un processo di autorganizzazione unitaria che la promuova (assemblea nazionale di delegati eletti), di una svolta sullo stesso terreno delle forme di lotta e di organizzazione (occupazione delle aziende che licenziano, azione prolungata, casse di resistenza), indicando la necessità di “una radicalità uguale e contraria a quella dei padroni e del governo”, come unica via per strappare risultati. Su questo asse di proposta generale abbiamo dato e diamo battaglia in ogni sindacato classista e in ogni occasione di confronto, contro la burocrazia CGIL da un lato e l'autocentratura di molti sindacati di base dall'altro. E sempre su questo asse di proposta siamo intervenuti nelle singole vertenze di frontiera di questi anni di crisi: in Alitalia, alla Fiat, all'Alcoa, alla Merloni, all'Irisbus, all'AST di Terni, fra i tranvieri di Genova e oggi anche all'Ilva, articolando l'intervento secondo le diverse specificità aziendali ma sempre ponendo la necessità di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio. Sempre cercando di far emergere dall'esperienza viva degli operai l'esigenza di una direzione alternativa delle loro lotte, sul piano sindacale ma anche politico.

Così è stato ed è sul terreno delle rivendicazioni.
I compagni di Clash City Workers criticano giustamente l'impostazione rivendicativa subalterna di altre componenti dell'antagonismo, in particolare sul tema del reddito, ponendo la centralità della rivendicazione della riduzione dell'orario a parità di paga come ripartizione del lavoro. Ma è necessario sviluppare questo spunto sul piano più generale. Riduzione dell'orario come ripartizione del lavoro è una rivendicazione tanto centrale quanto dirompente sullo sfondo della crisi capitalista. Richiama l'esigenza di un sistema di rivendicazioni più complessivo che crei un ponte tra la coscienza attuale dei lavoratori e la necessità di rompere con la società borghese. E' il tema del programma delle rivendicazioni transitorie su cui nacquero i partiti comunisti delle origini e che proprio la profondità della crisi capitalista ripropone in tutta la sua straordinaria attualità. Quando rivendichiamo l'esproprio sotto controllo operaio delle aziende che licenziano come misura a difesa del lavoro; quando poniamo l'abolizione del debito pubblico verso le banche e la nazionalizzazione delle banche come misura necessaria per la difesa e l'allargamento delle protezioni sociali, partiamo sempre dalla concretezza di uno scontro radicale col padrone e col governo: ma al tempo stesso diciamo agli operai che per affrontare e vincere quello scontro è necessario rompere le compatibilità del capitale e porsi su un terreno anticapitalistico. La campagna propagandistica incessante che conduciamo “per un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza” è non a caso il coronamento politico costante di tutto il nostro intervento sindacale, ben al di là di un orizzonte puramente tradunionista. E' l'indicazione della rivoluzione socialista, formulata in termini più popolari e accessibili.

Su questo terreno generale misuriamo la distanza tra noi e le migliori espressioni dell'antagonismo classista come i Clash City Workers. E non è un caso. Non si tratta di una differenza banale di accentuazione più o meno radicale dell'intervento sindacale. Si tratta in ultima analisi, ancora una volta, della natura del programma, cioè del fine. Un partito rivoluzionario, che si basa su un programma di rivoluzione, è una tensione organizzata verso il fine. E' naturale che esso cerchi di introdurre la prospettiva del potere dei lavoratori in tutte le pieghe della propria propaganda e della propria agitazione: nell'indicazione di una forma di lotta, nell'articolazione di una rivendicazione transitoria, nella formulazione di una proposta di auto organizzazione, nell'impostazione politica più complessiva del proprio intervento di classe, nella classe operaia e in ogni movimento. Sempre nell'ottica di elevare la coscienza di classe al livello della necessità rivoluzionaria. Un'area antagonista classista, fondata essenzialmente sul lavoro d'inchiesta, sia pur meritorio, tenderà a ridurre il grosso del proprio intervento alla sfera tradunionista e vertenziale. Senza poter sviluppare sul piano politico le tante intuizioni classiste che magari enuclea sul piano dell'analisi.


LA QUESTIONE DELL'INTERNAZIONALE

Una quarta questione investe l'aspetto internazionale e internazionalista dell'intervento di classe.

Clash City Workers riconosce ripetutamente l'esigenza di un internazionalismo classista. “Il quarto livello di azione che ci proponiamo è la connessione dei lavoratori fra loro, su base locale, nazionale e magari internazionale” (luglio 2013). E' un riconoscimento importante. Ma anche in questo caso non ci si può fermare all'evocazione del tema. Occorre dare una risposta.

I lavoratori hanno un proprio interesse internazionale da difendere, contro la propria borghesia. Affermare questo concetto a fronte della marea montante delle campagne reazionarie anti migranti, o più semplicemente delle operazioni divisorie che quotidianamente affiorano in ogni vertenza operaia sul lavoro (delocalizzazioni, ricatti, uso della miseria maggiore di altri sfruttati ad altre latitudini del globo per strappare peggiori condizioni di vita e di lavoro nelle metropoli) rappresenta di per sé un valore politico. Tanto più a fronte delle molte brecce che campagne e culture scioviniste hanno aperto tra i lavoratori e nella stessa sinistra.

Ma come sul piano nazionale, anche sul piano internazionale vanno distinti i livelli. Dialetticamente sempre connessi. Ma anche diversificati.

Un primo livello è quello sindacale: i lavoratori dell'automobile nel mondo, ad esempio, hanno l'interesse comune a coalizzarsi contro le politiche dei capitalisti e dei loro Stati a tutela della propria condizioni. E' un esempio che vale ovviamente per tutti i settori della classe operaia coinvolti, direttamente o indirettamente, nella concorrenza globale sul mercato mondiale (a partire dalla siderurgia, dalla cantieristica, dall'industria tessile ecc..). Le burocrazie sindacali dei vari paesi, interessate a vendere la propria classe operaia alla propria borghesia, sono nemiche di ogni vero internazionalismo proletario sullo stesso terreno più elementare. Occorre reagire. Come sul piano nazionale si tratta di lavorare per la rifondazione di un sindacato di classe antiburocratico, lo stesso va fatto sul piano internazionale . Per questo abbiamo partecipato due anni fa al primo incontro mondiale dei sindacati o tendenze sindacali di orientamento classista, tenutosi a Parigi, cui hanno contribuito compagni e partiti della nostra organizzazione politica internazionale di riferimento (CRQI). Connettere i lavoratori internazionalmente, è impossibile farlo su basi serie ed utili senza passare per il rapporto con altre organizzazioni e tendenze sindacali di altri paesi che lavorano per il medesimo scopo.

Ma accanto al livello sindacale c'è il livello politico più generale. L'internazionalismo proletario non si fonda soltanto sulla comunanza dell'interesse immediato dei lavoratori dei diversi Paesi. Si fonda anche sul fatto che un programma rivoluzionario e comunista può realizzarsi compiutamente solo su scala internazionale. Per i comunisti questo è e deve essere il punto prioritario e caratterizzante. Tanto più dopo l'esperienza liquidatrice dello stalinismo e del “socialismo in un solo paese”. Se questo è vero si tratterà di unificare e organizzare sul piano mondiale tutti coloro che condividono quel programma e intendono battersi per la sua realizzazione. Se il programma è mondiale, mondiale dev'essere il partito che lo persegue.

Non si tratta di rinviare all'avvenire questa esigenza politica. Come non può rinviare la costruzione del partito rivoluzionario su scala nazionale, così non si può rinviare la costruzione dell'internazionale rivoluzionaria sul piano mondiale. Né si può dire: prima costruiamo il partito in casa nostra, poi ci occuperemo eventualmente dell'internazionale. Perché partito nazionale e internazionale sono due lati dello stesso processo.
Nella storia del movimento operaio, non sono venuti prima i partiti nazionali e poi le internazionali. Semmai è accaduto l'inverso. Il Manifesto del Partito Comunista del 1848 fu il manifesto della prima organizzazione internazionale del movimento operaio, la Lega dei Comunisti. Poi Marx ed Engels lavorarono alla Prima internazionale (1864) e successivamente alla Seconda (1889). Lenin e Trotsky e Rosa Luxemburg lanciarono immediatamente la prospettiva della Terza Internazionale subito dopo il tradimento della Seconda Internazionale di fronte alla guerra, quando le forze disponibili all'impresa erano talmente ridotte che, come disse Lenin, potevano “stare tutte in una sola automobile”. Prima dello Stalinismo, la costruzione del partito internazionale era dunque questione di principio, quanto la natura internazionale del programma. Non a caso lo stalinismo che distrusse quel programma fini col distruggere e infine dissolvere la Terza Internazionale.

Se oggi poniamo con altri partiti rivoluzionari al mondo la necessità di rifondare la Quarta Internazionale, è esattamente per riannodare la migliore tradizione rivoluzionaria del movimento operaio. Del resto: se Clash City Workers afferma l'attualità oggettiva della rivoluzione sul piano internazionale, come può ignorare la necessità di costruire un'internazionale rivoluzionaria?

Ma per costruire un internazionale rivoluzionaria non è sufficiente “connettere i lavoratori” nelle vertenze sindacali transnazionali. Non è sufficiente il puro terreno tradunionista/ classista. E' necessario unificare le forze su un programma generale, attorno ad assi generali: rifiuto della collaborazione di classe in ogni sua forma; opposizione ai governi borghesi inclusi quelli “di sinistra” (Governo Syriza); centralità della prospettiva della dittatura proletaria come potere dei consigli (contro ogni deriva stalinista o chavista); impostazione transitoria del programma d'intervento nella classe per gettare un ponte tra coscienza e rivoluzione. Sono non a caso gli stessi assi generali su cui costruire il partito rivoluzionario nei diversi paesi.

A sua volta lo sviluppo di un partito rivoluzionario è il miglior investimento nella rifondazione classista e anticapitalista del sindacato. Lo è sul piano nazionale. Lo è sul piano internazionale. E' un caso che la più grande esperienza di sindacalismo classista e anticapitalista sul piano mondiale nel secolo scorso (Internazionale sindacale rossa) sia nata in connessione con lo sviluppo della Terza Internazionale comunista?

Ma ancora una volta, per affrontare tale necessità non serve l'inchiesta e la pura evocazione dell'interesse internazionale dei lavoratori. Serve un lavoro paziente di confronto, incontro, tessitura di relazioni con quelle forze d'avanguardia che sul piano mondiale si pongono sul terreno della rivoluzione socialista. Una dimensione di lavoro che l'antagonismo classista, per sua natura, ignora.


IN CONCLUSIONE

Ribadiamo il giudizio positivo sull'emergere di una componente di impronta classista nel campo antagonista. Guardiamo con interesse alla battaglia di idee che essa intende aprire nel proprio campo di riferimento. Pensiamo alla possibilità di alcune battaglie comuni nei movimenti sulla centralità del riferimento di classe.

Ma il marxismo rivoluzionario è altra cosa dal puro antagonismo classista. Va oltre la soglia del conflitto tra operaio e padrone. Si pone sul terreno della rivoluzione. Per questo si impegna nella costruzione del partito rivoluzionario, su scala nazionale e internazionale.

L'eventuale conquista a tale prospettiva delle forze migliori dell'antagonismo classista sarebbe un passo positivo di questa costruzione.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Segreteria politica