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Ascesa e tramonto di Jeremy Corbyn. La storia breve di un'illusione

“Corbyn ha perso per le sue idee veteromarxiste”, “ la sinistra radicale è il miglior alleato della destra”. Il bombardamento propagandistico dei circoli liberali procede a tappeto in tutta Europa, e naturalmente in Italia. Come sempre, a scapito della verità, ma anche della evidenza logica.
Se Corbyn ha perso per il suo presunto veteromarxismo, come mai il partito Liberal Democratici di Jo Swinson, tifoso del “remain”, ha subito una sconfitta non meno pesante di quella del Labour? E poi, il programma di Corbyn non è forse lo stesso programma che nel 2017 accompagnò la clamorosa rimonta elettorale del Labour contro i conservatori di Theresa May?

La verità è che i soloni che non avevano capito nulla dell'ascesa politica di Corbyn sono gli stessi che non capiscono nulla della sua sconfitta. Chiusi a doppia mandata nella torre d'avorio del pregiudizio ideologico, ripetono come un disco rotto il rosario imparato a memoria. Indifferente semplicemente ai fatti, e soprattutto alla propria disfatta.

Il liberalismo borghese progressista ha governato la Gran Bretagna per due legislature a cavallo degli anni '90 e 2000. Tony Blair ne è stato la bandiera. Era il mito della globalizzazione portatrice di progresso, che una sinistra finalmente liberal, sgravata dalla zavorra delle vecchie idee socialdemocratiche, avrebbe interpretato e diretto. Mai profezia politica ha subito – quella sì – una smentita più impietosa. I governi di Blair hanno solo amministrato l'eredità della Thatcher contro il movimento operaio e sindacale inglese, con tagli sociali, precarizzazione del lavoro, privatizzazioni, compressione dei diritti sociali. La riconoscibilità del Labour presso la sua tradizionale base sociale conobbe un tracollo. Il Partito Conservatore ereditò la sua disfatta, coi governi Cameron, mentre la grande crisi del capitalismo mondiale e le dure politiche d'austerità precipitarono ulteriormente le condizioni di vita e di lavoro di larga parte della Gran Bretagna, dove oggi, per dare la misura, il 31% dei bambini sono sotto la soglia di povertà.

La fascinazione della Brexit nel 2016 presso ampi settori di classe operaia e di masse popolari impoverite, a partire dalle periferie e dalla provincia, fu il prodotto di questo contesto. Una maggioranza declassata della società inglese, ignorata e colpita da tutti i governi, priva da tempo di una rappresentanza riconoscibile, ed anzi tradita dai suoi partiti tradizionali, fu attratta dal richiamo sciovinista e xenofobo della ciurma di Nigel Farage. La promessa del ritorno all'antica potenza imperiale della Gran Bretagna fu percepita come promessa di un riscatto sociale dopo decenni di immiserimento. La rabbia sociale fu dirottata contro gli immigrati, anche europei, e contro la UE. Una ribellione passiva sotto una direzione reazionaria. L'esatto opposto dell'Oxi greco all'UE del 2015, espressione di una radicalizzazione sociale di massa tradita da Tsipras. I tanti sovranisti di sinistra che confusero le due cose esaltando la Brexit come riferimento progressista, semplicemente rimossero il più elementare criterio di classe.

Tuttavia lo sfondamento della Brexit negli strati operai e popolari non era uniforme e lineare. Un anno dopo, il malumore sociale e la domanda di svolta trovarono infatti ben altra espressione nell'ascesa di Corbyn. Un'ascesa che non cancellava la deriva reazionaria ma mostrava l'instabilità dello scenario politico, e un quadro contraddittorio aperto ancora ad esiti opposti.
Il famoso programma di Corbyn, con buona pace dei liberali, non aveva nulla a che vedere con un programma marxista. Era piuttosto il ritorno al vecchio laburismo inglese prima della svolta liberale di Blair: nazionalizzazione con indennizzo dell'elettricità e delle ferrovie, aumento della tassazione (dal 19 al 26%) delle grandi aziende, difesa della sanità pubblica contro la sua privatizzazione. Un programma di economia mista. Tuttavia la rottura col blairismo colorì quel programma di una immagine “radicale” agli occhi di ampi settori della vecchia base laburista, e soprattutto della giovane generazione. Di più, quel programma divenne un fattore di nuova attivazione e politicizzazione a sinistra di un settore della gioventù che si riavvicinò al laburismo e divenne in qualche modo la guardia del corpo di Corbyn contro la componente liberal del Labour (attraverso strumenti come Momentum). A sua volta la campagna isterica della borghesia inglese contro Corbyn favorì questa dinamica di polarizzazione a sinistra attorno alla nuova direzione del Labour.

L'ascesa di Corbyn, a differenza di quella di Tsipras, non era il sottoprodotto di una radicalizzazione di massa del movimento operaio sul terreno della lotta di classe, ma avrebbe potuto essere investita in questa direzione: l'unica capace di scompaginare il mito popolare della Brexit, di aprire le contraddizioni del blocco sociale reazionario, di riaffermare la centralità dello scontro tra capitale e lavoro nell'immaginario di massa al posto della falsa alternativa pro e contro la Brexit.

Il buon vecchio Corbyn fece esattamente l'opposto. Invece di investire il capitale di fiducia accumulato sul terreno della mobilitazione di massa, a partire da una svolta della politica sindacale, si limitò a difendere il proprio fortino dalle minacce di scissione del Labour da parte della sua ala liberale e dei suoi parlamentari. Invece di affermare un punto di vista indipendente del movimento operaio inglese contro la falsa alternativa tra exit e remain in direzione di una rottura anticapitalistica con la UE dal versante della lotta di classe (e di una prospettiva socialista continentale), si attestò a cavallo tra exit e remain, con un colpo al cerchio e uno alla botte, nel segno dell'incertezza e della paralisi, finendo col logorare la propria credibilità e perdere consenso in ogni direzione.
Il campo reazionario populista, sbarazzatosi di Theresa May e sotto la direzione iperpopulista di Boris Johnson, ha avuto buon gioco nel denunciare il fronte ostruzionistico parlamentare contro l'applicazione della Brexit come il blocco del Labour con il vecchio establishment “contro la volontà del popolo e contro la democrazia”. Il profilo alternativo del Labour ne è uscito pesantemente compromesso nelle sue stesse roccaforti sociali. Né una campagna elettorale di 20 giorni poteva recuperare tre lunghi anni di immobilismo politico. Un istrione reazionario e razzista ha finito così per apparire come l'unico vero “garante del popolo” contro i vecchi parrucconi della politica inglese. E la Brexit come l'unica concreta occasione di svolta agli occhi di grandi masse impoverite dalla crisi.

L'immobilismo di Corbyn non è stato peraltro un errore, ma il riflesso della natura politica del Labour Party. Il nuovo corso di Corbyn ha sicuramente riavvicinato il partito ai sindacati, brutalmente trattati da Blair. Ma la burocrazia sindacale delle trade union, la più antica burocrazia sindacale del mondo, non aveva alcuna intenzione di muovere le acque dello scontro sociale. Il suo unico scopo era quello di riattivare il canale di relazione col partito e di pesare nella sua costituzione materiale, in cambio del sostegno a Corbyn. A sua volta il sostegno della burocrazia sindacale è stato ricambiato da Corbyn col sostegno alla politica passiva della burocrazia. Un disastro non solo sindacale ma politico, di cui Boris Johnson è stato il vero beneficiario.

Johnson ha ora in mano la maggioranza del parlamento britannico, non la Gran Bretagna. La sua politica nazionalista non dispone delle basi materiali del trumpismo. Nuove contraddizioni sociali esploderanno, prima o poi, nella società inglese, mentre la questione nazionale, irlandese e scozzese, metterà a dura prova la tenuta stessa della Gran Bretagna. Ma certo chi vedeva in Jeremy Corbyn la stella ritrovata del socialismo, magari da confortare con buoni consigli "trotskisti", ha preso una colossale cantonata, non minore di quella dei tifosi della "Brexit progressista".

L'alternativa alla deriva reazionaria o è anticapitalista o non è. La costruzione di una nuova direzione politica e sindacale del movimento operaio britannico resta il tema centrale della politica rivoluzionaria in Inghilterra.
Partito Comunista dei Lavoratori